Le contraddizioni del diritto del lavoro

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Si è detto autorevolmente ( 1) che l’ordinamento del lavoro nell’ultimo secolo era stato costruito avendo riferimento al “tipo” del lavoro subordinato della grande fabbrica  ,ciò con tutti i vantaggi e tutti gli svantaggi che comportava.Si è detto  dagli studiosi che questo modello , col mutare dei tempi ,andava  superato e,forse nei fatti veniva superato, per sostituirlo con un modello nuovo,meno “subordinato” , più autonomo,al confine col lavoratore di cui all’art. 2222 del codice civile, un quasi professionista, un quasi artigiano,non più un mero esecutore di ordini.Questo processo veniva favorito dall’avanzare  della nuova organizzazione tecnologica del lavoro che si fondava sull’introduzione,da un lato del lavoro automatizzato ( il robot etc) e dall’altro dalla proceduralizzazione delle operazioni ( la c.d. fabbrica integrata che creava unità autonome che operavano in vista di obiettivi intelligenti che andavano poi a confluire nell’obiettivo dell’intera fabbrica)  e infine ancora per un altro verso dall’affermarsi del lavoro informatizzato ,della cd. terziarizzazione, il software che sostituiva il lavoro faticoso  e ripetitivo dell’impiegato e dell’operaio.

Si rendeva necessario pertanto  per gli enti  di maggiori dimensioni di acquisire una struttura più snella e più facilmente gestibile e quindi decentrare,esternalizzare, appaltare le varie fasi del lavoro, da un lato creando unità minori, per l’appunto più snelle,piccole fabbriche  satelliti del centro che tratteneva  in sé il core business e dall’altro per gli enti di minori dimensioni , ma non solo, una quantità di collaboratori esterni ,i c.d. collaboratori coordinati e continuativi, con o senza partita iva che soddisfacessero le esigenze di apporti flessibili al processo produttivo.

Si venivano formando in tal modo più sfere concentriche, costituite a) dai lavoratori in organico ,a tempo indeterminato, che veniva a costituire l’organizzazione centrale; b) i lavoratori assunti a termine per esigenze temporanee, dapprima ristrette ( v.legge 1962) poi sempre più vaste dopo la legge  del 28 febbraio 1987 n. 56 c) i collaboratori coordinati e continuativi che davano il loro apporto personale coordinato al processo produttivo sempre più numerosi in considerazione delle trasformazioni socio-economiche e tecnologiche su accennate.

I due fenomeni più rilevanti e che creavano il maggior numero di problemi erano dati , a livello collettivo, dalla creazione di queste unità satelliti della grande azienda che o nascevano  spontaneamente e autonomamente per soddisfare bisogni secondari  e/o accessori dell’unità aziendale centrale o venivano distaccate dalla stessa, la c.d. cessione di ramo d’azienda; mentre dal lato individuale le collaborazioni cooordinate e continuative , con prestazione prevalentemente personale,che, anch’esse per lo più sorte autonome ( anche se talvolta indotte strumentalmente), spesso subivano l’attrazione della “forza di gravità”  della grande,media,piccola azienda, che fosse, venendo  a confondersi per le modalità della prestazione, con gli stessi lavoratori organici o se non altro ,pur restando distinti, perdevano la loro autonomia ,  frequentemente caratterizzandosi con  gli indici della subordinazione.

Tali fenomeni emersero con la loro drammaticità alla fine del XX^ secolo e  si protrassero agli inizi del XXI^ secolo.

Noi, per lo scopo che ci siamo proposto, tratteremo unicamente  la fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa che trovava un suo appiglio giuridico nell’art.409 del codice di procedura civile..

Una prima regolamentazione veniva introdotta con la c.d. riforma Biagi , decreto legislativo 10 settembre 2003 n.276.La  riforma per portare ordine  in tale fenomeno che si era andato allargando in maniera confusa e disordinata  attraverso i c.d. contratti atipici, tra i quali in primis la collaborazione coordinata e continuativa ,imponeva che  essa fosse  caratterizzata da uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato,nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente senza limitazioni temporali nella sua esecuzione. C’era chi aveva individuato in tali progetti e/o programmi e nel loro risultato l’opus tipico del lavoro autonomo.Si pensi a un componente, necessario alla  funzionalità di un prodotto più complesso, da integrare in  esso prodotto o una serie di operazioni indipendenti che si inserissero in un processo produttivo più ampio.

