Le pratiche commerciali scorrette: la competenza tra l’Autorità garante delle comunicazioni e l’Antitrust per questioni di ricarica nei servizi di telefonia mobile

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Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 11.05.2012 n° 111

Premessa

Il Consiglio di Stato in Adunanza plenaria, attraverso una serie di sentenze pronunciate nel 2012 dal (n.11-16) ha individuato il confine di competenza tra l’Autorità garante delle comunicazioni (AGCOM) e l’Antitrust in materia di Ricarica nei servizi di telefonia mobile”, in merito a pratiche commerciali scorrette, praticate in tale settore. La questione nasce per il fatto, che l’Antitrust e l’AGCOM affermano di avere una competenza concorrente in materia di telefonia mobile e quindi ritengono di potere operare contemporaneamente.

I profili normativi e le correlate questioni interpretative

Alla base di tale questione, vi è una difficoltà nell’individuare il rapporto sussistente tra la disciplina a tutela del consumatore, prevista dall’art. 27, comma 3, del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), modificato dal d. lgs. 2 agosto 2007, n. 146, “Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno”, che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n. 2006/2004), dall’art. 6 del “Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette” e le discipline relative al settore delle telecomunicazioni, previste nel d.l. n. 7 del 2007 (convertito nella l. n. 40 del 2007) e nel Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs. n. 259 del 2003, art. 70 e seguenti).

In particolare, la questione relativa alla delimitazione di competenza richiede la soluzione di un altro aspetto problematico, relativo al rapporto di antinomia o complementarità tra la disciplina di settore delle comunicazioni elettroniche, finalizzata a tutelare la concorrenza del mercato ed il principio costituzionalmente rilevante del pluralismo dell’informazione, con la normativa a tutela del consumatore. In particolare, la questione in ordine alla delimitazione della competenza si pone, in quanto sia il Codice del consumo, che il Codice delle comunicazioni elettroniche, prevedono dei divieti e delle sanzioni di pratiche commerciali scorrette, riferibili ai medesimi soggetti in qualità di operatori economici e di consumatori. Dopo l’individuazione della disciplina applicabile, potrà essere individuata l’Autorità competente ad intervenire nella fattispecie. Al riguardo, occorre rilevare, che il Codice delle comunicazioni elettroniche si riferisce in modo espresso alla tutela del consumatore, all’art. 4, comma 3, lett. f), secondo cui la disciplina delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica è volta ad assicurare vantaggi per i consumatori; all’art. 13, comma 4, lett. a), ove si dispone, che il Ministero e l’AGCOM assicurino agli utenti, la piena possibilità di scelta, del prezzo e della qualità; all’art. 70, che disciplina ex professo l’attività di stipulazione dei contratti con i fornitori di servizi telefonici; all’art. 71, che assicura ai consumatori la fruizione di informazioni trasparenti e aggiornate2.

Al riguardo, secondo quanto espresso dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 5526 del 12 ottobre 2011 sono individuabili due possibili interpretazioni .

Secondo una prima interpretazione, vi è un rapporto di complementarietà tra il Codice del consumo, a tutela del consumatore, quale parte debole del mercato ed il Codice delle comunicazioni elettroniche, a tutela della libertà delle comunicazioni elettroniche, della concorrenza del relativo mercato e di una figura di consumatore, fruitore di uno specifico servizio di comunicazione. Da ciò consegue la configurabilità di un possibile concorso nell’esercizio dei poteri fra le due Autorità di regolazione in funzione di vigilanza e controllo.

Secondo una diversa interpretazione, “la tutela del consumatore costituirebbe un interesse pubblico garantito dal Codice delle comunicazioni altresì in via primaria, essendo comunque strumentale a tale fine l’obiettivo della libertà e della concorrenzialità del mercato, con la conseguenza che la disciplina di tutela del consumatore posta nel medesimo Codice sarebbe l’unica da applicare ai soggetti ed ai rapporti operanti nel settore, rivestendo carattere speciale ed esaustivo”. In conseguenza, di tale opzione interpretativa, il rapporto tra le due normative ha carattere di antinomia e la disciplina prevista nel Codice delle comunicazioni elettroniche, ha carattere di specialità in quanto “disciplina ogni possibile regola di comportamento nel relativo mercato, con esclusione dell’applicabilità di quella prevista dal Codice del consumo”.

L’adesione ad un’interpretazione presenta le seguenti conseguenze.

