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L’introduzione del delitto di traffico di influenze illecite nel nostro ordinamento
Il “traffico di influenze illecite” si inserisce nella più ampia categoria dei “delitti contro la Pubblica Amministrazione” e trova il proprio fondamento normativo nell’art. 346-bis del codice penale. L’introduzione di tale fattispecie criminosa è stata attuata con la Legge n. 190 del 6 novembre 2012, che si è proposta come obiettivo principale quello di attuare una forma di tutela preventiva, oltre che repressiva, contro il fenomeno c.d. “sistemico” della corruzione, che tende a radicarsi in una prassi sempre più stabile e strutturata.
Ancor prima di tale intervento legislativo, molteplici erano state le proposte di legge volte ad osteggiare la corruzione, la cui diffusione così dirompente aveva già da tempo iniziato a rappresentare un pericolo per l’esercizio dell’attività pubblica. Si pensi, per esempio, alla famosa proposta c.d. “di Cernobbio”, formulata durante l’epoca di Tangentopoli da parte di un gruppo di magistrati della Procura di Milano, di avvocati e di docenti universitari [1] e al disegno di legge n. 3286, presentato alla Camera dei deputati nel dicembre del 2007, di “Ratifica ed esecuzione della Convenzione penale sulla corruzione” firmata a Strasburgo il 27 gennaio del 1999, il cui obiettivo di fondo era già sostanzialmente coincidente con quello divenuto poi oggetto dell’intervento legislativo del 2012.
La legge n. 190 del 6 novembre 2012 ha introdotto molteplici innovazioni normative, importanti e necessarie innanzitutto ad una adeguata attuazione non soltanto della già citata “Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione”[2] ma anche della “Convenzione ONU contro la corruzione”[3] (c.d. “Convenzione di Merida”).
In particolare, la Convenzione ONU di Merida, pur non prevedendo una specifica definizione di “corruzione”, indicava una serie di fattispecie generiche di riferimento che, una volta introdotte nei diversi ordinamenti statali, avrebbero potuto rivestire un ruolo importante per combattere più efficacemente il fenomeno corruttivo. Inoltre, tra le ipotesi a “criminalizzazione facoltativa”, la Convenzione aveva previsto, oltre al delitto di “corruzione tra privati”, anche l’introduzione della nuova fattispecie del “traffico di influenze illecite”.
Gli obiettivi della riforma del 2012 si sono primariamente concentrati sulla necessità di colmare tutte le lacune di tutela presenti all’interno del nostro sistema codicistico ed emerse concretamente soprattutto in seguito all’esperienza giudiziaria di Tangentopoli.
In tal senso la riforma è intervenuta, innanzitutto, inasprendo il sistema sanzionatorio, poi, principalmente, introducendo alcune nuove fattispecie di reato ( quali il “traffico di influenze illecite” e la “corruzione per l’esercizio della funzione) e modificando la struttura normativa del delitto di concussione di cui all’art. 317 c.p. (attraverso la previsione del nuovo art. 319-quater c.p., che adesso contiene la disciplina della “induzione indebita a dare o promettere utilità”).
La nuova figura criminosa dell’ art. 346-bis c.p., inserita per la prima volta dalla legge n. 190 del 2012, si propone come obiettivo quello di garantire una tutela anticipata e prodromica dal fenomeno corruttivo, colpendo il rischio di distorsioni della funzione amministrativa che possono essere attuate mediante le pressioni cui spesso sono sottoposti gli agenti pubblici da parte di gruppi o di personaggi particolarmente influenti[4] che, proprio in forza della loro posizione, inficiano l’esercizio dell’azione pubblica, per favorire la realizzazione di interessi privati.
A tale scopo, la norma, nella sua formulazione del 2012, prevede la punizione di chi dà, riceve, promette o fa promettere vantaggi patrimoniali (il c.d. “faccendiere”) in cambio dell’esercizio della propria influenza su soggetti pubblici, purchè tale influenza nasca da relazioni effettivamente esistenti tra questi ed il trafficante o faccendiere.
