La volontà generale di J.J. Rousseau e il governo della maggioranza

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Può sembrare strano ma,pur con il tanto citare e parlare  di Jean Jeacques Rousseau,a proposito e a sproposito, eppure si deve constatare che il pensiero di uno dei fondatori del pensiero moderno,non è ancora stato del tutto capito.Molti con superficialità stabiliscono l’equivalenza tra il governo della maggioranza e la “volontà generale” cui si appellava Rousseau.

L’errore è attribuibile al modo in cui è stata considerata la politica dopo il Settecento.Per la prima volta una folta pattuglia di intellettuali, i famosi philosophes (1), ha con i suoi scritti portato avanti un disegno che  ribaltasse i ruoli dei vari attori della Società.Si sarebbe passati da una Società di sudditi a una società di cittadini;il timone della società sarebbe passato dalla sovranità dei regnanti alla sovranità del popolo.Nasceva così un  abbinamento/confronto del tutto nuovo filosofia-politica a fronte dell’abbinamento filosofia-religione ( v.ad es. Spinoza) che si era visto nel passato.Il fulcro di tale nuova società diventava il popolo sovrano che governava attraverso il meccanismo della “maggioranza”.Tale fu il pensiero dominante.In modo tralaticio,nei secoli successivi,si fece appello dai nuovi pensatori-politici ,come motore della nuova società democratica, alla sovranità del popolo che si esprimeva  con la volontà dei più.La maggioranza era la nuova divinità;essa tutto assorbì nelle nuove teorie politiche,compresa la volontà generale di J.J.Rousseau.

Sotto il profilo storicistico ,ciò è forse dovuto al fatto che, per ovvie ragioni sistematiche dovute alla corrente di pensiero cui è ascritto e ai tempi in cui  ha scritto, J.J.Rousseau viene inserito in un contesto culturale  che  via via,attraverso interpretazioni ed elaborazioni successive, è venuto assumendo connotazioni ben definite ed un contorno preciso: si tratta del contesto cultural-politico sù accennato dei c.d. philosophes .

Il pensiero liberale di Locke

Sotto il profilo teoretico invece ciò che ha portato a travisare il pensiero del Rousseau, forse più di tutto è stato l’accostamento e forse l’assimilazione alla grande opera sistematica del Locke.

Il punto centrale della dottrina di Locke è, senza dubbio,la prospettazione della nascita della società civile,con l’uscita dallo stato di natura. Vedi Locke,Il Secondo trattato sul Governo(1690) dove si legge che <Il solo modo in cui un uomo si spoglia della sua libertà naturale e assume su di sé i vincoli della società civile. consiste nell’accordarsi con altri uomini per associarsi e unirsi in una comunità al fine di vivere gli uni con gli altri in comodità, sicurezza e pace, nel sicuro godimento della sua proprietà e con una maggiore protezione contro coloro che non vi appartengono.> e poco avanti:< Infatti quando un gruppo di uomini ha, con il consenso di ciascun individuo, costituito una comunità, ha con ciò fatto di quella comunità un solo corpo, con il potere di agire come un solo corpo, cioè solo in base alla volontà e decisione della maggioranza. Infatti, essendo ciò che una comunità fa non altro che il consenso degli individui a essa appartenenti; ed essendo necessario che ciò che costituisce un solo corpo si muova in una sola direzione, è necessario che quel corpo si muova nella direzione in cui lo spinge la forza maggiore e cioè il consenso della maggioranza>.

Due sono i concetti portanti,quindi ,della teoria lockiana :  L’<accordo di associazione>( il contratto) e <il governo della maggioranza>.Altrove si legge che gli scopi della società civile così costituita sono <la reciproca  salvaguardia della..vita,libertà e beni:cose che io denomino col termine generale di proprietà>.

La visione roussoiana

Se anche le assi portanti della visione roussoiana sono senz’altro il <contratto sociale> e il <governo della maggioranza> , l’ideologia sottostante, se così possiamo esprimerci, è molto diversa,se non ,in certi aspetti, antitetica.

