L’art. 283 Codice delle Assicurazioni vincola il risarcimento del danno materiale al danno grave alla persona è conforme alla Costituzione

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Con sentenza n. 98 del 18 aprile 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale promosse contro l’art. 283, comma 2, Codice delle assicurazioni private, nella versione normativa modificata dal d.lgs. n. 198/2007 (che ha attuato la direttiva 2005/14/CE sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli), sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione.

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Con ordinanza del 30 giugno 2017, il Giudice di pace di Avezzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 283, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private) – così come modificato dall’art. 1, comma 9, lettera b), del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 198 (Attuazione della direttiva 2005/14/CE che modifica le direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE, 90/232/CEE e 2000/26/CE sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli – per contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui prevede che «in caso di danni gravi alla persona, il risarcimento è dovuto anche per i danni alle cose, il cui ammontare sia superiore all’importo di euro 500, per la parte eccedente tale ammontare».

Nella specie il giudice a quo era stato chiamato a decidere sulla domanda di risarcimento del danno alle cose proposta dal conducente di un autoveicolo coinvolto in un sinistro con un altro mezzo rimasto sconosciuto. L’azione era stata esercitata invocando la tutela che il Fondo di garanzia per le vittime della strada assicura nei casi in cui il sinistro sia stato cagionato da un veicolo o natante non identificato.

Secondo la tesi sostenuta dal giudice rimettente, in applicazione della disposizione censurata, la domanda non avrebbe potuto essere accolta in quanto, con precedente sentenza, il Giudice di pace di Avezzano aveva accertato che l’attore aveva patito un danno biologico con invalidità quantificata nell’1% e che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, si considerano «danni gravi» solo quelli qualificabili come «macrolesioni» e, dunque, eccedenti il 9% di invalidità permanente.

Ciò posto, secondo il giudice rimettente, la disposizione censurata, così come interpretata dal diritto vivente, si pone in contrasto con l’art. 2 Cost. «frustrando uno dei diritti fondamentali dell’individuo». Sarebbe violato, inoltre, anche l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza, della disparità di trattamento e dell’affidamento che il cittadino ripone «nella certezza giuridica e nella coerenza del legislatore», in quanto, a fronte del verificarsi di un identico danno patrimoniale, si consente l’accesso alla tutela risarcitoria del danno alle cose solo a colui che abbia subìto un danno grave alla persona. A tal riguardo, inoltre, il rimettente osserva che il danno patrimoniale derivante dal danneggiamento del veicolo assume molto spesso un rilievo notevole in termini economici e non appare, pertanto, condivisibile agganciare la risarcibilità di tale pregiudizio alla concomitanza di un altro e diverso danno.

Infine, il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale della disposizione de quo anche in riferimento all’art. 24 Cost. assumendo che il limite alla risarcibilità del danno patrimoniale posto dal legislatore si risolve in una menomazione del diritto di azione e di difesa facente capo al conducente che non abbia riportato danni gravi alla persona, il quale, non disponendo di altri strumenti per poter ottenere la reintegrazione del patrimonio ingiustamente leso, sarà costretto a «desistere dal tutelare i propri diritti in sede giurisdizionale».

Con atto depositato il 5 dicembre 2017, è intervenuto nel giudizio in questione il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda, in particolare, la matrice europea della disposizione censurata in virtù della quale essa, da un lato, opera un contemperamento tra le contrapposte esigenze di tutela del danneggiato e di prevenzione del rischio di frodi e, dall’altro, pone una limitazione del tutto coerente con il carattere eccezionale della protezione risarcitoria offerta dal Fondo di garanzia per le vittime della strada nei casi in cui il sinistro sia stato cagionato da un veicolo o natante non identificato.

