La tassabilità del c.d. “premio fedeltà”: la regola e le eccezioni* Cassazione civile, sez. VI-T, ordinanza 03.12.2013 n° 27099

Basilio Antoci 07/02/14
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1. Premessa – 2. Il caso – 3. La soluzione della Cassazione – 4. Eccezioni – 5. Conclusioni

 

1.      Premessa

La scienza economica definisce “forza lavoro” l’insieme di tutti gli individui che, avendone i requisiti, decidono di offrire le proprie prestazioni lavorative in cambio di un corrispettivo. In tal senso, il tasso di partecipazione alla forza lavoro cresce in relazione all’aumentare dei benefici che si possono trarre dal lavoro, rispetto a quelli offerti dal tempo libero (D. Begg et al.; 205, 207). In poche parole, la scelta tra lavorare o meno è influenzata dalle prospettive che, il lavoro, offre in termini di benessere e status sociale. Proprio alla luce di queste elementari nozioni si spiega la non infrequente prassi, adottata da molte aziende, di incentivare i propri dipendenti, gratificando in concreto l’operato che essi svolgono. Un esempio, in tal senso, è dato dai c.d. “premi fedeltà” – che si sostanziano in attribuzioni patrimoniali aggiuntive, volte a fidelizzare il dipendente, stimolandolo al raggiungimento di nuovi traguardi.

Se il fine economico di tali benefici appare abbastanza chiaro, è necessario domandarsi se altrettanto scontato possa essere il loro inquadramento in termini giuridici. Si tratta di un problema di non poco momento, in quanto la natura giuridica di tali incentivi ha notevole rilevanza in campo tributario. Stabilire, infatti, se si tratti di mere liberalità o di vere e proprie remunerazioni per l’attività prestata, è il punto discriminante per quel che attiene la loro tassabilità.

L’ordinanza in commento rappresenta un punto fermo del filone giurisprudenziale sulla questione, in quanto dispone che «il cosiddetto “premio fedeltà” fa parte del reddito imponibile».

 

2.      Il caso

L’ordinanza in oggetto risolve il caso di un lavoratore che, giunto al venticinquesimo anno di servizio, riceve dall’azienda un premio fedeltà sul quale, l’Agenzia delle Entrate, opera le trattenute di legge. Dopo una prima istanza di rimborso, caduta nel silenzio rifiuto, il lavoratore ricorre alla Commissione Tributaria Centrale, la quale propende per la non assoggettabilità a tassazione del premio in oggetto e, dunque, per la illegittimità delle trattenute operate su di esso. L’Agenzia delle Entrate non accetta il verdetto e decide di proporre ricorso in sede di legittimità per violazione del d.P.R. n. 636 del 1972.

3.      La soluzione della Cassazione

La questione teorica si gioca, come anticipato in premessa, sulla qualificazione giuridica del beneficio ottenuto dal lavoratore e, nello specifico, se si possa trattare di una erogazione liberale o si debba invece considerare come una effettiva remunerazione commisurata alle prestazioni lavorative svolte.

La sezione VI-T della Cassazione accoglie, discostandosi dalla decisione di prime cure, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e argomenta partendo da un consolidato orientamento[1] secondo cui, l’art. 48 co. 1 d.P.R. 917/1986, trova la sua ragion d’essere nella finalità antielusiva perseguita dal legislatore. Secondo i giudici di legittimità, infatti, tale articolo suole evitare che «sotto forma di erogazioni liberali, vengano corrisposte al lavoratore somme che in realtà hanno natura di vero e proprio corrispettivo per l’attività svolta».

Sulla scorta di tale posizione è stato chiaramente affermato che «il cosiddetto “premio fedeltà” fa parte del reddito imponibile» e come tale va assoggettato a tassazione.

La sentenza impugnata è stata, dunque, cassata e il controricorso del lavoratore – avverso il silenzio rifiuto dell’A.d.E. – è stato rigettato.

 

4.      Eccezioni

Gli ermellini hanno fatto salva soltanto un’eccezione: la tassazione di un premio per il lavoratore potrebbe essere esclusa soltanto se, l’erogazione, possegga tanto il requisito della “eccezionalità”, quanto quello della “non ricorrenza”. Una liberalità è tale, per la Cassazione, quando risulti essere non soltanto eccezionale, in relazione al contesto in cui è posta in essere, bensì anche assolutamente slegata da qualsivoglia prassi dalla quale possa desumersi o ipotizzarsi una ciclicità o una ricorrenza prefissata.

Nell’ordinanza in commento si legge, appunto, che può «essere esclusa la tassabilità delle somme percepite solo se ricorrano i requisiti della eccezionalità e della non ricorrenza della erogazione liberale, effettuata a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti». Nel caso di specie, trattandosi di un premio erogato per il venticinquesimo anno di servizio, ci si trova al di fuori dei concetti di “eccezionalità” e “non ricorrenza”, «trattandosi di avvenimento naturale e prevedibile».

5.      Conclusioni

Riassumendo l’intero discorso può dirsi, in definitiva, che tutte le erogazioni non rientranti nel novero delle liberalità sono tassabili alla stregua di reddito imponibile. In tal senso, anche i premi per i lavoratori vanno considerati tali. Non basta, infatti, che rappresentino degli extra al normale emolumento ma, perché possano essere considerati esenti da imposizione, deve essere provata non soltanto la loro eccezionalità, bensì anche la loro non ricorrenza nel tempo – ossia devono essere privi di una ciclica ricorrenza (ciclicità che può essere sia determinata a priori, sia astrattamente determinabile).

 


[1] Cfr. Suprema Corte di Cassazione: Sez. V, Sentenza n. 13459 del 23/5/2008; Sez. V, Sentenza n. 22584 del 2007; Sez. V, Sentenza n. 20929 del 2007.

Basilio Antoci

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