La traduzione dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari.

Pavone Mario 27/04/06
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La traduzione degli atti processuali è,ancora una volta,oggetto di una innovativa quanto rilevante decisione della Suprema Corte che ha stabilito che anche l’avviso di conclusione delle indagini preliminari deve essere tradotto, a pena di nullità,se l’indagato non comprende la lingua italiana.(1)
La Corte di Cassazione ha,infatti,affermato,nel pregevole provvedimento,che l’omessa traduzione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari destinato all’indagato che non comprende la lingua italiana,ne determina la nullità d’ordine generale ed a regime intermedio,che si riverbera anche sulla conseguente richiesta di rinvio a giudizio.
Tuttavia,secondo la stessa decisione,tale nullità può essere sanata, a norma dell’art.183,comma 1 lett. a), Cpp,dall’acquiescenza prestata dall’imputato con la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato.
La decisione appare,invero,innovativa e destinata a modificare il precedente orientamento della stessa Suprema Corte(2) che aveva ritenuto,in una ipotesi simile,come "in conformità sia del dettato costituzionale,sia dell’articolo 6, lettera e), della Convenzione europea dei diritti dell’uomo 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848, il diritto di difesa nei confronti dell’imputato straniero alloglotta,fosse assicurato dall’assistenza dell’interprete solo limitatamente agli atti orali,dovendosi escliudere l’obbligo di traduzione degli atti processuali nella sua lingua ma dre,in virtù della regola generale sancita dall’articolo 109, comma 1, Cpp, e con l’unica eccezione costituita dall’articolo 169, comma 3,dello stesso codice,che riguarda la traduzione dell’invito,notifi-cato all’imputato residente all’estero,a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato”.
La Corte aveva,in conseguenza,rigettato con il provvedimento il ricorso del cittadino straniero che aveva dedotto la nullità del giudizio per difetto di traduzione nella sua lingua di tutti gli atti del procedimento, compre so anche l’atto di appello del P.M.(3).
Con la stessa decisione,inoltre,la Corte aveva disatteso il contenuto di altre sentenze emesse dallo stesso consesso,anche a Sezioni Unite(4),non avendo le stesse risolto esplicitamente la questione della obbligatorietà o meno della traduzione degli atti del processo all’imputato alloglotta osservandoche anche "l’interpretazione data dalla Corte Costituzionale all’articolo 143 del Codice di Rito,con la sentenza interpretativa di rigetto numero 10 del 19 gennaio 1993, non aveva sopito, in sede di legittimità, il contrasto tra le opposte tesi".
Sul punto,la S.C. aveva,ancora,osservato che,se “ratio” della citata decisione era stata quella di consentire una piena consapevolezza dell’accusa, quale cristallizzata negli atti evocativi del giudizio,tanto portava ad escludere dall’obbligo di traduzione sia l’avviso previsto dall’articolo 415 bis Cpp,sia l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, siccome atti propedeutici a tale cristallizzazione.
Occorre,peraltro,ricordare come le Sezioni Unite,sempre in relazione all’obbligo di traduzione degli atti processuali riguardanti il cittadino straniero,abbiano,più di recente,stabilito che l’ordinanza che dispone una misura cautelare nei confronti di uno straniero che non conosca la lingua italiana debba essere tradotta, a pena di nullità, in una lingua a lui nota.(5)
Con la fondamentale sentenza,le S.U.hanno,di fatto,risolto un analogo contrasto giurispruden- ziale,come quello innanzi segnalato,tra diverse sezioni della Suprema Corte in relazione alla traduzione della ordinanza custodiale.
In alcune decisioni,infatti,era stata affermata la inesistenza di alcun obbligo di traduzione dell’ordi- nanza di custodia cautelare in base al rilievo che, nel caso l’indagato non conoscesse la lingua italiana,«la tutela dello stesso fosse assicurata dall’adempimento dell’obbligo, previsto dall’art. 94, comma 1 bis, disp. att. c.p.p., a carico del direttore dell’istituto penitenziario di accertare, anche con l’ausilio di un interprete, che l’interessato avesse precisa conoscenza del provvedimento che ne disponesse la custodia e di illustrargliene, ove occorresse, i contenuti».(6)
Le Sezioni Unite avevano,per contro,aderito all’opposto indirizzo giurisprudenziale derivante dalla combinata lettura della sentenza della Corte costituzionale n.10/1993,nella quale era stato affer- mato in maniera esplicita come il diritto all’interprete di cui all’art. 143 C p p ,comprendesse il diritto alla traduzione del decreto di citazione a giudizio in tutti i suoi elementi, e dell’art. 292 dello stesso codice,concernente l’elenco di una serie di elementi che l’ordinanza cautelare deve enunciare a pena di nullità,ed avevano così stabilito che anche quest’ultimo provvedimento deve recare la tra duzione in lingua nota al destinatario, ove il provvedimento custodiale sia emesso nei confronti di straniero alloglotta.
