La violazione del divieto di tassi d’interesse anatocistici comporta il rigetto ex art. 640 cpc del decreto ingiuntivo. La disciplina sull’anatocismo si applica anche alla chiusura del conto corrente bancario

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            Le questioni connesse all’anatocismo sono di grande attualità e, a cadenza regolare, trovano accoglimento nella giurisprudenza costante, omogenea e favorevole ai consumatori (v. Tribunale di Bari sez. I civile n. 859/08, Tribunale di Brescia del 15/05/08, inedita). In questa nota analizzerò due decisioni emesse un paio di anni fa dal Tribunale di Grosseto, perché antesignane di molti analoghi recentissimi provvedimenti.
 Il Dott. Branda del Tribunale di Grosseto ha emanato due decreti (03/07/06 e 28/07/06, consultabili qui in allegato) molto interessanti perché, forse, per la prima volta, si affronta la problematica del divieto di anatocismo applicata al saldo del conto corrente ed all’emissione di un decreto ingiuntivo (primo provvedimento) evidenziando come il calcolo degli interessi debba avvenire in condizioni di assoluta reciprocità (seconda pronuncia).
            Nel primo caso, infatti, una banca, stipulava con un’azienda agraria, con atto pubblico notarile, un contratto di conto corrente, contenente un’apposita clausola di capitalizzazione di interessi trimestrali a favore della stipulante, inserita, per altro, quando già vigeva il divieto di anatocismo. Successivamente chiedeva l’emissione di un decreto ingiuntivo per €.1.692.640,35 oltre interessi quali corrispettivo per il saldo del conto corrente. La richiesta trovava il suo fondamento e giustificazione asseritamente nel “[…]mancato pagamento degli interessi convenzionali, sanzionato con la decadenza dal beneficio del termine […]”.
Nel secondo esempio l’istituto ingiungeva ad una società ed ai relativi fideiussori il rimborso di somme per lo scoperto del conto corrente e per un prestito,  sorti in base a contratti stipulati con lo stesso. Oltre al capitale chiedeva anche il rimborso degli interessi conteggiati, trimestralmente ed annualmente, a proprio favore, mentre quelli a vantaggio del cliente erano stati calcolati solo annualmente, violando la condizione di reciprocità ex artt. 2 e 6 delibera 9/2/2000 CICR. Perciò il giudice emetteva un’ingiunzione a favore della banca per le somme richieste e liquidava “[…] interessi nella misura convenzionalmente stabilita a decorrere dai singoli addebiti e sul relativo ammontare, fino al saldo, – ESCLUSA LA CAPITALIZZAZIONE TRIMESTRALE –[…]”.
            Prima di affrontare le tematiche trattate in questi decreti è bene andare con ordine e fare una
 
1. BREVE STORIA DELL’ANATOCISMO:
 
            Il termine anatocismo deriva dal greco “anatocos” e, letteralmente, significa interesse prodotto nuovamente. Indica, cioè, tutti quegli utili esigibili ogni tot mesi sul capitale originario cui vengono sommati gli interessi sino a quel momento scaduti.
            La nostra legislazione prevede che su di un credito X possano maturare solo due tipi di frutti: il TAN (tasso d’interesse annuo) ed il TAEG (quello d’incremento generale annuo), legato all’aumento del costo della vita. Il valore di entrambi, pari ad una percentuale fissa del valore del credito vantato (es. Tan 12,5%, TAEG 10%) viene stabilito ogni anno per legge; ogni interesse al di sopra di tali valori è da considerarsi usurario.
Tanto per fare un esempio questi tassi sono sempre indicati quando si acquista un’automobile (è bene sempre verificare anche il valore del TAEG nelle c.d. offerte tasso zero) o qualsiasi altro bene di consumo nelle c.d. vendite a rate.
Vengono conteggiati una volta l’anno e sono sia attivi (quelli che deve ricevere la banca) che passivi (quelli a favore del cliente).
Tutti quelli che vengono calcolati per periodi differenti sono anatocistici.
L’anatocismo non è un’invenzione del diritto moderno, anche se è stato riscoperto solo di recente sull’onda emotiva dei vari scandali finanziari (Ciriobond, Tangobond, Parmalat e similia).
