La prova della colpevolezza dell’illecito penale quale tipologia di illecito professionale ex art. 80 c. 5 lett. c) D.lgs. 50/2016

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Il presente lavoro è articolato come segue.

Nel § 1 verranno ripercorsi i tratti salienti della vicenda processuale.

Si dedicherà il § 2 ad un commento delle sentenze, facendo applicazione di nozioni e tecniche teorico-generali e svolgendo considerazioni più ampie sia sul possibile comportamento delle Stazioni Appaltanti alla luce dei principi di diritto in esame, sia su una possibile configurazione alternativa del rapporto tra art. 80 c. 1 e art. 80 c. 5 lett. c) D.lgs. 50/2016.

Nel paragrafo conclusivo (§ 3) si ragionerà in ordine a possibili ulteriori prospettive de iure condendo.

La vicenda processuale

Nel § 1.1 si esporrà brevemente il fatto che ha dato origine alla controversia, mentre i §§ 1.2 e 1.3 verranno dedicati rispettivamente ai due gradi di giudizio.

Il fatto

Una Stazione Appaltante escludeva un operatore economico  ex art. 80 c. 5 lett. c) D.lgs. 50/2016 (con contestuale revoca dell’aggiudicazione provvisoria[1] precedentemente disposta in suo favore) dopo aver accertato che il suo legale rappresentante:

  • era stato rinviato a giudizio per il reato di istigazione alla corruzione nell’ambito di una procedura di project financing indetta precedentemente da una diversa Stazione Appaltante;
  • nell’ambito dello stesso procedimento penale era stato raggiunto da un’ordinanza cautelare coercitiva della libertà personale, intervenuta qualche giorno dopo la seduta in cui era stata formulata l’aggiudicazione provvisoria[2].

La Commissione Giudicatrice scendeva nell’analisi di “circostanze, elementi e conclusioni illustrate dal GIP nell’ordinanza applicativa della misura cautelare” e riteneva sussistente un “grave errore professionale” ostativo alla partecipazione alla gara[3].

Il giudizio di primo grado conclusosi con la sentenza n. 562 del 13 aprile 2018 del Tar Puglia

L’operatore economico escluso impugnava il provvedimento predetto:

–      sia invocando il principio di tassatività delle cause di esclusione (con particolare riferimento alla supposta non equiparabilità di un’ordinanza cautelare alle pronunce giurisdizionali richieste dall’art. 80 c. 1 D.lgs. 50/2016)[4];

–      sia valorizzando la circostanza dell’avvenuta revoca della misura cautelare e dell’adozione di misure di self-cleaning da parte dell’impresa stessa (consistenti nella cessazione dalla carica di legale rappresentante del socio attinto dalla misura cautelare e nella contestuale attribuzione della stessa carica all’altro socio, legato al primo da vincolo di coniugio)[5].

L’operatore economico controinteressato e l’Amministrazione difendevano la legittimità del provvedimento di esclusione rimarcando la permanenza dei gravi indizi di colpevolezza, in quanto la misura cautelare era stata sì revocata, ma sostituita da altra misura interdittiva[6].

Il Tar Puglia con la sentenza n. 562/2018 rigettava il ricorso sulla scorta delle seguenti considerazioni.

In primo luogo, la nozione di “grave illecito professionale” di cui all’art. 80 c. 5 lett. c) ricomprende “ogni condotta, comunque connessa all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica, sia essa di natura civile, penale o amministrativa”, che sia “idonea a porre in dubbio l’integrità morale e l’affidabilità del concorrente[7].

Tale giudizio di idoneità:

  • richiede una “ponderata valutazione discrezionale” della Stazione Appaltante, che “integra in concreto la previsione astrattamente delineata dal legislatore, anche individuando ulteriori ipotesi rispetto a quelle contemplate dalla norma primaria o dalle linee guida ANAC[8];
  • esula da valutazioni di carattere sanzionatorio restando ancorato a valutazioni di natura prettamente fiduciaria, soggette all’unico limite della manifesta illogicità, irrazionalità o errore di fatto della relativa valutazione[9].

In virtù dell’art. 80 c. 5 lett. c), quindi, “l’Amministrazione ben può porre a fondamento dell’esclusione fatti astrattamente sussumibili nell’area del penalmente rilevante – ove di per sé anche suscettibili di incidere sull’affidabilità professionale dell’impresa – senza che sia a tal fine anche necessario un provvedimento di condanna definitivo: in assenza di automatismo espulsivo (diversamente connesso a condanne definitive per i reati di cui all’art. 80 comma 1 D.lgs. 50/2016), nelle ipotesi contemplate dal comma 5, lett. c), compete alla S.A. di valutare e dimostrare, con mezzi adeguati, se, in base agli elementi emersi in concreto, l’operatore economico si è reso colpevole di fatti che, oggettivamente, per la loro gravità, sono tali da determinare il superamento del punto di rottura dell’affidamento, motivando adeguatamente, in ragione di tale valutazione, l’eventuale esclusione dalla gara[10].

In secondo luogo, nel caso di specie l’istigazione alla corruzione rientra nella fattispecie del “tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della Stazione Appaltante”, quale ipotesi normativa esemplificativa della fattispecie più generale di cui all’art. 80 c. 5 c.).

La fattispecie del tentativo di influenzare il processo decisionale può riferirsi a “precedenti procedure ad evidenza pubblica”, “anche non riguardanti la medesima S.A.”, sia in quanto “ai sensi dell’art. 80 c. 6 D.lgs. 50/2016 rileva il comportamento commissivo o omissivo dei concorrenti avuto prima o nel corso della procedura”, sia in quanto è oggettivamente idoneo “ad incidere sulla valutazione di lealtà professionale rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione[11].

In terzo luogo, la prova della colpevolezza ex art. 80 c. 5 lett. c) “non è finalizzata all’accertamento giudiziale dell’illecito, ma soltanto a garantire la non pretestuosità e la proporzionalità dall’esclusione dalla gara[12].

Entrando quindi nella specificità del caso in esame e della motivazione del provvedimento di esclusione:

–      “i gravi indizi di colpevolezza di cui all’ordinanza cautelare del giudice penale rappresentano un “mezzo adeguato a rendere quantomeno dubbia l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico[13];

–      non può darsi rilievo alle specifiche misure di self-cleaning adottate, “mancando la garanzia di una reale autonomia ed effettiva discontinuità rispetto alla precedente gestione[14].

Il giudizio di secondo grado conclusosi con la sentenza n. 1367 del 27 febbraio 2019 della V sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato

La sentenza di primo grado veniva impugnata dall’operatore economico escluso che argomentava in ordine:

–    al mancato rispetto delle Linee Guida ANAC n. 6, supposte vincolanti, “per le quali presupposto per la sussistenza di un grave illecito professionale può essere costituito da una sentenza di condanna, anche se non definitiva”;

–    all’inadeguatezza ed all’incongruità della motivazione del provvedimento di esclusione, le quali rileverebbero anche se le Linee Guida predette venissero ritenute non vincolanti[15].

Il Consiglio di Stato rigettava l’appello:

  • confermando la lettura dell’art. 80 c. 5 lett. c) offerta dal giudice di primo grado ed affermando espressamente che non è indispensabile che i gravi illeciti professionali “siano accertati con sentenza, ma è sufficiente che siano ricavabili da altri gravi indizi”;
  • ribadendo il carattere non vincolante delle Linee Guide ANAC n. 6 (già affermato nei pareri prodromici alle Linee Guida n. 6 ed all’aggiornamento delle stesse), le quali sarebbero utili ma non decisive e “non smentiscono l’esegesi in base alla quale il pregresso inadempimento, anche se non abbia prodotto gli effetti tipizzati, rileva ai fini dell’esclusione qualora, sulla base del discrezionale giudizio della stazione appaltante, sia idoneo ad integrare il ‘grave illecito professionale’, e sia in grado di ledere l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico”;
  • ritenendo adeguata la motivazione del provvedimento di espulsione, sostanzialmente riportandosi a quanto affermato dal Tar[16].

Profili critici dei principi di diritto delle sentenze di primo e secondo grado

Le sentenze di primo e secondo grado creano un certo scalpore innanzitutto perché a primo acchito si pongono in contrasto con le Linee Guida ANAC n. 6 – nella versione aggiornata dalla delibera n. 1008 dell’11 novembre 2017 – che sembravano aver fissato nella condanna penale non definitiva il mezzo di prova minimo per ritenere un illecito penale rilevante ai sensi dell’art. 80 c. 5 lett. c).

Invero, nelle citate Linee Guida ANAC si afferma la rilevanza di alcune categorie di illeciti penali qualora accertati con condanna anche non definitiva, ma non l’irrilevanza degli illeciti penali non ancora accertati con sentenza.