In base a tali principi, le S.U. avevano ritenuto come “anche l’ordinanza custodiale, alla pari del decreto di citazione a giudizio,deve considerarsi un atto dal quale l’indagato straniero che non comprenda la lingua italiana può essere pregiudicato nel suo diritto di partecipare al processo libero nella persona, in quanto, non comprendendo il relativo contenuto, non è posto in grado di valutare né quali siano gli indizi ritenuti a suo carico, né se sussistano o meno i presupposti per procedere alla impugnazione dell’ordinanza, a norma dell’art. 292, comma 2, c.p.p.»(7).
Le Sezioni Unite avevano,in effetti,mutuato alcuni principi fondamentali già enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza 10/1993 tra cui vanno annoverati:
– il diritto dell’imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informato, nella lingua da lui conosciuta, della natura e dei motivi dell’imputazione contestatagli deve essere considerato un diritto soggettivo perfetto;
– il diritto inviolabile alla difesa (art. 24, comma secondo, della Costituzione)che,essendo un diritto correlato al riconoscimento costituzionale, a favore di ogni persona, cittadina o straniera, obbliga il giudice ad interpretare le norme che garantiscono i diritti di difesa in ordine alla esatta comprensione dell’accusa, in modo espansivo, al fine di rendere concreto ed effettivo, nei limiti del possibile il sopra indicato diritto dell’imputato;
-il sistema tracciato dall’art. 143 c.p.p. che – nel definire significativamente il contenuto dell’attività dell’interprete in dipendenza della finalità generale di garantire all’imputato che non intende la lingua italiana di comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa – concepisce la figura dell’interprete, innovativamente rispetto al codice previgente, in funzione del diritto di difesa, quale strumento di reale partecipazione dell’imputato al processo attraverso l’effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento dello stesso;
– una interpretazione estensiva dell’art 143 c.p.p. a tutte le ipotesi in cui l’imputato, ove non potesse giovarsi dell’ausilio dell’interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale poiché la norma assicura una garanzia essenziale al godimento di un diritto fondamentale di difesa,
– l’obbligo di procedere alla nomina dell’interprete o del traduttore immediatamente al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se in difetto di ciò, sia accertata dall’autorità procedente.
Nell’ottica della Corte delle Leggi,tali principi scaturivano dalla lettura della Legge Delega 16 febbraio 1987, n. 81, laddove,all’art.1, prevede che «il codice di procedura, penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate in Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale», come pure dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed,infine,dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, ricordando che l’art. 6, comma 3, lettera a), della Convenzione stabilisce che «ogni accusato ha diritto a essere informato, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico».
Il Patto contiene,pure,una norma pressoché identica,disponendo all’art 14, comma 3, lettera a), che «ogni individuo accusato di un reato ha il diritto, in posizione di piena uguaglianza, a essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in lingua a lui comprensibile della natura e dei motivi dell’accusa a lui rivolta».
Inoltre, sia la Convenzione sia il Patto prevedono espressamente che «ogni persona che venga arrestata deve essere informata al più presto possibile e in una lingua a lei comprensibile dei motivi dell’arresto e di ogni accusa elevata a suo carico» (art 5, comma 2, della Convenzione) e che «chiunque sia arrestato deve essere informato, al momento del suo arresto, dei motivi dell’arresto medesimo e deve al più presto avere notizia di qualsiasi accusa mossa contro di lui» (art 9 comma 2, del Patto).
Va,infine,ricordato che il diritto dell’indagato di essere posto in grado di comprendere, in una lingua che conosca, il contenuto degli atti è stato di recente riconosciuto dal nuovo art. 111 della Costituzione,che stabilisce che la legge assicura che «la persona accusata di un reato sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo» e non può dubitarsi che la norma trovi applicazione anche nel procedimento, in tutti i casi, cioè, in cui sia in questione, direttamente o indirettamente, la libertà personale.