Secondo quanto espresso dal Consiglio di Stato nell’ordinanza sopra esposta e da precedenti pronunce, la prima opzione interpretativa a tutela del consumatore, evita di lasciare prive di sanzioni comportamenti lesivi. Tuttavia, tale interpretazione potrebbe produrre l’effetto negativo di rendere complessa l’individuazione della normativa applicabile a fattispecie omogenee o contigue, con il conseguente rischio della duplicazione dell’esercizio dei poteri sanzionatori. La seconda opzione, invece eliminerebbe tali conseguenze, in quanto determina l’applicazione della normativa del Codice delle comunicazione elettroniche, in modo esclusivo, per i rapporti tra l’operatore ed il consumatore che agiscono in tale settore.

In riferimento alle pratiche commerciali scorrette, secondo la prima interpretazione sarebbe ipotizzabile, che a comportamenti ritenuti corretti secondo il Codice delle comunicazioni elettroniche, si accompagnino ulteriori comportamenti scorretti secondo il Codice del consumo, con conseguente irrogazione di sanzione da parte dell’Antitrust, mentre in base alla seconda opzione interpretativa, sono configurabili delle pratiche scorrette, soltanto ai sensi del Codice delle comunicazioni elettroniche e come tali sanzionabili soltanto dall’AGCOM.

La vicenda

Di particolare rilievo è la sentenza del Consiglio di Stato n. 11 dell’11 maggio 2012, che ha affrontato una questione sollevata dal ricorso della Telecom contro l’AGCOM, in relazione ad una presunta pratica commerciale scorretta, nell’ambito della fornitura del servizio di telefonia mobile,in regime di traffico prepagato ed in riferimento al riconoscimento del credito residuo nell’ipotesi di recesso dell’utente dal servizio.

La pratica commerciale contestata, riguarda il mancato riconoscimento del credito residuo sulle schede SIM dopo la disattivazione e a seguito dell’esercizio del diritto di recesso. Inoltre, è stata contestata l’imposizione di alcuni oneri, quali l’esborso di 5 euro per conseguire la restituzione del credito residuo indicato nella carta. Infine, è stato rilevato la carenza di un’adeguata informazione sui tempi, entro cui la richiesta di rimborso sarebbe stata evasa dalla società.

A seguito di quanto esposto, l’Antitrust con delibera in data 16 settembre 2009 ha individuato una pratica commerciale scorretta, ai sensi degli articoli 20, comma 2, 24 e 25, lett. d), del decreto legislativo n. 206 del 2005. In via consequenziale, l’Antitrust ha vietato l’ulteriore diffusione ed ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria di €. 135.000,00. Secondo quanto espresso dall’Antitrust, tale comportamento poteva integrare la violazione degli articoli 20, 21, 22, 24 e 25 del Codice del consumo, in quanto contrario alla diligenza professionale ed idonea a ridurre la possibilità di scelta o di esercizio del diritto di recesso, per un consumatore medio. Tale pratica, inoltre, poteva essere valutata ingannevole secondo l’articolo 1, comma 1, della legge 2 aprile 2007, n. 40 (conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, “Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche, la nascita di nuove imprese, la valorizzazione dell’istruzione tecnico – professionale e la sottrazione dei veicoli”), che prevede il diritto dei consumatori a conservare la disponibilità del credito residuo vietando (con conseguente nullità della relativa clausola) agli operatori di telefonia mobile “la previsione di termini temporali massimi di utilizzo del traffico o del servizio acquistato”.

A seguito di ciò, la TELECOM ha denunciato l’incompetenza di Antitrust ad irrogare sanzioni, per il comportamento, relativo alla restituzione del credito residuo sulle schede SIM dopo la disattivazione, con conseguente illegittimità della delibera impugnata, con la quale è stata irrogata la sanzione pecuniaria.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I, con la sentenza 14857 del 3 giugno 2010 ha accolto in parte il ricorso proposto da TELECOM, avverso la predetta delibera, annullando la misura della sanzione, irrogata dall’Antitrust. In particolare, il giudice amministrativo di I grado ha respinto la censura di incompetenza nella materia de qua dell’Antitrust (trattandosi, secondo la ricorrente, di specifici profili di pratiche commerciali scorrette attribuite alla tutela di AGCOM) e ha ritenuto infondate quelle attinenti al merito della deliberazione impugnata.

