La qualificazione del vincolo urbanistico: zonizzazione o localizzazione?

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Col termine ius aedificandi si è soliti indicare il diritto di edificare, che consiste nella possibilità per il soggetto titolare della proprietà del fondo di realizzarvi opere edilizie.

Lo ius aedificandi è dunque una componente essenziale del diritto di proprietà.

Questo principio potrebbe a prima vista sembrare scontato ed invece costituisce, in realtà, l’esito di un lungo processo di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, culminato nell’importantissima sentenza della Corte Costituzionale n. 5/1980.[i]

La sentenza in questione ha stabilito che ogni persona fisica o giuridica proprietaria di un fondo ha dunque, in linea di principio, anche il diritto di realizzarvi delle opere edilizie.

È universalmente noto però, che per poter esercitare questo diritto è necessario che ricorrano tutta una serie di condizioni previste da leggi statali, leggi regionali e regolamenti amministrativi.

Il sistema normativo attuato per disciplinare l’edificabilità dei suoli è infatti estremamente complesso e, per usare le parole della citata sentenza della Corte Costituzionale “demanda alla pubblica autorità ogni determinazione sul se, sul come e anche sul quando della edificazione”.

Uno degli strumenti amministrativi con cui la pubblica amministrazione può incidere sullo ius aedificandi è certamente il Piano Regolatore Generale Comunale (P.R.G.C. o P.R.G.), a volte indicato anche come P.U.C. (Piano Urbanistico Comunale).[ii]

Esso è lo strumento amministrativo per mezzo del quale il Comune disciplina tutta l’attività edificatoria all’interno del proprio territorio di competenza, al fine di tutelare rilevanti interessi pubblici.

Il P.R.G. è disciplinato, ancor oggi, dalla legge 1150 del 1942, la quale all’art. 4 dispone che “la disciplina urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme sull’attività costruttiva edilizia”.

Il compito principale del P.R.G. è dunque quello di effettuare la ripartizione del territorio comunale in aree omogenee, stabilendo la destinazione urbanistica di ognuna di esse.

Si tratta di uno strumento decisamente complesso, all’interno del quale è tuttavia possibile individuare due principali tipologie di interventi: la zonizzazione e la localizzazione.

La zonizzazione

La zonizzazione consiste nella suddivisione dell’intero territorio comunale in aree che, in base a determinate caratteristiche, risultano caratterizzate da un’omogeneità di fondo.

Essa risponde all’esigenza della corretta gestione del territorio e del suo armonioso sviluppo attraverso, al fine di organizzare razionalmente della vita della collettività che vive in un determinato territorio.[iii]

Per ognuna di queste aree il piano regolatore stabilirà le rispettive destinazioni d’uso.

La prima e principale caratteristica della zonizzazione è quella di essere conformativa.

Ciò significa che la zonizzazione è idonea a caratterizzare i singoli diritti di proprietà cui afferisce, imponendo loro di conformarsi a sé.

Essa dunque “modella” la proprietà dei beni a cui afferisce, ponendo dei limiti effettivi e concreti al suo esercizio, pur non comportando l’inedificabilità assoluta del fondo.

La seconda caratteristica della zonizzazione – strettamente correlata alla prima –  è quella di non essere finalizzata all’esproprio.

La zonizzazione si limita infatti a comprimere i diritti di proprietà a cui afferisce, senza comportarne l’ablazione.

La terza caratteristica della zonizzazione è quella di essere tendenzialmente a tempo indeterminato.

Il vincolo conformativo può essere infatti rimosso solo da un provvedimento amministrativo analogo a quello che l’ha istituito, pertanto, a tal fine, è necessaria l’approvazione di un nuovo P.R.G., oppure di una variante a quello vigente.

La quarta ed ultima caratteristica della zonizzazione è quella per cui non prevede alcun indennizzo per il proprietario del fondo, in quanto le limitazioni che la stesa apporta allo ius aedificandi devono essere ricondotte alla natura del suolo e non alla volontà espropriativa dell’Ente pubblico.

Ad esempio, si parla di zonizzazione con riferimento a quei provvedimenti che classificano un’area come “centro storico”, “zona di espansione” o “zona agricola”.

La localizzazione

La localizzazione consiste nell’individuazione di specifiche aree del territorio comunale da destinare a sede di una o più opere pubbliche.

La prima caratteristica della localizzazione è quella di determinare uno stringente vincolo di inedificabilità assoluta sulla proprietà privata a cui afferisce.

Essa infatti impedisce infatti che sul fondo sia realizzata qualsiasi opera da parte del proprietario. Essa dunque non si limita a conformare il singolo diritto di proprietà, ma lo priva della sua stessa ragione d’esistere.

La seconda e principale caratteristica della localizzazione – diretta conseguenza della prima –  è quella di essere espropriativa.

Il vincolo urbanistico è così stringente in quanto preordinato ad una futura espropriazione.

La terza caratteristica della zonizzazione è quella di essere a tempo determinato.

La durata nel tempo dei vincoli di localizzazione per anni è stata oggetto di accese dispute dottrinali e giurisprudenziali, tali da rendere necessario l’intervento della Corte Costituzionale.[iv]

Infine, il legislatore ha emanato dal D.P.R. 327 del 2001, che all’articolo 9, comma secondo, statuisce che “il vincolo preordinato all’esproprio ha la durata di cinque anni” che decorrono dall’emanazione del P.R.G.

Decorso il termine di cinque anni senza che sia stato emanato il provvedimento di esproprio, il vicolo cessa di esistere e l’area precedentemente soggetta a vincolo diviene così una c.d. “zona bianca”.