Con la nuova sentenza in commento, la Suprema Corte,estende ora tali principi essenziali anche all’avviso di conclusione delle indagini preliminari benché la norma dell’art.415-bis,come afferma la stessa Corte, “non contenga espresse indicazioni in proposito”
Per invidivudra euna chiave di lettura appare necessario,quindi,fare riferimento alle disposizioni contenute negli artt.109 e 143 del Codice di Rito in cui, sebbene l’art.109 preveda al comma 1, l’obbligo di utilizzare a lingua italiana negli atti del procedimento,l’art.143,sempre al primo comma, garantisce all’imputato alloglotta l’assistenza gratuita di un interprete al fine di comprendere l’accusa contro di lui formulata e seguire il compimento degli atti a cui partecipa.
Da tale ultima disposizione si comprende – secondo la Corte- come il Codice di Rito non attribuisca rilevanza alla cittadinanza straniera dell’imputato ma al fatto che lo stesso non conosca la lingua italiana e da questo scaturisca il diritto alla traduzione degli atti processuali.
Inoltre,secondo la Suprema Corte,benché l’art.143 Cpp sembrerebbe limitare l’ambito di assistenza dell’interprete agli “atti orali” che vedono la partecipazione dell’imputato escludendo implicitamente un obbligo di traduzione di quelli formati dal giudice o dal pubblico ministero anche se vengano allo stesso comunicati,la norma vada interpretata in senso favorevole all’imputato sino a ricomprendere anche gli atti scritti allo stesso notficati, tra cui l’avviso ex art.415-bis..
Tale principio scaturirebbe,altresì,dalla lettura dell’art.109,comma 2 e dell’art.169 Cpp,che concer- ne il contenuto dell’invito spedito all’imputato straniero residente o dimorante all’estero,come pure   obblighi espressi di traduzione degli atti procedimentali si rinvengano anche nella normativa internazionale, come,ad es.,nell’art. XII dell’accordo integrativo in materia penale del 20/4/1959, stipulato tra l’Italia e la Svizzera il 10/9/1998 che prevede l’obbligo della traduzione degli atti notificati a persone residenti nei territori dei due Stati.
Anche la Suprema Corte ritiene la chiave interpretativa delle norme innanzi richiamate vada individuata nella decisione della Corte Cost. n.10/1993,che ha sancito in maniera palmare il diritto dell’imputato straniero di farsi assistere gratuitamente da un interprete e di ottenere la traduzione,in tutti i suoi elementi,dell’avviso relativo alla facoltà di richiedere il giudizio abbreviato ,del decreto di giudizio immediato e del decreto di citazione diretta a giudizio a pena di nullità,come stabilito in varie sentenze(8).
In conseguenza,la norma dell’art.143 del Codice di Rito, così come interpretata dalla Corte Costitu zionale,sarebbe destinata ad assicurare una garanzia essenziale al godimento dei diritti fonda mentali di difesa e conterrebbe dunque una clausola generale,di ampia applicazione,”destinata ad espandersi ed a specificarsi” di fronte al verificarsi delle varie esigenze concrete che lo richieda- no,quale che sia il tipo di atto a cui l’imputato debba partecipare ovvero il genere di ausilio di cui lo stesso necessiti.
Benché in altre sentenze sia stata negata la configurabilità di un obbligo indiscriminato di traduzio ne degli atti, al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal Codice di rito (9),la Corte, aderendo alla impostazione della Corte Costituzionale,ritiene di poter affermare che l’obbligo di traduzione debba ricomprendere anche l’avviso di conclusione delle indagini preliminari posto che “l’atto è destinato ad informare l’indagato delle facoltà difensive riservategli dalla legge nella fase della chiusura delle indagini preliminari,il cui esercizio,per di più,è vincolato all’osservanza di un termine perentorio”(gg.20 dalla notifica-ndr).
In definitiva,secondo la Corte,all’avviso di conclusione delle indagini vanno collegati quei poteri partecipativi dell’imputato la cui possibilità di esercizio assume un ruolo scriminante fra atti a traduzione necessaria ed atti residui.
Secondo la decisione in commento, anche le stesse Sezioni Unite,in una recente decisione (10), avrebbero condiviso tale impostazione,sostenendo come l’art.143 Cpp trovi applicazione in tutte le ipotesi in cui l’indagato,ove non possa giovarsi dell’ausilio di un interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del procedimento.
In conseguenza,l’omessa traduzione dell’avviso di conclusione delle indagini determinerebbe la nullità di ordine generale ex art.178 lett.c) Cpp,a regime intermedio,dello stesso provvedimento, nullità che si riverberebbe, inevitabilmente, anche sulla conseguente richiesta di rinvio a giudizio da cui è ontologicamente preceduto.
Nondimeno,la Corte ritiene nella decisione che tale nullità potrebbe essere sanata,a norma dello art.183 ,comma 1,lettera a) Cpp in caso di acquiescenza,espressa o tacita,prestata dall’imputato, specie a seguito della presentazione della richiesta di giudizio abbreviato.
