La responsabilità extracontrattuale

Scarica PDF Stampa
La disciplina della responsabilità extracontrattuale, o responsabilità aquiliana, è prevista dall’articolo 2043 del codice civile.

Ha la sua origine in un plebiscito romano del III secolo a.C. denominato Lex Aquilia de damno (iniuria dato).

Divenne Lex in seguito alla Lex Hortensia del 286 a.C. che equiparò il plebiscitum alla lex, Aquilia perché promossa dal tribuno Caio Aquilio, de damno iniuria dato perché era rivolta a punire coloro che con un loro comportamento contrario al jus (iniuria), avessero arrecato (dato) un qualsiasi danno a beni appartenenti al soggetto interessato.

Introdusse nel diritto romano la responsabilità ex-delicto, del principio in virtù del quale la lesione di un diritto soggettivo assoluto (o “erga omnes”, cioè opponibile a chiunque, ad es. il diritto alla vita e quelli della persona, la proprietà e i diritti reali) obbliga l’autore della lesione a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali.

Il danno è risarcibile, in linea di principio, se l’autore ha agito con dolo o con colpa, quando l’evento è stato determinato in modo intenzionale (dolo) oppure si è verificato a causa di negligenza, imprudenza o imperizia oppure dell’inosservanza di norme.

Fondamento della responsabilità aquiliana è il principio di convivenza del neminem laedere, che corrisponde a quello (“non fare agli altri…”) presente nel pensiero orientale (Lao Tze) di un paio di secoli prima e, addirittura, nell’ancora più remoto Codice di Hammurabi, sino al successivo e forse più noto richiamo evangelico.

In quello fissato dal diritto romano i si afferma, in termini e con effetti meno filosofici e più giuridici, la responsabilità che ogni individuo si assume per qualsiasi danno arrecato agli altri a causa del proprio comportamento riprovevole (perché lesivo di un diritto altrui) o colpevole (perché direttamente voluto oppure frutto di una volontà “indiretta”, non sufficientemente cosciente, vigile o cauta).

Ed è su questa riprovevolezza e su questa colpevolezza che, per la legge Aquilia, così come per gli ordinamenti giuridici moderni, si giustifica la sanzione (il risarcimento del danno) diretta a ripristinare i diritti lesi ma anche a garantirne il rispetto.

Con una importante sentenza della Corte di Cassazione agli inizi degli anni settanta (“Caso Meroni”) questa esponsabilità venne estesa anche per fatti lesivi dei diritti soggettivi relativi (ad es. diritti di credito) e, in seguito, anche degli interessi soggettivi e delle posizioni o aspettative giuridiche tutelate dall’ordinamento.

Il dettato dell’articolo 2043 del codice civile individua il fondamento della responsabilità extracontrattuale in “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto”.

 

Vista la genericità dell’espressione, la disposizione menzionata è considerata dalla dottrina una sorta di clausola dell’ordinamento, realizzata attraverso la cosiddetta atipicità dell’illecito civile.

Sarà l’autorità giudiziaria, a decidere se, tenuto conto del divenire della società, con le sue mutevoli scale di valori ed esigenze, un determinato comportamento si può ritenere lesivo oppure non lesivo della regola base di convivenza pacifica appena vista, verificando, altresì, la sussistenza di tutti gli elementi strutturali individuati dall’articolo 2043 del codice civile.

 

Dal dettato letterale della norma emergono gli elementi fondamentali per fare sorgere la responsabilità extracontrattuale, il fatto illecito, il danno ingiusto, il nesso di causalità (giuridica e materiale) tra il fatto e il danno, la colpevolezza dell’agente e l’imputabilità del fatto lesivo.

 

Al ricorrere di ogni requisito legale, spetterà sempre al giudice quantificare l’ammontare dovuto, considerato che l’articolo 2059 del codice civile legittima il danneggiato a pretendere il risarcimento delle conseguenze negative, anche di tipo non patrimoniale.