 Le prime tracce, come detto, risalgono al diritto greco. Anche gli antichi romani condannavano tale pratica assimilandola all’usura.
In effetti, a ben vedere in alcuni casi il confine tra queste due pratiche è ancora molto fievole.
Si ricordi, a tal proposito, che gli antichi romani introdussero, già nel III sec. D.C., una legge che tuttora dimostra la sua modernità, anticipando, sotto molti aspetti, alcune decisioni normative e giurisprudenziali odierne: il divieto dell’ultra duplum, con il quale si sanzionava la richiesta di interessi, in misura superiore al capitale che li aveva prodotti, con la nullità della clausola anatocistica e la pubblica infamia del contraente-contravventore. Gli antichi, più saggiamente di alcuni loro colleghi moderni, consideravano, infatti, immorale trarre vantaggi dallo stato di povertà dell’altro contraente, dovendosi, invece, attuare una politica che aiutasse i soggetti deboli e favorisse un’uguaglianza economica (v. Farina "Recenti orientamenti in tema di anatocismo e Sacra Bibbia" e Deuteronomio 23,20.).
Erano concessi solo interessi che maturavano decorso un anno dalla esigibilità del diritto di credito, prassi che, in gran parte, è stata recepita anche dalla attuale normativa.
Con l’evolversi delle pratiche commerciali (si pensi che le prime cambiali ed i primi assegni nacquero nel primo medioevo), favorite anche dalle sempre più numerose scoperte scientifiche e geografiche, si diffuse in maniera esponenziale anche la pratica dell’anatocismo, influenzando anche i costumi sociali e la letteratura.
In definitiva troviamo molti esempi di questo istituto anche tra le biografie di alcuni celebri autori del passato si pensi, in primis, al padre di Dante Alighieri “dedito agli scambi ed agli affari” oppure alla nobile famiglia fiorentina dei Medici, nata come famiglia di mercanti e banchieri, prima di assurgere alla nobiltà laica e papale (si pensi al gran numero di cardinali, Papa Leone X e sovrani vari ex multis Lorenzo il Magnifico ed alla regina di Francia Caterina).
Si può trovarne una citazione illustre in Shakespeare nel “Mercante di Venezia”, ove l’ebreo protagonista più che praticare tassi usurari applica chiaramente quelli anatocistici.
I più importanti codici europei dei primi dell’ottocento, poi, legalizzarono questa pratica, ancorandola a ragioni economico-sociali ed alla necessità dell’evolversi del commercio e dello sviluppo delle prime Casse di Risparmio e degli Istituti assimilati (v. David Eros Cotugno e Valerio De Gioia “L’anatocismo bancario” allegato a D&G 34/05, ed. Giuffrè), facendola regolare da consuetudini e prassi commerciali.
A ben vedere il nostro art. 1283 cc recepisce, mutatis mutandi, l’art. 1154 Cod. Nap., che ammetteva la capitalizzazione con interessi maturati da almeno un anno, purché assistiti da domanda giudiziale o convenzione speciale.
Tutto ciò, infatti, trova conferma nella lettera dell’art. 1283 cc “[…] in mancanza di usi contrari [….] interessi maturati da almeno 6 mesi […].”.
La riduzione del termine da un anno a 6 mesi, fu giudicata necessaria per non sfalsare il delicato equilibrio dell’economia nazionale oltre che per tutelare i diritti del contraente più debole, evitando che i creditori si approfittassero di questo svantaggio giuridico-economico, per trarne ulteriori illeciti profitti (v. S. Gianzana “Codice Civile” ,Torino 1887, Relazione al Re n. 954, Buccella “La disciplina degli interessi monetari” Napoli 2002, Montel “Anatocismo ed usi bancari” in Riv. dir. comm.1982, Fedele “Appunti in tema di anatocismo giudiziale” in Riv. dir. civ. 1952, Cotugno e De Gioia, op. cit. pagg. 7 ss.).
Per concludere si ricordi che la dottrina e la giurisprudenza hanno basato le loro, spesso contrastanti, tesi proprio sull’interpretazione da dare al termine-scriminante “usi normativi e convenzionali” per legittimare o meno tale prassi ed individuare vari tipi di anatocismi.
