La prova da parte dell’erede della simulazione realizzata dal de cuius

Redazione 14/07/19
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di Pier Paolo Muià e Sara Brazzini

Sommario

1. Introduzione: la prova della simulazione in generale

2. La posizione degli eredi

3. Il caso dell’erede legittimario che agisce per la riduzione della donazione dissimulata

4. Considerazioni conclusive

Una delle principali problematiche in materia di azione di simulazione esercitata dall’erede è se il medesimo debba considerarsi parte o terzo rispetto all’accordo simulatorio posto in essere dal de cuius. Dalla soluzione di tale questione discendono, infatti, importanti conseguenze dal punto di vista probatorio: se l’erede viene ritenuto parte, potrà provare la simulazione soltanto mediante la produzione della controdichiarazione, salvo ipotesi eccezionali; se, invece, l’erede viene considerato terzo rispetto all’accordo simulatorio, nel relativo giudizio sarà ammissibile senza limiti la prova testimoniale e per presunzioni. La giurisprudenza di legittimità, anche con le recenti Sentenze del 7 gennaio 2019, n. 125 e del 12 aprile 2019, n. 10345, ha ribadito in proposito il principio in virtù del quale l’erede legittimario che chieda l’accertamento della simulazione di una vendita fatta dal de cuius celante una donazione deve considerarsi terzo rispetto alle parti contraenti, solo allorquando, contestualmente proponga una domanda di riduzione della donazione dissimulata.

1. Introduzione: la prova della simulazione in generale

Come noto, il regime della prova della simulazione è diverso a seconda che la simulazione sia fatta valere dai terzi o dalle parti stesse dell’accordo simulatorio: se, infatti, la domanda di simulazione è proposta da terzi o da creditori non esistono limitazioni in ordine alla prova per testi e per presunzioni; al contrario, se la domanda è proposta da una delle parti, la dimostrazione della simulazione incontra limiti assai stringenti, in quanto esse hanno la possibilità e l’onere di munirsi della controdichiarazione, quale documento in cui esprimono le proprie reali intenzioni, e salvo che la prova sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato a norma dell’art. 1417 c.c.[1] e salve le eccezioni espressamente previste dalla legge.

E’ opportuno precisare che l’art. 1417 c.c. prevede l’ammissibilità della prova per testi quando la domanda di simulazione è appunto finalizzata a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, ovvero a far accertare la conseguente invalidità/nullità del negozio dissimulato, non anche quando è diretta proprio ad accertare la sussistenza – e conseguentemente – la validità del negozio dissimulato, ovvero del contratto realmente voluto dalle parti[2].

Quanto alle eccezioni previste dalla legge, occorre distinguere tra simulazione assoluta e relativa.

Nel primo caso, infatti, l’accordo simulatorio, pur rientrando tra i patti per i quali si applica il divieto di cui all’art. 2722 c.c., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta “ad substantiam” o “ad “probationem”, citati dall’art. 2725 c.c., in quanto ha natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato. Conseguentemente, in tal caso, la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dall’art. 2724 c.c., ovvero: (i) quando vi è un principio di prova per iscritto; (ii) quando il soggetto era nell’impossibilità materiale o morale di procurarsi la prova scritta; (iii) quando ha perduto senza colpa il documento.

Nel caso di simulazione relativa, riguardante un contratto per il quale sia prevista la forma scritta “ad substantiam” o “ad probationem”, invece, la prova per testi, essendo finalizzata a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 c.c., cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento[3].

Salve le suddette ipotesi eccezionali, l’unica prova ammissibile della simulazione tra le parti è dunque rappresentata dalla controdichiarazione scritta delle parti stesse.

Sul punto la giurisprudenza è pacifica da molti anni: “In tema di simulazione, qualora il contratto simulato sia stato concluso per iscritto e tale forma sia richiesta a pena di invalidità (nullità ai sensi dell’art. 1350 c.c.), la prova dell’accordo simulatorio, traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato, deve essere fornita con la produzione in giudizio dell’atto contenente la controdichiarazione, sottoscritta dalle parti o comunque dalla parte contro la quale è esibita[4].

