La responsabilità del vettore nel trasporto in barca dei subacquei

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Nello svolgimento delle attività subacquee (siano esse realizzate con auto-respiratore oppure in apnea), capita sovente di raggiungere il luogo di immersione per mezzo di natanti od imbarcazioni. Il proposito della presente disamina è quello di comprendere, attraverso l’esame di due recenti sentenze della giurisprudenza di merito (Tribunale di Salerno, 13/2/2015, n. 677/15 e Tribunale di Rimini, 22/01/2016, n. 110), se la responsabilità del vettore nei trasporti per immersioni subacquee risulti aggravata dall’intento dei trasportati di svolgere immersioni, oppure se tale finalità risulti estranea al trasporto stesso.

 

Leggi la sentenza del Tribunale di Rimini n. 110/2016.

Leggi la sentenza del Tribunale di Salerno n. 677/2015.

 

Il primo caso (Tribunale di Salerno n. 677/15).

Tizio premetteva che in un giorno di ottobre del 2008, mentre si trovava in gita a Positano a bordo di una motobarca presa a noleggio con equipaggio per eseguire escursioni subacquee, scivolava nel dirigersi verso la poppa della barca a causa della presenza di acqua sul fondo e della mancanza di misure di sicurezza antiscivolo, riportando lesioni fisiche per le quali conveniva in giudizio il capitano e proprietario della barca per essere risarcito dei danni patiti.

Al fine di inquadrare correttamente la fattispecie giuridica corrispondente a quanto verificatosi, il Tribunale si premuniva di specificare che l’incidente prodottosi si era realizzato nella pratica di uno sport, quale le immersioni subacquee, da considerarsi “del tutto fuor di dubbio” alla stregua di un’attività intrinsecamente pericolosa e dunque sussumibile nella fattispecie della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2050 c.c.

Ritenuto provato il nesso causale da parte del danneggiato, dall’inquadramento giuridico di cui all’art. 2050 c.c. così individuato conseguiva che, nel caso di specie, il capitano, in qualità di convenuto in giudizio, avrebbe dovuto dimostrare di aver adottato tutte le misure offerte dalla tecnica e a propria disposizione, secondo le circostanze del caso, al fine di scongiurare l’evento dannoso patito da Tizio.

Più in particolare, al capitano non poteva bastare la dimostrazione di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o comunque di prudenza (c.d. prova negativa), ma avrebbe dovuto provare, sulla base delle circostanze di fatto che si presentavano al momento stesso del trasporto, di aver adottato ogni possibile misura preventiva, quale ad esempio la presenza a bordo di appositi sostegni, pavimentazione (o sovra pavimentazione) antisdrucciolo, avviso ai passeggeri di evitare gli spostamenti durante la navigazione, fissaggio ad hoc delle attrezzature sportive, predisposizione di personale di supporto ai trasportati (che nel caso specifico avrebbe tempestivamente potuto asciugare il guazzo sul quale avvenne la caduta), navigazione in condizione di massima sicurezza (con particolare attenzione alle previsioni meteo marine previste per tutta la durata dell’escursione) e quanto altro utile a scongiurare l’evento.

Stando alla pronuncia del Tribunale, dunque, il capitano avrebbe dovuto assolvere a siffatto gravoso onere probatorio in virtù della propria peculiare posizione di soggetto garante dell’incolumità altrui, in mancanza del quale l’evento dannoso patito da Tizio sarebbe risultato diretta conseguenza di un comportamento omissivo “qualificato” del capitano, vale a dire giuridicamente sanzionabile in quanto corrispondente ad una condotta incauta, per non aver adeguatamente tenuto conto del pericolo strettamente connesso all’attività esercitata.

In sostanza, dunque, al capitano non bastava provare la propria “normale diligenza”, ma avrebbe dovuto provare di aver operato il trasporto tenendo ben presente la pericolosità intrinseca del trasporto di persone realizzato con la finalità delle immersioni subacquee[1].

 

Il secondo caso (Tribunale di Rimini n. 677/15).

Nell’agosto del 2012 Sempronia partecipava ad un’immersione su un relitto a largo del porto di Rimini, a seguito della quale, nel viaggio di rientro in gommone, veniva sbalzata a terra dal tubolare del gommone ove sedeva a causa di un’onda presa a velocità eccessiva.