 

Il primo elemento che caratterizza la responsabilità aquiliana è il fatto illecito, qualunque fatto, atto o comportamento umano doloso o colposo (tenuto con l’intenzione di nuocere oppure con imprudenza, disattenzione, imperizia) in grado di cagionare ad altri un danno ingiusto.

 

Nella nozione di fatto illecito possono farsi rientrare sia le condotte commissive sia omissive, purché riconducibili, secondo il nesso di causalità, all’evento dannoso ed esista un vero e proprio obbligo giuridico di impedire lo stesso.

 

Come affermato, a differenza dell’ordinamento penale dove vige la tipicità dei fatti illeciti, nell’ordinamento civile l’illecito è atipico, nel senso che ogni violazione del principio del neminem laedere in grado di provocare un danno ingiusto (corrispondente ad una lesione di un diritto o di un interesse protetto dall’ordinamento) ad altri va risarcita.

Spetterà al giudice individuare, di volta in volta, se un fatto, sulla base degli elementi strutturali individuati dall’articolo 2043 del codice civile, si può ritenere idoneo ad integrare la responsabilità aquiliana a norma dell’articolo 2043 del codice civile.

 

Non ogni fatto che possa arrecare danno genera l’obbligo del risarcimento, ma esclusivamente un danno “ingiusto”, in contrasto con un dovere giuridico.

 

L’interpretazione evolutiva di dottrina e giurisprudenza, ha ampliato negli anni la nozione di “ingiustizia del danno”, dilatando così i confini della responsabilità extracontrattuale, aldilà della funzione sanzionatoria della violazione dei precetti preesistenti nell’ordinamento giuridico, coincidente con la lesione dei diritti soggettivi assoluti, e ricomprendendovi (soprattutto attraverso l’individuazione dei valori essenziali stabiliti dalla Costituzione suscettibili di diventare situazioni soggettive protette) qualsiasi condotta colpevole di avere determinato un danno ingiusto a una posizione di interesse giuridicamente apprezzabile e meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, sia sotto il profilo del danno patrimoniale che non patrimoniale (lesione di un diritto di credito da parte di soggetto diverso del debitore, danno per l’uccisione di un soggetto, lesione dei valori esistenziali dell’individuo).

 

Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza, l’ingiustizia del danno va intesa nella duplice accezione di danno prodotto “non iure”, in assenza di cause giustificative del fatto dannoso, e “contra ius”, vale a dire lesivo di una posizione o di un interesse tutelati dall’ordinamento, giacchè entrambe, nella loro sintesi, sono espressione di quella valutazione “bifasica” di comparazione degli interessi del danneggiante e del danneggiato che porta alla qualificazione di un danno come ingiusto.

 

Il danno ingiusto è escluso se sussista una causa di giustificazione, come lo stato di necessità (ex art. 2045 c.c.) e la legittima difesa (ex art. 2044 c.c.).

Nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, un ruolo essenziale è rappresentato dal nesso di causalità.

Perché sorga in capo al soggetto agente l’obbligo del risarcimento del danno, è necessario che lo stesso sia causalmente riconducibile al fatto illecito, oppure che sussista un rapporto di causa-effetto tale che l’evento dannoso possa dirsi provocato dal fatto compiuto.

 

Ai fini dell’accertamento dell’insorgere dell’obbligazione risarcitoria, il nesso di causalità va esaminato sotto un duplice profilo.

Il profilo della causalità materiale, della sussistenza di un collegamento tra la condotta illecita e l’evento dannoso, e il profilo della causalità giuridica, dell’accertamento di un collegamento giuridico tra l’evento lesivo e le sue conseguenze dannose, allo scopo di delimitare il contenuto della stessa obbligazione risarcitoria.

