La testimonianza nell’ordinamento civile

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La testimonianza è uno dei mezzi di prova che consiste nella dichiarazione resa da un soggetto su fatti dei quali abbia avuto conoscenza e che sono oggetto del giudizio in corso, ad esso ricollegabili oppure che rilevano ai fini processuali.

Il soggetto che rende la dichiarazione è detto in modo indifferente testimone o teste.

Il primo di questi due vocaboli, testimone, può avere però anche un’altra accezione in ambito giuridico, denotando anche il soggetto che assiste alla formazione di un atto giuridico, ad esempio un atto pubblico, a scopo di futura prova, il cosiddetto testimone ab actum oppure strumentale.

Nel diritto italiano la testimonianza è un istituto processuale dei rami civile e penale.

Nel primo è prevista e disciplinata dagli articoli 2721 e e seguenti del codice civile e 244 e seguenti del codice di procedura civile.

Nel secondo dagli articoli 194 e seguenti del codice di procedura penale.

Testimoniare rappresenta un dovere e non una facoltà.

Non ci si può sottrarre senza incorrere in un’apposita sanzione.

Esiste un insieme ristretto di reati per i quali la legge dispone l’obbligo di denuncia che è legato all’obbligo di testimoniare la conoscenza di un fatto.

La concreta possibilità di testimoniare è subordinata anche alle facoltà di memoria e allo stato di salute psichica e fisica delle persone convocate a testimoniare.

La testimonianza diretta

La testimonianza di maggiore valore probatorio e rilevanza nel procedimento penale è quella diretta, in particolare se di tipo oculare.

La testimonianza indiretta

La testimonianza indiretta è utilizzata in via residuale per sopraggiunta impossibilità a deporre da parte del teste, oppure per palesi, conclamate e autocontradditorie dichiarazioni rese dal teste stesso davanti ai giudici di legittimità.

In questa casistica, la prova indiretta è adottata come fonte secondaria di un test probatorio rivolto a verificare l’ammissibilità oppure la veridicità di una prova diretta.

La testimonianza nel processo civile

La testimonianza, nel processo civile italiano, è un mezzo di prova che le parti in causa possono esperire per dimostrare l’accadimento di un fatto che costituisce il fondamento di un diritto che si intende fare valere (art. 2697 c.c.).

È prevista e disciplinata dagli articoli 2721 e seguenti del codice civile e dagli articoli 244 e seguenti del codice di procedura civile.

La disciplina

Come per ogni mezzo di prova non assumibile d’ufficio dal giudice, per l’ammissibilità delle prove testimoniali, nel giudizio ordinario si deve presentare la richiesta al giudice in contemporanea alla domanda dell’attore o alla comparsa di risposta del convenuto (artt. 163 e 167 c.p.c.).

È ammesso citare altri testimoni quando la controparte ne abbia citati a sua volta e in genere quando si tratta di fornire prova contraria (art 183 c.p.c.).

Nel processo del lavoro il principio della domanda è attenuato e il giudice può assumere prove testimoniali “senza particolari formalità” ammettendole nel processo anche se presentate nell’udienza di trattazione, sempre che le ritenga rilevanti e se non ne sia stato prima possibile l’esperimento (artt. 414 e 420 c.p.c.).

Perché la prova per testimoni sia ammissibile da parte del giudice, si devono osservare le disposizioni del codice civile, le quali di principio non ammettono la testimonianza per la prova di crediti, ma consentono al giudice di includerla, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza (art 2721 c.c.).

La stessa regola vale per la circostanza nella quale la prova per testimoni sia invocata per provare l’esistenza di un patto successivo, aggiunto o contrario a un documento, oppure allo scopo di dimostrare il pagamento o la remissione del debito da parte del creditore (art. 2726), mentre se il documento ha data non anteriore a quella del patto da provare la testimonianza è inammissibile (art. 2723 c.c.).

È possibile provare per testimoni il fatto di avere smarrito oppure distrutto il documento che costituiva prova a proprio favore, anche nel caso nel quale la legge obblighi la forma scritta.

Quando la legge richiede la forma scritta esclusivamente ai fini della prova di un fatto, la prova per testimoni può essere fornita anche nei casi in nei quali ci sia un principio di prova scritta, oppure ci sia stata l’impossibilità morale o materiale di procurarsi un documento scritto (art. 2724 c.c.).

Ad esempio, il mutuo erogato a un parente, che di solito non viene documentato.

Nel codice di procedura civile le forme della citazione di testimoni impongono alla parte di specificare nella richiesta le persone e i fatti sui quali si intende utilizzare la prova per testimoni, componendo una lista, che viene vagliata dal giudice istruttore, il quale la può sfoltire, eliminando le testimonianze sovrabbondanti oppure che la legge vieta (art. 244-245 c.p.c.).

Con sentenza 4 – 11 giugno 1975, n. 139 della Corte Costituzionale è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’articolo 247 del codie di proceduta civile, ed è venuto meno l’aprioristico divieto di testimonianza per il coniuge, i parenti oppure affini in linea retta e per coloro che sono legati a una delle parti da vincoli di affiliazione, lasciando al prudente apprezzamento del giudice la valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni rese.

La Corte Costituzionale con la sentenza 23 luglio 1974 n. 248, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il disposto all’articolo 247 del codice di procedura civile, per il quale è diventato possibile testimoniare per il coniuge, parenti e affini.

Resta fermo quello che prevede l’articolo 246 del codice di procedura civile, rubricato “incapacità a testimoniare”, nel quale si afferma che

Non possono essere assunte a testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”.

Si tratta del principio “nemo testis in causa propria”, in base al quale non si può assumere come teste la persona che ha un interesse nella causa.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. n. 11034 del 12/05/2006) si deve trattare di un interesse personale, concreto ed attuale che possa comportare la legittimazione principale a proporre l’azione oppure una legittimazione secondaria ad intervenire nello stesso giudizio.

Anche nel processo civile si applicano i diritti di astensione previsti nel codice di procedura penale di cui agli artt. 199, 200, 201 e 307 c.p.p.

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