Si tratta però di una sottigliezza logico-argomentativa non facilmente avvertibile, sia in quanto l’affermazione (di cui alla delibera ANAC sopra citata) della rilevanza probatoria di una condanna non definitiva sembra già stridere rispetto ai principi garantistici che sovrintendono la materia penale, sia in quanto la previsione ANAC sul punto discende dall’interpretazione dell’art. 80 c. 10, che, letto a contrario e seppur in senso non garantistico, sembra non lasciare spazio a fasi processuali precedenti alle sentenze di condanna[17].

L’orientamento in esame si pone all’estremo di uno spettro di posizioni molto variegato (v. l’interessante ricostruzione del panorama giurisprudenziale di D.Irollo, Procedimenti e processi penali possono integrare grave illecito professionale escludente prima di una condanna?, su quotidianopa.leggiditalia.it) e non è peregrino attendersi una soluzione nomofilattica: il dibattito è vivo e con la presente nota si tenta di offrire qualche spunto di riflessione agli operatori pratici del diritto che si troveranno a dover verificare in concreto se, dove e come applicare l’art. 80 c. 5 lett. c).

Quello appena citato è comunque solo il più importante di una serie di interessanti passaggi argomentativi contenuti nelle due sentenze, le quali meritano un’analisi tecnico-giuridica approfondita (v. § 2.1, che verrà a sua volta subarticolato in cinque sezioni, corrispondenti ai punti presi in considerazione) anche nella prospettiva delle Stazioni Appaltanti (v. § 2.2): verrà infine esposta una possibile configurazione dei rapporti tra il comma 1 e il comma 5 lett. c) dell’art. 80 alternativa a quella attualmente condivisa dalla giurisprudenza (v. § 2.3).

Analisi tecnico-giuridica delle sentenze

In questo sottoparagrafo si esamineranno cinque specifici punti:

  • la configurazione dell’art. 80 c. 5 lett. c), sia in sé, sia in rapporto all’art. 80 c. 1 (§ 2.1.1);
  • la qualificazione delle Linee Guida ANAC n. 6 (§ 2.1.2);
  • il rapporto tra la dimostrazione della colpevolezza la valutazione circa il rapporto fiduciario (§ 2.1.3);
  • l’astratta valutabilità delle misure di self-cleaning adottate successivamente alla scadenza del termine di presentazione delle offerte (§ 2.1.4);
  • la possibilità che il “tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante” possa riferirsi a procedure diverse da quella in corso (§ 2.1.5).

2.1.1 Il primo (e, come si accennava, più importante) punto su cui si pone l’attenzione è quello riguardante la configurazione dell’art. 80 c. 5 lett. c), sia in sé, sia in rapporto all’art. 80 c. 1.

Le sentenze in esame intendono l’art. 80 c. 5 lett. c) come norma dall’ambito applicativo in astratto potenzialmente illimitato (sia riguardo le fattispecie rilevanti, sia riguardo i mezzi probatori) attributiva di un potere discrezionale alle Stazioni Appaltanti di ammettere o escludere un operatore economico. Qualunque fatto potrebbe astrattamente rientrare nella nozione di “grave illecito professionale in grado di porre in dubbio l’integrità o l’affidabilità” e qualunque mezzo potrebbe astrattamente rivelarsi adeguato a provare la colpevolezza di un siffatto illecito: la legittimità di un provvedimento discrezionale di esclusione andrebbe quindi apprezzata sul piano della motivazione in concreto, sindacabile sotto il profilo estrinseco della verifica della sussistenza del vizio di eccesso di potere amministrativo, ma non sotto il profilo intrinseco della verifica della sussistenza di vizi di merito.

Le sentenze, poi, configurano implicitamente l’art. 80 c. 1 come norma speciale rispetto all’art. 80 c. 5 lett. c), sia riguardo le fattispecie rilevanti, sia i mezzi probatori.  Ricorrendo taluno degli illeciti penali di cui all’elenco contenuto nell’art. 80 c. 1 ed essendo questi stati accertati con una pronuncia giurisdizionale coperta da giudicato, la Stazione Appaltante ha l’obbligo di escludere l’operatore economico  e non ha quindi più il potere discrezionale di decidere tra l’ammissione o l’esclusione (nei termini testuali riportati nelle sentenze, si verifica il c.d. “automatismo espulsivo”) conferitole dall’art. 80 c. 5 lett. c).

L’orientamento giurisprudenziale oggi in commento conduce dunque alle seguenti conseguenze pratiche:

  1. se l’illecito penale riscontrato non rientra tra quelli di cui all’art. 80 c. 1, comunque sia stato accertato la Stazione Appaltante ha il potere discrezionale di ammettere o escludere ex art. 80 c. 5 lett. c);
  2. se l’illecito penale riscontrato rientra tra quelli di cui all’art. 80 c. 1, ma non è stato accertato con una pronuncia giurisdizionale coperta da giudicato, la Stazione Appaltante ha il potere discrezionale di ammettere o escludere ex art. 80 c. 5 lett. c);
  3. se l’illecito penale riscontrato rientra tra quelli di cui all’art. 80 c. 1 ed è stato accertato con una pronuncia giurisdizionale coperta da giudicato, la Stazione Appaltante ha l’obbligo di procedere all’esclusione.

Le sentenze non lo affermano espressamente, ma va da sé che l’onere motivazionale di un provvedimento di esclusione sotto il profilo della fattispecie debba essere più stringente nell’ipotesi sub a) rispetto a quella sub b) e, all’interno dell’ipotesi sub b), debba essere meno stringente nei casi di illeciti penali di cui all’elenco contenuto nelle Linee Guida ANAC n. 6[18] rispetto a quelli che non rientrano nemmeno in tale elenco.

Simmetricamente, l’onere motivazionale di un provvedimento di esclusione sotto il profilo dei mezzi probatori deve essere tanto più stringente quanto più, in un’ipotetica graduazione, ci si allontana dall’ipotesi di pronuncia giurisdizionale coperta da giudicato[19].

Ad avviso dello scrivente non sussiste un rapporto di specialità tra l’art. 80 c. 1 e l’art. 80 c. 5 lett. c), né riguardo alle fattispecie rilevanti, né riguardo ai mezzi probatori. Questa prospettiva, che è diventata radicale dopo l’aggiornamento delle Linee Guida n. 6 ma oggi ritorna attuale a seguito della diffusione delle bozze del Decreto c.d. Sblocca cantieri[20], verrà discussa poco più avanti nel testo (v. § 2.3).

Leggi anche:”Incentivi per funzioni tecniche (art.113 del codice dei contratti): conseguenze della riformulazione normativa introdotta dal cd “decreto sblocca cantieri”

Ammettendo per ora un siffatto rapporto di specialità, le sentenze destano una certa perplessità nella misura in cui non considerano che il principio generale di atipicità della prova della colpevolezza dell’illecito professionale non si applica all’ipotesi speciale dell’illecito penale, per cui vige invece il principio di tipicità della prova della colpevolezza statuito dall’art. 27 Cost. c. 1, a mente del quale “l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva”.

La regola generale per cui la Stazione Appaltante può dimostrare “con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali” (così, testualmente, lo stesso art. 80 c. 5 lett. “c” D.lgs. 50/2016) si infrange, in caso di illecito penale, contro il dettato costituzionale secondo cui non vi può essere mezzo adeguato a fondare la colpevolezza al di fuori di una condanna definitiva (o di un atto equipollente, quale la sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale).

Detto diversamente: pur ammettendo la correttezza dell’interpretazione dell’art. 80 c. 5 lett. c) ribadita dal Tar nel giudizio di primo grado secondo cui in generale la dimostrazione della colpevolezza di cui all’art. 80 c. 5 lett. c)  “non è finalizzata all’accertamento giudiziale dell’illecito, ma soltanto a garantire la non pretestuosità e la proporzionalità dell’esclusione dalla gara”, tale interpretazione si porrebbe in contrasto con la Costituzione per il caso speciale in cui l’illecito professionale di cui trattasi è un illecito penale.

E dunque, al fine di evitare una declaratoria di incostituzionalità dell’art. 80 c. 5 lett. c) nella parte in cui prevede che si possa considerare taluno colpevole di un illecito penale non necessariamente all’esito di un accertamento giudiziale, ma anche attraverso una “dimostrazione con mezzi adeguati”, bisogna adottare (in sede di interpretazione adeguatrice prodromica alla proposizione della q.l.c.) un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 80 c. 5 lett. c) secondo cui la colpevolezza di un illecito penale può essere ritenuta sussistente solo in caso di condanna definitiva (o di altro atto equipollente).

Se non si volesse convenire con la tesi appena esposta per cui la colpevolezza di un illecito penale non può ritenersi dimostrata se non attraverso una pronuncia giurisdizionale coperta da giudicato, vi sono comunque ulteriori argomenti a suffragio della più debole tesi per cui non si può prescindere almeno da una sentenza di condanna non definitiva.

Un primo ulteriore argomento è il seguente.