Tale delitto, inizialmente, si affianca a quello del millantato credito (già disciplinato dal precedente art. 346 c.p.), prevedendo sanzioni più lievi e non trovando applicazione nei casi in cui l’attività di mediazione operata dal trafficante trovi la sua effettiva concretizzazione nella corruzione dell’agente pubblico, ovvero nei casi di cui all’art. 319 e 319-ter c.p. In altri termini, la norma incrimina chi, fuori dai casi di concorso nei reati di cui agli artt. 319 e 319-ter c.p., sfruttando un peculiare rapporto con il pubblico agente, dietro remunerazione, si impegna a fungere da “mediatore” tra il soggetto privato ed il pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio.
Esecuzione del reato continuatoCon il presente testo si vuole fornire all’operatore del diritto un attento ed organico approfondimento della disciplina relativa al concorso formale tra reati ed al reato continuato, dettata dall’articolo 81 del codice penale, focalizzando in particolare l’attenzione sull’applicazione di tali istituti proprio nella fase esecutiva della condanna penale.Curata ed approfondita, la trattazione dedicata ai principi operanti in materia così come desumibili dalla elaborazione giurisprudenziale: il testo, infatti, è arricchito da una raccolta organica, aggiornata e ragionata dei provvedimenti resi dalla giurisprudenza di legittimità con specifica indicazione, all’interno di ogni singola massima, del principio cardine.Paolo Emilio De SimoneMagistrato dal 1998, dal 2006 è in servizio presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma; in precedenza ha svolto le sue funzioni presso il Tribunale di Castrovillari, presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonché presso il Tribunale del Riesame di Roma. Nel biennio 2007/08 è stato anche componente del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma previsto dalla legge costituzionale n°01/89. Dal 2016 è inserito nell’albo dei docenti della Scuola Superiore della Magistratura, ed è stato nominato componente titolare della Commissione per gli Esami di Avvocato presso la Corte di Appello di Roma per le sessioni 2009 e 2016. È autore di numerose pubblicazioni, sia in materia penale che civile, per diverse case editrici.Elisabetta DonatoDottoressa in giurisprudenza con lode e tirocinante presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma, ha collaborato, per la stessa casa editrice, alla stesura del volume I reati di falso (2018). Paolo Emilio De Simone, Elisabetta Donato | 2019 Maggioli Editore 32.00 € 30.40 € |
In questo quadro, la nuova disposizione va effettivamente a colmare un vuoto di tutela, in quanto, fino al momento della sua introduzione nel 2012, il nostro codice penale puniva, con l’art. 346 c.p., soltanto la figura criminosa del “ millantato credito” ossia la condotta basata sulla “vanteria di un credito inesistente presso un pubblico funzionario”. E la giurisprudenza, proprio a causa del predetto vuoto di tutela, tendeva ad attuarne una interpretazione estensiva, ritenendo configurabile questa fattispecie anche in presenza di un credito o di una relazione effettiva con il pubblico agente, tanto da applicare l’art. 346 c.p. altresì nelle ipotesi di vanteria di una concreta possibilità di influenza oppure nei casi di accentuazione o enfatizzazione di un credito esistente.[5]
L’entrata in vigore del nuovo art. 346-bis c.p. consente pertanto di superare le predette interpretazioni giurisprudenziali, demarcando per la prima volta una vera e propria linea di confine tra l’ambito di applicazione dell’art. 346 c.p. ( limitato ai casi in cui il rapporto tra il “millantatore” ed il soggetto pubblico sia solo vantato ed inesistente) e quello del “traffico di influenze illecite”, la cui incriminazione presuppone necessariamente l’effettiva esistenza di una relazione tra il trafficante ed il pubblico funzionario[6].
La struttura della norma fa sì che il bene giuridico posto a fondamento della sua tutela sia quello dell’imparzialità e del buon andamento della P.A., interessi che vengono entrambi lesi non soltanto nel caso in cui l’atto illegittimo sia oggetto di uno specifico e diretto accordo criminoso tra l’agente pubblico ed il soggetto privato, ma anche quando l’alterazione della pubblica funzione derivi soltanto da una “pressione” esercitata sul pubblico funzionario da parte di un soggetto terzo, senza che il c.d. pactum sceleris arrivi a perfezionarsi.
Si tratta, pertanto, di un reato di “pericolo astratto”, che si colloca in una posizione di mezzo tra la condotta del millantatore delineata dall’art. 346 c.p.(che, basandosi su una relazione inesistente, tende esclusivamente a minare la reputazione della pubblica amministrazione, sottoponendola ad un rischio solo generico per il suo funzionamento) e quella che caratterizza la fattispecie della corruzione ex art. 319 c.p.
L’ art. 346-bis c.p. dispone una disciplina che tende a tutelare il bene protetto da un pericolo più consistente rispetto a quello percepito nel precedente art. 346 c.p., in quanto solo l’effettiva sussistenza di una relazione tra il trafficante ed il pubblico agente può costituire il presupposto concreto per arrivare alla realizzazione di un accordo corruttivo tra quest’ultimo ed il privato.
Autore del reato può essere “chiunque” e, laddove il soggetto agente rivesta anch’egli una qualifica pubblica (pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio) troverà applicazione la circostanza aggravante speciale ad effetto comune, prevista dal comma 3 dell’art. 346-bis c.p.
L’anticipazione della tutela che la norma intende realizzare si concretizza attraverso la previsione di due differenti condotte tipiche che si basano entrambe sullo sfruttamento di relazioni esistenti : la c.d. “mediazione a titolo oneroso” e la c.d. “mediazione a titolo gratuito”.
La prima si configura quando il trafficante venga retribuito per la sua opera di mediazione, ovvero quando questi riceva indebitamente, come “prezzo” della sua attività di intermediazione con il pubblico agente, per sé o per altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale.
La mediazione “a titolo gratuito”, presuppone invece che il denaro o il vantaggio patrimoniale siano finalizzati a remunerare direttamente il pubblico agente, in quanto la somma viene asseritamente destinata a quest’ultimo.
In entrambe le ipotesi, la somma di denaro o il vantaggio non devono in alcun modo essere offerte, promesse o corrisposte al pubblico agente, poiché altrimenti si configurerebbero, di volta in volta, le diverse ipotesi di “istigazione alla corruzione” ovvero di una “corruzione consumata”.
Secondo una parte della dottrina, nella condotta tipica sarebbe presente anche una componente ingannatoria, caratterizzata da una artificiosa prospettazione che riguarda non la relazione tra il trafficante e l’agente pubblico, indubbiamente esistente, ma la qualità di tale relazione, ossia l’incidenza che essa può avere sull’attività del pubblico agente ed il suo effettivo sfruttamento.
Si afferma, in particolare, che l’esistenza di tale profilo ingannatorio, pur non traendosi dalla lettera della norma, possa derivare dalla lettura sinottica di quest’ultima con le fattispecie della corruzione, comprensive dell’istigazione: pur esistendo, infatti, una relazione con il pubblico agente, la corruzione non si deve realizzare nemmeno nella forma della istigazione, altrimenti l’applicazione degli artt. 318 e seguenti impedirebbe quella dell’art. 346-bis c.p. Ne deriva che la mediazione illecita e la specifica remunerazione siano solo dei pretesti che stimolano al patto illecito la controparte del trafficante d’influenze, ma a cui non corrisponde un effettivo impegno assunto da quest’ultimo. In altri termini, il trafficante non ingannerebbe la controparte sul proprio legame con uno o più esponenti della P.A. , ma sul valore di questo e sull’effettivo esercizio della sua attività di condizionamento[7].
Per quanto concerne, invece, le “relazioni esistenti”, la norma non ne specifica né la tipologia né l’intensità: tale mancanza induce a ritenere configurabile la rilevanza penale della condotta sia in presenza di una sola relazione occasionale che in presenza di rapporti sporadici o stabili tra il trafficante ed il pubblico agente.