Nonostante l’intenzione del legislatore di portare ordine nell’area ne derivava comunque un forte contenzioso determinato  un po’ dalla difficoltà di estrapolare il progetto e/o il programma dall’intero processo produttivo, un po’ dalla volontà di taluni di eludere le norme imperative del lavoro subordinato presentando una prestazione con gli indici della subordinazione sub specie di lavoro parasubordinato.

La legge Fornero ,l. n.92 del 28 giugno 2012, nell’intento di migliorare l’istituto apportava significative modificazioni. In sostituzione della precedente formulazione –  fermo restando il primo inciso- disponeva che  :<….i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione…….devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente  e gestiti autonomamente dal collaboratore.>, dove si vede che erano state abolite le parole <o programmi di lavoro o fasi di esso>,forse per la loro indeterminatezza che dava luogo a interpretazioni  discordanti  e a un qualche contenzioso. Di più si richiedeva,nello stesso comma che :<il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente,avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa>, dove si vede una maggiore caratterizzazione del progetto che richiede che esso progetto non possa coincidere con l’oggetto sociale del committente, il che avrebbe praticamente portato il collaboratore, tout court , <nella> organizzazione del committente facendone un lavoratore dipendente <mascherato>,  e quindi con un trattamento economico e normativo in contrasto con le leggi imperative. Infine il nuovo articolato  richiedeva che < il progetto non può comportare [expressis verbis] lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi,che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale>: coerentemente  quindi vengono esclusi “i compiti meramente esecutivi o ripetitivi” in quanto in contraddizione con la caratteristica della gestione autonoma del progetto che richiede un apporto intellettivo che non è compatibile con  tali lavori meramente esecutivi.

Erano  state anche introdotte rigide norme antielusive.

  • In particolare si richiedeva, al  nuovo comma 1 dell’art.62,lettera b, d.lgs.276/2003, la < descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire>.In altri termini vengono respinte quelle forme contrattuali generiche cui i datori di lavoro ricorrevano spesso nella stipulazione dei contratti.
  • Al comma 2 dell’art.69, d. lgs,.276/2003  è  stata aggiunta tale norma :<Salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell’impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.>.

La misura del corrispettivo veniva meglio articolata e dettagliata .

Ci parve un miglioramento dell’istituto introducendo confini più precisi per andare incontro agli operatori in buona fede  e facilitare l’opera della magistratura consentendo alla stessa un controllo maggiore  di legalità .

Restava comunque alto  il contenzioso. In buona o mala fede si ripresentavano  nella pratica contratti con formulazioni generiche che facevano sempre più pensare ad una messa a disposizione da parte del lavoratore di <energie generiche> utilizzabili da l committente alla stregua dei propri dipendenti.

A questo punto nel quadro di una  più ampia  riforma e risistemazione dell’intero sistema,in forza della legge delega  n.183 del 10 dicembre 2014 , si è avuta la stesura di una nuova < disciplina organica dei contratti di lavoro>.Progetto generale questo tanto ambizioso quanto limitato nei risultati .Ci si attendeva infatti uno sfoltimento della congerie di contratti di lavoro, che avrebbe reso più facile e più efficiente la gestione del lavoro nel nostro paese,facilitandone anche la crescita, ma  ciò non è stato.

Dapprima fu elaborato  dal consiglio dei ministri uno  schema  che  ,dopo il passaggio parlamentare, fu trasformato  nel decreto legislativo 15 giugno 2015 n.81.

Tralasciando giudizi generali sulla riforma,ci limitiamo a focalizzare il nostro studio sulla collaborazione coordinata e continuativa E’ stato  soppresso il contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, in forma sintetica il contratto a progetto .E’ invece stata mantenuta la <collaborazione> (sic).

 Si era intitolato  nello schema la sezione dell’articolato come “riconduzione al lavoro subordinato>,espressione che sapeva di “vecchio”.Tornava il vecchio “tipo” di lavoratore subordinato nell’impresa (tanto deprecato dai giuristi progressisti).Fortunatamente,almeno formalmente, nel decreto  legislativo,scompare tale intitolazione,anche se tutto sommato il concetto resta come “stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partite IVA”, il che altro non vuole significare che trasformare, attraverso una sanatoria,tali contratti atipici in rapporti di lavoro subordinato.