Nella formulazione dell’art. 80 c. 5 lett. c) antecedente alle modifiche introdotte dall’art. 5 D.L. 135/2018, le “significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione” rilevano solo in quanto “ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio”.

Sarebbe irragionevole se per ritenere sussistente un inadempimento contrattuale si dovesse attendere garantisticamente la relativa “conferma in giudizio”, mentre per un illecito penale (che richiede certamente un livello di garanzia superiore all’illecito civilistico) si potesse ammettere la rilevanza di fatti riscontrati in un giudizio di primo grado ancora in corso.

Per evitare tale effetto irragionevole, pertanto, bisognerebbe interpretare l’art. 80 c. 5 lett. c) nel senso che l’illecito penale non può ritenersi dimostrato se non attraverso un giudizio che lo “confermi[21].

Un secondo ulteriore argomento muove paradossalmente dalla lettura meno garantistica (avanzata dall’ANAC in sede di aggiornamento delle Linee Guida n. 6) dell’aggiunta all’art. 80 c. 10  operata dal D.lgs. 56/2017. Il testo così modificato recita così: “se la sentenza di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, ovvero non sia intervenuta riabilitazione, tale durata è pari a cinque anni, salvo che la pena principale sia di durata inferiore, e in tale caso è pari alla durata della pena principale e a tre anni, decorrenti dalla data del suo accertamento definitivo, nei casi di cui ai commi 4 e 5 ove non sia intervenuta sentenza di condanna” (in grassetto la parte aggiunta dal D.lgs. 56/2017).

L’ANAC ritiene che attraverso questa aggiunta il legislatore abbia voluto ammettere esplicitamente la rilevanza a fattispecie penali e a mezzi probatori diversi da quelli di cui all’art. 80 c. 1. L’ANAC non ha mai esplicitato il procedimento ermeneutico svolto, ma probabilmente è il seguente: la previsione dell’ipotesi di mancata sentenza di condanna (senza che sia stato specificato il carattere definitivo della stessa) nei casi previsti dai commi 4 e 5  implicherebbe a contrario sia il riconoscimento che i commi 4 e 5 possano riferirsi ad illeciti penali, sia che sarebbe sufficiente una sentenza di condanna, anche non definitiva, ai fini della motivazione di un provvedimento di esclusione.

La lettura dell’ANAC non è condivisa dallo scrivente[22], ma mostra che l’art. 80 c. 10, perfino se letto in senso non garantistico, costituisce comunque un fortissimo sbarramento alla possibilità che un provvedimento giurisdizionale emesso in una fase antecedente al giudizio di primo grado abbia rilevanza probatoria della colpevolezza di un illecito penale.

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Infatti, dalla lettura dell’ANAC che privilegia il sintagma “ove non sia intervenuta sentenza di condanna” segue quale corollario che, nel caso in cui non sia intervenuta sentenza di condanna, bisogna prendere in considerazione comunque un ”accertamento definitivo”: ora, non si vede come un rinvio a giudizio o un qualsivoglia altro provvedimento giurisdizionale nel corso del primo grado del giudizio possano essere ritenuti fondati su un accertamento definitivo.

2.1.2 Il secondo punto su cui si pone l’attenzione riguarda la riaffermazione, da parte del Consiglio di Stato, della natura “non vincolante” delle Linee Guida ANAC N. 6, che pertanto sarebbero “utili” ma “non decisive”.

Nell’economia del giudizio, tale precisazione è funzionale a superare il motivo di ricorso secondo cui la rilevanza probatoria di un rinvio a giudizio sarebbe impedita dalle suddette Linee Guida.

Quanto asserito nel § 2.1.1 sulla lettura dell’aggiunta all’art. 80 c. 10 (operata dal D.lgs. 56/2017) mette però in evidenza che l’ANAC, nel dare rilevanza probatoria alle condanne di primo grado, non ha inteso esercitare un potere (para)normativo di natura specificativa, ma ha inteso semplicemente interpretare la disposizione.

Il ragionamento sulla natura non vincolante delle Linee Guida n. 6 può quindi giustificare, sul piano logico-argomentativo, la natura non vincolante dell’interpretazione del dato normativo secondo la quale non si potrebbe prescindere da una sentenza di condanna (seppur non definitiva), ma non il superamento tout court della disposizione interpretata.

Ne consegue che il Consiglio di Stato avrebbe dovuto inoltre superare l’ostacolo interpretativo per cui, ex art. 80 c. 10, in mancanza di condanna rileva comunque un accertamento definitivo, tale invece non essendo il rinvio a giudizio o la misura cautelare coercitiva della libertà personale nell’ambito del giudizio di primo grado.

Il Consiglio di Stato, invero, non prende affatto in considerazione l’art. 80 c. 10 ma, attenuando sensibilmente la posizione di contrasto con l’ANAC, sostiene che le Linee Guida n. 6 non negano comunque che, in virtù della portata generalizzata dell’art. 80 c. 5 lett. c), possa essere data rilevanza probatoria anche a fatti diversi dalle sentenze di condanna.

Questa strategia argomentativa non convince affatto, almeno per due ragioni.

La prima è che, seppure nelle Linee Guida non si affermi l’irrilevanza degli illeciti penali non ancora accertati con sentenza (v., nelle righe iniziali del § 2), (v. § 2.1.1.), in realtà l’ANAC volesse proprio intendere questo.

La seconda è che l’art. 80 c. 10 è una norma avente ad oggetto tutte le ipotesi di cui all’art. 80 in quanto, nel fissare la durata massima dei divieti di partecipazione di cui all’art. 80[23], individua anche i fatti la cui data di verificazione funge da dies a quo. L’art. 80 c. 5 lett. c), quindi, va interpretato alla luce dell’art. 80 c. 10, o comunque una interpretazione dell’art. 80 c. 5 lett. c) non può prescindere da quanto disposto dall’art. 80 c. 10.

Prima di procedere oltre, sia consentita una breve divagazione sulla questione della natura vincolante o meno delle Linee Guida ANAC n. 6.

Il Consiglio di Stato aveva già abbondantemente motivato sulla natura non vincolante in sede di emanazione del parere (reso nell’Adunanza della Commissione Speciale del 26 ottobre 2016) sulla versione originaria delle citate Linee Guida, che trovano fondamento normativo nell’art. 80 c. 13 D.lgs. 50/2016.

Il Consiglio di Stato perveniva a detta conclusione valorizzando:

  1. a) la natura facoltativa delle Linee Guida n. 6 (l’art. 80 c. 13 recita testualmente che l’ANAC “può precisare”);
  2. b) la completezza e l’autoesecutività della disciplina di cui all’art. 80 c. 5;
  3. c) la finalità delle Linee Guida, non autenticamente normativa, ma di garanzia dell’”omogeneità di prassi delle Stazioni Appaltanti”.

Sempre nello stesso parere, si poneva luce sul fatto che le Linee Guida hanno un ambito consapevolmente più esteso di quello ritagliato dall’art. 80 c. 13, almeno nella misura in cui non si limitano a fornire indicazioni circa i mezzi probatori da ritenere rilevanti, ma si spingono a fornire indicazioni anche in relazione alle fattispecie rilevanti di illecito professionale. Il Consiglio di Stato, tuttavia, riteneva quasi naturale una tale estensione del campo d’azione, in ragione della considerazione per cui “la individuazione casistica di illeciti professionali diversi dal significativo pregresso inadempimento è strumentale alla corretta individuazione dei mezzi di prova adeguati di tali illeciti”.

Questa ricostruzione (certamente raffinata) non è però del tutto convincente.

In primo luogo, bisogna tenere sempre presente che in generale in tutte le Linee Guida vi sono parti che costituiscono una mera esplicitazione di un dato normativo. Esse, cioè, vanno intese come proposte di interpretazione, che vanno accolte o rifiutate nella misura in cui siano o meno corrette ed a prescindere dalla natura vincolante o meno della Linee Guida nelle quali sono esplicitate. Diversamente ragionando, l’ANAC sarebbe dotato di un potere di interpretazione autentica infondato già sul piano strutturale, perché detto potere presuppone l’identità del soggetto che prima dispone e poi interpreta autenticamente.

Bisognerebbe pertanto distinguere innanzitutto le parti in cui l’ANAC interpreta da quelle in cui l’ANAC specifica un dato normativo: ad es., l’ANAC interpreta l’art. 80 c. 10, mentre specifica un dato normativo quando individua modalità attuative del principio di rotazione.

In secondo luogo, le Linee Guida n. 6 sono sì facoltative, ma sono anche tipizzate, in ciò differenziandosi dalle Linee Guida atipiche di cui all’art. 213 c. 2. Esse potrebbero appartenere ad un tertium genus di Linee Guida ANAC (quelle appunto facoltative ma tipizzate), che non avrebbero natura vincolante, ma avrebbero un’efficacia argomentativa superiore a quelle stricto sensu non vincolanti: si tratterebbe, cioè, di prescrizioni superabili solo attraverso una motivazione stringente, sindacabile attraverso un controllo di legittimità pur sempre estrinseco, ma estremamente pervasivo.

