La testimonianza

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La testimonianza è la conseguenza di un percorso complesso che passa attraverso una serie di fasi successive nelle quali si inseriscono una serie di fonti di distorsione, di natura fisica e psicologica[1].
 
In essa s’innesta la straordinaria capacità che ha l’uomo di falsificare il ricordo, in maniera volontaria o incosciente (ad esempio attraverso i meccanismi di difesa).
 
La memoria, o più precisamente la funzione mnestica, non è un processo meccanico o automatico, stabile a parità di contenuti o classi di stimoli, ma è un processo legato a molti fattori, sia cognitivi che emotivi, e come un processo eminentemente attivo. Quindi si configura come un percorso di ricostruzione e concatenamento di tracce piuttosto che come un semplice immagazzinamento in uno statico spazio mentale.
 
Come insegnano i padri della psicologia giuridica, la testimonianza possiede sempre una parte di verità oggettiva e un’altra parte di costruzione soggettiva, che si unisce o si sovrappone alla parte oggettiva o vi si sostituisce, totalmente o parzialmente in maniera conscia o inconscia. Questi elementi devono essere verificati di caso in caso, in relazione al tipo di persona che testimonia e al suo coinvolgimento[2].
 
Va inoltre considerato il ruolo che il soggetto ha avuto nell’evento di cui ci si sta occupando, se egli è l’autore, la vittima o un testimone.
 
Per gli operatori di polizia e del diritto in genere, la conoscenza degli elementi basilari della psicologia della testimonianza consente di comprendere i limiti della percezione, le fonti di distorsione del ricordo, che possono generare inaffidabilità involontarie sino addirittura al falso ricordo ed inoltre gli elementi per evitare e per riconoscere le suggestioni più o meno involontarie del teste per valutare la sua deposizione sotto il profilo della:
 

1. Affidabilità, escludendo delle distorsioni della percezione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente percepito dai sensi e codificato nella memoria.

 2. Veridicità, escludendo delle manipolazioni della narrazione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente decodificato dalla memoria, questo può accadere:
 
–       Volontariamente, laddove il soggetto sia dolosamente menzognero o reticente, in questo caso l’atteggiamento del testimone o dell’imputato che non si avvalga della facoltà di non rispondere, è punito dall’ordinamento per il reato di falsa testimonianza o false dichiarazioni al PM.
 
–       Involontariamente, quando il fatto narrato è distorto per meccanismi psicologici di difesa, suggestioni, per effetto di condizionamenti o per incapacità permanenti o temporanee e per qualsiasi altra ragione che escludano una cosciente volontà. In questi casi il soggetto, sotto il profilo giuridico, non è responsabile, poiché i reati che puniscono il testimone reticente o mendace sono esclusivamente dolosi e non prevedono neanche la fattispecie dolosa o il reato tentato.
 
Nella parte precedente abbiamo affrontato il processo di memorizzazione e le sue fasi principali che abbiamo schematizzato in:
 
a)      Acquisizione e codificazione, recepimento dello stimolo e traduzione in rappresentazione interna stabile e registrabile in memoria.
 
b)      Ritenzione ed immagazzinamento, che è la fissazione dell’informazione e la conseguente ritenzione per un determinato lasso di tempo.
 
c)      Recupero Mnestico è la fase della riemersione a livello di consapevolezza del ricordo che, come ha spiegato Hermann Ebbinghaus, può avvenire attraverso due principali modalità:
 
–       Rievocazione, quando si richiama alla mente ciò che è stato appreso e immagazzinato.
 
–       Riconoscimento, quando si ricordare o s’identifica un determinato elemento, scegliendolo tra altri.
 
 
Le fonti di distorsione della testimonianza
 
Il processo testimoniale inizia sempre con una percezione (conoscenza e fissazione del fatto) e termina con una rievocazione espressiva del fatto stesso.
 