Sempronia ricadeva violentemente a terra riportando gravi lesioni personali, per le quali agiva in giudizio al fine di ottenerne il relativo risarcimento.

Il Tribunale di Rimini, diversamente da quanto affermato dal Tribunale di Salerno, inquadrava la fattispecie nell’ambito della responsabilità contrattuale, e precisamente dell’art. 1681 c.c., il quale, pur presentando una formulazione in parte analoga a quella dell’art. 2050 c.c. (“il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore (…) se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”), ha subito un’interpretazione giurisprudenziale meno rigorosa, che consente al vettore di dover provare la propria normale diligenza e di poter, di contro, pretendere un atteggiamento accorto anche dal soggetto trasportato.

Per consolidata giurisprudenza[2] formatasi in materia di trasporto, infatti, ai sensi del predetto art. 1681 e della (quasi[3]) speculare previsione dell’art. 409 cod. nav., in tema di trasporto di persone la presunzione di responsabilità posta a carico del vettore opera quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso e l’attività del vettore in esecuzione del trasporto, “restando viceversa esclusa quando è accertata la mancanza di una sua colpa, come quando il sinistro risulti, all’esito delle verifiche istruttorie processuali, attribuibile al fatto stesso del viaggiatore, dal quale il vettore ha ragione di pretendere un minimo di diligenza, prudenza e senso di responsabilità nella salvaguardia della propria incolumità” (Cass. 3285/2006).

Guardando al caso concreto attraverso la lente dell’art. 1681 c.c., il Tribunale di Rimini, ritenuto presunto il nesso causale, concentrava la propria attenzione sulla diligenza mostrata dal capitano e sulla condotta del passeggero.

Quanto alla prima, all’esito delle risultanze processuali (ed in particolare sulla base delle testimonianze assunte) il Tribunale concludeva nel senso di ritenere che la velocità tenuta dal capitano dell’imbarcazione era stata adeguata alle circostanze e che, inoltre, lo stesso aveva ammonito i passeggeri sui rischi della navigazione nelle sopravvenute avverse condizioni marine, consigliando agli stessi di non muoversi durante la navigazione e di tenersi ben saldi agli appositi sostegni presenti sul gommone, con ciò ritenendo dunque assolto l’onere della prova in merito alla sua normale diligenza.

Quanto alla condotta di Sempronia, il Tribunale riteneva che la stessa era risultata fortemente e gravemente incauta in quanto Ella, pur essendo esperta di immersioni con trasporto in gommone (avendo affermato di averne svolte almeno 20), non avrebbe ottemperato agli ordini impartiti dal capitano, muovendosi durante la navigazione e per ciò stesso causandosi autonomamente le lesioni conseguenti alla caduta.

All’esito del procedimento, pertanto, il Tribunale di Rimini rigettava la domanda di risarcimento di Sempronia.

 

Le sentenze a confronto.

I due casi esaminati attenevano entrambi a fattispecie di responsabilità nel trasporto in barca di subacquei dediti all’attività sportiva e, pur presentando notevoli somiglianze, sono stati risolti dalla giurisprudenza di merito in modo opposto e, soprattutto, attraverso l’inquadramento in fattispecie giuridiche diverse.

A parere dello scrivente l’interpretazione del Tribunale di Salerno appare forzare la fattispecie giuridica della responsabilità contrattuale effettivamente intercorsa nel caso esaminato (è indubbio, infatti, che tra il capitano della motobarca ed i passeggeri trasportati sussistesse un rapporto contrattale di tipo “misto”, composto dallo svolgimento dell’immersione in sé e dal trasporto ad essa finalizzato, a fronte del pagamento di un prezzo unitario che, tuttavia, teneva conto di entrambe le prestazioni erogate) per assicurare al danneggiato un regime probatorio di maggior favore, imponendo al capitano di dimostrare, ex post, di aver approntato ogni idonea cautela finalizzata allo scongiurare la realizzazione del danno effettivamente verificatosi, considerato prevedibile in ragione di una supposta pericolosità intrinseca dell’attività che doveva essere svolta (subacquea).