In terzo luogo, bisogna tenere distinta logicamente la parte delle Linee Guida n. 6 in cui si precisano i mezzi di prova da quella in cui si individuano casi di illeciti professionali non contenuti nell’elenco esemplificativo di cui allo stesso art. 80 c. 5 lett. c) (fermo restando che, laddove riconoscono la rilevanza probatoria delle condanne non definitive, le citate Linee Guida hanno una natura meramente interpretativa). Non è infatti condivisibile, sul piano strettamente logico, che la competenza sui mezzi probatori trascini con sé anche quella sulle fattispecie rilevanti. Mentre la prima parte rientra nel genus delle Linee Guida facoltative e tipizzate all’art. 80 c. 13, la seconda rientra nel genus delle Linee Guida facoltative e non tipizzate di cui all’art. 213 c. 2, con le conseguenze già descritte in ordine all’efficacia argomentativa superiore della prima parte rispetto alla seconda.

2.1.3 Il terzo punto su cui si pone l’attenzione riguarda la tesi generale, già citata, per cui la dimostrazione della colpevolezza di cui all’art. 80 c. 5 lett. c)  “non è finalizzata all’accertamento giudiziale dell’illecito, ma soltanto a garantire la non pretestuosità e la proporzionalità dell’esclusione dalla gara[24]. Tuttavia, sebbene la tesi non confonda sul piano logico il presupposto della colpevolezza da quello dell’insorgenza del dubbio sull’integrità o affidabilità dell’operatore economico, si ha l’impressione che sul piano psicologico sia stato il frutto di un assorbimento del primo nel secondo: è riscontrabile infatti diffusamente una sorta di primazia argomentativa del piano fiduciario rispetto al piano della dimostrazione della colpevolezza.

Pare quindi opportuno precisare che, secondo il disposto dell’art. 80 c. 5 lett. c), rileva giuridicamente il dubbio che insorge mediatamente a causa della dimostrazione della colpevolezza, successivamente a detta dimostrazione ed in ragione della natura dell’illecito professionale dimostrato; non rileva, invece, il dubbio sulla commissione dell’illecito professionale che si riverberi immediatamente a cascata sull’integrità e sull’affidabilità dell’operatore economico.

La dimostrazione della colpevolezza, cioè, è il momento centrale ed imprescindibile della motivazione del provvedimento espulsivo, la quale deve poi occuparsi di  chiarire perché il dimostrato illecito professionale sia tale da far dubitare dell’integrità e dell’affidabilità dell’operatore economico.

2.1.4 Il quarto punto su cui si pone l’attenzione riguarda l’astratta valutabilità del self-cleaning successivo al termine di presentazione delle offerte.

Dalla lettura della sentenza di primo grado pare che le misure di self-cleaning siano state adottate successivamente all’emissione dell’ordinanza cautelare, la quale a sua volta era stata emessa successivamente alla seduta nella quale era stata formulata l’aggiudicazione provvisoria.

La sentenza non le ha ritenute sufficienti ad evitare il giudizio negativo sull’integrità e sull’affidabilità, ma solo in quanto la sostituzione era avvenuta in favore del coniuge del sostituito: non è stata invece valorizzata la circostanza che queste siano state adottate successivamente al termine di presentazione delle offerte.

Sul punto è certamente condivisibile quanto asserito nelle Linee Guida ANAC n. 6, a mente delle quali “l’adozione delle misure di self-cleaning deve essere intervenuta entro il termine fissato per la presentazione delle offerte”: ciò discende inequivocabilmente dai principi formatisi in materia di procedure di affidamento, per cui la valutazione dei requisiti di ordine generale va effettuata imprescindibilmente anche (ma non solo) sulla situazione di fatto e di diritto esistente alla scadenza del termine di presentazione delle offerte.

2.1.5 Il quinto punto su cui si pone l’attenzione riguarda la possibilità, riconosciuta dalla sentenza di primo grado, che il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della Stazione Appaltante si riferisca a procedure diverse da quella nella quale è adottato il provvedimento di esclusione.

Il collegio aveva argomentato ricorrendo:

da un lato, alla previsione di cui all’art. 80 c. 6, che dà in generale rilievo anche a fatti avvenuti prima della procedura in corso;

dall’altro, all’ampiezza del bacino applicativo dell’art. 80 c. 5 lett. c), come se, anche interpretando l’ipotesi esemplificativa del “tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della Stazione Appaltante” come riferita alla sola procedura in corso, il caso del tentativo riferito ad un’altra procedura rientrerebbe comunque nel calderone dell’art. 80 c. 5, sebbene non più come ipotesi esemplificativa.

Le conclusioni cui è giunto il giudice di primo grado non sono condivisibili, in quanto la fattispecie predetta è relativa esclusivamente alla procedura di affidamento in corso, per i seguenti due ordini di ragioni.

In primo luogo, vi sono almeno i seguenti due elementi testuali:

  1. i) il riferimento alla Stazione Appaltante è fatto mediante la proposizione articolata “della” (e non, invece, mediante un sintagma indeterminato come “di una”) e, più in generale, la sintassi utilizzata sembra circoscrivere l’ambito applicativo della norma ad una procedura specifica, ovvero la procedura in corso;
  2. ii) non si utilizza l’espressione “precedenti”, come invece avvenuto per l’ipotesi esemplificativa delle carenze esecutive.

Specialmente l’elemento testuale sub ii) accomuna l’ipotesi esemplificativa del tentativo di influenzare il processo decisionale a quella del fornire informazioni false o fuorvianti: non a caso, infatti, entrambe le ipotesi (a differenza dell’ipotesi esemplificativa delle carenze esecutive) vengono classificate nelle Linee Guida ANAC n. 6 all’interno della classe dei “gravi illeciti professionali posti in essere nello svolgimento della procedura di gara”.

In secondo luogo, il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale può ben rientrare in fattispecie penalmente rilevanti e, in tal caso, potrebbe rilevare solo in quanto accertato da una condanna anche non definitiva[25], ma ciò sarebbe impossibile sul piano squisitamente temporale.

Al fine di conciliare (da un lato) la regola generale dell’irrilevanza di illeciti penali qualora non accertati almeno da una condanna non definitiva, con l’esigenza (dall’altro) di evitare l’effetto iniquo per cui un comportamento illecito di un concorrente durante una gara non potrebbe essere sanzionato con l’espulsione dalla gara stessa, l’ipotesi esemplificativa deve essere interpretata restrittivamente come norma eccezionale e non può pertanto che essere riferita strettamente alla procedura in corso

Questo ragionamento consente di comprendere meglio la ratio della richiesta codicistica di un intervento dell’ANAC volto a precisare i mezzi di prova, che va dunque ricercata nel core business di detta Autorità, la quale ha funzione anticorruttiva ed è pertanto in grado di fornire indicazioni autorevoli circa le strategie corruttive e i comportamenti-spia degli operatori economici che vogliano, per l’appunto, influenzare il processo decisionale della Stazione Appaltante.

I principi di diritto delle sentenze in esame nella prospettiva delle Stazioni Appaltanti: profili problematici e strategie amministrative

I principi di diritto qui esaminati conferiscono alle Stazioni Appaltanti un potere discrezionale di notevole portata ed analogo, almeno sotto gli aspetti della struttura, della funzione e della sindacabilità, a quelli conferiti dalla legge ai giudici ora nella ricostruzione e nella comprensione del fatto storico, ora nella capacità di arricchire contenutisticamente il dettato normativo.

Sotto il profilo strutturale, la capacità, riconosciuta alle Stazioni Appaltanti, di valutare se gli illeciti “dimostrati con mezzi adeguati”  siano tali da interrompere il nesso di fiducia con gli operatori economici, somiglia molto al “libero apprezzamento” del giudice.

Sotto il profilo funzionale, il titolare del potere amministrativo può valorizzare le specificità del caso concreto e di scendere funditus nella situazione, al fine di modellare la lettera della legge sulle mutevoli esigenze della realtà, analogamente al giudice che ha una vera e propria capacità creativa emergente specialmente in occasione di concetti indeterminati, clausole generali ed ogni altro uso linguistico non troppo stringente sul piano semantico.

Sotto il profilo della sindacabilità, i provvedimenti di esclusione ex art. 80 c. 5 lett. c) di fronte al giudice amministrativo sono censurabili per motivi analoghi a quelli per cui sono censurabili i provvedimenti giurisdizionali di fronte alla Corte di Cassazione.

Le Stazioni Appaltanti, però, non hanno la reale possibilità di comportarsi come un organo giurisdizionale, per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, al fine di formulare un giudizio sull’integrità e sull’affidabilità di un operatore economico in relazione ad illeciti penali sulla base di provvedimenti non assistiti dalla forza della definitività giudiziale, bisognerebbe che le Stazioni Appaltanti disponessero almeno degli stessi poteri d’indagine e della stessa tempistica di cui dispone un organo inquirente o un organo giudicante.

