Le Relazioni di accompagnamento alle leggi e agli atti aventi forza di legge

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Un recente contributo pubblicato sul sito della Giustizia Amministrativa[1], in modo magistralmente puntuale, propone un punto di sintesi sul tema in oggetto e permette di approfondire questioni in alcuni casi di dubbia valutazione. In particolare, nell’interpretazione delle leggi, la dottrina si è interrogata su come le relazioni di accompagnamento agli atti normativi possano influenzare una applicazione anziché un’altra del dettato normativo. È di tutta evidenza che il problema si pone esclusivamente nel caso di una lettura non certa rispetto al tenore testuale della norma.

     Indice

  1. Le motivazioni delle leggi
  2. I riferimenti normativi e giurisprudenziali
  3. Sintetiche Conclusioni

1. Le motivazioni delle leggi

Prima di stabilire quale sia il contributo fornito dalle “relazioni” di accompagnamento alle leggi secondo la visione dell’autorevole contributo pubblicato, va compreso che anche gli interventi normativi, al fine di agevolare la discussione parlamentare che si concentra intorno ad una sintesi di volontà politica, sono accompagnati, appunto, da atti e documenti che illustrano le motivazioni (o meglio le ragioni) che portano ad elaborare un certo disegno di legge. Il termine motivazione è da intendersi, in tale sede ermeneutica, in modo atecnico in quanto non esiste nell’ordinamento giuridico – tenendo ferma l’indispensabile separazione dei poteri[2] – l’obbligo di una motivazione delle leggi così come è conosciuta dalle regole che qualificano i provvedimenti amministrativi[3].

Il tema della motivazione delle leggi è tutt’altro che di poco interesse: lo dimostra, tra gli altri, un convegno[4] intitolato “La motivazione delle leggi”.

In particolare, la relazione[5] “L’obbligo di motivazione delle leggi: le ragioni economico-finanziarie degli interventi legislativi secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale” fa intendere, anche solo nella lettura del titolo, l’esistenza di un tema comunque attuale seppur non dibattuto.

2. I riferimenti normativi e giurisprudenziali

In disparte ogni approfondimento di dettaglio che spetta al giurista e non al tecnico che lavora in una pubblica amministrazione con connotazioni specificatamente giuridiche, è sufficiente sapere che il tema della motivazione delle leggi, nel suo senso atecnico, è un tema che negli ultimi anni ha avuto un ruolo centrale anche in forza degli innesti Costituzionali di origine sovranazionale come ad esempio l’equilibrio di bilancio. In tal senso può essere preso ad esame il comma 3 dell’articolo 81 della Carta: “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.”

Va rappresentato, per chiarezza espositiva, che la dottrina prevalente[6] ritiene non corretto interrogarsi sull’esistenza di un obbligo di motivazione delle leggi in quanto è condiviso che queste fonti del diritto non debbano essere motivate perché meri atti politici liberi nel fine, espressione della volontà dell’Organo depositario della sovranità, il Parlamento, che risponde soltanto politicamente dell’attività svolta.

In realtà sotto il profilo delle procedure di approvazione previste per ogni disegno di legge, quest’ultimo viene corroborato da una serie di atti, ovvero relazioni di accompagnamento, che ne argomentano le ragioni sottese. In tal senso, il contributo recentemente pubblicato sul sito della giustizia amministrativa[7], si interroga su come tali relazioni, seppur non strettamente obbligatorie, possano influenzare una interpretazione del dettato normativo anziché un’altra. Chiarito il cuore della questione, è agevole leggere il contributo[8] secondo la sua linearità: “(…) i materiali preparatori della legge assumono rilevanza, anche se necessariamente meno decisiva di quello del testo legislativo approvato dal Parlamento.