Infine, l’Avvocatura, a maggior sostegno delle sue pretese, richiama la giurisprudenza di legittimità che ha più volte chiarito che l’espressione «danni gravi» deve essere interpretata facendo riferimento al concetto di «macrolesioni», ossia lesioni eccedenti il 9% di invalidità permanente.[1]

Anche la società UnipolSai Assicurazioni spa, parte del giudizio a quo, si è costituita con atto depositato il 4 dicembre 2017, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate.

Anzitutto la società pone in rilievo che la norma censurata esprime il bilanciamento che il legislatore ha compiuto tra l’esigenza di garantire l’effettività del ristoro in caso di sinistro cagionato da un veicolo non identificato e la necessità di contenere il rischio di condotte fraudolente poste in essere in danno del Fondo di garanzia per le vittime della strada.

Osserva, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità, coerentemente con tale impostazione, ha più volte affermato che «se lo sbarramento di cui all’art. 283, comma 2, cod. ass. serve a prevenire le frodi, è del tutto coerente con tale ratio ammettere il risarcimento del danno alle cose quando il sinistro abbia provocato esiti macropermanenti, e negarlo nel caso contrario; infatti un danno alla salute micropermanente (ad es., postumi di lievi traumi contusivi o colpo di frusta) può essere simulato, l’amputazione d’un arto no.»[2]

Il quadro normativo di riferimento

Il quadro normativo di riferimento è caratterizzato dalla commistione tra la normativa europea e quella nazionale le quali hanno progressivamente ampliato la tutela risarcitoria per i danni cagionati da un veicolo non identificato.

Inizialmente, infatti, l’art. 9 della Convenzione europea sull’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile in materia di veicoli a motore (firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959) aveva previsto l’impegno di ciascuna parte contraente a costituire un Fondo di garanzia o ad adottare misure equivalenti per risarcire – in caso di responsabilità civile di terzi – le parti lese quando l’obbligo di assicurazione non era stato rispettato o quando il responsabile del sinistro non era stato identificato, riconoscendo, al contempo, a ogni Stato la libertà di individuare l’estensione del diritto al risarcimento e le condizioni necessarie per poter accedere alla tutela.

In attuazione di tale obbligo – pur in difetto di ratifica della Convenzione – l’art. 19 della Legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), ha istituito un Fondo di garanzia per le vittime della strada al fine di assicurare il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti per i quali, a norma della stessa legge, vi fosse l’obbligo di assicurazione e, in particolare – tra gli altri − nel caso in cui il sinistro fosse stato cagionato da veicolo o natante non identificato.

Tuttavia nel caso di sinistro cagionato da veicolo, o natante, non identificato, il risarcimento era dovuto solo per i danni alle persone e non anche alle cose.

La legge n. 990 del 1969 è stata, poi, abrogata con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle assicurazioni private) e, oggi, il Fondo di garanzia per le vittime della strada è disciplinato dall’art. 283 di tale decreto.

Parallelamente si è evoluta la normativa comunitaria in materia attraverso molteplici direttive.

Dapprima è stata adottata la direttiva 72/166/CEE del Consiglio, del 24 aprile 1972, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, e di controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità.

Sono seguite nel tempo la seconda direttiva 84/5/CEE del Consiglio del 30 dicembre 1983, la terza direttiva 90/232/CEE del Consiglio del 14 maggio 1990 e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 maggio 2000, le quali hanno apportato diverse e sostanziali modificazioni.

Ai fini della questione di legittimità costituzionale in esame, ciò che maggiormente interessa è la successiva direttiva 2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 che ha ulteriormente modificato le direttive precedenti.

In particolare, quest’ultima ha previsto che in generale l’assicurazione obbligatoria per responsabilità civile «copre obbligatoriamente i danni alle cose e i danni alle persone» e ciò, in particolare, anche per «i danni alle cose o alle persone causati da un veicolo non identificato».