In carenza di adeguati poteri autonomi d’indagine e di un’adeguata tempistica (in linea di massima incompatibile con le esigenze di speditezza che connotano l’azione amministrativa ed in modo particolare l’ambito degli appalti pubblici) il contraddittorio con l’impresa risulterebbe monco.

L’operatore economico, da par suo, ad esempio, nel caso in cui venisse in rilievo la valutazione di un provvedimento anteriore ad una condanna di primo grado, potrebbe ben decidere di partecipare al contraddittorio in modo blando, magari nell’ambito di una strategia difensiva che riservi alla fase dibattimentale determinate argomentazioni in punto di fatto e/o di diritto.

E, soprattutto, la Stazione Appaltante non potrebbe sempre agevolmente replicare di fronte ad una contestazione in punto di fatto. Pertanto, o recederebbe dall’intento espulsivo, o accetterebbe per lo più acriticamente quanto riportato in provvedimenti ancora precari.

Nessuno dei due esiti, però, pare pienamente conforme a quanto richiesto in generale dalla giurisprudenza amministrativa.

Il primo esito è criticabile nella misura in cui, se la Stazione Appaltante decidesse di conferire rilevanza astratta ad una tipologia di provvedimento giurisdizionale, non potrebbe poi ritornare tanto agevolmente sui propri passi in ragione di una riscontrata incapacità istruttoria istituzionale.

Il secondo esito andrebbe proprio in linea opposta alle stesse sentenze in commento, che salutano positivamente (e forse auspicano o, addirittura, impongono) una sorta di interiorizzazione istituzionale delle valutazioni effettuate in sede giudiziale, che dovrebbero cioè essere “fatte proprie” dalla Stazione Appaltante.

In secondo luogo, sia poi consentito rimarcare che un organo amministrativo è soggetto ad un regime di responsabilità più stringente rispetto a quello degli organi giurisdizionali. Questa distinzione di regime è assolutamente fisiologica in ragione della diversa ampiezza dei poteri attribuiti ai giudici (da un parte) e ai titolari di poteri amministrativi (dall’altra).

Sarebbe ictu oculi impensabile che un errore di fatto e/o di diritto del primo potesse essere astrattamente configurabile quale abuso d’ufficio o illecito contabile: pertanto, è bene che l’organo amministrativo non sia dotato di poteri discrezionali così ampi, o che comunque le disposizioni in materia di poteri amministrativi vengano interpretate non in senso eccessivamente ampliativo.

Più in generale, poi, vanno proprio limitate le aree di discrezionalità amministrativa nelle procedure di affidamento.

Lo richiede il principio di certezza del diritto, quale corollario del principio di speditezza amministrativa,  quanto mai pregnante per reagire all’emergenza infrastrutturale: è evidente che l’esercizio di un potere discrezionale richieda un tempo congruo per valutare e ponderare, sicuramente maggiore rispetto a quello pressoché limitato in caso di attività vincolata (se non addirittura inesistente in caso di attività standardizzata e consolidata nella prassi).

È inoltre innegabile la fortissima correlazione diretta tra ampiezza della discrezionalità e probabilità di insorgenza di un contenzioso, come dimostrano le statistiche sul contenzioso originato dalle gare da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso rispetto a quelle da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Lo richiede l’attuale temperie culturale-istituzionale, pervasa da un’ondata di forte scetticismo, sospetto e sfiducia nei confronti dell’operato della Pubblica Amministrazione. Già la sola esistenza e il solo esercizio di un ampio potere discrezionale sono visti dal cittadino come un possibile ricettacolo di fenomeni devianti: e non può negarsi che, almeno in linea di principio, un’azione di prevenzione dei fenomeni corruttivi (e di illegalità in genere) non trovi terreno fertile in ambiti normativi denotati da un certo tasso di discrezionalità.

Lo richiede, poi, una sempre maggiormente avvertita sensibilità verso la necessità di garantire uniformità di trattamento, sia interistituzionale, sia infraistituzionale. Nella prospettiva interistituzionale, è altissimo il rischio che un operatore economico possa trovarsi di fronte ad una limitazione “a macchia di leopardo” nel partecipare alle procedure di affidamento, che avrebbe obiettivamente senso, nella percezione dello stesso, solo se l’impossibilità di partecipazione si riscontrasse in relazione ad appalti che, per la qualità del soggetto committente e/o beneficiario, o per la natura classificata degli stessi, richiedessero una più pervasiva valutazione in ordine all’integrità e/o affidabilità dell’affidatario. Nella prospettiva infraistituzionale (più delicata in quanto l’eventuale difforme trattamento assumerebbe certamente rilevanza sul piano delle c.d. situazioni sintomatiche della presenza di un eccesso di potere amministrativo) la Stazione Appaltante dovrebbe dotarsi di criteri e di modalità di applicazione uniformi, così da consentire la comparabilità di situazioni diverse in capo a diversi operatori economici.

Ad avviso dello scrivente, le insidie dell’accidentato percorso dell’applicazione dell’art. 80 c. 5 lett. c) potrebbero essere in buona parte evitate se le Stazioni Appaltanti ricorressero alla tecnica della predeterminazione (con atti pubblicati in guisa tale da essere facilmente conoscibili dalla platea dei potenziali partecipanti alle procedure) di tipologie di illeciti penali rilevanti e tipologie di mezzi probatori rilevanti ai sensi dell’art. 80 c. 5 lett. c).

La valutazione sull’ammissione o sull’esclusione sarebbe il frutto di un’attività vincolata, le garanzie in termini di uniformità infraistituzionale di trattamento sarebbero evidenti e si eviterebbero gli svantaggi, prima accennati, dell’esercizio della discrezionalità. I provvedimenti di esclusione così adottati non sarebbero poi esposti al vizio consistente nel non aver “fatto proprie” le risultanze giudiziali: una siffatta interiorizzazione istituzionale avverrebbe nella fase precedente in cui la Stazione Appaltante, con un atto generale e astratto, definisce il novero degli illeciti penali e dei mezzi istruttori rilevanti.

Oppure, più semplicemente, le Stazioni Appaltanti potrebbero rinunciare ad esercitare il potere facoltativo di espulsione ex art. 80 c. 5 lett. c) in caso di illeciti penali non rientranti nell’art. 80 c. 1 e/o non accertati nelle forme prescritte da quest’ultima disposizione.

Lo consente l’attuale configurazione dell’art. 80 c. 5 lett. c), nella misura in cui tale disposizione attribuisce un potere facoltativo di esclusione alla Stazione.

Lo suggeriscono ragioni di prudenza, sia in virtù di quanto affermato in relazione all’esercizio della discrezionalità, sia perché non è affatto da rigettare la prospettiva, che si espone nel prossimo subparagrafo, secondo cui l’art. 80 c. 5 lett. c) non può riferirsi ad illeciti penali (salvo i casi emergenti nelle procedure in corso).

Una prospettiva alternativa: gli illeciti penali non rientrano nell’art. 80 c. 5 lett. c) e la Stazione Appaltante non ha in relazione agli stessi alcun potere discrezionale di ammettere o escludere

Nella ricostruzione qui proposta:

  1. non sussiste un rapporto di specialità tra l’art. 80 c. 1 e l’art. 80 c. 5 lett. c), né riguardo alle fattispecie rilevanti, né riguardo ai mezzi probatori;
  2. la Stazione Appaltante non ha alcun potere discrezionale di decidere se procedere all’ammissione o all’esclusione in relazione agli illeciti penali (eccetto la valutazione sull’adozione di misure di self-cleaning).

Sono cioè rilevanti ai fini dell’esclusione i soli illeciti penali di cui all’art. 80 c. 1 accertati con condanna definitiva o altro atto equipollente     (fatti salvi gli illeciti compiuti nella procedura in corso): conseguentemente, nei casi di cui all’art. 80 c. 1 la Stazione Appaltante deve escludere, mentre al di fuori di tali casi la Stazione Appaltante non può escludere.

A queste conclusioni si perviene in virtù del seguente ordito argomentativo.

In primo luogo, soccorre in tal senso il canone dell’interpretazione storica dell’art. 80 c. 1 D.lgs. 50/2016.

Ai sensi dell’art. 38 c. 1 lett. c) D.lgs. 163/2006 era causa di esclusione la commissione di “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”, qualora accertati con “sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”.

La “gravità” del reato e la sua attitudine ad “incidere sulla moralità professionale” venivano ravvisate in concreto dalla Stazione Appaltante. Seguiva, nello stesso art. 38 c. 1 lett. c), un elenco di tipologie di reati per cui vi era invece una presunzione iuris et de iure di gravità e attitudine ad incidere sulla moralità professionale (ovvero: “reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18”): in tali ultimi casi, quindi, la Stazione Appaltante aveva l’obbligo di procedere all’esclusione.

