La quiete, forse, dopo la tempesta sul Consiglio Superiore della Magistratura

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Sommario

  1. Cenni sul consiglio superiore della magistratura
  2. Gli scandali dei giorni nostri e l’inderogabile necessità di una riforma
  3. La delega del governo per la riforma del consiglio superiore della magistratura
  4. Conclusioni

bibliografia

 


1. Cenni sul consiglio superiore della magistratura

Il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) è un organo costituzionale dell’ordinamento politico di governo autonomo della magistratura.

Il CSM ha lo scopo di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato, in particolare da quello esecutivo, secondo il principio di separazione dei poteri espresso dalla Costituzione che fa riferimento ad esso agli artt. 104, 105, 106 e 107.

La dottrina si è divisa sulla natura di organo costituzionale oppure meramente di rilievo costituzionale del CSM, sino a quando la Corte Costituzionale si è pronunciata al riguardo attribuendole la prima natura.

All’art. 110 la Costituzione assegna al Ministro della Giustizia il compito di curare l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, ferme restando le competenze del CSM; l’art. 101, comma 2, Cost. garantisce la piena autonomia e indipendenza dei giudici da ogni altro potere, dichiarando che essi sono soggetti soltanto alla legge.

Ad esso spettano, infatti, le competenze in materia di assunzioni, assegnazioni o trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari, valutazioni di professionalità nei riguardi di magistrati ordinari e onorari, perché i magistrati amministrativi, contabili e militari hanno propri organi di governo.

Contro tali provvedimenti è ammesso ricorso al TAR del Lazio ed in secondo grado al Consiglio di Stato. Fa eccezione la comminazione di sanzioni disciplinari da parte della sezione disciplinare del CSM. In questo caso il procedimento è strutturato come un processo e prevede l’eventuale ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Il CSM è composto da 27 membri ed è presieduto dal Presidente della Repubblica che vi partecipa di diritto. Altri membri di diritto sono il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per i 2/3 da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti a tutte le componenti della magistratura (membri togati, 16) e per 1/3 dal parlamento in seduta comune tra i professori universitari in materie giuridiche e avvocati che esercitano la professione da almeno 15 anni (membri laici, 8). La presidenza del collegio è assegnata al Capo dello Stato, anche se tale presidenza ha un carattere formale e simbolico, visto che il CSM elegge, tra i membri laici, un vicepresidente che svolge concretamente tutti i compiti connessi alla presidenza. La Costituzione non stabilisce direttamente quanti devono essere i componenti del CSM, ma si limita a stabilirne la composizione percentuale.

La carica di consigliere è incompatibile con quella di parlamentare o di consigliere regionale. Il Consiglio elegge il vicepresidente tra i membri eletti dal parlamento. I membri elettivi durano in carica quattro anni e non immediatamente rieleggibili. Spetta, dunque, alla legge ordinaria determinare quanti sono i componenti e come sono eletti.

La materia è regolata dalla legge 24 marzo 1958 n. 195, più volte modificata, da ultimo con la legge 28 marzo 2002, n. 44. La riforma del 2002 ha introdotto importanti riforme. Da un lato, si è ridotto il numero dei membri elettivi del Consiglio da 30 a 24. Dall’altro, si è radicalmente modificato il meccanismo elettorale della componente togata, prevedendo la candidatura dei magistrati a titolo individuale e non più nell’ambito di liste contrassegnate da un logo ed istituendo tre collegi nazionali distinti rispettivamente per l’elezione di due magistrati di legittimità, dieci giudici di merito e quattro pubblici ministeri presso uffici di merito.

Al suo interno il CSM è composto da commissioni, formate dai Consiglieri togati e laici. Le commissioni hanno un potere di proposta nei confronti dell’Assemblea Plenaria (c.d. Plenum) di cui fanno parte tutti consiglieri eletti ed i membri di diritto.

Ogni commissione può formulare una o più proposte al Plenum cui compete l’approvazione definitiva. In seguito alla riforma regolamentare del 2016 le commissioni sono dieci, cui va aggiunta la sezione disciplinare per i magistrati ordinari.