 

In relazione alla causalità giuridica, l’articolo 1223 del codice civile (esteso alla responsabilità extracontrattuale dall’art. 2056 c.c.) stabilisce che il danno risarcibile deve essere la conseguenza diretta e immediata della condotta illecita, mentre per quanto concerne la causalità materiale, non vi è una precisa disposizione nel codice civile, per cui si fa riferimento alle teorie sviluppate in ambito penalistico (teoria della causalità adeguata; della sussunzione sotto leggi scientifiche o statistiche).

 

Ennesimo requisito dell’illecito aquiliano è quello della colpevolezza, del nesso psichico che ricollega la condotta all’agente.

 

Ai fini della configurazione della responsabilità extracontrattuale l’articolo 2043 del codice civile distingue, gli elementi della colpa e del dolo, senza fornire nessuna definizione.

 

A questo fine, ritornano utili le definizioni fornite dalla disciplina penalistica (ex art. 43 c.p.) secondo la quale l’evento doloso è quello previsto e voluto dal soggetto come conseguenza della propria azione o omissione; mentre l’evento colposo è quello non voluto dall’agente, previsto, che si verifica per negligenza, imprudenza e imperizia (c.d. colpa generica) per violazione di specifiche regole di condotta (c.d. colpa specifica).

 

Altro requisito per l’addebito della responsabilità extracontrattuale è l’imputabilità, ovvero la riconduzione della condotta colpevole ad un soggetto fornito di adeguata capacità di intendere e di volere,

 

Secondo l’articolo 2046 del codice civile., “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa”.

 

Ne deriva che, il soggetto incapace di autodeterminarsi consapevolmente non potrà essere sottoposto né a sanzione penale (ex art. 85 c.p.) né a responsabilità civile, né imputato per il risarcimento del danno arrecato a terzi.

 

A differenza della disciplina penale, che elenca tassativamente le cause in presenza delle quali un soggetto si debba ritenere incapace di intendere e di volere (vizio di mente, intossicazione da alcool) in ambito civilistico, il requisito di incapacità è più elastico e va valutato in concreto caso per caso dal giudice civile sulla base delle regole di comune esperienza, delle nozioni scientifiche fornite dagli esperti, correlando la sanzione al tipo di illecito, alla gravità del fatto e alla personalità del suo autore.

 

In campo civile, come affermato dalla giurisprudenza, l’incapacità di intendere e di volere del soggetto che ha contribuito a causare il fatto dannoso a norma dell’articolo 2046 del codice civile ne esclude l’imputabilità ma non priva di rilevanza giuridica tale contributo nella produzione dell’evento (così ad esempio in caso di concorso del danneggiato nell’evento lesivo, l’incapacità del soggetto agente comporta la riduzione proporzionale della responsabilità del danneggiato, che risponde soltanto nei limiti dell’incidenza causale della propria condotta).

 

A differenza della responsabilità contrattuale, nella quale per il danneggiato (creditore) è sufficiente dare conto del proprio diritto, dell’esigibilità della prestazione e della mancanza della stessa, mentre è il debitore ad essere gravato dell’onere di dimostrare di non aver potuto adempiere l’obbligazione per una causa a lui non imputabile (ex art. 1218 c.c.), nella responsabilità extracontrattuale è colui che agisce per ottenere il risarcimento a dover dimostrare non esclusivamente i fatti costitutivi della sua pretesa, ma anche la riconducibilità agli stessi del comportamento del convenuto ( il nesso causale).

 

Questo implica, come pacificamente accettato in giurisprudenza che, in presenza di un fatto qualificabile come illecito civile ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile incombe in capo alla parte danneggiata “l’onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva” .

 

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno determinato da fatto illecito “decorre dal momento in cui il danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile”.

 

È principio conformemente accettato in giurisprudenza quello secondo il quale, laddove “la percezione del danno non sia manifesta ed evidente, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, cosi come di quello dipendente da responsabilità contrattuale, sorge non dal momento nel quale il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, ma da quando la produzione del danno si manifesta all’esterno, diventando oggettivamente percepibile e riconoscibile”.

 

 

 

Dott.ssa Concas Alessandra

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento