La responsabilità dei coniugi nell’amministrazione della comunione

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L’amministrazione dei beni in comunione legale tra i coniugi determina delle responsabilità, e per farvi fronte devono rispondere o con i beni comuni o con quelli personali a seconda del tipo di obbligazione.

Come si stabilisce la responsabilità in caso di debiti?

In relazione ai debiti comuni, la legge prevede che debbano rispondere con il patrimonio in comunione, e se non fosse sufficiente a soddisfare i creditori, con i beni personali di ognuno per la metà del credito.
Se sono debiti personali, contratti da uno dei coniugi e non nell’interesse della famiglia, risponde il coniuge stesso con i suoi beni personali, e se non fossero sufficienti, con i beni della comunione per la metà del credito.

Si deve individuare quali sono i debiti personali e quali i beni comuni, e la distinzione viene fatta in base al momento nel quale il debito è stato contratto.

I debiti contratti da uno dei coniugi prima del matrimonio sono suoi debiti personali.
Se sono debiti contratti in modo congiunto, sempre prima del matrimonio, sono debiti personali pro quota di ognuno.

Una parte minoritaria della dottrina ha preso le distanze da questa impostazione, sostenendo che anche se prima del matrimonio, i debiti contratti in modo congiunto dai coniugi si debbano ritenere comuni.
I debiti comuni sono quelli contratti in modo congiunto dai coniugi o singolarmente durante il matrimonio nell’interesse della famiglia.

I debiti personali sono quelli contratti singolarmente da un coniuge per gli atti di straordinaria amministrazione, senza consenso dell’altro e non per l’interesse della famiglia (art. 189 c.c.).
In relazione ai debiti contratti da uno dei coniugi, senza il consenso dell’altro, sarà lo stesso a dovere rispondere con i suoi beni, e se gli stessi risultino insufficienti, i creditori potranno agire su i beni che appartengono alla comunione (art. 189 comma 2 c.c.).
Se il debito è personale, i creditori possono aggredire prima il patrimonio personale del coniuge che lo ha contratto, e se sia insufficiente al soddisfacimento del credito, possono aggredire i beni della comunione.

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 6575/2013, ha stabilito che, siccome la comunione legale è una comunione senza quote, il creditore è tenuto a pignorare il bene per intero, facendo trascrivere il pignoramento contro entrambi i coniugi.
In fase di esecuzione, all’atto della vendita o dell’assegnazione, si ha lo scioglimento della comunione nei limiti del bene oggetto di pignoramento, e il coniuge che non ha contratto il debito avrà diritto alla metà della somma ricavata dalla vendita del bene.
In relazione ai beni comuni, le legge stabilisce che lo sono i pesi e gli oneri che gravano sui beni comuni al momento dell’acquisto, i costi per l’ordinaria amministrazione, le spese per mantenere la famiglia, per l’istruzione e per l’educazione dei figli, e ogni obbligazione contratta, anche separatamente, nell’interesse della famiglia (art. 186 lett. a) b) e c) c.c.).

Se si contrae un debito per un acquisto fatto nell’interesse della famiglia, i creditori potranno agire sui beni che fanno parte della comunione, e se non risultano sufficienti, si risponde con i beni personali.
Se neanche la seconda ipotesi riesce a soddisfare i creditori, gli stessi si potranno rivalere sul patrimonio personale dell’altro coniuge, anche se estraneo al contratto, per la metà dell’obbligazione assunta (art 189 c.c.).

La prova liberatoria

La giurisprudenza ha stabilito che nel regime di comunione dei beni, il creditore che voglia agire anche nei confronti del coniuge che non ha contratto il debito, oltre a dovere dimostrare che il convenuto è coniuge dello stipulante e che l’obbligazione era nell’interesse della famiglia, dimostrare che i beni della comunione non sono sufficienti e che l’unico debitore principale non ha adempiuto l’obbligazione, assunta suo, carico (Cass. civ. sez. III sent. n.3471/2007).

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