L’assorbimento del debito pandemico da parte del MES: praticabilità giuridica dell’operazione

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Nel dibattito politico sorto sull’opportunità da parte dell’Italia di ricorrere al finanziamento del Meccanismo Europeo di Stabilità si è di recente insinuata una inedita proposta di utilizzazione delle linee di credito erogabili dall’ente  in discorso, avente ad oggetto l’assorbimento da parte del MES del debito[1] emesso dal nostro Paese dall’inizio della Pandemia per far fronte alle necessità economiche scaturite per effetto della stessa.

Le riflessioni che seguono costituiscono l’analisi della praticabilità in termini di diritto della mentovata soluzione, con particolare riguardo alla fisionomia statutaria del MES e agli strumenti finanziari necessari per l’assorbimento.

Una prognosi sulla fattibilità dell’intervento non può prescindere da un attento studio del Trattato istitutivo dell’Istituzione comunitaria, sicchè convoglia in prima battuta l’attenzione dell’interprete l’art. 3 del trattato ove si individua quale “mission” del Mes “la mobilizzazione di risorse finanziarie destinate alla salvaguardia della stabilità finanziaria degli Stati membri.

Quanto all’iniziativa a monte di tali interventi, non si rinviene nel trattato alcuna previsione normativa di attivabilità ex officio della procedura di finanziamento, laddove l’intervento dell’Autorità finanziaria si consuma solo a fronte di un preciso “sos” di uno Stato membro, codificato dall’art. 13 dell’accordo istitutivo del MES come “domanda di sostegno finanziario”.

Ergo, alla luce del contesto normativo in cui va collocata l’attività del MES, deve evidenziarsi un primo punto critico rispetto alla esperibilità della soluzione di assorbimento prospettata, ovvero che sia l’Italia ad attivarsi presso il Meccanismo proponendo il progetto di turn-around creditorio.

Pertanto, solo dopo la preventiva autorizzazione da parte del Consiglio dei Governatori del MES, Italia e Commissione UE dovrebbero concertare il protocollo di azionamento del piano di assorbimento.

Altra difficoltà di non poco conto è rappresentata dalla circostanza per cui l’intervento di assorbimento non può compiersi sic et simpliciter attraverso un prestito che il MES effettua verso l’Italia, laddove la ratio dell’operazione congeniata non è quella di fornire al nostro Paese nuova liquidità ma quella di ottenere un sensibile alleggerimento del costo del debito recentemente contratto, assicurando agli investitori/sottoscrittori del debito un nuovo creditore che abbia un rating di affidabilità finanziaria superiore al nostro BBB.

L’impossibilità di procedersi all’intervento di cui si discute attraverso un semplice prestito stronca sul nascere ogni critica politica in ordine all’opportunità di “ricorrere al MES”, reductio ad unum della complessità dello strumento finanziario che sottende un non motivato timore di effetti “stigma” da parte dei mercati verso l’Italia a fronte dell’attivazione di tale meccanismo creditorio.

Avendo, pertanto, escluso che l’operazione possa compiersi attraverso il metodo tanto inviso alla politica, occorre rifondare la praticabilità su altre basi normative.

Il fatto che i titoli di debito siano già stati emessi osta a che il MES intervenga, come statutariamente previsto, sul mercato primario del debito pubblico, con l’ovvia conseguenza che l’operazione deve essere collocata in seno al mercato secondario, quello che per l’Italia ha rappresentato sempre teatro di forti speculazioni sul valore dei nostri titoli di debito.

Va, inoltre, ricordato che perché il MES possa intervenire, anche al di là di un semplice prestito, deve ricorrere la condizione fattuale di minaccia alla stabilità finanziaria dello Stato che necessita dell’intervento.

Tale requisito di certo non si riscontra nel caso italiano se si ragiona in maniera statica, ovvero verificando se le casse dello Stato siano in crisi di liquidità imminente – come è ben noto il Pandemic Purchase european programme della BCE ha consentito di tenere bassi i tassi di interessi sull’emissione relative agli ultimi trimestri – , ma è diversamente riscontrabile se lo si riconfigura ragionando in prospettiva.