Ciò che invece viene precisato dall’intervento legislativo del 2012, è che entrambe le forme di mediazione illecita (onerosa o gratuita), debbano essere rivolte al futuro compimento, da parte del pubblico agente, di un “atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio”. La mediazione deve, dunque, essere esclusivamente finalizzata all’eventuale probabile perfezionamento del pactum sceleris disciplinato dall’art. 319 c.p., risultando evidentemente inapplicabile la figura criminosa del 346-bis c.p. nei casi in cui, invece, l’attività del trafficante costituisca il presupposto di una corruzione “per l’esercizio della funzione”, ex art. 318 c.p.
La scelta legislativa di limitare l’applicabilità dell’art. 346-bis ai soli casi di corruzione c.d. “propria” ex art. 319 c.p., è stata oggetto di diverse osservazioni dottrinarie che, complessivamente, hanno voluto giustificare le intenzioni originarie del Legislatore riconducendole alla necessità di garantire che la nuova figura del traffico di influenze illecite potesse rispondere più adeguatamente al rispetto del principio di offensività: in tal senso, si è infatti affermato che una eventuale correlazione della fattispecie di cui all’art. 346-bis c.p. anche al delitto di corruzione c.d. “impropria”, avrebbe comportato un ulteriore arretramento della soglia della punibilità, dilatando irragionevolmente il fatto tipico fino a ricomprendere anche forme lecite di consulenza o interlocuzione non gratuita del privato con la P.A.
Tale scelta, avrebbe inoltre consentito di tenere fuori dall’ambito di rilevanza penale le c.d. “raccomandazioni innocue”, o comunque non retribuite che non sono in grado di influenzare il processo decisionale del pubblico agente[8].
Anche il delitto di cui all’art. 346-bis c.p., come le altre fattispecie di corruzione, è costruito come reato-contratto, di natura bilaterale, prevedendo la punibilità sia del faccendiere che del privato che corrisponde il vantaggio patrimoniale o la somma indebita.
La sua consumazione, inoltre, si realizza con la semplice promessa o con la dazione del denaro o del vantaggio patrimoniale.
Allorchè, invece, non si giunga in questi termini alla conclusione di un accordo tra trafficante e privato, non esistendo per il traffico di influenze illecite una norma equiparabile a quella dell’art. 322 c.p. per la corruzione, il reato non può dirsi integrato, non potendo applicarsi il comma 2, che estende la punibilità a chi dà o promette denaro. Pertanto, la condotta di chi sollecita il pagamento per compiere la sua attività di mediazione, ovvero d’altro canto, di chi offre il denaro per ottenere i medesimi risultati, sarebbe suscettibile di configurarsi come ipotesi di delitto tentato. [9]
Quanto poi, all’elemento soggettivo, tale figura criminosa viene punita a titolo di dolo generico: occorre , quindi, che vi sia la rappresentazione e la volontà di ciascun elemento che costituisce il fatto tipico previsto dalla norma.
La clausola di sussidiarietà che, invece, è collocata nell’incipit della disposizione incriminatrice, intende risolvere il rapporto tra il delitto di cui all’art. 346-bis e quelli di corruzione di cui agli artt. 319 e 319-ter c.p.: tale clausola mira infatti a garantire il principio del “ne bis in idem” sostanziale,[10] consentendo l’assorbimento di tale fattispecie criminosa in quelle degli artt. 319 e 319-ter c.p., in tutti i casi in cui l’attività di mediazione porti alla concreta realizzazione delle predette forme di corruzione. Ne deriva che il “faccendiere” ed il soggetto privato, inizialmente punibili ex art. 346-bis, verranno, in queste ipotesi, direttamente imputati per il reato di corruzione ( ex art. 319 o 319-ter c.p.).
Il mancato richiamo, nella predetta clausola di sussidiarietà, all’art. 318 c.p., potrebbe invece condurre alla ipotetica applicabilità di un concorso tra il delitto dell’art. 346-bis e quello di corruzione c.d. “impropria”, sebbene con qualche perplessità in termini di ragionevolezza della pena, in quanto il generico asservimento della funzione pubblica agli interessi del privato disciplinato dall’art. 318 c.p., rappresenta una forma di lesione certamente meno grave rispetto a quella insita nel delitto di corruzione propria di cui all’art. 319 c.p.
