La responsabilità civile del libero professionista

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  1. Premessa

 

Il tema della responsabilità civile del professionista ha, da sempre, suscitato grande interesse sia in dottrina che in giurisprudenza. Negli ultimi decenni, infatti, diversi sono stati gli interventi delle Suprema Corte in materia, volti a garantire una rilettura sistematica di quelle regole, su cui si fondavano i differenti orientamenti nell’interpretazione delle specifiche norme.

La normativa in materia viene, dunque, reinterpreta in un’ottica di tutela preferenziale per il cliente, tant’ è che, da un’attenta analisi del quadro complessivo che ne è scaturito da siffatti interventi, emerge chiaramente che le regole giurisprudenziali, sulle quali tradizionalmente era fondata la responsabilità professionale, siano state mutate nella direzione di una tutela più favorevole al cliente.

Tale considerazione vale soprattutto nel settore della responsabilità medica, dove si richiedeva una maggiore attenzione in ragione della rilevanza, costituzionalmente riconosciuta, che assume il diritto alla salute.

 

2. La responsabilità professionale del notaio nella stipula di un atto pubblico di compravendita immobiliare.

Si configura la responsabilità professionale del notaio nei confronti del cliente, laddove al professionista sia imputabile l’inadempimento delle obbligazioni inerenti la sua attività professionale, assunte attraverso la stipula di un contratto di prestazione d’opera professionale. In virtù di tale rapporto contrattuale, sul notaio ricade l’onere di svolgere, con la diligenza richiesta dall’art. 1176 comma 2 c.c., la sua prestazione professionale, che ricomprende, altresì, l’esercizio di attività preparatorie volte ad assicurare alle parti il risultato pratico voluto, sebbene il professionista sia tenuto ad adempiere a un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in virtù non solo del mandato conferitogli, ma anche della sua funzione di pubblico ufficiale, a tutela della pubblica fede e degli interessi di terzi. (cfr. Cass. Civ. n. 5869/06; Cass. Civ. n. 14813/06).

A voler esemplificare, il notaio, a cui venga richiesto di redigere e stipulare un atto pubblico di compravendita immobiliare, è tenuto allo svolgimento di tutte quelle attività accessorie e successive necessarie a garantire al cliente il buon esito della prestazione richiesta, quali il compimento di tutte quelle formalità ( visure catastali ed ipotecarie) ed attività connesse (verifica delle risultanze dai registri immobiliari) che consentano di accertare l’assenza di vincoli pregiudizievoli per le parti ed, al tempo stesso, di assicurare la serietà e certezza dell’atto rogato. (cfr. Cass. Civ. n. 14813/06; Cass. Civ. n. 13825/04). In una simile ipotesi, laddove nel corpo dell’atto, il professionista rilasci dichiarazioni mendaci circa la libertà dell’immobile “da oneri e gravami anche fiscali, nonché da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli”, in tal caso egli sarà responsabile nei confronti del cliente del mancato compimento di attività prodromiche alla vendita che avrebbero acclarato la presenza di iscrizioni ipotecarie dal carattere pregiudizievoli.

Viene, dunque, a configurarsi una responsabilità per l’ inadempimento della sua prestazione professionale, la quale va accertata sulla considerazione che il mancato raggiungimento del risultato voluto dalle parti sia conseguito direttamente al comportamento negligente tenuto dal professionista, dimostrando, al contrario, che il diligente esercizio di determinate attività avrebbe certamente prodotto effetti vantaggiosi al cliente.

L’inadempimento della prestazione professionale, unitamente all’inosservanza del dovere di diligenza , determina una forma di responsabilità contrattuale nei confronti del cliente, il quale risente direttamente del danno causalmente collegato a tale inadempienza. In considerazione della natura contrattuale dell’obbligazione di prestazione d’opera professionale nascente in forza del contratto di mandato stipulato col cliente, va precisato che l’inosservanza di siffatti obblighi professionali, – consistenti nell’eseguire l’incarico ricevuto con la diligenza media adeguata alla natura dell’attività espletata – genera in capo al professionista una responsabilità contrattuale secondo il disposto dell’art. 1218 c.c. a norma del quale “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno [..]”.

In simili circostanze, la quantificazione di una tale risarcimento va effettuata sulla base dei criteri previsti all’art. 1223 c.c., che tiene indenne il danneggiato dall’intero pregiudizio verificatosi per causa della mancata prestazione, al fine di ripristinare l’intero patrimonio del soggetto leso.

La misura del danno subito dall’acquirente va, dunque, determinata sulla base dell’effettivo valore del bene all’atto della compravendita, applicandosi in tal caso la regola del risarcimento del danno per l’equivalente.

Alternativa al risarcimento del danno per l’equivalente, consistente nel prezzo dell’immobile al momento dell’acquisto, sarebbe la soluzione del risarcimento del danno in forma specifica ex art. 2058, la cui disciplina si è estesa anche alla materia contrattuale. (cf.r Cass. Civ. n. 15726/10).