 
2. TIPOLOGIE DI ANATOCISMO ED EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE DELL’ISTITUTO:
 
Si suole individuare vari tipi di anatocismo a seconda se gli interessi maturati sul capitale siano richiesti giudizialmente (anatocismo giudiziale) od in base a convenzioni di vario tipo (anatocismo convenzionale) oppure maturati su tasse o crediti statali (anatocismo fiscale).
Questa ultima pratica è stata recentemente legittimata, de facto, da Cass. Civ. 16 dicembre 2005-8 marzo 2006, n. 4935 (cui si rimanda integralmente), che, oltre a ribadire che “la domanda deve essere chiara e non ambigua”, enuncia alcune regole fondamentali: “…i principi regolanti la materia del diritto agli interessi anatocistici relativi ai crediti verso il fisco, essenzialmente (se non esclusivamente) in materia di rimborsi di imposte pagate, esigono che il contribuente creditore abbia indicato tutti gli elementi necessari alla liquidazione di essi, a cominciare dalla capitalizzazione del primo semestre di interessi maturati sul capitale. E, soprattutto, che tale richiesta, sia stata formulata nell’atto introduttivo del giudizio tributario avente ad oggetto il rimborso d’imposta, non potendosi esso considerare un accessorio del credito principale conseguente in via automatica dall’accoglimento della domanda di rimborso o di quella degli interessi maturati dalla domanda già rivolta al fisco…” [v. anche Alberici in D&G online 10/03/06, S.C. SS. UU. civ. n. 3118/06, sentenze nn. 6310/96, 9497/98 e 552/99, 9273/99; 2079 e 2081/00, 12043/04, la normativa vigente (articolo 19, comma 1, lettera g), D.Lgs 546/92 e quella abrogata (in relazione a quanto previsto dagli articoli 16, commi 6 e 7, e 20, DPR 636/72)].
In definitiva alla medesime conclusioni è giunto anche il Dott. Branda nei suddetti decreti, anche se questi assiomi vengono applicati a favore del debitore-cliente (correntista o fruitore di prestito).
Gli usi negoziali, non hanno valore obbligatorio, sono clausole in uso nei settori finanziari e commerciali, che sono efficaci ed opponibili a terzi solo se inserite in specifici contratti, come nel caso in specie. Non possono derogare la legge e qualora ciò avvenga sono automaticamente nulli.
Al contrario gli usi normativi sono fonti del diritto interno ex artt. 1 e 8 preleggi cc e possono derogare alle leggi, rectius fonti di grado superiore, solo se da esse espressamente richiamati.
Sono caratterizzate da un elemento materiale, ossia il loro costante ed immutato ripetersi nel tempo e sotto questo aspetto sono simili alle consuetudini.
In tali usi, però, è presente anche un elemento psicologico: l’opinio iuris ac necessitatis, cioè la convinzione di una pluralità di persone che quel dato comportamento, ripetuto pedissequamente e costantemente nel tempo, abbia valenza di legge e come tale debba essere rispettato, anche se non imposto dall’ordinamento giuridico.
Tipico esempio di uso normativo è appunto l’art. 1283 cc e tale convinzione veniva usata per avallare giuridicamente l’anatocismo, come espresso da una corrente giurisprudenziale maggioritaria sino alla fine degli anni novanta (v. ex plurimi Cass. civ. sez. I nn. 5409/83, 4920/87, 2644/89, 9227/95, sez. III nn. 2335/80, 5985/81, 6631/81, 3804/88, 7571/92, 2461/82, CDA BS 04/12/57, CDA FI 13/12/65, CDA MI 17/02/76, Tribb. MI 04/03/82, 16/05/82, 25/11/82,CT 31/10/80 TN 05/04/63, G. Gabrielli “Capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi ed usi creditizi”, 1999, B. Inzitari “Convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi e divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c.”, 1995, A. De Nisi- G .Giampiccolo, “L’anatocismo bancario tra interventi giurisprudenziali e legislativi”, 2000, R. Lotito “Anatocismo ed interessi bancari: orientamenti giurisprudenziali”, 1989 e soprattutto Cass. Civ. sez. I n. 12675/98).