Si ritiene, pertanto, che vi sia stata una precisa scelta del Legislatore del 2012 di attribuire rilievo penale soltanto alle attività di mediazione rivolte al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, ovvero all’omissione o al ritardo di un atto d’ufficio.
In conclusione, può affermarsi che l’introduzione della nuova fattispecie incriminatrice di cui all’art. 346-bis c.p., operata con la Legge n. 190 del 2012, abbia avuto una serie di connotazioni positive: essa ha avviato una disciplina di contrasto “preventivo” al fenomeno corruttivo; ha colmato un evidente vuoto di tutela all’interno del nostro ordinamento penale; ha delineato una volta per tutte una linea di confine tra la figura criminosa del millantato credito e quella del traffico di influenze illecite, consentendo di porre fine agli orientamenti giurisprudenziali che, fino al 2012, per superare gli evidenti dubbi applicativi, tendevano ad una interpretazione oltremodo estensiva e quasi atipica dell’art. 346 c.p.
Allo stesso tempo, non si può tuttavia negare come, negli anni successivi al 2012 fino ad oggi, la formulazione normativa dell’art. 346-bis, abbia egualmente continuato a comportare una serie di difficoltà applicative, al punto da divenire oggetto di una esigua applicazione giurisprudenziale. Ciò in virtù non soltanto della mancanza, nel nostro ordinamento, di una disciplina organica dei fenomeni sociali strettamente connessi a tale figura criminosa (quali ad esempio le attività di lobbying), ma anche della mancanza di strumenti adeguati a far emergere la commissione di tale delitto che, essendo ricostruito alla stregua dei delitti di corruzione, come un reato-contratto, rimane privo di una “vittima” che abbia interesse a denunciare.[11]
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L’intervento riformatore operato con la Legge n. 3 del 2019
Le difficoltà attuative che hanno caratterizzato l’introduzione dell’art. 346-bis c.p., affiancate dalla necessità, sempre più sentita, di combattere il dilagante fenomeno della corruzione, hanno indotto il Legislatore del 2019 ad intervenire ulteriormente sulla disciplina della norma, con efficacia repressiva, apportando alcune modifiche volte non soltanto ad inasprirne il trattamento sanzionatorio, ma anche ad estenderne l’ambito di applicazione, con l’intento di superare quelle perplessità interpretative che avevano ridotto la configurabilità di tale delitto ad una ridotta serie di casi.
La Legge n. 3 del 9 gennaio 2019 (c.d. Legge Spazza-corrotti) interviene con una importante riformulazione del “traffico di influenze illecite” che vede, innanzitutto, l’abolizione del delitto di millantato credito, prima previsto nel precedente art. 346 c.p. ed ora ricondotto nel nuovo art. 346-bis c.p.
Il Legislatore del 2019, decide di inserire all’interno dell’ art. 346-bis c.p. un’unica e nuova figura criminosa, volta a ricomprendere le condotte di chi “ sfrutta o vanta relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322 bis c.p.”.
L’elemento oggettivo del reato viene quindi ad identificarsi non soltanto nella condotta del trafficante che realizza la mediazione illecita sfruttando relazioni esistenti ma anche in quella di chi vanta relazioni solo asserite.
Il c.d. “faccendiere” può dunque indifferentemente essere titolare di un rapporto effettivamente esistente con l’agente pubblico oppure limitarsi semplicemente a far credere al privato di avere un potere di influenza che in realtà non esiste: in entrambi i casi, per la sua attività di mediazione illecita, egli verrà sottoposto alla medesima sanzione penale.
D’altro canto, anche per il soggetto privato che entra in contatto con il trafficante è prevista la medesima sanzione penale ed, anche in questo caso, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo venga ingannato dalla “millanteria” del soggetto agente. In altri termini, il soggetto privato non potrà più rivendicare ( come invece accadeva sotto la disciplina dell’art. 346 c.p.) il suo status di “vittima” – come tale non punibile – per essere stato indotto a credere nell’esistenza di un potere di influenza del trafficante sull’agente pubblico che in realtà non è mai esistito.