Infatti, secondo le stime più prudenti, il debito pubblico italiano a fine 2020 ammonterà al 160% del PIL ed è altrettanto probabile che non necessariamente rimarrà indenne da nuovi shock speculativi.

Va, infatti, considerato che nel Consiglio direttivo della BCE si sta insinuando la perniciosa consapevolezza che l’obiettivo della Banca centrale di determinare un’inflazione medio-terminale intorno al 2% sia un parametro di azione ormai superato dall’evidenza della sua irraggiungibilità.

Il consolidarsi di tale orientamento potrebbe avere come conseguenza quella di rivedere le politiche delle BCE di acquisto dei titoli di Stato, a pandemia finita, anche e constatato che in seno alla stessa Banca centrale serpeggia la diffusa consapevolezza che presto le politiche fiscali debbano sostituirsi a quelle monetarie nel “pompare” la crescita economica dell’Eurozona.

Dunque, l’Italia corre un concreto rischio default nel giro dei prossimi 5 anni – si prende in considerazione tale arco temporale atteso che parte dei titoli di debito pubblico di recente emissione hanno proprio tale scadenza – a fronte del quale è opportuno agire in maniera strutturale ora che le condizioni di cassa del nostro Stato sono soddisfacenti.

Pertanto, al fine di legittimare la soluzione di assorbimento debitorio di cui si discorre, la condizione di minaccia alla stabilità finanziaria va rivista in ottica prospettica e prudenziale ed, una volta accertatane la ricorrenza, deve passarsi ad individuare da quali soggetti il MES possa assorbire il debito, subentrato all’Italia nella posizione di debitore.

Nella scelta dei creditori da coinvolgere in questo intervento sistemico, non si può non privilegiare le Banche che da un’eventuale ed improvvisa svalutazione dei titoli italiani presenti nei loro bilanci potrebbero essere costrette a rivedere i propri buffer di capitale, con un effetto a catena sull’erogazione di credito alle imprese (altrimenti noto come “credit crunch”).

Quindi, previo l’assenso del Governatorato del MES, Italia e Commissione UE potrebbero elaborare uno schema di intervento così articolato per fasi:

  1. Proposta alle Banche che abbiamo sottoscritto debito pubblico italiano da marzo 2020 di accettare la liberazione dell’Italia dall’obbligo di pagamento del debito in questione per effetto della sostituzione operata dal MES;
  2. Obbligo dell’Italia di rimborsare al MES il debito da questo accollato con una scadenza raddoppiata rispetto a quella originaria e con un tasso di interesse ponderato rispetto al valore mediano della crescita dell’inflazione nel nostro paese in periodo temporale pari a quello di durata del debito rinegoziato.

Va da sé che per le Banche che dovessero accettare tale soluzione vi sarebbe un indubbio beneficio anche in termini di costo relativo ai premi dei Credit Default Swap associati al nostro debito sovrano, laddove il cambio di debitore e il netto miglioramento del rating dello stesso determinerebbe un automatico abbassamento del costo dei premi.

Insomma, sarebbe una soluzione win-win per tutti i soggetti coinvolti: il MES otterrebbe un utile sull’accollo derivante dal pagamento italiano di una cedola legata al tasso di crescita dell’inflazione, le Banche eviterebbero costose rettifiche di valori di bilancio in ottemperanza ad obblighi prudenziali, l’Italia un cospicuo risparmio di interessi dovuto alla rinegoziazione dei termini temporali di pagamento, grazie al riscadenzamento concordato con il MES.

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 Note

[1] Da ultimo, in tal senso, si veda l’articolo dal titolo “Ci sono debiti che è meglio non cancellare” a firma del Presidente della Commissione Finanze della Camera On. Marattin apparso sul Sole 24 ore del 18/11/2020.

Edoardo Italiano

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