La pregiudiziale amministrativa. Sì sul versante sostanziale, no sul versante processuale.

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V’è chi l’ha definita una scaramuccia locale1, ma senza dubbio la questione della pregiudiziale amministrativa, almeno prima che il Codice del Processo Amministrativo intervenisse a prendere posizione al riguardo, ha comportato un vero e proprio ripensamento complessivo del diritto amministrativo sostanziale e processuale.

Di cosa stiamo parlando? Per pregiudiziale amministrativa si fa riferimento al rapporto intercorrente tra l’azione di annullamento dell’atto (da cui il danno deriva) e quella risarcitoria. Più precisamente la questione riguarda l’esistenza, nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, di una pregiudiziale di tipo interno in forza della quale la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno ingiusto presuppone il previo annullamento dell’atto asseritamente lesivo.

La particolare importanza del tema si desume sol ove si consideri la diversità dei termini a cui le due azioni soggiacciono: breve e decadenziale per l’azione di tipo demolitorio; lungo e prescrizionale, invece, per l’azione risarcitoria.

Ma per meglio comprendere la problematica, occorre fare qualche passo indietro e lasciare, per qualche istante, il profilo processuale per soffermarsi sul versante puramente sostanziale. Ecco che, in tal modo, ci si addentra in un’altra dimensione, sempre profondamente dibattuta, quale quella della risarcibilità degli interessi legittimi. Interesse legittimo inteso come situazione giuridica soggettiva che “dialoga” con l’amministrazione e ontologicamente collegata all’esercizio del potere amministrativo2, posizione schiettamente sostanziale, correlata, in modo intimo e inscindibile, ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione – in termini di sacrificio o di insoddisfazione a seconda che si tratti di interesse oppositivo o pretensivo – può concretizzare un pregiudizio3.

Il riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi ha vissuto una vera e propria odissea, sia legislativa che giurisprudenziale: come non dimenticare la storica sentenza della Corte di Cassazione n. 500/1999, che, in un obiter dictum, ha superato quel granitico atteggiamento di chiusura ispirato dalla “concezione soggettiva dell’illecito aquiliano” per affermare l’assoluta autonomia delle due azioni (di annullamento e risarcitoria): “la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo”4. Pertanto “la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra infatti nella fattispecie della responsabilità aquiliana”.

Questo significativo mutamento di tendenza ha dato il via alla riformulazione dell’art. 35 del D. Lgs. n. 80/98 ad opera dell’art. 7 della legge n. 205/2000 che ha attribuito al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva e di legittimità, tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali5.

A fronte di tale evoluzione giurisprudenziale e della mancanza di un’univoca e chiara indicazione normativa idonea ad orientare il compito dell’interprete, il legislatore con il Codice del Processo Amministrativo, da una parte ha ammesso l’esperibilità di una pluralità di azioni – superando di fatto la tradizionale limitazione della tutela dell’interesse legittimo al solo modello demolitorio – ma dall’altra ha escluso la risarcibilità dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, riprendendo, anche se non esplicitamente, la disposizione contenuta nell’art. 1227 c.c6. In verità, ci troviamo dinanzi ad una pregiudizialità per così dire “mascherata”, laddove viene posto un discrimen fortissimo fondato dall’art. 1227 c.c. : il rimando agli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento fa riferimento all’azione di annullamento da esercitarsi entro il rituale termine di decadenza di 60 gg. mentre quella risarcitoria pura entro il termine di decadenza di 120 gg.

A livello giurisprudenziale, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 23 marzo 2011, n. 3, ha definitivamente sancito il superamento del principio della c.d. pregiudiziale amministrativa a favore dell’affermazione dell’autonomia, sul versante processuale, della domanda risarcitoria rispetto al rimedio impugnatorio.

Più precisamente, la Plenaria ha affermato l’insussistenza di una pregiudiziale di rito intorno ai seguenti punti: 1)gli arresti della prevalente giurisprudenza comunitaria, orientata verso l’autonomia di entrambi i rimedi7; 2)l’evoluzione della legislazione nazionale protesa verso il riconoscimento dell’autonomia del mezzo impugnatorio “quale strumento idoneo a soddisfare in modo adeguato la pretesa azionata anche in caso di preclusione della tutela di annullamento”; 3) il più recente orientamento interpretativo del Consiglio che “ha spostato l’indagine sul rapporto tra azione di danno e domanda di annullamento dal terreno processuale al piano sostanziale, pervenendo alla condivisibile conclusione che la mancata promozione della domanda impugnatoria non pone un problema di ammissibilità dell’actio damni ma è idonea ad incidere sulla fondatezza della domanda risarcitoria”8.

Il Consiglio di Stato, sezione VI, tornato di recente sulla questione con la sentenza 21 maggio 2014, n. 2610, ha confermato l’orientamento espresso dall’Adunanza Plenaria del 2011 ritenendo non sussistente un rapporto di pregiudizialità processuale tra i due rimedi. La citata decisione sancisce che “la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 cod. civ., sicché, pur non sussistendo una pregiudizialità di rito già nel quadro normativo anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, deve (e doveva) ravvisarsi immanente nell’ordinamento il principio che la mancata impugnazione del provvedimento amministrativo poteva essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede, qualora fosse stato accertato che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno9”. In breve: no alla pregiudizialità di rito tra azione demolitoria e azione risarcitoria; sì alla pregiudizialità sostanziale.