Però – come eccezione a tale regola – si è stabilito altresì che «[g]li Stati membri possono limitare o escludere il pagamento dell’indennizzo da parte dell’organismo in caso di danni alle cose causati da un veicolo non identificato». Tale eccezione soffre essa stessa una deroga: quando l’organismo deputato ad apprestare la garanzia per le vittime della strada «è intervenuto per gravi danni alle persone del medesimo incidente a seguito del quale sono stati causati danni alle cose da un veicolo non identificato, gli Stati membri non escludono l’indennizzo per danni alle cose in ragione del fatto che il veicolo non è identificato».

È’ demandato, tuttavia, alla legislazione degli Stati membri qualificare come «gravi» i danni alle persone quale presupposto per l’estensione della garanzia anche al risarcimento dei danni alle cose.

La ratio della limitazione è quella di prevenire possibili frodi al Fondo di garanzia, come risulta espressamente dal considerando n. 12 della direttiva e indirettamente dalla prescrizione secondo cui «gli Stati membri possono tenere conto, tra l’altro, della necessità o meno di cure ospedaliere», lasciando così intendere che, se i danni alle persone hanno richiesto questo genere di cure, necessariamente documentate, il rischio di frodi è fugato o almeno significativamente limitato.

È’ infine seguita la direttiva 2009/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009, che ha abrogato la direttiva 2005/14/CE e quelle precedenti.

L’art. 10 di quest’ultima direttiva ribadisce che «[o]gni Stato membro istituisce o autorizza un organismo incaricato di risarcire, almeno entro i limiti dell’obbligo di assicurazione, i danni alle cose o alle persone causati da un veicolo non identificato o per il quale non vi è stato adempimento dell’obbligo di assicurazione a norma dell’articolo 3».

Tuttavia gli Stati membri possono limitare o escludere il pagamento dell’indennizzo da parte dell’organismo in caso di danni alle cose causati da un veicolo non identificato, salvo che si tratti di «gravi danni alle persone», occorsi nel medesimo incidente a seguito del quale sono stati causati danni alle cose da un veicolo non identificato. In tale evenienza, gli Stati membri non possono escludere l’indennizzo per danni alle cose in ragione del fatto che il veicolo non è identificato, ma possono solo prevedere una franchigia non superiore a euro 500.

Per la qualificazione come «gravi» dei danni alla persona la normativa europea rimanda alla legislazione o alle disposizioni amministrative dello Stato membro in cui è avvenuto l’incidente.

A fronte di questa disciplina europea il legislatore nazionale, inizialmente, non ha affatto operato l’estensione della garanzia in esame anche al risarcimento dei danni alle cose e quando, successivamente, ha introdotto tale garanzia si è astenuto dal disciplinare più in dettaglio il presupposto stesso della garanzia, ossia l’esistenza di danno “grave” alla persona.

Infatti, con il d.lgs. n. 209 del 2005 − che seguiva nel tempo la direttiva 2005/14/CE dell’11 maggio 2005 e che, quindi, interveniva quando ormai già sussisteva l’obbligo del legislatore nazionale di estendere la garanzia in questione anche al risarcimento dei danni alle cose − il Governo ha ritenuto di non adeguarsi subito alla direttiva e si è limitato a riprodurre, nell’art. 283, l’originaria disciplina di cui all’art. 19 della legge n. 990 del 1969, che tale garanzia non prevedeva.

Il fondo di garanzia per le vittime della strada e la tutela del danneggiato

Secondo l’art. 283 co. 1 lett. a) del Codice delle Assicurazioni (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209) il soggetto che, a seguito di un sinistro stradale verificatosi nel territorio della Repubblica, abbia subito dei danni, cagionati dalla condotta del conducente di un veicolo rimasto ignoto, potrà ottenere il risarcimento dei danni patiti da parte del Fondo di garanzia per le vittime della strada.

Tale previsione ha la funzione di garantire il soddisfacimento delle ragioni creditorie del danneggiato dalla circolazione dei veicoli nell’ipotesi di inoperatività dell’ordinario regime risarcitorio e del contratto di assicurazione.[3]

Il Fondo di garanzia per le vittime della strada, come abbiamo detto, è stato istituito con l’art. 19 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, recependo, sostanzialmente, l’art. 9 della Convenzione europea sull’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile in materia di veicoli a motore, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959.

