La quantificazione dell’assegno di divorzio

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A volte, quando si vuole quantificare l’assegno di mantenimento si commette un errore.

La misura del contributo dovuto all’ex coniuge in caso di divorzio non dipende dalla differenza dei redditi tra marito e moglie.

Potrebbe succedere che uno dei due coniugi ricco e l’altro non abbia diritto a nessun assegno.

Il motivo deriva dal fatto che il fine dell’assegno divorzile non è quello di garantire all’ex coniuge lo stesso tenore di vita che aveva durante la convivenza matrimoniale, ma esclusivamente l’autosufficienza.

La Suprema Corte di Cassazione ha provveduto a spiegare meglio questi concetti in una recente pronuncia (Cass. Sent. 22/06/2020 n. 12058/20) che riprende le precedenti affermazioni delle Sezioni Unite nel 2018 (Cass. sent.dell’11/07/2018 n. 18287/18).

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In che cosa consiste l’assegno divorzile

L’assegno divorzile consiste nell’obbligo di uno dei coniugi di pagare, con cadenza periodica, all’altro coniuge un assegno quando lo stesso non ha mezzi adeguati, oppure, per ragioni oggettive, non se li può procurare.

Secondo le disposizioni contenute nell’articolo 5 della legge sul divorzio (L. 898/1970) il tribunale, quando pronuncia sentenze di divorzio, determina anche la misura dell’assegno divorzile tenendo conto di una serie di fattori, tra i quali il reddito dei due coniugi, le ragioni della decisione e la durata del matrimonio.

Il pagamento dell’assegno può essere mensile oppure in un’unica soluzione, in questo caso anche con assegnazione di un bene.

L’assegno divorzile è una delle maggiori conseguenze di carattere patrimoniale del divorzio, visto che con il divorzio il giudice stabilisce l’eventuale diritto di uno dei coniugi di percepirlo.

Deve essere distinto dall’assegno di mantenimento che spetta, a chi ricorre nelle condizioni di legge prima del divorzio, vale a dire, in seguito di separazione personale dei coniugi, in una fase transitoria del rapporto.

A proposito, si deve ricordare una rivoluzionaria sentenza della Suprema Corte di Cassazione che ha fatto risaltare di più la distinzione tra l’assegno di mantenimento e l’assegno divorzile.

L’assegno divorzile è un diritto di credito al quale non si può non dipendere, irrinunciabile e indisponibile che un ex coniuge vanta nei confronti dell’altro, sino a quando il beneficiario stesso contragga altre nozze oppure l’obbligato muoia o fallisca.

Il diritto all’assegno divorzile, dove stabilito nella sentenza, spetta dal momento nel quale la stessa passa in giudicato, ed è possibile richiedere al giudice di rideterminarlo in qualunque tempo, se dovessero sopravvenire delle modifiche apprezzabili dei rispettivi redditi.

L’assegno divorzile, può essere pagato anche da terzi, come previsto per l’assegno di mantenimento in seguito a separazione personale, ma al beneficiario vine anche è data la possibilità, senza ricorrere al giudice, di richiedere direttamente al datore di lavoro dell’obbligato sino alla metà di quello che gli spetta, attuando un’azione esecutiva nei confronti del datore stesso, in caso d’inadempimento (art. 8 legge n. 898/1970).

Le modalità di quantificazione dell’assegno divorzile

In questa sede si scriverà dei diversi metodi di quantificazione dell’assegno divorzile.

Il fine dell’assegno che il giudice liquida dopo la separazione, il cosiddetto “assegno di mantenimento”, è garantire un sostegno economico all’ex coniuge titolare del reddito più basso, oppure, addirittura senza reddito.

Per quello che sia possibile e compatibile con le maggiori spese che i coniugi incontreranno a seguito del distacco, questo sostegno deve consentire lo stesso tenore di vita che l’ex aveva quando era sposato.

Significa che più la famiglia nel suo complesso sta bene dal lato economico, maggiore sarà l’importo dell’assegno di mantenimento.

Una donna disoccupata che sposi un uomo ricco avrà un assegno di mantenimento più elevato rispetto a una donna disoccupata che sposi un dipendente con un part time.

Il fine dell’assegno che il giudice liquida dopo il divorzio, il cosiddetto “assegno divorzile”, è assicurare l’autosufficienza economica al coniuge senza reddito o con il reddito più basso.

Serve per mantenersi da sé e avere una vita dignitosa.

Quando si l’autosufficienza viene raggiunta, sia che dipenda dal proprio lavoro o dal contributo dell’ex coniuge, il maggior reddito del quale lo stesso è titolare non condizionerà la misura dell’assegno divorzile.

L’assegno di divorzio e il reddito dell’ex marito

In precedenza si è fatto l’esempio di una donna disoccupata o con uno stipendio inferiore a quello dell’uomo perché, in relazione alle statistiche, si tratta dell’ipotesi più frequente

Nonostante questo, niente vieta che i ruoli si possano invertire.

Ad esempio una donna con un contratto di lavoro e un uomo disoccupato o in cassa integrazione.

Se l’assegno di mantenimento viene quantificato sulla base del reddito più alto, avendo come obiettivo l’uguaglianza della condizione economica dei due coniugi, l’assegno di divorzio mira esclusivamente a garantire l’indipendenza economica di quello più “povero”.

Una volta che si adempie a questo fine, non esiste motivo di aumentare la misura dell’assegno all’aumentare del reddito dell’ex.

L’assegno di divorzio presuppone l’accertamento dell’inadeguatezza dei redditi dell’ex coniuge e dell’ “impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”.

Questo significa che deve essere il coniuge stesso a dimostrare di non potersi mantenere per cause a lui non imputabili.

Accade ad esempio quando lo stesso ha raggiunto i 40 anni di età o ha una condizione di salute che non gli consente di lavorare, oppure, quando, dopo avere tentato ogni cosa per trovare un’occupazione, non ci sia riuscito.

L’onere della prova del merito dell’assegno spetta al coniuge richiedente l’assegno di divorzio, che dovrà dimostrare di essere vecchio per lavorare, o di essere malato, o di avere cercato un lavoro iscrivendosi alle liste di collocamento, inviando curricula e partecipando a bandi di concorso pubblico.

L’assegno di divorzio viene riconosciuto in base al contribuito che viene prestato dal coniuge richiedente alla ricchezza familiare.

Anche questa espressione della Suprema Corte di Cassazione, in apparenza è tecnica e deve essere tradotta in linguaggio comune.

La Corte vuole dire che, se un coniuge ha rinunciato alla carriera per occuparsi della famiglia, occupandosi della casa e dei figli, consentendo indirettamente all’ex di incrementare il suo reddito, avrà sempre diritto a un mantenimento che sia in proporzione alla ricchezza dello stesso.

In questo modo ci si rivolge alle donne che hanno fatto per l’intera durata del matrimonio le casalinghe, perdendo ogni contatto con il mondo del lavoro.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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