Basta infatti seguire l’evoluzione del pensiero di Rousseau per comprendere che egli si muoveva  in un terreno molto diverso dal Locke.Nel 1745 l’accademia di Digione aveva proposto un tema:  “quale fosse l’origine della disuguaglianza fra gli uomini e se fosse fondata sulla legge naturale”. Rousseau compose il saggio “Discorso sulle origini e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini”.Egli imputava proprio alla società civile i maggiori danni per l’uomo. La disuguaglianza derivava proprio dalla nascita e dallo sviluppo della società civile:< <So che si ripete continuamente che nulla sarebbe tanto miserabile quanto l’uomo in quello stato [ di natura]; e se è vero, come credo di aver provato, che soltanto dopo molti secoli avrebbe potuto avere il desiderio e l’occasione di uscirne, sarebbe una colpa da farsi alla natura e non a colui che essa avesse costituito in tal modo. Ma, se capisco bene il significato della parola “miserabile,” è una parola che o non ha senso oppure non significa altro che una privazione dolorosa o la sofferenza del corpo o dell’anima: oppure vorrei che mi si spiegasse quale genere di miseria avrebbe potuto avere un essere libero con il cuore in pace e il corpo in buona salute. Io mi chiedo se sia la vita civile o quella naturale piú soggetta a divenire insopportabile a coloro che ne godono. Non vediamo attorno a noi altro che persone che si lamentano della loro esistenza: ce ne sono perfino moltissime che per quanto sta in loro se ne privano, e le leggi divine e umane riunite bastano a mala pena a frenare questo abuso. Domando se si è mai sentito dire che un selvaggio allo stato libero abbia anche soltanto pensato a lamentarsi della vita e a darsi la morte. Si giudichi dunque con meno orgoglio da quale parte stia veramente la miseria.>.

Ma veniamo al punto centrale della nostra disamina ,ossia la nascita della società civile.

Così la concepiva Rousseau:

<Non è possibile che alla fine gli uomini non abbiano fatto delle riflessioni intorno a una situazione cosi’ miserabile e sulle calamità da cui erano afflitti. Soprattutto i ricchi dovettero sentire quanto fosse loro svantaggiosa una guerra perpetua di cui essi soli pagavano tutte le spese e in cui tutti rischiavano la vita ed essi soli i beni. Privo di ragioni valevoli per giustificarsi e di forze sufficienti per difendersi, in grado di sopraffare facilmente un singolo individuo ma sopraffatto a sua volta da gruppi di banditi, solo contro tutti senza potere, a causa delle vicendevoli gelosie, unirsi ai suoi pari contro i nemici uniti dalla comune speranza del saccheggio, il ricco spinto dalla necessità, alla fine ideò il progetto più meditato di quanti siano mai stati nell’intelletto umano: e fu di usare a suo vantaggio le forze stesse di coloro che lo assalivano, di trasformare i suoi avversari in suoi difensori, di ispirare loro delle altre massime e di dare loro delle altre istituzioni che gli fossero altrettanto favorevoli quanto il diritto naturale gli era contrario.

A questo scopo, dopo avere esposto ai suoi vicini l’orrore di una situazione che li armava tutti gli uni contro gli altri e che rendeva i loro possessi altrettanto onerosi dei loro bisogni, in cui nessuno trovava la sicurezza né nella povertà né nella ricchezza, egli inventò facilmente delle ragioni speciose per tirarli al suo scopo. “Uniamoci,” disse loro, “per garantire i deboli dall’oppressione, per contenere gli ambiziosi e assicurare a ognuno il possesso di ciò che gli appartiene; istituiamo dei regolamenti di giustizia e di pace a cui tutti siano obbligati a uniformarsi, che non facciano eccezione per nessuno e che in qualche modo pongano rimedio ai capricci della fortuna sottomettendo ugualmente il forte e il debole a doveri reciproci. In breve, invece di volgere le nostre forze contro noi stessi, uniamole in un potere supremo che ci governi secondo sane leggi, che protegga e difenda tutti i membri dell’associazione, sconfigga i nemici comuni e ci tenga in una perpetua concordia.”>.

 

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<Questa fu o dovette essere l’origine della società e delle leggi, che diedero nuove pastoie al debole e nuova forza al ricco, distrussero irrimediabilmente la libertà naturale, stabilirono per sempre la legge della proprietà e della disuguaglianza, di un’abile usurpazione fecero un diritto irrevocabile, e per il profitto di alcuni ambiziosi assoggettarono per sempre il genere umano al lavoro, alla servitú e alla miseria>.