Di conseguenza, la TELECOM ha chiesto la riforma di tale sentenza. In particolare, è stata rilevata l’incompetenza dell’Antitrust ad adottare la delibera impugnata, atteso che in tale settore sussiste la competenza dell’AGCOM, ai sensi della direttiva 2005/29/CE (recepita dalla normativa del Codice del consumo), nella quale (“considerando” n. 10 e art. 3) si mantiene l’applicazione delle normative comunitarie in tale materia, rispetto a quella generale di tutela del consumatore. Tale asserzione, secondo l’appellante, trova fondamento nell’art. 19 del Codice del consumo e conferma nel parere del Consiglio di Stato n. 3999 del 2008. Secondo tale impostazione, sussiste un sistema normativo settoriale e speciale, che prevede la competenza di AGCOM, nei casi come quello in esame, ai sensi dell’art. 1 del d.l. n. 7 del 2007 (convertito nella l. n. 40 del 2007) e per quanto previsto nel Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs. n. 259 del 2003, art. 70 e seguenti).Secondo la parte ricorrente, tale sentenza dovrebbe essere riformata, “per aver ritenuto legittima l’applicazione del Codice del consumo, sul rilievo che nelle specie sarebbero stati tutelati i consumatori, laddove la normativa di settore sarebbe rivolta alla tutela della concorrenza, trascurando in tal modo di considerare che il Codice delle comunicazioni elettroniche reca disposizioni puntuali di tutela dei diritti degli utenti finali ed attribuisce correlati poteri sanzionatori ad AGCOM (…)”.

In riferimento all’incompetenza, l’Antitrust rileva, che le conclusioni della sentenza impugnata sono conformi alla ratio della direttiva 2005/29/CE, “(…) di non attribuire carattere residuale, se non del tutto marginale, al Codice del consumo, ma di evitare eventuali contrasti, rilevabili solo dove la disciplina speciale presenti carattere di completezza e garantisca al consumatore una tutela piena ed effettiva ”. Inoltre, si rileva la correttezza della sentenza impugnata, in merito alla complementarietà tra la normativa di settore e quella del Codice al consumo, secondo quanto espresso dal parere della Sezione I del Consiglio di Stato, un precedente della Sezione VI, n. 720 del 31 gennaio 2011, ed ai principi espressi a livello comunitario sui rapporti tra disciplina a tutela del consumatore e le discipline settoriali (Linee Guida della DG Sanco dell’11 dicembre 2009, relativa alla disciplina dei servizi aerei).

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 5526 del 12 ottobre 2011, nel rimettere all’Adunanza Plenaria la decisione della controversia, rileva che “ (…) accogliendo la prima opzione interpretativa, dovrebbe sussistere la competenza di Antitrust all’emanazione del provvedimento impugnato in primo grado: ciò in quanto TELECOM non è stata considerata responsabile della inosservanza dell’obbligo della conservazione del credito residuo in capo all’utente, cui ha adempiuto, quanto piuttosto del fatto di avere imposto a tal fine, e senza alternative, una procedura di richiesta ritenuta inutilmente defatigante e perciò giudicata non idonea a consentire all’utente un agevole riconoscimento del credito, inducendolo a non esercitare il recupero del credito attraverso un ostacolo non contrattuale, oneroso e sproporzionato, con conseguente violazione della normativa del Codice del consumo; seguendo la seconda interpretazione, invece, la competenza all’adozione del provvedimento impugnato in primo grado spetterebbe a AGCOM, la disciplina specifica di cui al decreto legge n. 7 del 2007 dovendo ritenersi inclusiva di ogni pratica commerciale scorretta relativamente alla richiesta di restituzione del credito residuo”.

La posizione dell’Adunanza Plenaria

L’Adunanza Plenaria, nell’esaminare l’actio finium regundorum tra AGCOM e Antitrust in materia di “Ricarica nei servizi di telefonia mobile, trasparenza e libertà di recesso dai contratti con operatori telefonici, televisivi e di servizi internet”, si pone in contrasto alla tesi sostenuta dall’Antitrust e rileva, che la disciplina relativa alle comunicazioni elettroniche non ha una finalità esclusiva a tutela della concorrenza e di garanzia del pluralismo informativo, ma anche a tutela del consumatore (punto 4).

Secondo il Supremo Collegio, dall’assetto normativo è evidente che “ (…) l’intenzione del legislatore (sia nazionale che comunitario, trattandosi in gran parte di norme di diretta derivazione comunitaria) è quella di ricomprendere a pieno titolo nella disciplina in esame anche la tutela del consumatore/utente, nell’ambito di una regolamentazione che dai principi scende fino al dettaglio dello specifico comportamento. D’altronde, se così non fosse, non dovrebbe neppure ammettersi la competenza di AGCOM ad intervenire con atti regolatori o linee di indirizzo a tutela dei consumatori (…)” ( punto 3).

Ciò premesso, occorre verificare quale rapporto s’instaura con la disciplina generale prevista nel Codice del consumo ed attribuita alla competenza dell’Antitrust. Quest’ultima normativa tutela l’utente, nei vari settori del commercio, senza prendere in considerazione le specificità dei singoli settori quale, quello delle comunicazioni elettroniche.

