La responsabilità del genitore di fatto per i danni commessi dai figli del coniuge

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Il genitore di fatto potrebbe essere ritenuto responsabile dei danni commessi dai figli del coniuge esclusivamente se svolge in modo effettivo un simile ruolo.

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I genitori di un bullo responsabili delle lesioni procurate dal figlio

La sentenza  n. 1754/2020 della Corte d’Appello di Bari va al passo con i tempi.

Siamo davanti a una controversia che vede protagonista un dodicenne aggredito da un ragazzo più grande.

La Corte conclude che il genitore di fatto non può essere chiamato a rispondere del comportamento del bullo se non lo ha mai accettato e nei suoi confronti non ha mai ricoperto il ruolo di padre.

Ritorniamo indietro nel temo per ricostruire l’accaduto.

La vicenda ha inizio quando due genitori che esercitano la potestà, a norma dell’articolo 2048 del codice civile, decidono di agire in giudizio per ottenere la condanna al risarcimento dei danni subiti dal figlio, dei genitori di un minore.

Mentre il primo era intento a giocare con alcuni amici, il secondo, più grande di età, si avvicinò, sferrandogli una ginocchiata nei genitali e procurandogli lesioni con postumi permanenti del 7, 8%. Il Tribunale, da parte sua, aveva respinto la domanda.

 

L’aggredito diventa maggiorenne e ricorre in appello

Il danneggiato, nel frattempo, diventa maggiorenne, ricorre in appello e chiede la condanna dei genitori a norma dell’articolo 2048 del cidice civile per culpa in vigilando e in educando o, in subordine, ai sensi dell’articolo 2047 del codice civile.

La madre dell’aggressore si costituisce in giudizio, ma eccepisce la propria legittimazione passiva perché il figlio nel frattempo è diventato maggiorenne e chiede il rigetto dell’appello.

Un difetto di legittimazione che la Corte d’Appello respinge, perché la domanda dell’attore si fonda sulla responsabilità genitoriale a norma dell’articolo 2048 d per il fatto illecito compiuto all’epoca dei fatti dal figlio minore.

Con lo studio della sentenza di primo grado , la Corte rilevava che il Tribunale ha concluso per l’inquadramento dei fatti ai sensi dell’art. 2047 c.c. trattandosi del mancato assolvimento dell’obbligo di sorveglianza imposto dalla norma nei confronti dei soggetti incapaci.

Rileva anche come le dichiarazioni dei testimoni fossero generiche.

La convenuta avrebbe superato la contestazione relativa al difetto di sorveglianza del quale all’articolo 2047 del codice civile.

Era riuscita a dimostrare di avere impartito al figlio un’educazione adeguata e di avere esercitato sul di lui una corretta vigilanza.

Secondo il Giudice, l’episodio doveva essere ricondotto a un gioco tra adolescenti, sfociato nella lesione ai danni dell’appellante, il quale nell’impugnare la sentenza di primo grado, solleva determinati motivi di doglianza.

Con il primo motivo lamenta il mancato inquadramento dei fatti.

Con il secondo motivo censura la sbagliata valutazione delle prove da parte del giudice e l’omessa considerazione dell’assenza ingiustificata dei convenuti a fare un interrogatorio sui fatti, dal quale deduce l’ammissione delle circostanze oggetto di prova.

Con il terzo motivo lamenta la contraddittorietà della motivazione perché il Tribunale nonostante abbia considerato provati i fatti, ha ritenuto non dimostrata la dinamica, non in relazione alla natura dolosa dell’atto di bullismo, condannabile alla luce dei canoni educativi tradizionali.

Con il quarto motivo contesta la ritenuta integrazione della prova liberatoria della madre dell’aggressore, perché la gravità e le modalità della condotta dimostrano che al minore non è stata impartita un’educazione adeguata.

Con il quinto motivo l’appellante ritiene che considerare si debba responsabile del comportamento  del minore anche il de cuius, coniuge della madre e genitore di fatto del ragazzo.

La decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello si pronuncia sul ricorso con la sentenza n. 1754/2020, dopo avere esaminato in modo congiunto i motivi dell’atto di appello, perché sono connessi.

In primo luogo il giudice dell’impugnazione esclude che i fatti ricadano nell’articolo 2047 del codice civile, che può essere applicato esclusivamente se il minore è incapace.

Una simile ipotesi non sussiste nel caso specifico, considerando che all’epoca il ragazzo aveva quasi 14 anni.

Come  ha correttamente sottolineato l’appellante, nel caso specifico sussiste la responsabilità genitoriale ai sensi dell’articolo 2048 del codice civile e “la carenza o l’inadeguatezza dell’educazione e della vigilanza parentali può essere ricavata anche dalla gravità e dalle modalità del fatto illecito commesso dal figlio nelle sue relazioni, anche di carattere sportivo o ricreativo, con i terzi”.

La testimonianza di un terzo estraneo alle parti, ha confermato la versione dei fatti fornita dagli stessi attori.

Il ragazzo infra quattordicenne in quella occasione ha compiuto con intenzione un gesto violento nei confronti di un dodicenne, più piccolo e dotato di minore forza fisica.

La gravità del gesto evidenziano l’inadeguatezza dell’educazione fornita dalla madre rispetto al carattere e alle attitudini del minore.

In relazione alla prova  fornito la madre, dall’istruttoria è emerso che il ragazzo era “poco integrato, molto insofferente, che non si impegnava nello studio e che la madre non riusciva a gestire”.

Il giudice d’Appello, al contrario di quanto ha affermato il giudice di primo grado, non considera superata la presunzione di responsabilità che grava sulla stessa ai sensi dell’articolo 2048 del codice civile.

Non condivisibile il quinto motivo dell’appello.

La giurisprudenza prevalente propende per un elenco tassativo della persone soggette a responsabilità a norma dell’articolo 2048 del codice civile, ma anche a volerla aderire ad una lettura costituzionalmente orientata della norma, suggerita soprattutto dalla dottrina e ritenere che in astratto essa possa estendersi anche al cd. genitore di fatto, una tale responsabilità sarebbe ipotizzabile solo se gli attori avessero dimostrato una stabile convivenza con il minore e l’assunzione di fatto da parte di quest’ultimo del ruolo paterno”.

La situazione però non si è verificata nel caso di specifico, visto che è stato dimostrato che in realtà il marito della donna ha sempre avuto difficoltà ad accettarne i figli, tra i quali l’aggressore.

In relazione alla quantificazione dei danni riportati, la Corte ha accolto in parte l’appello, riconoscendo all’attore un risarcimento di Euro.10.529,00, oltre agli interessi legali sulla somma devalutata alla data dell’atto del sinistro sino alla sentenza e condannando l’appellata a rimborsare le spese e competenze del doppio grado di giudizio.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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