La legge c.d. “Spazza-corrotti” introduce, inoltre, un’altra modifica altrettanto indicativa della impronta repressiva che si vuol dare alla norma: il “denaro o altro vantaggio patrimoniale”, che prima erano oggetto della promessa o della dazione, vengono sostituiti con le parole “ denaro o altra utilità”, consentendo in tal modo di estendere l’ambito di applicazione della disciplina anche ai casi in cui il corrispettivo della eventuale mediazione illecita non abbia alcun valore di carattere economico ( ciò che può avvenire anche nei casi di promesse di voti elettorali ovvero di prestazioni sessuali).
L’intento repressivo della riforma viene poi ulteriormente confermato non solo dal generale inasprimento sanzionatorio ( la pena prevista sia per il trafficante che per il privato viene infatti aumentata nel massimo edittale da tre anni a quattro anni e sei mesi), ma anche dalla espressa estensione del suo ambito di applicazione alla figura della “corruzione per l’esercizio della funzione” disciplinata dall’art. 318 c.p.
Più in particolare, il Legislatore decide di punire non più solo le mediazioni che sono rivolte ad ottenere da parte dell’agente pubblico il compimento di un atto contrario ai propri doveri d’ufficio ovvero una omissione o un ritardo di un atto d’ufficio, ma egli prevede, al 1 comma, la punibilità dei patti volti ad influenzare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio per l’esercizio delle sue funzioni (richiamando espressamente la c.d. “corruzione impropria”), mentre se il fatto viene commesso per remunerare l’agente pubblico in relazione al compimento di un atto contrario ovvero all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio, viene a delinearsi, come previsto dal nuovo comma 4, un’ipotesi aggravata di reato.
Affinchè si configuri la tipica fattispecie dell’art. 346-bis c.p., si richiede, pertanto che la mediazione illecita sia strettamente connessa alla futura probabile consumazione del delitto di cui all’art. 318 c.p., ovvero al generico asservimento della funzione pubblica agli interessi del privato, senza che sia necessario individuare lo specifico compimento di un atto contrario o di un ritardo o una omissione di un atto dell’ufficio, ex art. 319 c.p. In tale ultimo caso, infatti, verrà applicato, coerentemente con la maggiore gravità che connota il delitto di corruzione “propria”, un aumento delle pene per entrambe le parti.
La nuova tipicità della fattispecie criminosa, ha indotto il Legislatore del 2019, a modificare anche la clausola iniziale di sussidiarietà: infatti, mentre prima, tale clausola di riserva prevedeva solo il riferimento agli artt. 319 e 319-ter c.p., adesso essa si estende anche agli artt. 318 e 322-bis c.p. ( richiamando con quest’ultima norma i reati di corruzione commessi dai membri delle Istituzioni Europee e, indeterminati casi, degli Stati Esteri).
Si rende, quindi, chiaro, che se la mediazione va a buon fine, si realizza un concorso trilaterale nei più gravi delitti di corruzione.[12]
Durante i lavori parlamentari del 2012, la scelta legislativa di escludere da tale clausola il richiamo all’art. 318 c.p., era stata determinata proprio dalla configurazione della norma, la cui tipicità non richiedeva il necessario collegamento del pactum sceleris con il compimento di uno specifico atto. Estendere la clausola iniziale di riserva all’art. 318 c.p., avrebbe quindi potuto comportare una eccessiva anticipazione della tutela, rischiando di violare il principio di offensività, date le maggiori difficoltà di identificare come illecita una mediazione collegata all’esercizio (quindi al compimento di atti conformi) della funzione pubblica.
Le intenzioni repressive dell’ultimo Legislatore, non si sono tuttavia fermate dinanzi alle predette criticità: egli ha infatti esteso l’ambito di applicazione della clausola iniziale di riserva all’art. 318 c.p., cosicchè, se la mediazione va a buon fine, si esclude l’applicabilità autonoma dell’art. 346-bis c.p., il quale verrà assorbito dal predetto delitto di c.d. “corruzione impropria”.