Tale principio trova applicazione anche nell’ipotesi di simulazione per interposizione fittizia, che, ad esempio nel caso di compravendita di immobile, si ha quando la proprietà del bene viene simultaneamente intestata a persona diversa dall’effettivo acquirente, con la partecipazione del venditore, il quale è consapevole che il vero compratore è un terzo, nei cui confronti assume diritti ed obblighi. Invero, la Suprema Corte ha in proposito affermato che anche la prova della interposizione fittizia, come tale compresa nelle ipotesi di simulazione relativa, è soggetta alle limitazioni di cui all’art. 1417 c.c., nel senso che l’accordo simulatorio deve essere provato con atto scritto, se fatto valere nei rapporti tra le parti, mentre può essere provato mediante testimoni o presunzioni soltanto se viene fatto valere da terzi o da creditori delle parti[5].

[1] Sull’argomento in generale, cfr. Bianchi, Vizi del contratto e simulazione, 2007, Padova, pagg. 883 e ss.; Ludovici, I contratti in generale, 2018, Milano, pagg. 256 e ss.; Sacco, De Nova, Il contratto, 2016, Milano, pagg. 631 e ss.

[2] La Suprema Corte ha espressamente chiarito che: “La stipulazione del contratto di appalto avvenuta, secondo la prospettazione di uno dei contraenti, per dissimulare un rapporto di lavoro, al fine di eludere gli obblighi che da questo derivano, in virtù di norme imperative, a carico del datore di lavoro, non può inter partes, essere provata per testimoni a norma dell’ultima parte dell’art. 1417 c.c.; in tal caso, infatti, la prova orale è diretta a far valere non l’illiceità del contratto sottostante, come richiesto dalla disposizione citata, ma proprio la validità e l’efficacia di esso e la correlativa nullità del contratto simulato…” (Cass. Civ., 05.11.1983, n. 6549, in Mass. Giur. It., 1983).

[3] Cass. Civ., Sez. II, 04.05.2007, n. 10240, in Contratti, 2007, 8-9, 794.

[4] Cass. Civ., 28.05.2007, n. 12487, in CED Cassazione, 2007; conforme ex multis Cass. Civ., Sez. II, 09.06.2006, n. 13459, in Contratti, 2007, 2, 123. Sul tema della controdichiarazione, cfr. in dottrina, Brizzolari, Forma delle controdichiarazioni e prova della simulazione, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, 12, 1663.

[5] Cass. Civ., Sez. VI – 2, 02.07.2015, n. 13634, in CED Cassazione, 2015. Conforme Cass. Civ., Sez. VI – 2, 02.10.2014, n. 20857, in Notariato, 2014, 6, 636. Con tale pronuncia, la Suprema Corte ha ribadito che “In caso di simulazione relativa riguardante un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam, la prova dell’accordo simulatorio, traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato, deve essere data, ai sensi dell’art. 2725 c.c., mediante atto scritto, cioè con un documento contenente la controdichiarazione sottoscritta dalle parti, e comunque dalla parte contro la quale esso sia fatto valere in giudizio, con salvezza della prova testimoniale nella sola ipotesi, prevista dall’art. 2724, n. 3, c.c., di perdita incolpevole del documento. Pertanto, nell’ipotesi di compravendita immobiliare simulata per interposizione fittizia dell’acquirente, il compratore effettivo, quale parte dell’accordo simulatorio e del contratto dissimulato, ove intenda avvalersi di quest’ultimo, deve soggiacere al regime probatorio previsto dall’art. 1417 c.c. e, quindi, provare per iscritto l’accordo simulatorio, senza potersi giovare di una prova orale, in forza della deroga ex art. 2724, n. 2, c.c. (impossibilita morale o materiale per il contraente di procurarsi una prova scritta), in quanto tale deroga è inapplicabile a termini dell’art. 2725 c.c. nei casi come la compravendita immobiliare, nei quali sia richiesta la forma scritta non solo a pena di nullità, ma anche ai fini probatori”. Nella giurisprudenza di merito, ex multis cfr App. Milano, 14.01.2016, in Banca Dati Pluris Online.