Evidentemente la concezione roussoiana della nascita della civiltà è ben diversa e lontana da quella lockiana. Dallo stato di natura, per Rousseau, si passerebbe ad uno stato di abusi e sopraffazioni. Per coerenza con tale inizio della civiltà  il Rousseau avrebbe dovuto respingere questo <assoggettamento del genere umano al lavoro,alla servitù e alla miseria>.Tale visione presenta punti di contatto molto forti con le visioni e gli scenari marxiani dello sfruttamento delle classi operaie.Tuttavia Rousseau continua nella linea liberal –contrattuale propria del pensiero lockiano mettendo in primo piano il <contratto sociale> nella sua celebre opera.

D’alro canto egli  fin dall’inizio aveva aderito alla teoria del contratto :< Sulla natura del patto fondamentale di ogni governo, mi limito seguendo l’opinione comune a considerare qui l’istituzione del corpo politico come un vero contratto fra il popolo e i capi che egli si sceglie. Contratto in virtù del quale le due parti si obbligano all’osservanza delle leggi che vi sono stipulate e che costituiscono i legami della loro unione. E siccome il popolo ha, per quanto riguarda le relazioni sociali, riunite tutte le sue volontà in una sola, tutti gli articoli su cui questa volontà si esprime divengono altrettante leggi fondamentali che obbligano tutti quanti i membri dello Stato senza eccezione.>(Origini cit.)

Nei primi governi,continua Rousseau, le magistrature furono elettive ma <l’ambizione degli ottimati approfittò di tali circostanze per perpetuare le loro cariche nelle loro famiglie: il popolo, avvezzo a dipendere, avvezzo alla pace e ai comodi della vita, e oramai incapace di spezzare le sue catene, per assicurarsi la tranquillità lasciò che la sua servitú aumentasse, e cosí i capi, divenuti ereditar; si abituarono a considerare la magistratura come un patrimonio di famiglia, a considerare se stessi come i proprietari di quello Stato di cui dapprima non erano stati che dei funzionari, a chiamare schiavi i loro concittadini, a contarli, come si fa del bestiame, nel numero delle cose che appartenevano loro, a chiamare se stessi uguali agli Dei e Re dei Re.>………<Tutti gli individui ridiventano uguali perché non sono nulla e siccome non hanno altra legge che la volontà del padrone e questi non ha altra regola che le sue passioni, la nozione del bene e i principi della giustizia svaniscono di nuovo. Qui tutto si riconduce alla sola legge del piú forte, e di conseguenza a un nuovo stato di natura che differisce da quello da cui abbiamo prese le mosse perché quello era lo stato di natura nella sua purezza mentre quest’ultimo è il frutto di un eccesso di corruzione.>

Ma il cambiamento di rotta  si ha quando il Rousseau concepisce  un   diverso funzionamento di questo nuovo stato civile.

Posto che come abbiamo su visto il Locke descriveva la dinamica del funzionamento di questo nuovo stato civile nel senso che< essendo necessario che ciò che costituisce un solo corpo si muova in una sola direzione, è necessario che quel corpo si muova nella direzione in cui lo spinge la forza maggiore e cioè il consenso della maggioranza>…e ancora < la deliberazione della maggioranza è considerata come deliberazione della totalità> e poco dopo <così ogni uomo,consentendo con altri a costituire un solo  corpo, politico sotto un solo governo,si sottopone,nei riguardi di ciascun membro di uella società all’obbligo di sottomettersi alla decisione della maggioranza>.

Deve concludersi per tal modo che la società deve agire secondo la volontà della maggioranza ed essa maggioranza deve intendersi,non v’è dubbio , come la volontà dei più.

In teoria la volontà di tale maggioranza dovrebbe tendere a realizzare il bene comune. Ma purtroppo così non è.La maggioranza anzicchè il bene di tutti può perseguire il bene di una fazione o di partito,magari proprio il suo.Nella realtà il sillogismo che funziona è capovolto nel senso che si considera  bene comune tutto ciò che vuole la maggioranza .