Si tratta di un ente amministrato dalla Consap (Concessionaria servizi assicurativi pubblici s.p.a.), con l’assistenza di un apposito comitato con poteri consultivi e sotto la vigilanza di Ministero dello sviluppo economico, dotato di autonomia patrimoniale e alimentato dai contributi obbligatori posti a carico delle imprese che esercitano l’attività assicurativa per la r.c.a. (art. 285 cod. ass.).

Il sistema attraverso cui il Fondo di garanzia per le vittime della strada liquida i danni si basa, a norma dell’art. 286 cod. ass, sul ruolo delle imprese di assicurazioni private designate dall’IVASS in base ad una ripartizione regionale. A fronte delle richieste di risarcimento le imprese determinano ed erogano, anticipandole, le somme dovute, che vengono poi rimborsate dal Fondo di garanzia.

In particolare, il soggetto che intenda ottenere il risarcimento dei danni a carico del Fondo di garanzia dovrà indirizzare la propria richiesta a mezzo raccomandata all’impresa designata (individuata in base al luogo di accadimento del sinistro) e, contestualmente, inviare copia della stessa raccomandata alla Consap.

Trascorsi inutilmente 60 giorni dalla data della richiesta potrà esercitare l’azione di risarcimento nei confronti dell’impresa designata.

Nel giudizio attivato per ottenere il risarcimento ex art. 283, 1° comma, lett. a), cod. ass., il danneggiato dovrà provare anche a mezzo di presunzioni (purché gravi, precise e concordanti ex art. 2729 c.c.) i seguenti presupposti coessenziali:

  1. il danno sia stato causato da un veicolo soggetto all’obbligo di assicurazione;
  2. il veicolo danneggiante sia rimasto ignoto e che la mancata identificazione sia dipesa non da sua negligenza, ma da un’impossibilità obiettiva;
  3. il sinistro si sia verificato per condotta colposa o dolosa, esclusiva o concorrente, del conducente di altro veicolo e che tra i danni patiti e il sinistro sussista il nesso eziologico, secondo il generale paradigma dell’art. 2043 c.c.

Nel giudizio per il risarcimento dei danni cagionati da veicolo non identificato, ai sensi dell’art. 283, 2° comma, cod. ass., i danni alla persona – sia patrimoniali (ex art. 2043 c.c. e art. 137 cod. ass.) che non patrimoniali (ex art. 2059 c.c. e artt. 138 e 139 cod. ass.) – sono risarcibili entro il limite quantitativo dei “massimali” previsti dall’art. 128 cod. ass.

I danni alle cose, ai sensi dell’art. 283, 2° comma, c.c., (così come modificato dall’art. 1, 9° comma, D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 198), invece, sono risarcibili esclusivamente “in caso di gravi danni alla persona” e per la parte eccedente l’importo di euro 500.

La ratio di tale previsione è quella di alleggerire l’onere finanziario a carico del Fondo di garanzia non gravandolo di richieste di risarcimento di entità contenuta, più facilmente sopportabili dal danneggiato stesso, e, al contempo, quella di prevenire il rischio di frode. Tale rischio, infatti, è minore in tutti quei casi in cui vi siano stati anche danni alla persona ove, quindi, data la gravità delle conseguenze, è improbabile che la vittima abbia simulato le circostanze del sinistro.

La nozione di gravi danni alla persona

Il legislatore italiano, come abbiamo detto, nel recepire tale direttiva con il d.lgs. n. 198/2007 e nel riformulare l’art. 283, 2° comma, cod. ass., nulla ha specificato in ordine alla qualificazione della “gravità”.

La mancata specificazione da parte del legislatore nazionale della nozione di «danni gravi alla persona» ha portato inevitabilmente la giurisprudenza a interrogarsi in ordine all’individuazione, nell’ordinamento nazionale, del criterio discretivo più idoneo per distinguere tra danno grave, o no, alle persone.