La percezione si basa sui sensi e quindi ne risente dei limiti e delle caratteristiche oggettive e soggettive degli organi sensoriali (vista, dito, tatto, temperatura, ecc.). Inoltre la percezione non è un processo meccanico ma un processo dinamico che passa le informazioni degli organi sensoriali attraverso i meccanismi della psiche del soggetto che testimonia e quindi ogni informazione sensoriale è comunque interpretata, in maniera più o meno cosciente.
 
Tra la fase della percezione e quella della rievocazione (il ricordo e la testimonianza) intercorre un periodo più o meno lungo di conservazione mnestica del ricordo dei fenomeni percepiti che può ulteriormente alterare ciò che è stato percepito, sia perché si perdono dettagli (oblio) ma anche perché l’esperienza può essere rielaborata dal soggetto e quindi interpretata o comunque filtrata attraverso i meccanismi della psiche del soggetto.
 
Le attività percettiva, mnestica ed espressiva sono quindi le funzioni psicologiche di base, costituenti il processo testimoniale.
 
II contenuto della deposizione deve essere considerato come qualcosa che non può mai essere pura riproduzione fotografica di un fatto obiettivo, ma è sempre il prodotto di una molteplicità di coefficienti: in parte soltanto dati dagli elementi di quel fatto obiettivo, ma in parte costituiti dalla natura stessa della personalità psichica del testimonio, e da tutti gli elementi esteriori che hanno agito nel passato e che attualmente agiscono sul testimonio stesso (Musatti)[3].
 
Ogni testimonianza è, pertanto, in misura più o meno cospicua, una deformazione della realtà.
 
 
L’influenza dell’età del soggetto sulla deposizione
 
Molti studi hanno dimostrato che le prestazioni della memoria migliorano con il passare degli anni fino al raggiungimento dell’età adulta e quindi, in teoria, la capacità testimoniale dei minori non dovrebbe essere del tutto sviluppata, tuttavia altri studi hanno dimostrato che se è vero che i minori ricordano meno degli adulti, in compenso, commettono meno errori di tipo intrusivo.
 
Secondo alcune ricerche i bambini fino a nove anni sono migliori testimoni di quelli più grandi e dei giovani adulti se per interrogarli si usa la tecnica del ricordo libero. In genere, sono più precise le descrizioni dei fatti e meno quelle delle persone mentre sono inattendibili le loro valutazioni dell’età.
 
Tuttavia bisogna tener presente che i minori sono estremamente suggestionabili e confondono facilmente elementi reali ed elementi immaginari, a causa della fortissima capacità immaginativa che, secondo Freud[4] e Piaget[5], mette seriamente in dubbio la capacità dei bambini di distinguere la realtà dalla fantasia.
 
                                      
I limiti fisiologici della percezione
 
La percezione è un momento cognitivo soggetto a molte variazioni ed interruzioni dovute sia alla quantità che alla complessità degli stimoli percettivi, dai limiti oggettivi e soggettivi degli organi sensoriale, dalla personalità psicologica del soggetto e da una serie d’altri fattori di distorsione.
 
Nella fisiologia della percezione si devono considerare innanzitutto quelli che Musatti[6] “fattori fisici di inadeguatezza percettiva”, le condizioni fisiche in cui il fatto si è svolto (luminosità, distanza, rapidità, ecc.), i limiti fisiologici degli organi sensoriali e le condizioni soggettive dell’osservatore, l’acuità sensoriale o eventuali deficit sensoriali, la stanchezza e l’età del teste per definire quanto e quando ostacolano o distorcono l’osservazione e la percezione (ad esempio i soggetti miopi hanno difficoltà ad osservare immagini lontane e questa difficoltà è accentuata di notte, i deficit uditivi generalmente colpiscono più frequentemente ed in misura maggiore le frequenze alte piuttosto che la percezione dei suoni bassi). definiva i
 
Affinché uno stimolo venga avvertito, deve avere un’intensità pari o superiore alla “soglia” percettiva, intesa come il confine che separa quello che possiamo percepire dagli stimoli da ciò che i nostri sensi non sono in grado di registrare (ad esempio da quale livello i nostri sensi riescono ad avvertire un suono o a distinguere le parole di un discorso, a distinguere una gradazione di colore, ecc.).
 