La zona bianca è un’area del territorio comunale priva di regolamentazione urbanistica, soggetta alle regole previste dall’art. 9 del D.P.R. 380 del 2001 sull’attività edilizia ammissibile in assenza di pianificazione urbanistica.

La quarta ed ultima caratteristica della localizzazione è quella per cui è previsto un indennizzo per il proprietario del fondo, ma solo qualora il vincolo urbanistico venga reiterato prima dello scadere del quinquennio.

La ratio di questa previsione è rinvenibile nel fatto che solo in presenza di un vincolo reiterato, infatti, si verifica il danno indennizzabile per il proprietario. In assenza di reiterazione il vincolo viene sostituito dal decreto di espropriazione (che deve anche disporre il relativo indennizzo) oppure, in caso di mancata approvazione di detto decreto, decade.

Esemplificando, si parla di localizzazione in presenza di provvedimenti che dispongono su una determinata area un vincolo urbanistico volto alla realizzazione di un parco pubblico.

Riassumendo, dunque, la zonizzazione dispone dei vincoli conformativi, non finalizzati all’esproprio, a tempo indeterminato e che non prevedono indennizzi.

Al contrario, la localizzazione dispone dei vincoli ablatori ed espropriativi, di durata quinquennale che, in caso di reiterazione, prevedono l’indennizzo del proprietario.

Qualificare il vincolo: zonizzazione o localizzazione?

Quando ci troviamo in presenza di un vincolo urbanistico, come possiamo stabilire se è “espropriativo” o “conformativo”?

Per prima cosa occorre individuare i criteri di qualificazione, così come delineati dalla giurisprudenza in materia.

La Corte di Cassazione, ha più volte enunciato il principio per cui la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi deve essere operata in relazione alla finalità perseguita in concreto dall’atto di pianificazione, [v] tenendo conto dei requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli stessi.[vi]

Il primo criterio di cui tenere conto è quello dei destinatari del vincolo.

Si è in presenza di zonizzazione, quando l’atto di pianificazione incide su di una generalità di beni e nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione complessiva dell’area in cui detti beni ricadono.

Si è invece in presenza di localizzazione, vincolo dal carattere espropriativo, quando l’atto di pianificazione impone un vincolo su uno o più beni determinati e nei confronti di soggetti ben individuati.

Il secondo criterio di cui tenere conto è quello del contenuto del vincolo.

Si è in presenza di zonizzazione quando, anche a fronte di un vincolo conformativo molto stringente, il proprietario del fondo conserverà un margine di libertà, potendo comunque procedere a realizzare sul proprio fondo secondo le limitazioni previste dal P.R.G.

Il vincolo è conformativo, quindi, quando il suo contenuto, ancorché ben determinato, è tale da non precludere in toto l’iniziativa edificatoria del privato.

Per contro, si è in presenza di localizzazione, quando il vincolo urbanistico comporta un divieto assoluto di edificazione in capo al privato, svuotando di fatto il contenuto del diritto di proprietà.

Un tale vincolo non può essere imposto in funzione non della destinazione complessiva dell’area, bensì della realizzazione di una determinata opera pubblica.

Ancora di recente la Corte di Cassazione ha ribadito questo orientamento, laddove ha affermato che “ove con l’atto di pianificazione si provveda alla zonizzazione dell’intero territorio comunale, o di una sua parte, sì da incidere su di una generalità di beni, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui essi ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo assume carattere conformativo ed influisce sulla determinazione del valore dell’area espropriata, mentre, ove si imponga un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, il vincolo è da ritenersi preordinato all’espropriazione”.[vii]

 

Un esempio: il vincolo a parcheggio

I principi enunciati dalla Corte di Cassazione hanno trovato ampia applicazione da parte della giurisprudenza di merito.

Per illustrare la corretta applicazione di detti principi è possibile prendere ad esempio il caso dei vincoli urbanistici volti alla realizzazione di un parcheggio pubblico.

Tale vincolo è particolarmente stringente è pertanto, a seguito di una sommaria analisi, si potrebbe concludere che lo stesso abbia natura espropriativa e, dunque, di essere in presenza di una localizzazione.

La giurisprudenza amministrativa, affrontando la questione, ha invece statuito che un vincolo urbanistico a parcheggio non può considerarsi così stringente da escludere necessariamente l’intervento privato.

La destinazione di un’area a parcheggio, infatti, è una previsione che si limita ad imporre una vocazione specifica ad una determinata porzione di suolo, il cui fine è solo quello di assicurare il corretto equilibrio della trasformazione urbanistica.

Il proprietario del fondo vincolato potrebbe, infatti, realizzare di propria iniziativa il pubblico parcheggio e gestirlo alla stregua di una attività economica, al fine di trarne profitto.

Il vincolo urbanistico a parcheggio, dunque, in assenza di altri elementi, deve presumersi aver natura conformativa e non espropriativa.[viii]

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Note

[i] Corte Costituzionale, sent. n. 5 del 30 gennaio 1980;

[ii] F. Salvia, Manuale di diritto urbanistico, edizione 2008.

[iii] Consiglio di Stato, sent. n. 6412  del 1/10/2004;

[iv] Corte Costituzionale, sent. n. 55 del 9 maggio 1968;

[v] Corte di Cassazione, sent. n. 16084 del 18/6/2018;

[vi] Corte di Cassazione, sent. n. 2612 del 7/2/2006;

[vii] Corte di Cassazione, sent. n. 207 del 9/1/2020;

[viii] T.A.R. di Catania n. 1662 del 15/10/2007.

Gabriele Marco Chiparo

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