A partire, però, dal marzo 1999 la S.C., prima, i tribunali di merito, poi, hanno dato vita ad un nuovo orientamento maggioritario ed ad un vero e proprio revirement che ha spezzato l’egemonia della banche e dei mercati finanziari a favore degli utenti, dichiarando la nullità e l’illegittimità delle clausole anatocistiche (v. ex multis Cass. S.U. n. 21095/04, Tribb. Monza 08/11/00, Fi 08/01/01, Brindisi 13/05/02, Pa 06/09/2 e 24/02-22/06/06, in cui si ribadisce la vessatorietà delle clausole anatocistiche, in www.dirittoegiustizia.it del 18/07/06, v. anche la voce “anatocismo” su www.studiamo.it) ritenendo validi solo gli interessi conteggiati annualmente o, rectius, ogni semestre sino a vietare la c.d. “capitalizzazione selettiva”, operante, cioè, in danno solo del cliente, dovendosi negare, contestualmente, ogni qualsivoglia valore normativo alle norme bancarie uniformi, perché prive di potere cogente, né assimilabili a raccomandazioni, ma meri usi negoziali ex art.1341 cc (v. Cass. Civ. nn. 3589/02, 4093,4094,4095/05,6187/05, Tribunale Pescara 04/04/05, Cotugno e De Gioia, op. cit. pagg. 99 ss., G. Vecchio, “Lo stato dell’arte in alcuni profili banca/cliente: l’anatocismo, l’ingiustificato arricchimento e la commissione di massimo scoperto” in www.judicium.it del 14/06/04).
Proprio questa pratica è stata stigmatizzata ed evidenziata nella pronuncia del 28/07/06 : “[…] nel quadro della predetta disciplina, viene in rilievo innanzi tutto il criterio della cosiddetta reciprocità, secondo cui – benchè sia consentita la pattuizione di tassi creditori e debitori di differente entità – la rispettiva capitalizzazione deve comunque avvenire “secondo le medesime modalità” e con “la stessa periodicità nel conteggio degli interessi […]”.
           Le norme di cui sopra sollecitano, dunque, le seguenti argomentazioni.
           In primo luogo, la nozione di reciprocità, riferita all’espressione “il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità” e con “la stessa periodicità nel conteggio”, consiste essenzialmente nel fatto che il criterio di calcolo per l’anatocismo e la periodicità devono essere identici per i saldi periodici debitori e per quelli creditori.
           A potenziare il convincimento sulla necessità della identica modalità di calcolo imposta dalla richiamata normativa, sta la sua funzione, anche sostanziale, di protezione del contraente più debole, di tutela specifica del consumatore, di garanzia della trasparenza bancaria, relativamente a prassi negoziali diffuse, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, la quale si risolve in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte più debole.
           Ed allora, poiché le soluzioni che si danno non possono essere – per così dire – secundum eventum obligationis, non può essere consentito un criterio di calcolo elastico che si accresce in proporzione geometrica, quando si tratta di calcolare la capitalizzazione trimestrale a favore della banca, ed invece si ritrae – fino ad annullarsi – quando si deve quantificare l’anatocismo in favore del cliente.
            – ) Nel caso di specie, le clausole contrattuali prevedono una disimmetria evidente, dal momento che la capitalizzazione a favore della banca è prevista a cadenze trimestrali, ed invece quella a favore del correntista a cadenza annuale, non rispettando affatto la suddetta condizione di reciprocità…." (fonte citata).

 3. SOLECISMO FINANZIARIO E RESPONSABILITÀ DELLE BANCHE:
 
Solecismo finanziario è un neologismo coniato ad hoc per indicare la prassi costante delle banche di attuare scorrettezze contabili, che producevano, nell’immediatezza, pregiudizi economici in danno dell’utente che necessitava di un credito bancario.
Per anni si è inteso attribuire a questa ultima espressione non più l’accezione restrittiva di conto bancario, ma, grazie anche alla moderna giurisprudenza consolidata, quella estensiva ricomprendente anche i mutui, i prestiti, i prodotti finanziari e similia atti a produrre interessi.
Gli istituti di credito legittimavano questa prassi, palesemente vessatoria e in violazione delle norme di trasparenza e correttezza contrattuale, proprio sull’inciso dell’art. 1283 cc “in mancanza di usi contrari”, considerando questo art. un uso normativo ex art. 1340 cc, che, perciò, poteva derogare la legge.
Tale tesi, come detto, trovò il suo massimo fondamento nella S.C. n.12675/98.