Il CSM non è titolare di funzioni di indirizzo politico e quindi non svolge un ruolo politico propriamente inteso. Tuttavia, il CSM è stato accusato di esercitare un ruolo che la Costituzione non gli assegnerebbe, estendendo i propri poteri fino a farli entrare in conflitto con quelli del Parlamento ed il Governo.

In particolare, la critica si indirizza a due tipologie di atti:

  • le cosiddette “pratiche a tutela” con cui il CSM interviene per difendere taluni magistrati sottoposti a critiche considerate ingiuste per la loro attività giudiziaria. Si tratta di un intervento discutibile, sia perchè non previsto dalla Costituzione, ma solo da un D.P.R., sia perché la tutela di un magistrato può essere garantita dallo stesso che può esperire i rimedi giurisdizionali previsti dalla normativa vigente;
  • i pareri formulati, anche senza richiesta, relativi a progetti di legge al vaglio delle assemblee legislative. Si tratta di un intervento condivisibile in quanto in tal modo si possono dare al potere legislativo preziosi consigli di carattere tecnico per la formulazione dei provvedimenti normativi. Infatti, la citata legge istitutiva del CSM (n. 195 /1958) prevede espressamente che lo stesso CSM dia pareri al Ministro della giustizia sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie.

La legge che regola il funzionamento del Consiglio prevede la facoltà del ministro di formulare richieste e osservazioni sulle materie di competenza propria del CSM; lo stesso può partecipare alle sedute del Consiglio quando ne è richiesto dal Presidente o quando lo ritiene opportuno per fare comunicazioni o dare chiarimenti. Inoltre, il ministro ha facoltà di chiedere ai capi delle corti informazioni circa il funzionamento della giustizia ed esprime il concerto sulla nomina dei capi degli uffici giudiziari. Se il ministro ha la facoltà di promuovere l’azione disciplinare, compete però al CSM pronunciarsi sulle azioni promosse dal ministro.

I consigli giudiziari ed il CSM esercitano un controllo sulle modalità di distribuzione del lavoro tra i magistrati componenti di un medesimo ufficio e sulle modalità di organizzazione del lavoro all’interno dei diversi uffici giudiziari, sanzionando eventualmente scelte di privilegio o di favore; in tal modo è anche possibile impedire che l’assegnazione della trattazione di un singolo affare giudiziario o di un determinato procedimento avvenga in materia arbitraria.

Al CSM spetta anche, su proposta del ministro della giustizia, il compito di individuare l’elenco delle sedi disagiate per le quali provvederà a deliberare il trasferimento dei magistrati. Per trasferimento e destinazione d’ufficio si intende il cambiamento della sede di servizio che non sia stata chiesta dal magistrato, anche se quest’ultimo ha manifestato il consenso o la disponibilità, e che determini lo spostamento nelle sedi disagiate. Devono ricorrere almeno due requisiti: vacanze superiori al 50% dell’organico, elevato numero di affari penali soprattutto relativi alla criminalità organizzata ed elevato numero di affari civili in rapporto alla consistenza del distretto e alla consistenza degli organici.

 

2. Gli scandali dei giorni nostri e l’inderogabile necessità di una riforma

Negli ultimi tempi i media si sono occupati di numerosi scandali ed in particolare di quello del magistrato Palamara, coinvolto in un’inchiesta della Procura di Perugia e del contenuto delle intercettazioni e delle chat presenti sul suo telefono e acquisite dall’inchiesta, che riguardano diversi politici e soprattutto altri magistrati.

I contenuti delle intercettazioni non sono sempre penalmente rilevanti, ma con la loro divulgazione hanno determinato conseguenze dal punto di vista disciplinare all’interno del CSM e altri risvolti politici, oltre a riaprire discussioni sulla legittimità della trasmissione ai giornali di intercettazioni telefoniche ottenute all’interno di inchieste giudiziarie.

A fine aprile la procura di Perugia, competente per le indagini sui magistrati di Roma, ha notificato la chiusura delle indagini al magistrato in questione, ex consigliere del CSM ed ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), principale organo di rappresentanza dei magistrati.

Palamara è accusato di corruzione: secondo l’accusa avrebbe messo a disposizione le sue funzioni, in cambio di viaggi e regali, a disposizione di Fabrizio Centofanti, ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone, un imprenditore con una lunga serie di vicende giudiziarie, quasi sempre conclusesi a suo favore. Centofanti venne arrestato nel 2018 per frode fiscale; l’ex PM è accusato di aver favorito lui e altri indagati con una serie di nomine o tentate manovre negli uffici delle procure.