Sono, quindi, venute in rilievo la nozione di lesioni gravi, secondo la definizione dell’art. 583 del codice penale, e quella di lesioni di non lieve entità, di cui all’art. 138 cod. assicurazioni private. Tali criteri, tuttavia, non erano assolutamente calibrati sull’esigenza di evitare possibili frodi al Fondo di garanzia bensì afferenti rispettivamente all’offensività penale della condotta e alla quantificazione tabellare del danno non patrimoniale.

Recentemente[4] la Suprema Corte, ricorrendo ai tradizionali strumenti di interpretazione sistematica, storica e finalistica, ha sciolto il nodo ermeneutico individuando la nozione di “gravità” dei “danni alla persona” ai fini della risarcibilità dei “danni alle cose” prevista dell’art. 283, 2° comma, cod. ass.

Sotto il profilo sistematico, la Corte sostiene che l’art. 283 cod. ass. deve essere letto e interpretato congiuntamente alle altre norme del Codice delle assicurazioni.

Sotto il profilo storico, invece, la Cassazione esamina gli atti che avevano preceduto l’emanazione della Direttiva 2005/14/CE per trarne l’evidenza che il legislatore europeo abbia espressamente voluto astenersi dal definire il concetto di “gravi lesioni fisiche”. Ciò vale ad escludere che il suggerimento, contenuto nella Direttiva 2005/14/CEE, relativo alla considerazione della necessità di cure ospedaliere, debba essere ritenuto vincolante.

Sotto il profilo finalistico, infine, il ragionamento della Suprema Corte è improntato sull’esigenza di trovare il giusto punto di equilibrio tra le rationes sottese all’art. 283 cod. ass.: la tutela del danneggiato e la necessità di evitare le frodi.

I meccanismi di tutela e di ristoro delle ragioni creditorie del singolo danneggiato non possono, infatti, ignorare l’esigenza di preservare la consistenza patrimoniale del Fondo di garanzia laddove il rischio di frodi sia più avvertito.

Per tali ragioni, la Cassazione delinea un sistema che ammette il risarcimento dei danni alle cose solo nel caso dei sinistri più gravi, che abbiano provocato anche danni personali macropermanenti che, pertanto, con un maggior grado di probabilità sfuggono al rischio di simulazioni fraudolente.

La Suprema Corte ha, quindi, interpretato la nozione di “gravi danni alla persona” dell’art. 283, 2° comma, cod. ass. facendo ricorso allo specifico parametro delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti dell’art. 138 cod. ass., al fine della distinzione tra “danni alle cose” risarcibili e danni alle cose irrisarcibili stabilendo che “in caso di sinistro causato da circolazione di veicolo non identificato, il presupposto del “danno grave alla persona”, alla cui ricorrenza l’art. 283, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005 subordina la risarcibilità del danno alle cose, va identificato nell’accertamento di una invalidità superiore al 9 per cento, ai sensi dell’art. 138 del medesimo decreto legislativo.”

Le considerazioni della corte costituzionale nella sentenza n. 98 del 18 aprile 2019

La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità riportata in epigrafe, dopo un’attenta analisi del quadro normativo di riferimento e dell’interpretazione della nozione di gravi danni alla persona di cui all’art. 283 cod. ass., con la sentenza n. 98 del 18 aprile 2019, ha rigettato la questione sulla base di una serie di argomentazioni.

Secondo la Consulta, infatti, le questioni di legittimità costituzionale prospettate non sono fondate con riferimento a nessuno dei parametri indicati dal giudice rimettente.

Anzitutto non è violato l’art. 24 Cost., atteso che la garanzia di azionabilità in giudizio della pretesa risarcitoria avente a oggetto il danno alle cose è pienamente assicurata come dimostra proprio il giudizio a quo che vede agire in giudizio il soggetto danneggiato da un veicolo non identificato.