Nella disciplina previgente la Stazione Appaltante aveva un margine di discrezionalità nell’individuare altre fattispecie di illecito penale rilevanti ex art. 38 c. 1 lett. c), ma non mezzi probatori diversi dalla condanna definitiva o altro atto equipollente.

Questa discrezionalità (seppur limitata alle fattispecie rilevanti) aveva creato diverse problematiche applicative ed un contenzioso di non modesta entità.

Nel nuovo codice la disposizione corrispondente all’art. 38 c. 1 lett. c) D.lgs. 163/2006 (che, è bene sottolinearlo, conteneva una disciplina esaustiva degli illeciti penali) è l’art. 80 c. 1, che pare essere stato concepito con l’intento precipuo sia di eliminare la discrezionalità della Stazione Appaltante, sia quella di ridurre il più possibile incertezze applicative riguardo il novero dei reati che determinano l’automatismo espulsivo.

Infatti, l’art. 80 c. 1 non contiene più clausole aperte rispetto agli illeciti penali rilevanti e toglie quindi alle Stazioni Appaltante il potere discrezionale di individuarne ulteriori ed è, tra l’altro, ancor più preciso (rispetto all’art. 38 c. 1 lett. “c” D.lgs. 163/2006) nell’individuare gli illeciti penali che determinano l’obbligo di esclusione: l’elenco per tipologie di cui all’art. 38 del codice previgente è ora sostituito da un elenco composto da reati puntuali e solo in minima parte da classi di reati (quale ad es. quella di cui alla lettera “g”). Né va sottaciuto il dato estetico-formale: mentre nel vecchio codice la disciplina era contenuta in una delle tante lettere dell’art. 38 c. 1, nel D.lgs. 50/2016 è ora contenuta in un comma apposito (non a caso il primo dell’art. 80), tra l’altro più esteso sul piano linguistico per ragioni evidenti di chiarezza e facilità di comprensione.

Riassuntivamente, l’art. 80 c. 1 D.lgs. 50/2016 pare il frutto di una volontà chiarificatrice, improntata a quella certezza del diritto (v. anche nel § 2.2) che nelle procedure di affidamento assume una posizione assiologica assolutamente preminente.

La configurazione giuridica del rapporto tra l’art. 80 c. 5 lett. c) e l’art. 80 c. 1 svolta dalle sentenze in commento sembra quindi snaturare questa ratio, perché sotto questo profilo va perfino indietro rispetto alla disciplina di cui all’art. 38 c. 1 lett. c) D.lgs. 163/2006: non solo, infatti, fa rientrare la discrezionalità delle Stazioni Appaltanti riguardo gli illeciti penali rilevanti ai fini dell’esclusione, ma introduce inoltre la discrezionalità nei mezzi probatori, sconosciuta nel vecchio codice, per cui l’illecito penale rileverebbe purchè sia “dimostrato con mezzi adeguati”.

In secondo luogo, se il legislatore codicistico avesse voluto dotare la Stazione Appaltante di un potere discrezionale nell’individuare illeciti penali e/o mezzi probatori ulteriori rispetto a quelli di cui all’art. 80 c. 1, allora avrebbe certamente utilizzato una qualche tecnica normativa espressiva di un siffatto intento. Ad es.:

  1. avrebbe mantenuto l’impostazione dell’art. 38 c. 1 lett. c) D.lgs. 163/2006, cioè avrebbe dapprima individuato la classe generale di illeciti penali potenzialmente rilevanti (cioè quelli “in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale” e poi avrebbe individuato la classe speciale di illeciti penali per cui vige l’obbligo espulsivo;
  2. oppure avrebbe previsto, in un periodo conclusivo dell’art. 80 c. 1, che comunque la Stazione Appaltante avrebbe potuto discrezionalmente ritenere rilevanti altri illeciti penali e/o altri mezzi probatori;
  • oppure avrebbe collocato la disposizione di cui all’art. 80 c. 5 lett. c) in fondo all’elencazione delle cause di esclusione, qualificando (con un’espressione analoga a quella usata dalle Linee Guida n. 6) l’ipotesi ivi descritta come causa residuale e facoltativa di esclusione, in grado di ricomprendere qualunque altro illecito civile, penale, amministrativo e in grado di valorizzare altri mezzi probatori.

L’assenza di tali espressioni è invece indice del fatto che il legislatore avesse voluto utilizzare la tecnica della tipizzazione ed elencazione per classi contigue: le singole fattispecie non si sovrappongono le une sulle altre, se non in casi eccezionali. Un siffatto caso di sovrapposizione è stato individuato (v. § 2.1.5) proprio nel “tentativo di influenzare il processo decisionale delle Stazioni Appaltanti”, che può ben rientrare in una fattispecie penale, ma è rilevante come causa autonoma di esclusione ex art. 80 c. 5 lett. c) quando riferito alla procedura in corso, perchè, essendo impossibile che intervenga una pronuncia giurisdizionale coperta dal giudicato (o altro atto equipollente) sullo stesso fatto, si consentirebbe all’operatore economico di partecipare in una procedura che ha indebitamente ed illecitamente tentato di influenzare.

In terzo luogo, forse una norma di chiusura per gli illeciti penali esiste ed è quella di cui al’art. 80 c. 1 lett. g), secondo cui è motivo di esclusione “ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”. Lo suggeriscono:

  1. la posizione della disposizione (in coda alle altre cause di esclusione relative agli illeciti penali);
  2. la terminologia tipica delle norme di chiusura (“e ogni altro atto…”)
  • l’apparente ridondanza (l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione ha come evidente corollario l’impossibilità di partecipare alle procedure di affidamento e discende quale effetto necessario dell’art. 32-ter c.p., indipendentemente da un’espressa previsione del codice dei contratti pubblici), sintomo invece della volontà di racchiudere in un unico comma le cause di esclusione relative a fattispecie penali.

Conseguentemente, se l’art. 80 c. 1 lett. g) è una norma di chiusura in relazione agli illeciti penali, l’art. 80 c. 5 lett. c) non può essere interpretato così da ricomprendere fattispecie ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 80 c. 1.

In quarto luogo, indipendentemente da quanto previsto dall’art. 83 c. 8 IV e V periodo, che prevede una norma facilmente leggibile come subspecificazione del principio di legalità (ovvero che la Pubblica Amministrazione non può prevedere fattispecie, cui sono riconnesse sanzioni negative, diverse da quelle fissate dalla legge), probabilmente in materia di procedure di affidamento quest’ultimo principio si articola anche in un senso forte di tassatività. Le ipotesi cui sono riconnesse sanzioni negative devono cioè essere formulate in modo puntuale (analogamente a quanto accade in materia penale e soprattutto in relazione all’individuazione di illeciti penali rilevanti in senso negativo sulle possibilità di partecipazione) o comunque, anche se formulate “a maglie larghe” come nel caso dell’art. 80 c. 5 lett. c), devono essere applicate cum grano salis, evitando estensioni di significato generalizzate ed indiscriminate.

 

Tale prospettiva, soprattutto all’indomani dell’entrata in vigore del D.lgs. 50/2016, era quella più naturale e più aderente al dato testuale, soprattutto in sede di confronto con la disciplina previgente, ma con la lettura dell’ANAC dell’aggiunta all’art. 80 c. 10 operata dal D.lgs. 56/2017 (di cui si è già detto nel § 2.1.1), tale prospettiva appare minoritaria.

È di questi giorni il dibattito istituzionale sulle modifiche al D.lgs. 56/2017: nella versione del decreto-legge c.d. “Sblocca cantieri” approvata “salvo intese” dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 20 marzo 2019 è presente una vera e propria riscrittura dell’art. 80 c. 10, da cui invece sembra desumersi che, probabilmente, il legislatore del correttivo non volesse ampliare il novero degli illeciti penali rilevanti ai fini dell’esclusione, né che questi potessero ritenersi sussistenti anche se non accertati in una condanna penale definitiva.

Il testo della bozza è il seguente.

10. Se la sentenza penale di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, ovvero non sia intervenuta riabilitazione, tale durata è pari a cinque anni, salvo che la pena principale sia di durata inferiore, e in tale caso è pari alla durata della pena principale; nei casi di cui al comma 5 il periodo di esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data dell’accertamento del fatto in via amministrativa ovvero, in caso di sua contestazione in giudizio o di condanna, dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso”.

La riscrittura del primo periodo dell’art. 80 c. 10, ad avviso dello scrivente, non ha portata innovativa (tranne che nell’ultimo periodo), ma, pur non essendo scevro da imperfezioni nella formulazione, mira ad emendare i difetti della precedente novella, che ha generato interpretazioni (poi rivelatesi maggioritarie) secondo cui possono rilevare quali cause di esclusione fattispecie penali ulteriori rispetto a quelle di cui all’art. 80 c. 1 ritenute sussistenti attraverso mezzi probatori diversi da quelli previsti dallo stesso art. 80 c. 1.