Secondo organi di stampa, allo stato, le accuse riguardano solo quelle relative ai viaggi (dieci) e ai lavori di ristrutturazione dell’appartamento di una sua amica per un valore di circa 60mila euro, che sarebbero stati pagati da Fabrizio Centofanti. Non ci dovrebbe essere più la corruzione in atti giudiziari per aver favorito la nomina del procuratore di Gela e la vicenda dell’anello del valore di duemila euro che avrebbe regalato ad un’amica.

Dopo che la documentazione dell’inchiesta della procura di Perugia è stata depositata, diversi giornali hanno pubblicato sia parte del contenuto delle chat conservate sul telefono di Palamara quando fu sequestrato, sia pezzi di intercettazioni acquisite dall’inchiesta che hanno portato ad aggiungere dettagli a storie già note che coinvolgono politici, altri magistrati e che riguardano alleanze, nomine e rapporti tra politica e magistratura.

Come ha riassunto un organo di stampa, la prima parte dell’inchiesta “aveva provocato conseguenze dirompenti: alcuni importanti magistrati indagati; sei consiglieri del CSM costretti alle dimissioni e sottoposti a procedimento disciplinare; Palamara sospeso in via cautelare e privato dello stipendio; le correnti moderate della Magistratura Indipendente e Unicost, uscite vincitrici dalle elezioni del 2018, tramortite dalla questione morale con evocazione dello scandalo P2 e messe in minoranza nel CSM; la formazione di una nuova maggioranza tra le toghe con l’asse tra le correnti che avevano perso le elezioni del 2018: i progressisti di Area e gli anti-sistema di Autonomia e Indipendenza, guidati da Davigo; il capovolgimento delle principali nomine giudiziarie, a partire dalla procura di Roma; la proposta del ministro della giustizia di nominare i membri del CSM con sorteggio, al posto dell’elezione prevista dalla Costituzione”.

In data 20 giugno 2020 il comitato direttivo centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha poi respinto all’unanimità la richiesta di Palamara di essere ascoltato prima della pronuncia del parlamentino delle toghe che ha decretato la sua espulsione dal sindacato dei magistrati per gravi e reiterate violazioni del codice etico. Il magistrato è stato presidente dell’ANM tra il 2008 e il 2012.

Nella memoria difensiva il predetto ha scritto di non essere disposto a fare il capro espiatorio di un sistema che imponeva il rispetto delle regole del gioco. Ha riconosciuto, inoltre, che ci sono stati errori ed eccessi e che le nomine dei dirigenti giudiziari sono il frutto di estenuanti accordi politici seguendo logiche di potere nelle quali il merito viene sacrificato sull’altare dell’appartenenza.

A complicare la vicenda si è inserita la nomina del procuratore di Perugia. Infatti, Raffaele Cantone. ex presidente dell’Autorità Nazionale anticorruzione (ANAC), in data 16 giugno 2020, è stato nominato il nuovo procuratore di Perugia e sarà quindi lui a condurre l’inchiesta di cui trattasi, in quanto quella procura si occupa per competenza delle inchieste dei magistrati di Roma.

In data 25 giugno 2020 la procura generale della Corte di Cassazione ha chiesto il processo disciplinare per dieci magistrati coinvolti nella vicenda dell’hotel Champagne e in altri casi collegati. “Comportamenti gravemente scorretti” in violazione dei doveri imposti ai magistrati. Sono queste le accuse che la procura generale della Cassazione, titolare con il Guardasigilli, dell’azione disciplinare per le toghe, muove al PM di Roma ora sospeso, al magistrato in aspettativa, oggi deputato, Cosimo Ferri e ai cinque togati del CSM – Luigi Spina, Gianluigi Morlini, Antonio Lepre, Corrado Cartoni e Polo Criscuoli – che hanno dovuto lasciare Palazzo dei Marescialli dopo l’emergere dello scandalo delle intercettazioni dell’inchiesta di Perugia. La procura generale contesta quindi agli incolpati un “uso strumentale della propria qualità, diretto, per la modalità di realizzazione, a condizionare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste, quali la proposta e la nomina di uffici direttivi da parte del CSM” parlando anche di comportamento “idoneo ad influenzare, in maniera occulta, la generale attività della quinta commissione dell’organo di autogoverno”. E ancora, ai cinque consiglieri di Palazzo dei Marescialli, alle contestazioni del procuratore generale inerenti le “violazioni dei doveri di riservatezza, correttezza ed equilibrio”, si aggiunge quella del ministro della giustizia secondo il quale i magistrati avrebbero gettato “discredito sull’ordine giudiziario” e inciso” negativamente sulla fiducia e sulla considerazione di cui il magistrato deve godere”.