Ormai, però, la dottrina (Maffeis, Vecchio, Giacalone etc.) e la giurisprudenza sopra richiamata concordano sul fatto che non si possa giustificare l’anatocismo, perché prassi chiaramente non rientrante negli usi ex art. 1283 cc, semmai in quelli ex art. 1954 cc., poiché le clausole sopra ricordate sono pattuizioni unilaterali delle banche, introducenti degli interessi talvolta usurari ed in chiaro danno del cliente ex artt. 1424, 1469 bis e ss e 1519 ss cc., ergo nulle.
Anche se il legislatore ha cercato di avallare tale pratica prima con l’introduzione del […] d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, ove, all’art. 25, vengono introdotte alcune modifiche all’art. 120 del testo unico bancario n.385/1993.
In particolare, si prevede al secondo comma una competenza del CICR (Comitato interministeriale per il credito e risparmio) a fissare modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio delle attività bancarie, disponendo che, in ogni caso, operi nei confronti della clientela una stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori nelle operazioni in conto corrente o similia.
E’, però, il terzo comma dello stesso articolo quello con il quale si sarebbe inteso porre un argine alle conseguenze più temute, con esso si stabilisce la validità ed efficacia delle clausole di anatocismo per i contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera da parte del CICR e fino a tale data.  Dopo, tuttavia, le pattuizioni dovranno essere adeguate al contenuto della delibera, che avrebbe fissato tempi e modalità di tale adeguamento.  In mancanza, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente[…]” (Vecchio op. cit.).
Questo assunto è stato più volte condannato anche dalla C. Cost., in primis n. 425/00, evidenziando la violazione con delibera Cicr del 2000 e con la normativa sopra menzionata degli artt. 3, 24, 47, 76 cost.(v. Cotugno De Gioia op. cit. pagg. 39 ss, Maffeis “Banche clienti anatocismo e prescrizione” in www.judicium.it del 07/12/04, Vecchio op. cit.).
Per dare ancor più legittimazione ed aggirare i vari divieti le banche sfruttarono non solo tale normativa che, de facto, inseriva una sanatoria retroattiva dell’anatocismo, ma tramite l’Abi introdussero le c.d. Norme Bancarie Uniformi, che trovavano il loro fondamento giuridico nella prassi costante degli istituti di credito di applicare nelle convenzioni bancarie applicate (unilateralmente) a modelli standard.
Cosa ancor più grave si tentò di conferire a queste regole valenza di uso normativo, pur essendo chiaramente usi negoziali.
Per di più sono carenti del requisito dell’ opinio iuris ac necessitatis, poiché non vi è possibilità di rilevare norme analoghe preesistenti e perché ovviamente create ad hoc solo nel 2000, senza considerare che gli albi della camere di commercio contengono prassi negoziali non usi normativi.
Tale tesi è di solare evidenza, anche se i sostenitori della precedente opposta dottrina affermano che “[…] qualificazione dell’uso come normativo viene richiamata la raccolta provinciale degli usi della Camera di Commercio di Milano che ha sempre considerato gli usi bancari tra gli usi normativi. Da ultimo ciò è affermato nella raccolta più recente approvata il 29 giugno 1998 all’art. 9 che disciplina gli interessi su conti e depositi bancari […]” (Vecchio op. cit. Galgano, De Nova).
Per di più l’art. 117 del testo unico in materia bancaria e creditizia n. 385/1993, introducendo il divieto del rinvio agli usi, con conseguente nullità delle clausole orientate in tal senso, abroga de facto ogni riferimento all’art. 1283 cc.
Infatti anche il provvedimento del Tribunale di Grosseto afferma chiaramente: “[…] si ritiene pertanto che la clausola, inosservante della disciplina prevista dalla delibera 9 /2/2000 CICR, sia nulla per inosservanza del principio di reciprocità.
           Oltre alla specifica inosservanza della normativa introdotta dalla delibera, detta clausola è comunque da considerare nulla in quanto stipulata in violazione dell’art. 1283, cod.civ., perché basata su un uso negoziale imposto dal contraente più forte, anziché su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico ("opinio juris ac necessitatis") (cfr., amplius, Cass. Sez. Un. 21095 del 2004 […]”. Lo stesso concetto è ribadito del decreto “gemello” del 28/07/06.