Non è importante se tale testo corrisponderà effettivamente a quello effettivamente ufficiale. Ciò che rileva, tuttavia, è che già in tale testo si evince uno sforzo di chiarificazione di alcuni punti ambigui dell’art. 80 c. 10 per come modificato dal D.lgs. 56/2017. Tale testo è, pertanto, un utile strumento di ausilio per interpretare correttamente la disposizione predetta.

Nella lettura meno garantistica offerta dall’ANAC:

  1. si dava per scontato che la “condanna” menzionata in riferimento ai commi 4 e 5 fosse di natura penale, ma in realtà esistono tipologie di condanna pronunciata in sede civile o amministrativa[26];
  2. non si chiariva in alcun modo la natura dell’”accertamento definitivo” rilevante in caso di mancata condanna.

Nella bozza viene però immediatamente chiarito che l’accertamento di cui trattasi ha natura amministrativa, quindi il dubbio sub b) può ritenersi sciolto.

Elementi importanti, seppur meno decisivi, vi sono anche per sciogliere il dubbio sub a), nel senso che la condanna di cui si tratta ha natura civile o amministrativa.

In primo luogo, nella bozza si esplicita che la sentenza di condanna di cui al primo periodo ha natura penale. Ciò non è affatto necessario, perché è ovvio che in una sentenza civile o amministrativa non possa essere fissata la pena accessoria. Tale esplicitazione però diventa necessaria nel momento in cui si intende tracciare una distinzione rispetto alla condanna di cui alla seconda parte del primo periodo rilevante nei casi di cui al comma 5.

In secondo luogo, è stato eliminato l’aggettivo “definitivo”, ma si è distinto tra l’ipotesi di contestazione in giudizio o di condanna (in tal caso i tre anni decorrono dalla sentenza non più soggetta ad impugnazione) dall’ipotesi opposta (in tal caso i tre anni decorrono dalla data dell’accertamento, ma non dalla data in cui è diventato inoppugnabile). Seppur con una formulazione non felicissima, il legislatore ha inteso distinguere anche tra i casi in cui un accertamento siffatto è stato oggetto di un giudizio civile o amministrativo, che può infatti concludersi sfavorevolmente non solo con una sentenza di condanna, ma anche con una sentenza di accertamento.

Più in generale, poi, l’interpretazione appena offerta dell’art. 80 c. 10 (nella versione attualmente vigente, e quindi antecedente al non ancora pubblicato D.L. “Sblocca cantieri”) risponde al principio di simmetria (cui è ispirata la prospettiva alternativa qui presentata), tale che:

  • il comma 1 si occupa di illeciti penali, ed hanno rilevanza le sole condanne definitive (o altri atti equipollenti);
  • il comma 5 si occupa di illeciti civili o amministrativi, ed hanno rilevanza probatoria gli accertamenti amministrativi non contestati in giudizio o confermati all’esito di un giudizio[27].

Che, inoltre, il legislatore del D.lgs. 56/2017 attraverso tale inciso avesse voluto riconoscere la rilevanza di illeciti penali diversi da quelli di cui all’art. 80 c. 1, è tesi argomentativamente molto ardua, anche a prescindere dalla lettura qui offerta: un effetto giuridico così dirompente non potrebbe obiettivamente essere desunto (in modo peraltro tutt’altro che univoco) da una mera aggiunta ad una disposizione che si occupa della durata dell’interdizione, e solo indirettamente dei suoi presupposti.

Riepilogo e prospettive de iure condendo

3.1Riepilogo

 Le sentenze n. 562/2018 del Tar Puglia e n. 1367/2018 del Consiglio di Stato interpretano l’art. 80 c. 5 lett. c) nel senso che le Stazioni Appaltanti possono discrezionalmente escludere un operatore economico per un illecito penale sulla base di provvedimenti giurisdizionali (nella specie, un rinvio a giudizio ed un’ordinanza cautelare restrittiva della libertà personale) antecedenti alla conclusione del giudizio di primo grado.

In questo lavoro sono state però innanzitutto espresse delle forti perplessità su tali principi di diritto (v. § 2.1.1):

– sia in quanto l’art. 27 Cost. c. 1 impedirebbe di considerare taluno colpevole di un illecito penale sino alla condanna definitiva (o altro atto equipollente),

– sia in virtù dell’art. 80 c. 10 (per come modificato dal D.lgs. 56/2017) che, anche nella lettura meno garantistica adottata dall’ANAC nell’aggiornamento alle Linee Guida n. 6, imporrebbe di dimostrare la sussistenza di un illecito penale almeno con una sentenza di condanna di primo grado.

Non ci si è limitati a questi aspetti e sono stati esaminati altri punti meritevoli di attenzione delle sentenze in oggetto, tra cui ad es. la natura delle Linee Guida ANAC, con particolare riferimento a quelle recanti il numero 6 (v. §§ 2.1.2, 2.1.3, 2.1.4 e 2.1.5).

Ci si è poi calati nella prospettiva delle Stazioni Appaltanti (§ 2.2): è stata segnalata la scivolosità dell’esercizio di un siffatto potere discrezionale, sia in ragione della sua ampiezza (che si addice agli organi giurisdizionali, ma non agli organi amministrativi), sia in ragione della delicatezza della materia trattata. È stato quindi suggerito di adottare un comportamento uniforme predeterminando, all’uopo, le tipologie degli illeciti penali e le tipologie dei mezzi di prova ritenuti rilevanti ex art. 80 c. 5 lett. c) e diverse da quelle di cui all’art. 80 c. 1 e, comunque, prefigurando la possibilità di rinunciare del tutto ad esercitare un potere discrezionale di esclusione.

Un tale atteggiamento prudenziale è a parere dello scrivente opportuno anche in quanto non è affatto da escludere la correttezza della prospettiva delineata nel § 2.3, secondo cui (salvo i casi eccezionali riferiti alle procedure in corso) l’art. 80 c. 5 lett. c) non può riferirsi ad illeciti penali e mezzi di prova diversi da quelli di cui all’art. 80 c. 1. A queste conclusioni si è giunto adottando diversi canoni interpretativi e dopo aver evidenziato una diversa e più garantistica lettura dell’art. 80 c. 10, anche alla luce di quanto previsto nella bozza del D.L. c.d. “Sblocca cantieri” approvata dal Consiglio dei Ministri il 20 marzo 2019.

 

3.2 Prospettive de iure condendo

 

I principi di diritto contenuti nelle sentenze esaminate sono criticabili nella misura in cui sono introdotti per via pretoria perché, come già visto, creano incertezza in un ambito in cui, al contrario, è sommo il bisogno di certezza.

Va però ammesso che detti principi di diritto tentano di rispondere ad una condivisibile esigenza di flessibilità, che investe sia le fattispecie penali sia i mezzi probatori rilevanti ai fini dell’esclusione in una procedura di affidamento.

Riguardo le fattispecie penali, l’adozione di un numerus clausus uguale per ogni procedura di affidamento può comportare effetti pratici sproporzionati:

  1. a) sia nel senso di escludere un operatore economico per reati effettivamente irrilevanti in relazione allo specifico oggetto del contratto (quale potrebbe essere ad es. un reato urbanistico – di cui all’elenco delle Linee Guida ANAC n. 6 – in relazione ad un appalto di servizi di pulizia):
  2. b) sia nel senso di ritenere ammissibile un operatore economico che ha compiuto reati di gravità che concretamente lascino fortemente dubitare della professionalità (quale potrebbe essere il reato di accesso abusivo a sistema informatico in relazione ad un appalto di servizi di telecomunicazione).

L’art. 80 c. 1 è ispirato alla logica per cui i requisiti di ordine morale sono di ordine generale, che sacrifica le esigenze speciali sub b) per non ledere quelle sub a). L’elenco aggiuntivo proposto dall’ANAC, come appena visto, tenta di ovviare a tali eccessi garantistici, ma per la sua stringatezza è in grado di determinare anche effetti sproporzionati della tipologia sub a).

Ferma restando quindi l’esigenza forte di evitare che l’individuazione dell’illecito penale rilevante sia rimessa alla valutazione della Stazione Appaltante nella specifica procedura, lo scrivente avanza la proposta che nel codice dei contratti:

  • oltre agli illeciti penali rilevanti in via generale ex art. 80 c. 1, si individuino illeciti penali rilevanti in via speciale in determinate classi di appalti (ad es. per soglie di importo o categorie merceologiche);
  • si consenta alle Stazioni Appaltanti di adottare specifici atti regolamentari miranti ad individuare ulteriori illeciti penali rilevanti (l’altezza istituzionale può per esempio ben condurre a ritenere più stringente la valutazione dei requisiti di ordine morale).