In data 24 agosto 2020 la Procura di Perugia ha chiesto di processare per corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreto l’ex consigliere del CSM ed ex presidente dell’Associazione Magistrati. Nella richiesta non compare, però, l’ex consigliere del CSM Luigi Spina accusato di rivelazione di segreto d’ufficio. Il predetto – che ha sempre rivendicato la correttezza del suo comportamento – ha chiesto la sospensione del procedimento e la messa in prova. A tale istanza la procura di Perugia ha dato parere favorevole che ora è al vaglio del GIP. Stessa imputazione per Adele Attisani, amica dell’ex PM, considerata dai magistrati “istigatrice” delle presunte condotte illecite e beneficiaria in parte delle “utilità”. Di favoreggiamento personale è, invece, accusato Giancarlo Manfredonia titolare di un’agenzia di viaggi: avrebbe consegnato agli investigatori documentazione “manipolata”, cercando di nascondere la partecipazione di Palamara a un viaggio a Dubai.

Un’altra vicenda riguarda il caso del ministro della giustizia e il magistrato antimafia Di Matteo, relativamente alla mancata nomina di quest’ultimo a capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) che sovrintende alla gestione delle carceri. E riguarda la scelta dei magistrati nei posti importanti del ministero della giustizia, per cui il ministro si affidò proprio a magistrati non di primo piano che facevano parte dell’Unicost, la corrente moderata il cui leader era proprio Palamara. La vicenda ha determinato la proposta di sfiducia in parlamento nei confronti del ministro da parte delle minoranze, conclusasi però con il rigetto della stessa.

Un altro magistrato coinvolto nelle intercettazioni è Cesare Sirignano, della direzione nazionale antimafia, anch’egli della corrente Unicost, per cui il CSM ha deciso a larga maggioranza il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale. Sirignano, che non è indagato, aveva espresso giudizi negativi sul collega Di Matteo.

Lo stesso CSM ha approvato il ritorno in magistratura come sostituto procuratore generale della Cassazione di Fulvio Baldi, ex capo di gabinetto del ministro della giustizia, che si era dimesso dopo la pubblicazione sui giornali delle sue intercettazioni in cui sembrava gestire nomine e relazioni con approcci discutibili.

Le intercettazioni riguardano, tra gli altri, anche tre consiglieri del CSM, tra cui il vicepresidente David Ermini che dopo aver ricostruito e spiegato le circostanze di alcune sue conversazioni con Palamara, ha denunciato la “strumentalizzazione di alcuni dialoghi del tutto irrilevanti” e ha minacciato querele.

Altre pubblicazioni sui giornali del caso in questione, vedono coinvolto l’ex ministro dell’interno Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona nel caso dei migranti soccorsi dalla nave militare italiana Gregoretti e ONG Open Arms. Un organo di stampa ha infatti pubblicato i contenuti di alcune chat risalenti al 2018 in cui alcuni magistrati parlano dell’allora ministro dell’interno. La chat più citata vede coinvolti il procuratore di Viterbo e Palamara: “Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando”, aveva scritto il citato procuratore nell’agosto 2018 quando dello stesso si parlava soprattutto per la chiusura dei porti. E ancora “Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell’interno interviene perché ciò non avvenga”, e Palamara pronuncerebbe la frase che “Ora Salvini va attaccato”. Infine, il procuratore di Viterbo afferma “Comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso perché tutti la pensano come lui. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti che sarebbero dovuti tornare di nuovo da dove erano partiti. Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori, siamo indifendibili, indifendibili”

Alcuni giornali e siti citano anche un colloquio in cui l’ex ministro sarebbe definito “quella merda di Salvini”.