Al riguardo la giurisprudenza amministrativa segue i principi che la Corte di cassazione ha indicato in tema di materiali preparatori[9]. Per la Corte di cassazione vale il principio, più volte enunciato, in forza del quale la volontà emergente dai lavori preparatori non può sovrapporsi a quella obiettivamente espressa dalla legge (quale emerge del suo campo letterale e logico). Pertanto, i lavori parlamentari possono essere utilizzati soltanto quando, unitamente ad altri criteri interpretativi ed elementi di valutazione emergenti dalla norma, sono idonei a chiarire la portata di una disposizione legislativa ambigua. In definitiva, il giudice civile, così come il giudice amministrativo, non usa mai i lavori preparatori come criterio ermeneutico fondamentale, ma per lo più a integrazione di altri criteri più tradizionali, come l’interpretazione letterale e logica.

Nella giurisprudenza amministrativa il riferimento ai lavori preparatori si rinviene sia con riguardo a norme di principio di carattere sistemico e generale, sia in relazione a disposizioni occasionali come gli emendamenti puntuali a leggi precedenti.(…)

Un maggior uso dei lavori preparatori si ha (…) in relazione a leggi specifiche, puntuali, d’occasione, specie se di recente emanazione. In relazione ad esse è frequente la ricerca di una ratio delle modifiche proposte e poi approvate negli interventi nei dibattiti parlamentari, in particolare dei relatori del testo, volti a illustrare, prima della votazione, il senso della disposizione proposta, i quali, dunque, acquistano un peso rilevante anche nella fase di interpretazione delle norme.

Per esempio, in tema di concessioni di servizi locali nel settore del gas, una sentenza, per dimostrare una certa tesi, fa riferimento, con ampi stralci testuali di decine di righe, agli interventi dei deputati, ai lavori parlamentari e alle relazioni di voto finali di alcuni parlamentari[10]. (…) In queste sentenze, i lavori preparatori svolgono dunque una funzione utile, in linea però con l’insegnamento della Corte di cassazione.”.

3. Sintetiche conclusioni

Il passaggio tecnico da sottolineare è quello di “funzione utile” ad una interpretazione normativa con connotazione, pertanto, non essenziale e/o preminente. È questa la conclusione a cui è possibile giungere. L’interprete, che lavora nella Pubblica Amministrazione, deve tenere a mente questi principi per applicare correttamente le disposizioni dell’ordinamento nella sua cornice di sistema.


Note

[1]     Clarich, I materiali della legge nel giudizio amministrativo pubblicato su “https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/clarich-i-materiali-della-legge-nel-giudizio-amministrativo”.

[2]     legislativo, esecutivo e giudiziario.

[3]     cfr. art. 3 della legge nr. 241 del 1990.

[4]     organizzato a Milano il 7 aprile 2017 presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria”.

[5]     della Prof. Marta Picchi dell’Università di Firenze.

[6]     in realtà una parte della dottrina individua delle singole eccezioni come le leggi provvedimento o di deroga alla disciplina generale e delle materie coperte da una riserva di legge di tipo rinforzato.

[7]     Clarich, I materiali della legge nel giudizio amministrativo pubblicato su “https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/-/clarich-i-materiali-della-legge-nel-giudizio-amministrativo”.

[8]     si veda nota 7.

[9]     cfr. in particolare Cons. St., Sez. III, 16 novembre 2021, n. 7618 che cita Cass. civ., Sez. I, 27 febbraio 1995, n. 2230 secondo la quale:“la Corte non intende modificare il principio, più volte enunciato, in forza del quale la volontà emergente dai lavori preparatori non può sovrapporsi a quella obiettivamente espressa dalla legge (quale emerge dal suo dato letterale e logico), ma soltanto affermare l’utilizzabilità dei lavori parlamentari, quando, come nella specie, essi, unitamente ad altri canoni interpretativi ed elementi di valutazione emergenti dalla norma stessa, siano idonei a chiarire la portata di una disposizione legislativa di cui appaia ambigua la formulazione”.

[10]    cfr. Cons. St., Sez. V, 19 luglio 2005, n. 3817.

Stefano Saracchi

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