            Si ricordi che la S.C. in questa ultima citata sentenza ha parlato,evidenziandola, di vero e propria “ribellione” (v. Maffeis op. cit.) del cliente sottoposto per secoli a soprusi da parte delle banche che agivano a pro loro e non di certo in condizione di reciprocità, essendo chiaramente e visibilmente sbilanciato il principio di equilibrio del sinallagma e di pari potere contrattuale.
            Il tutto ciò trova conferma in Trib. Gr. 03/07/06 che ribadisce come: “[…] nel caso di specie, le clausole contrattuali che disciplinano la capitalizzazione trimestrale a favore della banca ed a favore del correntista non rispettano affatto la suddetta condizione di reciprocità. 
            Infatti come si è già evidenziato, il tasso sul conto in passivo, pattuito al 6,75% nominale annuo, accresce al 6,923% effettivo su base annua a seguito della capitalizzazione trimestrale.
Invece, il tasso sul conto in attivo, pari allo 0,125% nominale annuo, non ottiene alcun incremento a seguito di capitalizzazione trimestrale, poiché nello stesso contratto è previsto che per quanto riguarda eventuali saldi creditori del correntista “verrà applicato un tasso pari allo 0,125% corrispondente allo 0,125% (sic) su base annua a seguito di capitalizzazione trimestrale”. A ben vedere la capitalizzazione, in tal caso, non apporta alcun incremento, diversamente da quanto previsto a favore della banca […]”.
            È chiaro che questo comportamento delle banche, come evidenziato nei decreti de quo, è in aperta violazione oltre che dei sopra richiamati obblighi di correttezza, trasparenza contrattuale, chiarezza (v. sito www.pattichiari.it e Milizia Giulia “Obbligo di trasparenza e nullità del contratto bancario da “May way” a “4you” passando dalla tutela del consumatore” in D&G online 10/02/06).
            Oltre a questo comportamento doloso, in alcuni casi, al limite dell’usura, le banche hanno sempre leso il diritto di difesa ed al contraddittorio dell’utente rifiutandosi, direttamente o indirettamente, come nel caso in specie di presentare in giudizio o fornire al cliente l’estratto conto, dal quale si evincano non solo i movimenti in entrata ed in uscita, ma anche i vari tassi d’interesse e la loro frequenza di applicazione.
 
4. ONERE DELLA PROVA ED INESIGIBILITÀ DEL CREDITO:
 
            Si ricordi che in base all’art. 2697 cc, essendo in presenza di un tipico contratto di “uso piazza” spetta alla banca e non al cliente l’onere di provare l’esistenza del credito e non al cliente dimostrare l’illegittimità degli interessi anatocistica, tanto più la produzione degli estratti conto.
            Infatti ex art. 640 cpc chi richiede l’assegnazione coatta di un credito (decreto ingiuntivo) deve dimostrane l’esigibilità, la liquidità e certezza delle somme vantate.
            Infatti come evidenza Tanza nella nota a commento al Trib. Lecce sez. I civ. n. 422/06 “il presunto saldo iniziale si fonda, dunque, su una serie di voci illegittime e, pertanto, in mancanza di produzione (colposa o dolosa) da parte della banca non può ritenersi certo, liquido ed esigibile.
L’assenza di qualsivoglia giustificazione del saldo iniziale debitore genera la necessità di dover partire da un saldo pari a “0”, non potendo la banca provare un saldo iniziale differente veritiero, ovvero non viziato da illegittimi interessi ultralegali uso piazza, da inesistenti e mai pattuite cms, giorni valuta, spese ed illegittimo anatocismo trimestrale” (D&G online del 08/04/06, v. anche medesimo autore nota sulla soppressione delle commissioni massimo scoperto del 08/07/06).
Ergo spetta alla banca tramite contratti di conto corrente, estratti conto e similia dimostrare la bontà delle proprie pretese. Si ricordi che le banche hanno l’obbligo di conservare queste informazioni, microfilm, archivi informatici per diversi anni ed inoltre, con l’entrata la recente nascita dell’anagrafe tributaria sono obbligate a fornire tali dati ogniqualvolta vengano richiesti dalle competenti autorità, anche in delega della legge sulla privacy.