Dopo la pubblicazione dei colloqui, il leader della Lega ha scritto una lettera al presidente della Repubblica appellandosi al suo ruolo istituzionale di presidente del CSM. Scrive l’ex ministro dell’interno “Diversi magistrati nei loro colloqui privati concordavano su come attaccare la mia persona per la politica sull’immigrazione che all’epoca, quale ministro dell’interno, stavo portando avanti. La fiducia nei confronti della magistratura adesso vacilla”, chiedendo la garanzia “di un processo giusto davanti a un giudice terzo e imparziale”. Anche alcuni parlamentari della Lega, difendendo Salvini, hanno a loro volta parlato di “numerosi magistrati di diverse correnti che concordavano sulla necessità di attaccare Salvini”. Per ora sembra, però, che le parole pubblicate nelle intercettazioni che fanno riferimento ad un attacco a Salvini siano attribuibili al solo Palamara. L’appello è stato raccolto dal Capo dello Stato con un duro intervento di monito ai magistrati del 21 giugno 2020 davanti al plenum del CSM. L’eco di quelle parole deve essere risuonata a lungo, anche con significative ripercussioni tra le stanze di Palazzo dei Marescialli e nella coscienza di ciascun magistrato.

Come precisa un altro quotidiano “I giudici del capoluogo etneo chiesero per Salvini l’archiviazione, istanza poi respinta dal Tribunale dei ministri, che a sua volta ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione a procedere”. Altro giornale aggiunge, poi, che nessuno dei magistrati siciliani che si sono occupati delle inchieste di Salvini compare nelle conversazioni di Palamara: “non i PM di Agrigento che per primi lo hanno indagato e non quelli di Catania dove pure il Procuratore aveva chiesto l’archiviazione venendo poi sconfessato dalla decisione del tribunale dei Ministri che ha chiesto e ottenuto l’autorizzazione a procedere per il caso Gregoretti”.

Sempre un quotidiano ha anche pubblicato una serie di passaggi che riguardano giornalisti che avevano seguito l’inchiesta o avevano rapporti di amicizia e confidenza con Palomara, favorendo così la sensazione che gli schieramenti, nelle contrapposizioni tra i ruoli giudiziari più importanti, riguardino non solo la magistratura e la politica, ma anche l’informazione.

A più di un anno di distanza la diffusione del contenuto delle chat presenti nel cellullare di Palamara, rivelando come il sistema di pre-selezione dei magistrati fuori dalle sedi competenti e sulla base di vincoli di corrente e strettamente personalistici sia endemico e capillare, ha aggravato quel quadro sconcertante ed ha ridotto in frantumi il tentativo della magistratura di far passare come isolato ed eccezionale quel malcostume.

Sino ad oggi, se si escludono le dichiarazioni di circostanza del suo vicepresidente, il CSM non ha affrontato la nuova emergenza che sta sconvolgendo all’interno l’intero assetto della magistratura.

Appare evidente, quindi, come sia difficile far rientrare nell’alveo costituzionale l’esercizio dei poteri e delle funzioni di governo della magistratura, intesa come gestione amministrativa autonoma.

Per affrontare questa ennesima emergenza, il governo ha annunciato la propria volontà di intervenire sul CSM con il dichiarato obiettivo di sconfiggere il correntismo ed il sistema clientelare che ne consegue.

Dopo che il velo d’ipocrisia che copriva l’operato delle correnti si è aperto, sono emerse con evidenza le patologiche modalità con le quali la magistratura associata ha inteso far vivere il principio di autonomia ed indipendenza. Quel quadro sconcertante ed inaccettabile, infatti, sembra proprio raffigurare un’organizzazione separata e titolare di interessi propri, caratterizzata da una sorta di separatezza mista a corporazione che è la configurazione di come negli anni l’idea di autonomia e indipendenza si sia sedimentata.

Ne è conseguito che, chi era destinatario della protezione di questo irrinunciabile principio costituzionale ne ha fatto, per converso, un formidabile strumento di difesa dei propri interessi, distanti dai principi dell’ordinamento costituzionale.