2. La posizione degli eredi

Fermo restando quanto evidenziato al paragrafo che precede, una delle questioni interpretative maggiormente discusse è stata quella relativa alla disciplina da applicarsi agli eredi del de cuius partecipe dell’accordo simulatorio, ovvero se essi debbano essere ritenuti terzi, come tali svincolati dai limiti probatori previsti per le parti, oppure, se invece debbano soggiacere a dette limitazioni probatorie.

La soluzione adottata in giurisprudenza è stata quella di parificare la posizione degli eredi a quella delle parti, in quanto essi subentrano nella posizione giuridica del de cuius e sono dunque soggetti alle stesse limitazioni cui sarebbe stato soggetto quest’ultimo.

Sul punto, la giurisprudenza ha affermato che: “La prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato da un soggetto poi deceduto, da parte degli eredi al medesimo succeduti a titolo universale, ed allo scopo di far ricomprendere l’immobile tra i beni facenti parte dell’asse ereditario, soggiace a tutte le limitazioni previste dalla legge in ordine alla prova della simulazione tra le parti. Ed infatti, gli eredi, versando nelle stesse condizioni del de cuius, non possono legittimamente dirsi “terzi” rispetto al negozio, con la conseguenza che deve escludersi a tal fine la prova per testimoni, per presunzioni ed a mezzo di interrogatorio formale diretto a provocare la confessione della controparte”[6].

In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia n. 10592 del 2012, nel ribadire che nel caso di simulazione relativa per interposizione fittizia di persona riguardante un contratto per il quale sia necessaria la forma scritta ad substantiam, nella controversia tra acquirente apparente e compratore effettivo, la prova della simulazione può essere data di regola soltanto mediante la produzione in giudizio della controdichiarazione, sottoscritta dall’acquirente dissimulato, dall’interposto e dall’altro contraente, o comunque, dalle parti contro le quali è esibita, e che le limitazioni alla facoltà di prova della simulazione, previste per i contraenti, non operano nei confronti dei terzi e dei creditori, ha ribadito che ai fini della prova della simulazione la nozione di terzo comprende tutti coloro che non hanno partecipato all’accordo simulatorio, con la conseguenza che ne restano esclusi i contraenti ed i loro successori a titolo universale, mentre vi rientrano, di regola, i successori a titolo particolare dei contraenti stessi[7].

Anche la giurisprudenza di merito ha fatto proprio tale consolidato orientamento della Suprema Corte, ritenendo onerati gli eredi succeduti a titolo universale di fornire la prova della simulazione di un contratto solenne, stipulato dal soggetto deceduto, non può essere fornita per testimoni o presunzioni, in quanto gli eredi si trovano nella stessa condizione del de cuius[8].

[6] Cass. Civ., Sez. II, 05.11.2012, n. 18902, in Notariato, 2013, 1, 12; conformi Cass. Civ., Sez. II, 24.03.2006, n. 6632, in Contratti, 2006, 12, 1100; Cass. Civ., 22.05.2017, n. 12854, in Banca Dati Pluris Online; Cass. Civ., Sez. II, 27.10.2015, n. 21850, in Banca Dati Pluris Online.

[7] Cass. Civ., Sez. II, 25.06.2012, n. 10592, in Foro It., 2013, 2, 1, 593.

[8] App. Firenze, Sez. I, 14.06.2016, in Banca Dati Pluris Online; conformi Trib. Genova, Sez. I, 12.08.2009, in Banca Dati Pluris Online; Trib. Lamezia Terme, 09.07.2009, in Banca Dati Pluris Online; App. Roma, Sez. III, 18.09.2007, in Banca Dati Pluris Online.