Come detto per lo più il saldo iniziale “è viziato poiché deriva da un contratto le cui clausole economiche sono inficiate da interessi ultralegali uso piazza, commissioni di massimo scoperto, giorni valuta fittizi, anatocismo trimestrale e spese illegittime sommatesi dalla prima operazione sino alla chiusura del conto”, perciò è nullo (v. Tribb. Pescara 03/06/05, Lecce ord. 19/04/05 e CDA Lecce 19/04/04).
Il saldo finale, invece, come previsto dalla giurisprudenza costante sopra citata e S.C. 2262/84, prevede che sia ed abbia il valore di quello maturato alla chiusura del conto e che da quel momento (CDA Lecce 22/10/01, Cass. nn 9295/93,161/98 e 802/99) oppure secondo un altro orientamento sempre più maggioritario dal momento della domanda giudiziale, decorre il termine decennale di prescrizione (v. amplius Cotugno, De Gioia, Maffeis opp. citt.)
Si ricordi che la S.C. n.3845/99 e la giurisprudenza di merito (ex multis Tribb. Roma 24/01/01 e 28/03/01, To 10/02/03) considera inammissibile l’applicazione dell’anatocismo dopo la chiusura del conto, poiché gli interessi di cui agli usi bancari accertati su base nazionale hanno valenza compensativa e non moratoria come quelli dovuti sul saldo finale del conto.
Inoltre su tale chiusura non può trovare applicazione il meccanismo di chiusura contabile trimestralizzata, su cui poggia il proprio fondamento l’anatocismo, ma si deve applicare la disciplina delle obbligazione pecuniarie ex artt. 1224, 1283 e 1284 cc.
Per concludere la pronuncia del Trib. Gr introduce una “novità”, che mette fine alle dispute sull’interpretazione dell’art. 1283 cc e sulla sua applicabilità a questa normativa.
Il decreto evidenza che:“[…] infatti, premesso che sussiste certamente il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità della clausola che prevede l’anatocismo in violazione delle norme di legge e che tale nullità può essere rilevata in qualsiasi stato e grado del giudizio (cfr. Cass. Sez. Un. 21095 del 2004), risulta accertata per i motivi sopra esposti – la nullità della clausola in discussione, dovendosi escludere perciò il diritto della banca di richiede gli interessi anatocistici.
          In tale contesto, l’esatta quantificazione della entità del credito vantato a titolo di interessi anatocistici sarebbe stata essenziale ai fini dell’adozione del decreto, posto che, nel caso in specie, la decadenza dal beneficio del termine è motivata appunto per il mancato pagamento degli interessi convenzionali […]”.
Le banche, in base alla tesi sopra esposta, considerando le NUB usi normativi ricompresi in quelli ex art. 1283 cc hanno eccepito il principio del “iura novit curia” e della censurabilità delle stesse, perciò, solo in Cassazione (v. E. Del Prato, “Fonti ed usi legali”, in riv.dir.civ. 2002 pag. 515), poiché queste convenzioni, norme secondarie, operano praeter legem e non possono derogare quelle dispositive al contrario degli usi negoziali, che possono discostarsi dalle norme pattuite e si risolvono in una mera questione di merito, dal momento che occorre allegare la prova della loro esistenza.
I decreti di cui sopra, allineandosi con la giurisprudenza costante, considerano tali clausole come meri usi negoziali, illegittimi perché vessatori e contrari ai principi base della contrattazione, come sinora esposto.
Inoltre, mentre la nullità delle clausole anatocistiche per violazione degli obblighi contrattuali, inesistenze del credito e similia deve essere eccepita dalla controparte nella prima difesa utile, cioè all’atto dell’opposizione, come sembra dedursi nel caso in specie, ex L. 80/05 e successive modifiche, quella per violazione di legge o per contrarietà all’ordine pubblico, come in questo frangente, o al c.d. buoncostume, è sempre rilevabile d’ufficio, ergo in qualsiasi fase del processo.
 
 5. RIFLESSIONI CONCLUSIVE:
 
Anche questo provvedimento dimostra come la normativa anti-anatocismo continui ad essere elusa da alcune banche, che pur avrebbero l’obbligo di applicarla e di rispettarla.
Infatti malgrado le numerose condanne gli istituti finanziari in molti casi perseverano nei loro atteggiamenti illegali.