Tornando quindi  alla nuova prospettazione della <collaborazione> si distingue, v. art. 2 d.lgs. n..81/2015, quella “organizzata dal committente” che viene esplicitata come < rapporto di collaborazione che si concreta in prestazioni di lavoro esclusivamente ( non più prevalentemente) personali,continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi  e ai luoghi di lavoro>.A queste dal 1 gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Proseguendo nell’analisi dobbiamo considerare che se l’art,2  d.lgs. citato, titola  “Collaborazioni organizzate dal committente” ,ciò presuppone una categoria generale di collaborazioni suddivise in quelle organizzate dal committente e quelle non organizzate dal committente. Tant’è che nel dubbio se una appartenga alla prima o alla seconda categoria le parti possono richiedere ,comma 3 art, 2, alle commissioni di cui all’art,76 del decreto legislativo 10 settembre 2003,n.76 la certificazione dell’assenza dei requisiti propri della collaborazione organizzata dal committente .Dobbiamo quindi presupporre l’esistenza di una  <collaborazione>  non organizzata dal committente nelle modalità di esecuzione .Essa non potrà  essere altro che una attività autonoma ex art.2222 c.c. .Che senso ha  quindi , ci domandiamo, di parlare di collaborazione coordinata e continuativa col committente in questo caso ? Abbiamo due soggetti : il committente che svolge la sua attività d’impresa ed un soggetto-lavoratore che  organizza  il proprio lavoro autonomamente nel se,nel quando e nel come e offre il suo prodotto al committente in maniera continuativa. Non esiste un coordinamento in quanto i due soggetti operano in un mercato aperto,Appare difficile  distinguere tale collaborazione  da una vendita, o  piuttosto da  una somministrazione. Se lo deve essere chiesto lo stesso legislatore se è in corso di avviamento l’iter parlamentare di un disegno di legge ( il c.d. Statuto dei lavoratori autonomi) che ha per oggetto< schema di disegno di legge recante misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato>; v.provvedimento  in diramazione della Presidenza del Consiglio dei ministri del 28 gennaio 2016  DAGL/500060/10.3.48 ,reperibile in rete. Questo intricato e  disomogeneo provvedimento  contiene dei punti che ci interessano.

L’art.12 ( Modifiche al codice di procedura civile  a) all’art.409,primo comma,numero 3),:< dopo le parole<anche se non a carattere subordinato>,sono aggiunte le seguenti:<La collaborazione si intende coordinata quando,nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo

dalle parti,il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa>.

Con questa norma si verrebbe a colmare la lacuna da noi su evidenziata relativa alle collaborazioni per quel che riguarda il coordinamento tra l’attività del collaboratore ed il committente.Esso sarà stabilito di comune accordo.Il che, a parer nostro ,non risolve il problema ma lo sposta in quanto occorrerà individuare quali debbano essere le modalità nelle quali si sostanzia questo “comune accordo” (2).

 

NOTE

1) Al proposito vedi Biagi Istituzioni di diritto del lavoro,Giuffrè 2001,pag.103 :  <Il prototipo normativo del diritto del lavoro-Il diritto del lavoro italiano-in modo del tutto conforme a  quanto è avvenuto nei principali Paesi europeo-continentali — si è progressivamente edificato attorno alla figura del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (e pieno) nella impresa. E’ questa la ragione che porta a definire, ancora oggi, tale ipotesi contrattuale alla stregua del prototipo normativo del diritto del lavoro.Sin dai primi interventi del Legislatore diretti a disciplinare  già agli albori della Rivoluzione Industriale, le modalità di incontro tra domanda e offerta di lavoro, l’archetipo del lavoro subordinato  nell’impresa, stabile e in una prospettiva di carriera, ha in effetti costituito il referente empirico della regolamentazione dei rapporti di lavoro (c.d. giuridificazione ), operando con vocazione egemonica e totalizzante rispetto a ogni altra manifestazione dei modi di utilizzazione del lavoro altrui. Questa tendenza è stata confermata dalla normativa successiva e progressivamente rafforzata nel corso del tempo, trovando nello Statuto dei lavoratori del 1970  e nella disciplina limitativa dei licenziamenti il suo punto di massima espressione,prima di registrare una significativa battuta d’arresto che la porterà a intraprendere la fase discendente della parabola.>

(2) non possono non aversi perplessità sulla tecnica legislativa  usata,nel senso  che  questo disegno di legge che ci appare disomogeneo nei contenuti ( tra l’altro introduce il c.d. <lavoro agile> ,il che è certo da considerarsi. positivo per alcune categorie di lavoratoti,in primis le donne : infatti consistendo  nella <esecuzione della prestazione lavorativa in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno>,v.art.13, consente di conciliare gli impegni famigliari con quelli lavorativi) ,per quanto riguarda le collaborazioni non si presenta come modifica del jobs act, ma modifica dell’art.409 del codice di procedura civile.

Avv. Viceconte Massimo

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