Anche attraverso il fenomeno dei fuori ruolo la magistratura ha sviluppato poi una vera e propria attitudine alla intermediazione politica, caratteristica propria del circuito costituito dall’opinione pubblica, dei partiti e delle istituzioni di governo e legislative, cui la magistratura dovrebbe essere estranea.

Il che mette in pericolo le ragioni che presiedono e garantiscono nel disegno costituzionale la piena indipendenza della magistratura, riconosciuta proprio al fine della migliore tutela dei diritti dei cittadini nei confronti degli altri poteri.

Inoltre, la vicenda Palamara ha coinvolto prevalentemente l’ambito specifico dell’attività di nomina agli incarichi direttivi della funzione requirente che esprime un tasso di politicità molto elevato, direttamente proporzionato alla notevole capacità di incidere sulla sorte delle istituzioni politiche, sia al livello nazionale che locale.

Tali caratteristiche, già di per sé eccezionali nel contesto di un sistema costituzionale liberal-democratico, potrebbero essere aggravate dalla contiguità di status tra il pubblico ministero e la magistratura giudicante.

La sostanziale assenza di canali di collegamento con l’esterno, frutto della sterilizzazione che la prassi ha prodotto sui quei sistemi di balance che il CSM avrebbe dovuto assicurare (si consideri il ruolo di mere comparse che negli ultimi anni hanno rivestito i membri laici pur reclutati tra personalità di rilievo) ha poi aggravato gli effetti di tale contiguità.

Sullo sfondo meritava, anche, l’approfondimento della problematica più ampia di un più adeguato raccordo tra l’ordine giudiziario e gli altri poteri dello Stato. E sorprende, quindi, che l’affaire Palomara non abbia stimolato tempestivamente una riflessione su tali temi, con il conseguente tentativo di riportare in equilibrio il sistema.

Già con decreto del Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura in data 8 luglio 2020, su conforme parere del Consiglio stesso, è stato modificato il primo comma dell’art. 4 del regolamento interno concernente l’elezione dei componenti della sezione disciplinare e della presidenza della sezione. Il provvedimento ha disposto: “1. Subito dopo l’elezione del Vicepresidente, il Consiglio procede all’elezione di sei componenti effettivi e di quattordici componenti supplenti della Sezione Disciplinare, ai sensi dell’art. 4, comma 4, della legge 24 marzo 1958, n.195 e successive modificazioni. I componenti supplenti sono: un magistrato di Corte di Cassazione, con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità; tre magistrati che esercitano le funzioni di cui all’art. 23, comma 2, lettera b) della legge 24 marzo 1958, n.195, come modificato con l’art. 5 della legge 28 marzo 2002, n.44, e sei magistrati che esercitano le funzioni di cui all’art.23, comma 2, lett. c) della legge 24 marzo 1958, come modificato con l’art. 5 della legge 28 marzo 2002, n.44; quattro componenti eletti dal parlamento”.

3. La delega del governo per la riforma del consiglio superiore della magistratura

Dopo questa bufera giudiziaria e mediatica, in data 7 agosto 2020 il Consiglio dei ministri ha approvato una delega al Governo affinchè adotti, entro un anno dall’approvazione della legge “uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la riforma dell’ordinamento giudiziario”.

Tra gli obiettivi principali vi è quello del contrasto alle degenerazioni del “correntismo”, anche con la previsione di un nuovo sistema elettorale per i rappresentanti togati al CSM, nuovi criteri per le nomine ai vertici degli uffici giudiziari e la chiusura delle “porte girevoli” tra politica e magistratura. Si tratta di un corposo testo che dovrà affrontare l’iter parlamentare.

La bozza prevede che “all’interno del Consiglio Superiore della magistratura non possono essere costituiti gruppi tra i suoi componenti e ogni membro esercita le proprie funzioni in piena indipendenza ed imparzialità”.

Tornano a trenta i membri del CSM (venti togati e dieci laici) che erano stati ridotti a ventiquattro dalla citata riforma. L’elezione dei togati avverrà con voto in due turni in diciannove collegi. Ogni collegio, secondo la riforma, dovrà esprimere un numero minimo di dieci candidature di cui cinque per ciascun genere e rispettare la parità di genere anche nel caso in cui esprime un numero superiore di candidature. Anche questo è un aspetto interessante, perché garantisce le quote rosa in un momento in cui il dibattito è particolarmente vivace, soprattutto in vista delle prossime elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020.