Da tutto ciò si evince anche un’altra grave violazione perpetuata dagli istituti di credito: obbligo di trasparenza e chiarezza nell’informazione, infrazione che, a dire il vero, commettono con fin troppa frequenza, come, mi si consenta la citazione, ho avuto di rilevare anche in altri settori creditizi (contratti di vendita dei prodotti finanziari, pensioni integrative e similia, v. Milizia, op. cit.).
Mi meraviglia che una tale recidiva sinora non sia stata adeguatamente punita e che non vi sia stato nessun intervento né governativo, soprattutto alla luce anche di altri recenti scandali (v. bancopoli), né dell’Antitrust, in quanto è chiaro, visto il comportamento illecito diffuso tra diversi istituti di credito, debba esser sanzionato, poiché dà vita a cartelli che falsano il mercato e soprattutto ad atteggiamenti in danno dell’utente, quali l’applicazione di tassi di debito notevolmente più alti di quelli di credito, come nel nostro caso.
 Si ricordino, invece, gli interventi di condanna del Garante della Privacy (newsletter 190/03 e pronuncia del luglio 2005, Cotugno  De Gioia op. cit. appendice giurisprudenziale).
È, infatti, strano che iniziative di condanna al pagamento di penali, abbastanza alte, per il mancato adempimento agli ordini del giudice (ricalcalo interessi, esibizione documenti etc.) debbano essere comminate dall’autorità giudicante (v. sentenza Trib. Pa del 2006 cit.), anziché dello stato oltre che tramite le autorità sopra indicate anche attraverso il Cicr.
Auspico oltre ad un ulteriore massiccio intervento delle associazioni dei consumatori, cui si devono alcune delle più interessanti e recenti massime giurisprudenziali, in direzione della sensibilizzazione degli utenti, anche con campagne pubblicitarie ad hoc ai propri diritti e doveri e, soprattutto all’esplicazione, in forma chiara ed intelleggibile anche da chi possegga poca cultura, di cosa sia l’anatocismo e di come si combatta.
Per finire si ricordi che già dal 2004 è possibile che anche i singoli cittadini si coalizzino, anche senza l’appoggio delle associazioni dei consumatori, e propongano contro le banche delle azioni collettive, simili a quelle americane, ed espressamente previste per contratti standards stabiliti unilateralmente da un contraente in danno dell’altro, come in questo caso (v. anche legge di conversione del c.d. Decreto Bersani). Attualmente non è stata approvata la disciplina della class action e solo le associazioni di tutela dei consumatori possono esperirle.
Il tutto con un ovvio risparmio economico.
In limine si noti, come denunciato anche da alcune associazione di consumatori, che i tassi d’interesse sono sia passivi che attivi, ma sinora quelli ad essere sempre pagati a caro prezzo dagli utenti sono solo quelli attivi a favore delle banche.
Infatti, come sottolineato a chiare lettere nelle pronunce in questione, a parità di variazioni dei tassi d’interesse fissati per legge, ogni volta che il prezzo del denaro diminuiva, ergo gli interessi a favore degli investitori avrebbero dovuto aumentare, ciò non avveniva ed in alcuni casi continua ad non avvenire ed i tassi a favore del cliente non diminuivano (v. mutui, prestiti e similia).
Quando, viceversa , aumentava regolarmente e di conseguenza aumentavano i tassi a favore delle banche automaticamente gli interessi sui capitali e similia dei consumatori erano corretti al rialzo.
Pochi utenti sanno che è loro diritto in questi casi recarsi presso i loro istituti di credito e farsi diminuire i tassi “a debito”ed aumentare gli interessi a loro favore ed eventualmente farsi rimborsare le spettanze sino allora maturate, sì che alcune banche finiscono per arricchirsi anche per queste lacune. Sia ben chiaro queste operazioni dovrebbero essere fatte automaticamente dagli istituti finanziari, ma non sempre ciò avviene.
È bene, come ho ripetuto più volte, che il cittadino prenda coscienza dei propri diritti per poter contrastare i vari soprusi cui è soggetto, perché non c’è miglior difensore dei propri interessi di se stesso.
 
Giulia Milizia, Foro di Grosseto.

Dott.ssa Milizia Giulia

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