Al riguardo, l’art. 19, comma 3, del Codice del consumo prevede che, in caso di contrasto prevalgono le norme, che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette. Giova rilevare, che secondo quanto previsto dal considerando 10 della direttiva 2005/29/CE, recepito nel d.lgs. n. 206 del 2005, la disciplina di carattere generale si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario, che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali. A tale stregua essa prevede una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una legislazione di settore. Alla luce di questa impostazione, occorre rilevare che secondo l’art. 3, comma 4, della medesima direttiva, trasfuso nell’art. 19, comma 3, del Codice del consumo prevale la disciplina specifica in caso di contrasto con quella generale. Il presupposto dell’applicabilità della norma di settore non può essere individuato, soltanto in una situazione di antinomia tra la disciplina generale e speciale, poiché tale interpretazione vanificherebbe la portata del principio affermato nel considerando 10, confinandolo a situazioni eccezionali di incompatibilità tra discipline concorrenti.

Al punto 6, l’Adunanza Plenaria statuisce che “(…) occorre impostare il rapporto tra la disciplina contenuta nel Codice del consumo e quella dettata dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dai provvedimenti attuativi/integrativi adottati da AGCOM. A tale riguardo, non v’è chi non veda come, anzitutto, la disciplina recata da quest’ultimo corpus normativo, presenti proprio quei requisiti di specificità rispetto alla disciplina generale, che ne impone l’applicabilità alle fattispecie in esame (in coerenza con quanto affermato da Cons. Stato, sezione I, n. 3999/2008; sezione VI, n. 720/2011)”.

Quanto rilevato dall’Adunanza Plenaria, non è sufficiente per escludere la possibilità di un residuo intervento dell’Antitrust. Al riguardo, occorre verificare l’esaustività e la completezza della normativa di settore, anche in riferimento alla vicenda sollevata. Nel caso di specie, il comportamento contestato all’operatore economico con il provvedimento Antitrust appare in modo esaustivo disciplinato dalle norme di settore ed in particolare dall’art. 1 del d.l. n. 7 del 2007, convertito con modificazione nella legge del 2 aprile 2007, n.40 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attivita’ economiche e la nascita di nuove imprese3.

In particolare il comma 1, dopo aver vietato, “al fine di favorire la concorrenza e la trasparenza delle tariffe, di garantire ai consumatori finali un adeguato livello di conoscenza sugli effettivi prezzi del servizio, nonché di facilitare il confronto tra le offerte presenti sul mercato”, da parte degli operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche, l’applicazione di costi fissi e di contributi per la ricarica di carte prepagate, anche via bancomat o informa telematica, aggiuntivi rispetto al costo del traffico telefonico o del servizio richiesto, aggiunge: “E’ altresì vietata la previsione di termini temporali massimi di utilizzo del traffico o del servizio acquistato. Ogni eventuale clausola difforme è nulla e non comporta la nullità del contratto, fatti salvi i vincoli di durata di eventuali offerte promozionali comportanti prezzi più favorevoli per il consumatore. Gli operatori di telefonia mobile adeguano la propria offerta commerciale alle predette disposizioni entro il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Ai sensi del comma 2 “L’offerta commerciale dei prezzi dei differenti operatori della telefonia deve evidenziare tutte le voci che compongono l’offerta, al fine di consentire ai singoli consumatori un adeguato confronto”.

Il comma 2 bis affida all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la determinazione delle modalità per consentire all’utente, a sua richiesta, al momento della chiamata da un numero fisso o cellulare e senza alcun addebito, di conoscere l’indicazione dell’operatore che gestisce il numero chiamato.

In particolare, il III comma recita che “I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facolta’ del contraente di recedere dal contratto o di ((trasferire le utenze))
presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle, fatta salva la facolta’ degli operatori di adeguare alle disposizioni del presente comma i rapporti contrattuali gia’ stipulati alla data di entrata in vigore del presente decreto entro i successivi sessanta giorni”.

In ordine al potere attribuito all’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni, il IV comma dell’art. 1 prevede che “L’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni vigila sull’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo e stabilisce le modalita’ attuative delle disposizioni di cui al comma 2. La violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 e’ sanzionata dall’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni applicando l’articolo 98 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, come modificato dall’articolo 2, comma.136, del decretodalllegge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286” 4.