All’interno del range oggettivo tipico dell’organo sensoriale (ad esempio l’orecchio umano non percepisce comunque suoni al di sotto dei 20 hz. o al di sopra del 20.000 hz.), si registra una sensibilità soggettiva che definisce una soglia percettiva che varia da soggetto a soggetto, ma anche secondo i contesti ed i momenti, poiché dipende dall’attenzione, dal tono affettivo (cioè dalla nostra partecipazione emotiva).
 
In genere i limiti oggettivi e soggettivi e le fonti di distorsione della percezione sono rilevabili in modo obiettivo a posteriori, con la conseguente possibilità di tenerne conto nella valutazione della testimonianza.
 
 
Le distorsioni psicologiche nella percezione del testimone
 
Si dice comunemente che si guarda con la mente e non con gli occhi e questa frase sintetizza quanto il dato oggettivo sensitivo sia in realtà filtrato, interpretato e manipolato dalla psiche.
 
Nella visione “interpretata” e cosciente c’è di più di ciò che colpisce semplicemente il globo oculare, e questo di più è “l’organizzazione” che apporta la nostra mente: non dopo ma istantaneamente e senza che se ne sia quasi mai coscienti. Secondo la più recente filosofia della scienza,il semplice fatto del vedere è in realtà un’impresa “carica di teoria”: ciò che vediamo è sempre e soltanto ciò che le nostre ipotesi, le nostre idee preconcette, la nostra cultura di fondo ci predispongono e ci preparano a vedere.
 
I fattori psicologici sono legati all’atteggiamento assunto da ciascun soggetto all’atto della percezione, entrano sempre in azione e, a differenza dei limiti fisiologici, non sono determinabili obiettivamente a posteriori, poiché solo uno studio psicologico sul soggetto ci consente di valutarli correttamente e compiutamente.
 
Quindi le influenze psicologiche sulla percezione sono più pericolose e meno riconoscibili nella deposizione testimoniale.
 
E’ necessario quindi che tutti i soggetti coinvolti attivamente nella gestione della deposizione (forze di polizia, difensori, pubblici ministeri, ecc.) e non solo i tecnici ed i consulenti delle parti, abbiano una conoscenza delle fonti di distorsione della psiche umana per comprenderle e per tentare di ridurle o, perlomeno, per tenerne conto nella valutazione della testimonianza. 
 
Non è certo questa la sede per approfondire il vasto tema della percezione per tutto quanto concerne le leggi psicologiche generali del processo percettivo, ma si possono accennare alcuni fattori psicologici di maggiore importanza specifica per il processo testimoniale.
 
Innanzitutto è comune nei testimoni un generale fenomeno di semplificazione percettiva, come afferma Musatti[7], che provoca la riduzione delle varietà qualitative e quantitative degli elementi costituenti la scena.
 
Inoltre è rilevante il livello d’attenzione che il soggetto ha posto nei confronti della situazione oggetto della narrazione testimoniale, infatti, il soggetto poco attento percepisce male la scena e quindi la fissa male; d’altra parte, concentrare l’attenzione su un solo elemento di una scena complessa fa trascurare tutti gli altri elementi e li fa percepire confusamente. Non è possibile, in pratica, prestare attenzione contemporaneamente a più cose diverse.
 
L’esperienza passata che ha lasciato le sue tracce nella nostra memoria completa continuamente l’esperienza presente.
 
 
Gli atteggiamenti soggettivi nella percezione della realtà
 
Esistono differenze individuali nel bisogno di percepire le cose con chiarezza e precisione e esiste una relazione tra gli atteggiamenti sociali e la percezione di stimoli ambigui.
 
Gli atteggiamenti personali generano delle aspettative che, a loro volta, influenzano ciò che vediamo, facilitando un’interpretazione della realtà esterna in modo che risulti compatibile con le nostre credenze.
 