In quest’ultima ipotesi, il professionista sarebbe tenuto a provvedere a proprie spese alla cancellazione delle ipoteche pregiudizievoli per l’acquirente, e nel caso di cui si controverte, a tutte quelle spese utili a tenere indenne gli odierni attori dal pregiudizio che potrebbero ricevere dall’espropriazione del bene da parte di terzi proprietari.

Ad ogni modo, generando l’inadempimento del professionista un debito di valore e non di valuta, è opportuno rammentare che sorge in capo al danneggiato un diritto a vedersi risarcito di tutti i danni comprensivi di rivalutazione monetaria ed interessi legali da calcolarsi sulla somma rivalutata. (cfr Cass. Civ. n. 1335/09).

Vi è di più. Dall’omessa effettuazione delle visure ipotecarie da parte del notaio discende in capo ai clienti un diritto al risarcimento, non solo, dei danni patrimoniali come sin qui quantificati, ma anche dei danni non patrimoniali, consistenti nel concreto timore di subire l’espropriazione del bene da parte del creditore ipotecario ovvero l’evizione dell’immobile stesso.

Il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in capo al cliente consegue all’accertamento della responsabilità del notaio, concretamente sussistente quando si riesca a provare che il buon esito dell’attività richiesta al professionista non sia stato raggiunto a causa della sua negligenza nell’espletamento del mandato conferitogli.

 

3. La responsabilità professionale del medico per omessa diagnosi.

La responsabilità professionale del medico per omessa diagnosi viene in rilievo allorquando sia imputabile al professionista un inadempimento di quelle obbligazioni nascenti dal contratto di prestazione d’opera professionale stipulato col paziente.

Si tratta, anche in questo caso, di una responsabilità avente natura contrattuale, dappoichè la diagnosi, pur essendo la fase preliminare della complessa attività medica, costituisce, assieme alla fase terapeutica, l’oggetto della prestazione cui è tenuto il professionista.

In particolare, nel caso di un ginecologo, tale responsabilità professionale per omessa diagnosi sorge in conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo di rilevare costantemente le condizioni del feto, sulle quali la madre ha diritto ad essere informata.

Infatti, nell’ipotesi in cui si riscontrino malformazioni al feto, non ravvisate dal medico per aver omesso la corretta diagnosi, al sanitario va attribuita una c.d. colpa professionale consistente nel non aver messo a conoscenza la gestante delle reali condizioni del feto, e di averle, di conseguenza, negato la libertà di determinarsi per una tempestiva interruzione di gravidanza, così violando quel dovere di diligenza previsto al comma 2 dell’art. 1176 c c. che impone il rispetto di regole tecniche, oggettivamente connesse all’esercizio della professione.

Se il medico omette, dunque, di informare la paziente sulle malformazioni di cui è affetto il feto per sua imperizia, contribuendo a ledere una situazione giuridicamente protetta come il diritto all’autodeterminazione alla procreazione cosciente e responsabile, ecco che si configura in capo al professionista una responsabilità consistente nella c.d. culpa in non faciendo, ossia nel non aver adempiuto a quegli obblighi di cura impostigli dall’arte che professa.

Ciò comporta il sorgere , in capo alla gestante, del conseguente diritto al risarcimento del danno ex art. 1218 in forza della natura contrattuale della responsabilità professionale del medico.

A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di doversi discostare dall’impostazione tradizionale, affermando che, a rigore, tra medico e paziente vi è un contatto sociale qualificato, idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 1218 c.c., in tema di inadempimento, e non dell’art. 2043 c.c., in tema di illecito extracontrattuale: la responsabilità contrattuale del medico è giustificata dal contatto sociale che intercorre con il paziente; nel contatto sociale è, infatti, da ravvisarsi la fonte di un rapporto che quanto al contenuto non ha ad oggetto la “protezione” del paziente bensì una prestazione che si modella su quella del contratto d’opera professionale, in base al quale il medico è tenuto all’esercizio della propria attività nell’ambito dell’ente con il quale il paziente ha stipulato il contratto, ad essa ricollegando obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi emersi o esposti a pericolo in occasione del detto “contatto”, e in ragione della prestazione medica conseguentemente da eseguirsi. (cfr. Cass. civ. 8826/2007; Cass. Civ. 557/08)

Il danno, quindi, connesso all’omissione va calcolato sulla scorta dei requisiti previsti all’art. 1223 c.c. a norma del quale va preso in considerazione quel danno che è conseguenza immediata e diretta dell’evento, nella duplice veste di danno emergente e lucro cessante. In primis va tenuto in considerazione il danno alla salute psicofisica della madre, quantizzabile attraverso il supporto di consulenza tecniche di cui il giudice deve valersi.