La Corte giudicante ritiene,infatti,che la richiesta di giudizio abbreviato costituisca accettazione de gli effetti dell’atto a contenuto probatorio inficiato da nullità a regime intermedio o relativa ed abbia pertanto, efficacia sanante,in conformità di quanto statuito dalla stessa in precedenti decisioni(11).
Va, ancora sottolineato,che non è,tuttavia,sufficiente la traduzione dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari laddove l’imputato straniero risieda all’estero posto che tale avviso deve contenere, in conformità di quanto stabilito dall’art.169 Cpp,oltre alla indicazione della autorità che procede,il titolo del reato e la data e il luogo in cui è stato commesso,l`invito a dichiarare o eleg- gere domicilio nel territorio dello Stato oltre all’espresso avvertimento che se nel termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata non viene effettuata la dichiarazione o l`elezione di domicilio ovvero se la stessa è insufficiente o risulta inidonea, tutte le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore.
E’ quanto ha,acutamente,osservato il G.U. del Tribunale di Brindisi in relazione alla eccepita nullità da parte del difensore del decreto di citazione a giudizio emesso nei confronti di un imputato stra- niero residente all’estero e che è stata accolta dal valente magistrato che ha dichiarato la nullità della vocatio in jus sul presupposto che il PM aveva notificato all’imputato unicamente un avviso della conclusione delle indagini preliminari tradotto ma privo dei contenuti voluti dall’art.169 del Codice di Rito(12). 
La necessità della traduzione degli avvisi notificati all’imputato straniero è sata pure oggetto di una recente decisione della Corte delle Leggi,emessa in relazione alla mancata previsione dell’interpello dell’imputato, e dalla quale si evince chiaramente come tale obbligo sia implicitamen- te riaffermato nella motivazione “poiché l’ordinanza di remissione non riferisce se vi siano stati altri atti del processo e se l’imputato abbia eventualmente fruito dell’assistenza di un interprete (art. 143 Cpp)né le ragioni ostative per il giudice a quo all’interpello dell’imputato o all’accertamento, con altri mezzi, se questi conoscesse o meno la lingua italiana “(13)
Anche quest’ultima decisione,come quella in commento introduce un elemento di novità in relazio ne ad un più esteso riconoscimento di un effettivo diritto di difesa dell’imputato straniero posto di fronte alla formulazione della accusa,contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dalla quale intenda discolparsi attraverso l’esercizio delle facoltà difensive cui lo stesso abbia diritto.  
Si tratta di un notevole passo in avanti compiuto dalla Suprema Corte nella interpretazione della,invero carente,normativa sul tema contenuta nel Codice di Rito come pure nella auspicabile direzione della affermazione del principio dell’obbligo della traduzione di tutti gli atti processuali a carico del cittadino alloglotta connaturato con il considerevole aumento dei procedimenti penali a carico di imputati e detenuti stranieri nel nostro Paese,da sempre culla della civiltà e del diritto.
Ostuni, Aprile 2006
 
Mario Pavone
Presidente ANIMI
 
NOTE
(1)v. Cassazione Pen.,Sezione IV, sentenza n. 7664 del 03/03/2006
(2)v. Cassazione Penale, sez. II, sentenza n. 45645 del 25 novembre 2003
(3)v. Cass. pen., sez. II, 10 agosto 2000, Lu Hai e altri,
(4)v. Cass. Sezioni Unite 31 maggio 2000 n.12, JAKANI
(5)v. Cass. Sezioni Unite 9.2.2004 n.5052 con nota di commento dello stesso Autore in Altalex.it
(6)v. Cass., 5 maggio 1999, n. 2128;Cass., 10 maggio 2002, n 17829; 26 giugno 2000, n.3759
(7)v. in tal senso Cass.. 21 marzo 2002, n. 11598;Cass. 23 settembre 1999, n 4841;Cass. 8      settembre 1999, n. 1527
(8)v. Cass. Pen.Sez. IV, sentenza 5 Maggio 2004,Obwo.
(9) v.Cass. sentenza 10 Agosto 2000,cit.
(10)v.Cass.S.U. sentenza 24 Settembre 2003,Zalagaitis
(11)v.Cass. sentenza 8 Gennaio 2002,Marchegiani ;Cass.24 Febbraio 1998,Greco
(12)v.Ordinanza Trib.Brindisi G.U. De Angelis del 6/4/2006 ,proc. pen.T.A.,inedita
(13)v.Corte Cost., Ordinanza n.121 del 23 Maggio 2005
 

Pavone Mario

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