Il pregiudizio, a differenza del semplice concetto errato, resiste attivamente a qualsiasi controprova, al punto che si tende a liberare forti cariche emotive quando la mente avverte che un pregiudizio viene minacciato da pericolo di contraddizione.
 
È facile che una persona che ha certi pregiudizi interpreti in modo negativo i comportamenti che ricadono nel suo pregiudizio, ad esempio un senso di xenofobia porterà ad interpretare minacciosamente o negativamente i comportamenti di soggetti diversi per razza, etnia o semplicemente colore della pelle.
 
I soggetti che presentano un’intolleranza verso l’ambiguit‡, la dimostrano non solo negli atteggiamenti sociali, ma anche nelle risposte percettive.
 
La psicoanalisi ha fornito penetranti osservazioni anche sul modo in cui la personalità può distorcere sia le nostre percezioni degli altri che i rapporti sociali: i sentimenti che provocano angoscia e sensi di colpa vengono facilmente proiettati sugli altri.
 
Così attraverso la proiezione di sentimenti aggressivi si può arrivare ad interpretare come ostili e minacciosi comportamenti che in realtà non lo sono
 
 
La risoluzione delle dissonanze cognitive
 
Nei casi in cui un individuo ha rappresentazioni cognitive coerenti l’una con l’altra, egli si trova in uno stato interno d’equilibrio, che Festinger ha definito di consonanza, viceversa quando più percezioni della realtà sono contrastanti si genera una condizione di dissonanza, che spinge la parte inconscia a superare rapidamente questa condizione destabilizzante.
 
Ad esempio un soggetto che è un convinto assertore del rispetto delle regole e nei fatti le viola, chi critica l’inciviltà sulla strada ma parcheggia in doppia fila.
 
La dissonanza può essere ridotta in vari modi: modificando il comportamento (ad esempio rispettando tutte le norme), oppure modificando la rappresentazione (cambiando opinione oppure giustificandosi, con riflessioni del tipo “poiché in questa città non costruiscono parcheggi si è costretti a sostare dove capita”).
 
 
La valutazione processuale della testimonianza
 
Con l’introduzione del nuovo Codice di Procedura Penale del 1988, e l’abbandono del vecchio sistema inquisitorio a favore del nuovo modello accusatorio, la prova testimoniale ha assunto un ruolo ancora più centrale nell’intero processo.
 
Le implicazioni di queste fonti di distorsione devono essere attentamente considerate e verificate caso per caso, in relazione alla persona che testimonia e al suo coinvolgimento, per valutare le distorsioni sull’attendibilità e sulla completezza della testimonianza, per comprendere che cosa accade nella mente di un soggetto che ricorda episodi cui ha assistito, o di cui è stato attore.
 
Per questo motivo ogni testimonianza deve essere letta in un quadro più ampio, come fonte per la ricostruzione storica dei fatti, ma non come unico elemento sul quale basare le indagini o l’esito del processo, attivando una serie di riscontri e verifiche incrociate, affinché la testimonianza possa essere confermata da altre risultanze o che sia essa a confermare altre prove e non costituire l’unico elemento fondante del giudizio.
 
 
Massimiliano Mancini
Coordinatore del sito www.poliziaminorile.it, docente e consulente nelle materie giuridiche e criminologiche
 


[1] G.Gulotta, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, Giuffrè, Milano,1986.
 
[2] E. Altavilla, Trattato di psicologia giudiziaria, Torino, Utet, 1948; C. Musatti, Elementi di psicologia della testimonianza, Cedam, Padova, 1931.
 
[3] C.L..Musatti,: Elementi di psicologia della testimonianza, CEDAM, Padova, 1931.
[4] S.Freud, Gesammelte Werke, Standard Edition, London, 1966 nella traduzione Italiana S. Freud, Opere, 12 volumi, Boringhieri, Torino, 1966-1980.
[5] J. Piaget, La naissance de l’intelligence chez l’enfant, Alcan, Paris, 1926.
[6] C.Musatti,: Elementi di psicologia della testimonianza, citato.
[7] C.Musatti,: Elementi di psicologia della testimonianza, citato.

Mancini Massimiliano

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