Possono, altresì, derivarne danni di natura non patrimoniale, quale il danno esistenziale per la indesiderata nascita ovvero il danno da perdita di ciance che va valutato in via equitativa (cfr. Trib Napoli sent. 01/06/10).

In tema di responsabilità medica, l’aspetto che appare determinante e, pertanto, indispensabile ai fini dell’imputabilità, permane quello dell’accertamento della causalità omissiva, ovvero del nesso di causalità che lega l’evento omissivo al danno.

A tal proposito, la Suprema Corte è intervenuta a operare un chiarimento, affermando, per l’accertamento della causalità civile, il principio del “più probabile che non”.(cfr. Cass.civ. SS.UU. n.581/08)

Secondo un recentissimo orientamento della Cassazione infatti, è configurabile il nesso causale tra il comportamento omissivo del medico ed il pregiudizio subito dal paziente qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi e l’onere della prova relativa grava sul danneggiato, indipendentemente dalla difficoltà dell’intervento medico-chirurgico (cfr. Cass. civile , sez. III, sentenza 09.06.2011 n° 12686).

L’onere probatorio va ripartito nel senso che il paziente deve provare la sussistenza ed il contenuto del contratto, mentre il medico, se non è stato raggiunto il risultato conseguibile, deve dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza (cfr. Cass. civile 8826/2007); nello stesso senso,  in tema di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. Civ. , sez. III, sentenza 01.02.2011 n° 2334).

 

4. La responsabilità professionale dell’avvocato per errate scelte processuali.

Come per le altre figure professionali sin qui prese in considerazione, va osservato che anche la responsabilità dell’avvocato nasce in forza del mandato professionale che il cliente gli conferisce, per cui il legale, munito di procura ad litem, è soggetto alle medesime obbligazioni che fanno capo a qualsiasi altro mandatario.

Tali obbligazioni devono essere eseguite con la diligenza richiesta dal secondo comma dell’art. 1176 c. c. in combinato disposto con l’art. 2236 c.c. quando trattasi di prestazioni implicanti la risoluzioni di problemi di particolare difficoltà.

Solo per completezza, va detto che anche la figura dell’ avvocato è soggetto ad un’obbligazione di mezzi e non di risultato, per cui non sussiste una sua responsabilità se il suo cliente non raggiunge il risultato voluto. Tuttavia, ciò non lo esonera dallo svolgimento di tutte quelle attività necessarie e utili alla realizzazione della fattispecie concreta.

Infatti, il professionista, sebbene non sia responsabile quando non si riesca a perseguire il risultato desiderato dal cliente, è tenuto a predisporre tutti i mezzi utili al suo conseguimento, ponendo in essere tutta una serie di comportamenti conformi alle regole di correttezza,

Nell’ipotesi di mancato ottenimento della finalità concretamente voluta, il risultato consisterebbe nell’attuazione di tutte quelle attività oggettivamente necessarie per il buon esito della controversia.

A voler esemplificare, l’avvocato cui sia richiesto di svolgere attività stragiudiziale consistente nella formulazione di una parere in ordine alla utile esperibilità di un’azione giudiziale, è tenuto ad offrire tutti gli elementi utili per consentire al cliente una valutazione consapevole.

Sussiste, al contrario, in capo al legale una responsabilità professionale quando nell’adempiere siffatta prestazione, egli abbia omesso di prospettare al cliente tutte quelle questioni di fatto e di diritto atte ad impedire l’utile esperimento dell’azione, rinvenendo tale responsabilità anche nella colpa lieve quando la mancata prospettazione di questioni di diritto sia frutto della sua ignoranza su istituti giuridici fondamentali.

Anche per l’avvocato, al fine di determinarne la responsabilità, vale la regola fondamentale dell’accertamento della causalità. È la recente giurisprudenza a ribadire un simile principio: l’avvocato non può essere condannato al risarcimento dei danni se non sussiste alcun nesso causale tra il suo comportamento e l’effetto dannoso prospettato dal cliente. (cfr Cass. Civ. n. 8309/11).

Tuttavia, laddove il cliente riesca a provare un nesso causale tra l’inadempimento dell’avvocato derivante da un suo errore nelle scelte processuali, ed il danno derivato al cliente per non aver soddisfatto il suo diritto di credito a causa della negligente attività predisposta, in tal caso quest’ultimo risponderà ai sensi dell’art. 1218 c.c.

Recente giurisprudenza evidenzia come il legale che, con la propria scelta processuale, ha impedito al cliente un rapido soddisfacimento del proprio credito, incorre nella responsabilità professionale, con conseguente obbligo di risarcimento del danno.(Cass.civ. n.17506/2011), specie quando affidandosi alle informazioni rese dal cliente con estrema superficialità si orienti in scelte svantaggiose per il cliente stesso. (cfr. Cass. Civ.10686/11).

Di Micco Antonella

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