Quando le candidature saranno in numero inferiore a dieci oppure non rispetteranno la parità di genere “l’ufficio elettorale centrale procede, in seduta pubblica, ad estrazione a sorte delle candidature mancanti tra i magistrati che sono eleggibili in modo tale che, tramite estrazione da elenchi separati per genere, sia raggiunto il numero minimo di candidature e rispettata la parità di genere”.

Inoltre, il testo della riforma prevede che “I componenti da eleggere dal Parlamento, previamente auditi dalle competenti Commissioni parlamentari, sono scelti tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di servizio professionale, purchè non siano componenti del Governo o non lo siano stati negli ultimi due anni, non siano componenti delle giunte delle Regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano o non lo siano stati negli ultimi due anni”.

Viene anche stabilito che “alla cessazione del mandato” i magistrati che “per un periodo superiore a sei mesi” hanno ricoperto la carica di parlamentare nazionale o europeo, di componente del Governo, di consigliere o regionale o provinciale nelle Province autonome di Trento e Bolzano, di Presidente o assessore nelle giunte delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano, di sindaco in comuni di più di centomila abitanti, sono inquadrati in un ruolo autonomo del ministero della Giustizia o di altro ministero”.

Il provvedimento stabilisce delle nuove regole condivisibili per le nomine ai vertici degli uffici che “saranno avviati e istruiti secondo l’ordine temporale con cui i posti si sono resi vacanti” con l’audizione dei candidati se richiesta da almeno tre componenti della Commissione e “modalità idonee a sentire i rappresentanti dell’avvocatura, nonché i magistrati e i dirigenti amministrativi assegnati all’ufficio giudiziario di provenienza dei candidati”.

Chi partecipa alla selezione deve aver frequentato corsi presso la Sciola Superiore della magistratura. Inoltre, torna il criterio dell’anzianità come “criterio residuale a parità di valutazione risultante dagli indicatori del merito e delle attitudini”. Si tratta di una previsione quanto mai opportuna, che porrà un freno alle sollecitazioni abnormi delle correnti e delle forze politiche.

4. Conclusioni

Certamente il disegno di legge in argomento incide efficacemente sull’organo di autogoverno della magistratura, già nell’occhio del ciclone anche per una situazione di difficoltà strutturale e funzionale.

Non si condivide, pertanto, il giudizio negativo espresso dal vice presidente del CSM secondo cui “La Costituzione non dà all’istituzione il ruolo di mera gestione amministrativa. I sorteggi? Sistema inaccettabile. La discrezionalità del CSM viene ridotta e rischia diventare un organo burocratico e la Costituzione gli dà tutt’altro rango. Perfino le commissioni rappresentano una forzatura”.

Tuttavia, deve anche rilevarsi che il cattivo funzionamento del predetto organo è stato anche condizionato dal comportamento scorretto di alcune componenti della classe giudiziaria caratterizzato dalla ricerca di un potere smodato e da un inguaribile protagonismo.

Deve, perciò, auspicarsi che l’impegno di tutte le componenti sociali possa contribuire a favorire il ricorso a procedure innovative ed utili al funzionamento dell’ordine giudiziario, senza un’inammissibile ingerenza del potere esecutivo nel pieno rispetto delle disposizioni poste a tutela del nostro ordinamento democratico e dei diritti dei cittadini.

Una prospettiva apprezzabile è stata, quindi, fornita con il provvedimento in argomento; sarà però necessario lo sforzo di tutti gli operatori della giustizia, ma anche di tutti i cittadini, per rendere pienamente operativo il tentativo del legislatore di semplificare il funzionamento del CSM al servizio della collettività in ossequio all’art. 101 della nostra carta costituzionale che sancisce solennemente che “La giustizia è amministrata nel nome del popolo”.

Solo così si potrà evitare il dominio o l’eccessivo potere della magistratura, con l’improduttiva attività degli organi giudiziari e, soprattutto, le lungaggini procedurali con grave danno alla nostra convivenza civile e al sistema produttivo del paese.

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BIBLIOGRAFIA

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Prof. Paolo Gentilucci

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