Non appartiene a tale garanzia − di natura processuale, in quanto attinente alla tutela giurisdizionale − il contenuto sostanziale del diritto azionato in giudizio. L’ampiezza, maggiore o minore, del diritto al risarcimento del danno alle cose, esercitato nei confronti dell’impresa assicuratrice designata nel regime speciale del Fondo di garanzia per le vittime della strada, riguarda non già la tutela giurisdizionale, bensì l’aspetto sostanziale della protezione che l’ordinamento riconosce a tale situazione giuridica di diritto soggettivo.

Il soggetto danneggiato, per tale ragione, non trova alcun ostacolo a far valere in giudizio la sua pretesa risarcitoria.

Con particolare riferimento all’art. 24 Cost., infatti, la Corte ha costantemente ritenuto che «ciò che conta è che non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale».[5]

Secondo la Consulta, inoltre, neppure è violato l’art. 2 Cost.

Il dovere inderogabile di solidarietà – che appartiene ai principi generali nella tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione − trova un elettivo campo di applicazione in normative che realizzano specifiche fattispecie di socializzazione del danno soprattutto alla persona.

Proprio con riferimento alle vittime della circolazione stradale la Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che «desta allarme sociale il mancato ristoro del danno alla persona cagionato da soggetto non identificato»[6]

Espressione di questa tendenza sono, in particolare, il Fondo di garanzia per le vittime della strada, il Fondo di garanzia per le vittime della caccia, il Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, il Fondo di garanzia per l’insolvenza del datore di lavoro.

Nella fattispecie che viene in rilievo nel giudizio di costituzionalità in esame il dovere di solidarietà ha anche una più specifica fonte internazionale ed europea.

Come già ricordato, la citata Convenzione di Strasburgo e le menzionate direttive comunitarie hanno previsto l’istituzione di un Fondo di garanzia per risarcire le «vittime della strada» quanto al danno alla persona.

Le direttive 2005/14/CE e 2009/103/CE hanno poi ampliato questa tutela prescrivendo che gli Stati membri approntino, per il tramite del Fondo di garanzia, una tutela risarcitoria anche per il danno alle cose quando c’è stato un danno grave alla persona cagionato, in particolare, da un veicolo non identificato. Ed è ciò che il legislatore ha fatto con il d.lgs. n. 198 del 2007, modificando l’art. 283 cod. assicurazioni private e prevedendo, appunto, tale garanzia risarcitoria negli stessi termini della normativa europea.

Può, quindi, dirsi rispettata la prescrizione del generale dovere di solidarietà mediato, nello specifico, dal menzionato obbligo derivante dalla normativa europea, rimanendo pur sempre fermo «il dovere di aiutare chi si trova in difficoltà per una causa qualunque” può essere adempiuto dal legislatore secondo criteri di discrezionalità e sulla base della “necessaria ragionevole ponderazione con altri interessi e beni di pari rilievo costituzionale» [7]

Secondo la Corte, infine, neppure è violato il principio di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.) là dove la disposizione censurata condiziona la risarcibilità del danno alle cose alla sussistenza di un danno alla persona cagionato da veicolo non identificato.

La (sopra esaminata) normativa europea ha posto una condizione formulata in termini generali – il concorrente danno alla persona deve essere “grave” – ma destinata a essere specificata dalla disciplina degli Stati membri, indicando al contempo la ragione di tale condizionamento nell’esigenza di prevenire frodi al Fondo di garanzia, ritenute possibili in caso di danni non «gravi» alla persona.

Sottesa alla norma nazionale, espressa dalla disposizione censurata, ripetitiva di quella europea, è la medesima ratio, la quale giustifica, sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza e di ragionevolezza, il trattamento differenziato tra ipotesi di danno alle cose, contestuale a lesioni personali, secondo che queste abbiano cagionato, o no, un danno grave.