3. Il caso dell’erede legittimario che agisce per la riduzione della donazione dissimulata

Dalle ipotesi di cui al paragrafo che precede deve essere tenuto, invece, distinto il caso dell’erede che agisce in qualità di legittimario per far accertare la simulazione di un atto, generalmente una compravendita, celante una liberalità effettuata dal medesimo de cuius, oggetto di domanda di riduzione per lesione di legittima.

In tale fattispecie, la giurisprudenza esclude, infatti, che l’erede debba soggiacere alle limitazioni probatorie, consentendo al medesimo in via eccezionale di provare per testimoni o presunzioni la simulazione realizzata dal de cuius.

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto non applicabili i suddetti limiti di prova, nel caso di domanda di simulazione di una vendita compiuta dal de cuius in quanto celante una donazione, avanzata dall’erede legittimario contestualmente ad una domanda di riduzione della donazione dissimulata per lesione della quota di legittima.

In tal caso, infatti, secondo gli ermellini, la lesione della quota di riserva assurge a causa petendi, accanto al fatto della simulazione, e condiziona l’esercizio del diritto alla reintegra della legittima[9].

In altre parole, si ritiene che solo la spendita della qualità di legittimario e la strumentalità dell’azione di simulazione al contemporaneo esperimento dell’azione di riduzione della donazione dissimulata consentono all’erede di poter evitare i limiti probatori previsti dalla legge per la parte (ovvero i suoi successori universali) del negozio simulato[10].

Tale orientamento ha trovato conferma anche nelle decisioni più recenti.

In particolare, si segnalano le sentenze del 7 gennaio 2019, n. 125[11] e del 12 aprile 2019, n. 10345[12], con le quali la Suprema Corte ha ribadito che l’erede legittimario che agisce per ottenere la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius, diretta a dissimulare una donazione, agisce per la tutela di un proprio diritto ed è dunque terzo rispetto alle parti contraenti, sicché la prova testimoniale e per presunzioni è ammissibile senza limitazioni, allorquando egli proponga, contestualmente all’azione di simulazione, la domanda di riduzione della donazione dissimulata.

In altre parole, i giudici di legittimità hanno riaffermato che solo l’erede legittimario che agisce in riduzione è terzo rispetto al negozio asseritamente simulato, sicché nel relativo giudizio la prova testimoniale e per presunzioni è consentita senza limiti.

[9] Cass. Civ., Sez. II, 27.02.2012, n. 2968, in Banca Dati Pluris Online.

[10] Cass. Civ., Sez. VI – 2, 11.01.2018, n. 536, in Banca Dati Pluris Online. In dottrina, cfr. Barba , Azione di simulazione proposta dai legittimari, in Famiglia, persone e successioni, 2010, 6, 435; De Belvis, Il legittimario in riduzione e la prova della simulazione degli atti compiuti in vita dal de cuius, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2010, 2, 206.

[11] Cass. Civ., Sez. II, 07.01.2019, n. 125, in Banca Dati Pluris Online.

[12] Cass. Civ., Sez. II, 12.04.2019, n. 10345, in Banca Dati Pluris Online.

4. Considerazioni conclusive

Alla luce di quanto sopra illustrato, l’erede legittimario si trova in una posizione assai delicata ed è chiamato a fare particolare attenzione nel momento in cui decide di agire giudizialmente per la dichiarazione di simulazione di un atto compiuto dal de cuius.

Invero, nel caso in cui la simulazione abbia comportato la lesione della legittima, l’erede legittimario potrà far valere la simulazione con ogni mezzo, esercitando contestualmente l’azione di riduzione; se, invece, la simulazione non ha comportato alcuna lesione di legittima, sarà difficile per l’erede interessato provare la simulazione realizzata dal de cuius al fine di far acquisire alla massa ereditaria un determinato bene, in quanto occorre che egli sia in possesso della controdichiarazione. Tuttavia, se l’intenzione del de cuius era proprio quella di privare l’erede di una parte del proprio patrimonio, è assai improbabile che abbia lasciato un documento scritto, quale appunto la controdichiarazione, da cui risulti la simulazione.

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