A tale stregua, secondo quanto espresso dall’Adunanza Plenaria non sorge alcun dubbio, anche in riferimento alla ratio, espressa al comma 1 “al fine di favorire la concorrenza e la trasparenza delle tariffe, di garantire ai consumatori finali un adeguato livello di conoscenza sugli effettivi prezzi del servizio, nonché di facilitare il confronto tra le offerte presenti sul mercato”, che la normativa prevista nel d.l. n. 7 del 2007, convertito in l. n. 40 del 2007, è completa ed esaustiva ed individua nell’AGCOM, l’autorità competente a sanzionare la violazione delle disposizioni di cui tra l’altro, al comma 3, che comprende anche il caso di specie, escludendosi così in radice la possibilità di una competenza concorrente dell’Antitrust.

Inoltre, l’Adunanza Plenaria respinge le argomentazioni avverse, che rilevano il rischio di lacune o deficit di tutela. Al riguardo, sono individuabili delle clausole generali contemplate dalla disciplina di settore, che consentono di rilevare “ (…) che non esistano aree non coperte dalla disciplina regolatoria (si veda, ad esempio, quanto dispone l’art. 2, comma 4, della delibera n. 664/06 di AGCOM, secondo cui l’operatore deve rispettare “i principi di buona fede e di lealtà in materia di transazioni commerciali, valutati alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori particolarmente vulnerabili”). Al riguardo, occorre fare riferimento al comma 6 dell’articolo 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche, secondo cui rimane ferma l’applicazione delle norme e delle disposizioni in materia di tutela del consumatore. Si tratta, ad avviso dell’Adunanza, di un rinvio dinamico ad ogni altra disposizione di tutela del consumatore, che garantisce la chiusura del sistema ed esclude il rischio di vuoti di tutela .

Aspetti conclusivi

Alla luce dell’interpretazione della normativa prevista nel d.l. n. 7 del 2007, che affida all’AGCOM dei compiti specifici, i giudici amministrativi di secondo grado considerano congruo l’intervento dell’AGCOM, quale autorità preposta al controllo delle comunicazioni.

L’Adunanza Plenaria nell’esaminare la questione di competenza tra l’AGCOM e l’Antitrust rileva un problema di coerenza tra il sistema normativo di tale settore con il principio di buon andamento dell’articolo 97 della Costituzione, atteso che tali procedimenti “(…) sono estremamente onerosi sia per l’amministrazione che per i privati”. A tale stregua, da un lato, si vuole evitare che gli stessi fatti siano sottoposti a duplici procedimenti, con eventuale cumulo delle sanzioni o l’adozione di conclusioni diverse, da parte delle due Autorità. Dall’altro lato, si intende consentire l’adozione di indirizzi univoci, al fine di evitare una situazione di possibile disorientamento nel mercato, con ripercussioni negative sulla qualità dei servizi nei riguardi degli utenti/consumatori e sui costi sostenuti da quest’ultimi. La soluzione adottata, si pone nel rispetto del principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità. Peraltro, l’Adunanza Plenaria precisa che “(…)l’assetto interpretativo adottato non riverbera effetto alcuno sul diverso problema affrontato da Cons. Stato, Sezione VI, 10 marzo 2006, n. 1271, ossia sulla possibilità che Antitrust valuti autonomamente il profilo anticoncorrenziale di clausole contrattuali, poste in essere nell’ambito di condotte che possano integrare le fattispecie di abuso di posizione dominante o di intese restrittive della concorrenza”.

Da quanto esposto, secondo quanto espresso dall’Adunanza Plenaria consegue la fondatezza dell’eccezione di incompetenza dell’Antitrust, sollevata dalla società appellante nel primo motivo di impugnazione, con conseguente obbligo di riforma della sentenza di primo grado e di annullamento del provvedimento impugnato.

2 Ad integrazione di tale normativa, la delibera n. 664/06/CONS di AGCOM, in attuazione delle disposizioni indicate (tra gli altri, gli artt. 13, 70, 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche), ha individuato gli obblighi di comportamento gravanti sugli operatori di settore nella contrattazione a distanza.

4In applicazione di quest’ultimo comma l’AGCOM ha emanato le delibere n. 416/07/CONS (“Diffida agli operatori di telefonia mobile ad adempiere l’obbligo di riconoscimento agli utenti del credito residuo ai sensi dell’art. 1 comma 3 della legge n. 40/07”) e n. 353/09/CONS (“Nuovi termini per adempiere all’obbligo della portabilità del credito residuo in caso di trasferimento delle utenze di cui alla delibera 416/07/CONS”), e le “Linee Guida alla Direzione Tutela del consumatore per l’attività di vigilanza da effettuare ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge n. 40/2007 con particolare riferimento alle previsioni di cui all’art. 1, comma 1, della medesima legge”.

Maria Carmen Agnello

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