Orbene, a prescindere dalla querelle dottrinale e giurisprudenziale in merito alla qualificazione dell’attività subacquea alla stregua delle attività pericolose ex art. 2050 c.c., che invero non interessa ai fini della presente disamina, l’interpretazione del Tribunale di Salerno appare fuorviante sulla base della mera considerazione che l’incidente verificatosi non riguardava la pratica di tale attività, bensì l’essere scivolato su un guazzo in costanza di un trasporto in barca.

Appare evidente che la fattispecie realizzatasi ben avrebbe potuto verificarsi nell’ambito di un trasporto diverso da quello finalizzato all’attività subacquea, come ad esempio in merito ad un trasporto passeggeri per finalità di esplorazione turistica, oppure ai servizi di navigazione che assicurano i collegamenti con isole e arcipelaghi, con ciò non risultando dirimente la qualificazione dell’attività subacquea quale paradigma per il corretto inquadramento della fattispecie.

D’altro canto, la sentenza del Tribunale di Rimini, pur qualificando la responsabilità del capitano come contrattuale (e dunque ex art. 1681 c.c. e non ex art. 2050 c.c.), è comunque riuscita a gravare il vettore della prova dell’aver posto in essere ogni necessaria cautela al fine di evitare il verificarsi del danno (dando conto, in sentenza, della verifica svolta sulla velocità tenuta dal natante e sugli ordini di natura preventivo-cautelare impartiti dal capitano ai passeggeri), alleviandone tuttavia il relativo onere alla dimostrazione dell’impiego della “normale diligenza” di un professionista di tale settore.

Come visto, infatti, sebbene la formulazione dell’art. 1681 c.c. richiami alla mente la previsione dell’art. 2050 c.c., si differenzia dalla stessa sotto un duplice profilo: in primo luogo quanto all’onere probatorio relativo all’accertamento del nesso causale (a carico del danneggiato nell’ipotesi dell’art. 2050 c.c., laddove, invece, risulta presunto nell’articolazione della responsabilità contrattuale ex art. 1681 c.c.) ed in secondo luogo in merito all’approccio proattivo che deve essere dimostrato dal capitano della barca, chiamato a fornire la “prova positiva” di tutte le possibili cautele approntabili nell’ambito della responsabilità ex art. 2050 c.c. (non bastando la mera “prova negativa” del non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o comunque di prudenza), “prova positiva” che risulta invero attenuata nello schema dell’art. 1681 c.c. sia per la previsione della “normale diligenza” richiesta al vettore (sempre e comunque, come detto, commisurata all’attività professionale svolta, ex art. 1176 comma 2), sia per la speculare prudenza che legittimamente può essere attesa dal soggetto trasportato (Cass. 3285/2006).

Conclusioni.

Alla luce della analisi sopra svolta si ritiene che la finalità dei passeggeri trasportati di svolgere una peculiare attività sportiva (nel caso di specie quella subacquea) non sia idonea a mutare il connotato tipico della fattispecie giuridica della responsabilità contrattuale del vettore, soggetto alla disciplina di cui agli art. 1681 c.c. e 409 cod. navigazione.

 


[1] Da ultimo in senso conforme si segnala Cass. civ. 25/01/2017, n. 1931: “Per liberarsi dalla responsabilità prevista dall’art. 2050 c.c., non è sufficiente la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma è necessaria la dimostrazione di aver impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l’evento dannoso e quindi il pregiudizio per il danneggiato che può essere tanto patrimoniale, tanto non patrimoniale”.

[2] Cass. Civ. 15/2/2006 n. 3285, Cass. 14/11/2014 n. 24347, Cass. n. 13635/2001.

[3] Ai sensi dell’art. 409 cod. nav. il vettore è responsabile per i sinistri al passeggero, dipendenti da fatti verificatisi dall’inizio dell’imbarco sino al compimento dello sbarco, “se non prova che l’evento è derivato da causa a lui non imputabile”; tale formulazione appare invero più simile a quella della responsabilità del debitore di cui all’art. 1218 c.c., ove la responsabilità consegue alla mancata “prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Sentenza collegata

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Raffaele Parrella Vitale

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