Né la giustificazione di tale trattamento differenziato è sminuita se si considera il criterio discretivo ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, che fa riferimento agli artt. 138 e 139 cod. assicurazioni private per cui sono risarcibili i danni alle cose solo se contestualmente ricorrono lesioni personali di non lieve entità ex art. 138, tali da determinare postumi permanenti in misura superiore al 9 per cento ex art. 139.

Rimane in ogni caso, come ragione giustificativa del trattamento differenziato, l’esigenza di evitare frodi al Fondo di garanzia per le vittime della strada.

E’ sì vero – come affermato dalla stessa giurisprudenza – che nella tabella delle lesioni micropermanenti ve ne sono alcune per le quali appare difficile ipotizzare che vi sia un apprezzabile rischio di simulazione, pur tuttavia l’identificazione del danno grave alla persona in quello procurato da lesioni, che non siano di lieve entità ex art. 139 cod. assicurazioni private, al fine della quantificazione del danno non patrimoniale, ha comunque (in mancanza di una specificazione normativa maggiormente mirata all’esigenza di prevenire possibili frodi al Fondo di garanzia) una sufficiente coerenza intrinseca perché trova la sua fonte in una disposizione dello stesso codice delle assicurazioni private, rimanendo rimessa alla giurisprudenza una più puntuale perimetrazione della risarcibilità del danno alle cose cagionato da veicolo non identificato.

L’estensione di tale risarcibilità rimane nella discrezionalità del legislatore, al quale è rimessa «la scelta dei modi per ripristinare la par condicio tra le vittime della strada per sinistri cagionati da veicoli non identificati e la generalità degli aventi diritto al risarcimento dei danni coperti da polizza di assicurazione “R.C.A.”»[8].

In ultima battuta la Consulta considera che in epoca più recente il legislatore è intervenuto modificando la disposizione utilizzata dalla giurisprudenza per fissare la soglia del danno grave alla persona, quale presupposto per la risarcibilità anche del danno alle cose nella fattispecie in esame.

Infatti il vigente art. 139 – come da ultimo sostituito dall’art. 1, comma 19, della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza) –

prevede che le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l’ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente.

Quindi, attualmente, nell’art. 139 occorre distinguere tra lesioni micropermanenti di incerta accertabilità, il cui danno non patrimoniale non è risarcibile (come danno assicurato), e lesioni micropermanenti che invece sono ritenute adeguatamente comprovate e quindi tali da escludere plausibilmente il rischio che siano simulate.

Tale recente sviluppo normativo induce la Corte Costituzionale ad auspicare che il legislatore regolamenti, in termini più puntuali e non eccedenti l’esigenza di prevenire possibili frodi al Fondo di garanzia, il presupposto dei «danni gravi alla persona», che segna il perimetro della risarcibilità del danno alle cose cagionato da veicolo o natante non identificato e ciò al fine di meglio attuare la finalità solidaristica sottesa all’obbligo di conformità alla richiamata normativa europea.

Note

[1] Cfr. Cass. civ. sez. III, 27 novembre 2015, n. 24214.

[2] Cass. civ. sez. III, 27 novembre 2015, n. 24214 con nota di SCAPELLATO S., Risarcimento del danno – i danni alle cose nel caso di sinistro cagionato da veicolo non identificato, in Giur. It., 2016, 4, 831.

[3] In dottrina v. DONATI, VOLPE PUTZOLU, Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 2012, 234 e segg.

[4] Cass. civ. sez. III 27 novembre 2015, n. 24214 evocata dalla società UnipolSai Assicurazioni spa nel giudizio de quo.

[5] Cfr. sentenza n. 199 del 2017 e le sentenze n. 121 e n. 44 del 2016.

[6] Cfr. sentenza n. 79 del 1992.

[7] Cfr. sentenza n. 226 del 2000.

[8] Cfr. sentenza n. 560 del 1987; nello stesso senso, ordinanza n. 336 del 2010

Avv. Mazzei Martina

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