Come visto, i giudici di Palazzo Spada hanno confermato l’evidente ambiguità della formula ex art. 30, comma 3, c.p.a., frutto dei contrapposti orientamenti che si sono fronteggiati durante l’iter formativo del codice: un orientamento sosteneva la necessità della pregiudiziale amministrativa, incombendo esclusivamente sul ricorrente l’onere di evitare l’aggravarsi del danno attraverso la tempestiva impugnazione del provvedimento illegittimo; l’orientamento opposto propendeva invece, per l’autonomia dell’azione risarcitoria per lesione degli interessi legittimi: spetta al giudice verificare se, la mancata impugnazione dell’atto, sia dipesa da un intento del ricorrente, interessato più a lucrare una somma di denaro che a conseguire un provvedimento favorevole, oppure se l’onere di evitare l’aggravamento del danno avrebbe potuto essere assolto anche dalla P.A. attraverso l’esercizio dei suoi poteri di autotutela10. Secondo questa ricostruzione, la mancata tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo non viene più a rilevare sul piano processuale ma assume un peso determinante sul versante sostanziale al fine di delimitare, mediante un giudizio di causalità ipotetica, i danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza.

Propendendo per l’autonomia delle due azioni ne consegue che il termine di prescrizione inizierà a decorrere non già dall’annullamento dell’atto amministrativo (con sentenza di annullamento esecutiva o, secondo altra tesi, passata in giudicato), bensì dalla data di perfezionamento dell’illecito, ossia dalla data di adozione dell’atto illegittimo. Precisano i Giudici di Palazzo Spada che “l’intervenuto annullamento dell’atto amministrativo lesivo non costituisce un requisito di ammissibilità della domanda risarcitoria – salvo, sul piano di diritto sostanziale, a riverberarsi su di essa, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., il mancato esperimento, nel caso concreto, delle opportune tutele, anche giurisdizionali, da parte del danneggiato –“ con la conseguenza che “deve affermarsi il decorso immediato del termine prescrizionale dal momento in cui il danno si sia effettivamente verificato, ossia, dal momento dell’adozione dell’atto lesivo”.

In tal contesto, non può non ritenersi che, nel quadro della risarcibilità degli interessi legittimi, si inserisca in modo preponderante l’esigenza di una ricostruzione del sistema della responsabilità civile della P.A., che rimanda prevalentemente alla struttura generale dell’illecito aquilano ex art. 2043 c.c. Non a caso i Giudici di Palazzo Spada11 recentemente si sono pronunciati sulla specialità della responsabilità della PA da provvedimento illegittimo, non riconducibile né alla responsabilità extracontrattuale né alla responsabilità contrattuale12. La peculiarità dell’attività amministrativa, che, in ossequio al principio di legalità, deve svolgersi nel rispetto di determinate regole procedimentali, sostanziali e processuali, rende speciale anche il sistema della responsabilità da attività illegittima. Profondamente interessante è osservare per l’appunto, come le tipologie di responsabilità previste dal Codice Civile, contrattuale ed extracontrattuale, difficilmente riescano a trovare idonea collocazione laddove non si dibatta di rapporti all’insegna di diritti soggettivi, doveri, obblighi, bensì di rapporti di natura pubblicistica in cui vi è esercizio del potere autoritativo, da un lato, ed interesse legittimo, dall’altro.

Non v’è dubbio che le varie implicazioni del tema di cui trattasi sembrano essere, ancora oggi, avvolte da un velo d’ombra. Su una cosa siamo certi: non può ritenersi che la questione della pregiudiziale amministrativa sia stata definitivamente superata, né a livello normativo né a livello giurisprudenziale.

 

1 Si veda R.Tassone, Morire per la “pregiudiziale amministrativa”?, in www.giustamm.it.

2 R. Caponigro, La pregiudiziale amministrativa tra l’essenza dell’interesse legittimo e l’esigenza di tempestività del giudizio, Giurisdizione amministrativa, 2/2007.

3 Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 23/03/2011, n. 3.

4 Cass., Sez. Un. Sent. 22 luglio 1999, n. 500.

5 R.Chieppa-V.Lopilato, Studi di diritto amministrativo, Milano, 2007.

6 L’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo dispone, infatti, al secondo periodo, che, nel determinare il risarcimento, “il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

7 Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sent. N. 3/2011. La sentenza in esame rimanda alle seguenti decisioni: Corte Giust. 28 aprile 1971, in causa C-4/69, Lutticke; Corte Giust. 2 dicembre 1971, in causa C-5/71, Actien-Zuckerfabrik; Corte Giust. 4 ottobre 1979, in cause riunite 241, 242, 245-250/78, DGV-Deutsche Getreivertretung; Corte Giust. 17 maggio 1990, in causa C-87/89, Sonito; Trib primo grado 8 maggio 2001, in causa T-182/99, Caravelis; vedi anche, con riguardo al problema affine dei rapporti tra ricorso in carenza e domanda di risarcimento, Corte Giust. 2 luglio 1974, in causa C-153/73, Holtz e Willemsen GmbH c. Consiglio e Commissione).

8 Si vedano sul punto Cons. St. sez. VI, 19 giugno 2008, n. 3059; sez. V, 3 febbraio 2009, n. 578; sez. VI, 21 aprile 2009, n. 24363; sez V, 3 novembre 2010, n. 7766)

9 Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 21 maggio 2014, n. 2610.

10 Caringella–Protto, Codice del nuovo processo amministrativo, Dike, 2010.

11 Consiglio di Stato, sez. VI, 29 maggio 2014, n. 2792.

12 Sul punto Cons. Stato, VI, 27 giugno 2013, n. 3521; id. 14 marzo 2005, n. 1047.

Antonella Aloia

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