Bene ha spiegato De Tocquiville(3)

a) <L’impero morale della maggioranza si fonda in parte sull’idea che vi sia più saggezza e acume in molti uomini riuniti che in uno solo, nel numero piuttosto che nella qualità dei legislatori.>;

b)< L’impero morale della maggioranza si fonda anche su questo principio

 che gli interessi del maggior numero debbono essere preferiti a quelli del piccolo>.

Ove Rousseau avesse seguito questa costruzione sarebbe caduto in una palese contraddizione col suo pensiero precedente.Accettare  cioè che la volontà della maggioranza decida quali leggi porre in essere a suo arbitrio avrebbe potuto assecondare un disegno particolare a scapito del popolo.

La vera novità di Rousseau è stata l’introduzione nel sistema della c.d. <volontà generale>,si noti bene non <volontà della maggioranza> che abbiamo su visto potere essere errata o malvagia o ingiusta che si voglia ( salvo chiarire il significato dei singoli termini) bensì <volontà generale> che, lo ripetiamo non è  la volontà dei <più> o almeno non può ridursi alla volontà dei più, ma ,è la volontà dei più,trasformatasi in< volontà generale> .

La volontà propria del corpo sociale o sovrano è  quindi  non la <volontà della maggioranza> mala volontà generale,che non è la sommatoria delle volontà particolari,ma la volontà che tende sempre all’utilità generale e che quindi non può sbagliare(3)

Rousseau distingue la <volontà generale >dalle decisioni che il popolo prende e perfino dalla volontà di tutti.

Questo concetto che arriva a dissociare persino la volontà di tutti dalla volontà generale è particolar- mente significativo  per la comprensione del pensiero di Rousseau.

La volontà della maggioranza ( o,se si vuole anche della totalità) diventa volontà generale quando si  riempie di idonei contenuti,quando cioè essa è diretta a realizzare  il bene pubblico.

Come si individua la volontà generale

Per maggior chiarezza citiamo testualmente le parole di Rousseau, che ci descrivono la dinamica attraverso la quale si forma la volontà generale,con vera formula algebrica:

< Vi è di sovente molta differenza tra la volontà di tutti e la volontà generale: questa riguarda solo l’interesse comune, l’altra l’interesse privato e non è che una somma di particolari volontà; ma se si toglie da queste volontà stesse quelle che con le loro richieste in più o in meno si eliminano tra loro

resterà come risultato della somma delle differenze  la volontà generale.>  e nelle note in appendice al testo ,chiarisce ancora:

<24. Perché una volontà sia generale non è sempre necessario che sia unanime, ma è necessario che tutti i voti siano calcolati: qualunque esclusione formale spezza la generalità [N.d.A.].

30. «Ogni interesse» dice il marchese d’Argenson «ha dei principi differenti. L’accordo di due interessi particolari si forma per opposizione a quello di un terzo.» Avrebbe potuto aggiungere che l’accordo di tutti gli interessi differenti si forma per l’opposizione a quello di ciascuno. Se non vi fossero interessi differenti, a malapena si sentirebbe l’interesse comune, che non incontrerebbe mai alcun ostacolo: ogni cosa andrebbe per proprio conto e la politica cesserebbe di essere un’arte [N.d.A.].>(4)

 

Non ci convince  infine la tesi di chi vede  nella società guidata dalla volontà generale un ritorno allo stato di natura dominato da <un istinto disciplinato e moralizzato dalla ragione>(4).

 

 

 

Viceconte Massimo

 


NOTE

(1)V. Zeev Sternhell Contro l’illuminismo <tutti i philosophes, nel senso che questa parola ha acquisito nel XVIII secolo, consideravano la politica come l’unico strumento in grado di cambiare la vita. Mai prima di allora si era discusso tanto intensamente sul mondo di domani: la politica era diventata affare di tutti.>

(2) Alexis De Tocqueville La democrazia in America,Rcs Libri,1999

(3) Abbagnano Storia della Filosofia , UTET, Vol II,1,377

(4) Jean-Jacques Rousseau Il contratto sociale Super saggi Biblioteca universale Rizzoli 1993,77 e 201

(5) Abbagnano Storia della Filosofia cit.Vol. II,1,377

 

Avv. Viceconte Massimo

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