Riguardo i mezzi probatori, va osservato innanzitutto che l’art. 27 Cost. c. 1 non impedisce che de iure condendo possa essere data rilevanza anche a condanne non definitive (fermo restando che, nel caso dell’art. 80 c. 5 lett. c, tale dettato costituzionale viene naturalmente in gioco per via del riferimento della stessa littera legis alla colpevolezza). Nel nostro ordinamento sono infatti presenti disposizioni (soprattutto in materia di cause di inconferibilità ex D.lgs. 39/2013) che conferiscono efficacia interdittiva a condanne penali anche non definitive, la cui compatibilità costituzionale sembra essere ormai accettata dagli operatori teorici e pratici del diritto.

Questa considerazione è necessaria perché l’art. 80 c. 1, nel suo rigore garantistico, corre il rischio di consentire ad operatori economici di rimanere sul mercato per troppo tempo, anche in presenza di condanne non definitive per reati gravissimi.

Il legislatore codicistico potrebbe quindi dare rilevanza espressa anche alle condanne penali non definitive e, in un certo senso, ciò è anche auspicabile magari in relazione a determinate classi di reati o a condanne di una determinata entità. Sarebbe però opportuno che, in tal caso, si prevedesse una qualche clausola di salvaguardia, riparatoria del pregiudizio che soffrirebbe un operatore economico nel rimanere escluso dal mercato degli appalti pubblici per una condanna cui poi fosse seguita una sentenza di assoluzione pleno iure.

Conclusivamente, le sentenze n. 562/2018 del Tar Puglia e n. 1367/2019 del Consiglio di Stato eccedono nel conferire un potere discrezionale astrattamente illimitato di individuare illeciti penali e mezzi probatori rilevanti ex art. 80 c. 5 lett. c).

Questa possibilità è da escludere se si ragiona a legislazione vigente, ma le esigenze di flessibilità sono notevoli e vanno riconosciute.

È quindi auspicabile un intervento normativo che faccia chiarezza sulla materia e, possibilmente, individui altri illeciti penali rilevanti ai fini dell’esclusione e stabilisca se conferire rilevanza anche alle sentenze di condanna non definitive, prevedendo però all’uopo opportune clausole di salvaguardia.

[1] Più propriamente, si tratta non di “aggiudicazione provvisoria”, ma di “proposta di aggiudicazione”. Nel D.lgs. 50/2016 la figura dell’aggiudicazione provvisoria ha lasciato infatti il posto alla figura della proposta di aggiudicazione, come si evince dagli artt. 32 c. 5 e 33 c. 1. Per una distinzione tra le due  figure, si v. da ultimo Cons. Stato n. 1710 del 15 marzo 2019, con commento, intitolato “Appalti: il superamento dell’aggiudicazione provvisoria per accelerare la definizione dei contenziosi”, su www.gazzettaamministrativa.it.

[2] V. § 1.2 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[3] V. § 1.3 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[4] V. § 2 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[5] Così si evince dal § 7.6 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[6] V. § 4 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[7] V. § 7.1 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[8] Ibidem.

[9] V. § 7.2 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[10] V. § 7.3 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[11] V. § 7.4 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[12] V. § 7.5 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[13] Ibidem.

[14] V. § 7.6 della parte denominata “Fatto e Diritto” della sentenza.

[15] V. parte denominata “Fatto” della sentenza.

[16] V. parte denominata “Diritto” della sentenza.

[17] Sulla lettura dell’art. 80 c. 10 per come modificato dal D.lgs. 56/2017, v. melius infra nel § 2.1.1.

[18] Il Consiglio di Stato le ha ritenute comunque “utili”, seppur “non vincolanti” e “non decisive”: v. comunque poco più avanti nel § 2.1.2.

[19] Per completezza d’analisi, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza, la sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. non implica di per sé un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile o amministrativo, ma un eventuale discostamento deve essere adeguatamente motivato. Conseguentemente, la motivazione del provvedimento di espulsione (per un illecito penale diverso da quello di cui all’art. 80 c. 1, perché altrimenti si ricadrebbe nel c.d. automatismo espulsivo dell’art. 80 c. 1) che conferisse rilevanza probatoria ad una sentenza di patteggiamento non necessiterebbe di essere ulteriormente approfondita, in quanto detta sentenza sarebbe assistita da una sorta di presunzione iuris tantum.

[20] Nella bozza di decreto su cui il Consiglio dei Ministri si è espresso favorevolmente nella seduta del 20 marzo 2019 (disponibile ad es. alla seguente pagina web: http://www.bosettiegatti.eu/novita/190320_schema_sbloccacantieri.pdf) è prevista una riscrittura dell’art. 80 c. 10, che appare più che altro una chiarificazione della versione successiva all’aggiunta dal D.lgs. 56/2017. Sul punto v. melius infra nel § 2.3.

[21] Sono comunque necessarie tre importanti precisazioni. La prima precisazione è che questo argomento è destinato ad operare per il periodo antecedente l’entrata in vigore del D.L. 135/2018, che all’art. 5 ha apportato delle modifiche all’art. 80 c. 5 lett. c). La fattispecie delle carenze esecutive è ora disciplinata dalla lettera c-ter), che si riferisce al caso in cui “l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa”. Com’è possibile notare, nel codice attualmente in vigore non è più necessario attendere una sentenza al fine di ritenere sussistente la fattispecie delle carenze esecutive. La seconda precisazione è che comunque tale disposizione è stata oggetto di rimessione alla Corte di Giustizia (così Cons. Stato 5033/2018 e 2639/2018), nella misura in cui il presupposto della conferma in giudizio sarebbe sospettato di non conformità alla direttiva comunitaria 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE. La terza precisione è che, al contrario, la lettera dell’art. 80 c. 5 lett. c) (nella formulazione antecedente al D.L. 135/2018 e qualora non dovesse essere ritenuta non conforme in parte qua alla disciplina comunitaria) può essere interpretata nel senso che, affinchè possa ritenersi integrato il presupposto della “conferma all’esito di un giudizio”, è necessaria una pronuncia giurisdizionale coperta da giudicato.

[22] V. melius  nel § 2.3, dove infatti si proporrà una più garantistica lettura dell’aggiunta di cui all’art. D.lgs. 56/2017 nel senso che riguarda non le condanne penali, ma le condanne civili o amministrative)

[23] L’art. 80 c. 10 è infatti una norma garantistica sulla durata del divieto di partecipazione alle procedure di affidamento: l’aggiunta di cui al D.lgs. 56/2017 colma la lacuna relativa alle cause di esclusione non dipendenti da condanna penale definitiva, evitando quindi che in riferimento ad esse l’impossibilità di partecipare alle procedure di affidamento potesse essere illimitata sotto il profilo temporale.

[24] Tale tesi interpretativa, come già visto, non dovrebbe applicarsi né in caso di illeciti penali , per i quali vige la regola speciale e sovraordinata gerarchicamente di cui all’art. 27 c. 1 Cost., né in caso di carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione (nella formulazione antecedente all’entrata in vigore dell’art. 5 D.L. 135/2018, v. nota 21), per le quali vige la regola speciale prevista dallo stesso art. 80 c. 5 lett. c).

[25] Ciò, ovviamente, prescindendo da quanto osservato riguardo l’art. 27 Cost., ma tenendo presente il dato minimo offerto dalla lettura meno garantistica dell’art. 80 c. 10.

[26] Ad es., ha natura civilistica la sentenza di condanna richiamata dall’art. 80 c. 5 lett. c) nella versione immediatamente antecedente al D.L. 153/2018 per l’ipotesi esemplificativa delle “carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione”.

[27] Il doppio binario descritto dall’art. 80 c. 10 ovviamente non si applica ai casi in cui la causa di esclusione è riferita alla procedura in corso, semplicemente perché è impossibile che una siffatta causa sia oggetto di accertamento definitivo, che potrebbe rilevare, questo sì, come illecito penale: ma come si è tentato di chiarire, si tratta di norme eccezionali: un caso in cui strutturalmente la causa di esclusione riguarda la sola procedura in corso è dato dal comma 4, che infatti non viene più richiamato nella bozza del D.L. “Sblocca cantieri”. Per altro verso, desta però qualche preoccupazione garantistica l’ultimo periodo della disposizione in quanto, qualora confermata nel testo definitivo, consentirebbe di procedere all’esclusione anche in assenza di accertamenti definitivi e, pertanto, potrebbe condurre ad impedire la partecipazione dell’operatore economico per un periodo molto più ampio rispetto al termine dei tre anni. Non sembra, in ogni caso, che l’ultimo periodo si riferisca anche all’ipotesi di cui al comma 1, per almeno tre ragioni: a) si usa il termine “giudizio”, utilizzato nella sola ipotesi di cui al comma 5; b) se così fosse, si andrebbe proprio in senso contrario alla distinzione netta tra condanna penale e accertamento amministrativo; c) proprio per il suo effetto potenzialmente antigarantistico, è bene che la disposizione di cui all’ultimo periodo sia limitata agli illeciti civili o amministrativi.

 

Dott. Puliatti Donatello

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