Al di là delle evidenti modifiche strutturali, il Legislatore del 2019, ha indubbiamente inteso dare una maggiore levatura al carattere preparatorio della condotta disciplinata dall’art. 346-bis c.p., dando conferma a quell’orientamento giurisprudenziale immediatamente successivo alla entrata in vigore della norma che, nel sottolinearne le sue peculiarità rispetto alle fattispecie corruttive, aveva già affermato che: “ il delitto di traffico di influenze illecite, di cui all’art. 346-bis c.p., così come introdotto dall’art. 1 comma 75 L. 190/2012, è una fattispecie che punisce un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione e non è, quindi, ipotizzabile quando sia già stato accertato un rapporto, paritario o alterato, fra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato” .[13]
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Prevenzione e repressione del fenomeno corruttivo: aspetti controversi della nuova norma e questioni applicative
La nuova fattispecie criminosa del “traffico di influenze illecite” è frutto di un intervento legislativo che, celandosi dietro l’intenzione di prevenire più efficacemente gli accordi corruttivi, in realtà mira prevalentemente a dotare di medesima rilevanza penale tutte quelle condotte che in qualche modo sono suscettibili di “influenzare” la funzione pubblica, connotando la riforma “spazza-corrotti” di un carattere più repressivo che preventivo.
L’intervento normativo, infatti, proseguendo lungo la scia della riforma del 2012, ha inteso dare attuazione alle convenzioni internazionali precedentemente citate, non solo inglobando nella medesima fattispecie dell’art. 346-bis l’incriminazione del mercimonio di influenze basate sia su relazioni effettive che inesistenti ( il delitto di millantato credito, prima previsto dall’art. 346 c.p., viene infatti espressamente abrogato ed assorbito nel “traffico di influenze illecite”) ma prevedendo anche la punibilità del soggetto privato, che “compra” influenze solo vantate dal trafficante.
Non esiste più alcuna distinzione tra mediazione veritiera e mediazione ingannevole, ma ciò che rileva è che il soggetto agente si ponga, anche solo apparentemente agli occhi del privato, nella condizione di poter influenzare la condotta del funzionario pubblico: in tal caso, il soggetto privato che abbia erroneamente creduto nelle “inesistenti” o solo apparenti capacità del trafficante, sarà sottoposto alla applicazione della medesima sanzione penale.
L’assorbimento della precedente figura criminosa del millantato credito nell’attuale delitto di traffico di influenze illecite comporta, quindi, una parificazione della rilevanza penale delle condotte, superando o forse rendendo vani quei precedenti tentativi giurisprudenziali che avevano ben distinto le due fattispecie individuando una precisa linea di confine tra la condotta di colui che “vanta “(o millanta) di avere con il pubblico funzionario relazioni inesistenti e quella di colui che invece sfrutta rapporti effettivi e realmente esistenti. Tant’è che la nuova incriminazione non fornisce alcun elemento descrittivo volto ad esplicare o quantomeno a distinguere lo “sfruttamento di relazioni esistenti” dal “vantare relazioni asserite ”.
Tale mancanza si riverbera, inevitabilmente, sulla posizione del c.d. “compratore di influenze ”, ovvero del privato che dà o promette denaro o altra utilità : se, infatti, prima della novella del 2019, la condotta di quest’ultimo era del tutto priva di rilievo penale – essendo la sua posizione equivalente a quella di una “vittima” ingannata dal comportamento fraudolento del millantatore – con la nuova formulazione legislativa essa non solo viene assorbita dalla disciplina del traffico di influenze illecite, ma viene altresì punita alla stessa stregua del privato che non subisce alcun inganno ma che anzi è consapevole della effettiva esistenza del potere del faccendiere di influenzare le decisioni pubbliche, rischiando, con tale previsione legislativa, di intaccare anche il principio di ragionevolezza della pena.
Autorevole dottrina ha infatti, ritenuto, a tale proposito, come il passaggio della posizione del privato “compratore di influenze illecite” dallo status di vittima a quello di correo costituisca una violazione del principio di offensività nonché di proporzionalità della pena, in quanto ciò che effettivamente si andrebbe a punire sarebbe solo una “mera intenzione malvagia” di quest’ultimo, senza alcun pericolo per il corretto ed imparziale funzionamento della attività pubblica, mancando, nel caso specifico, qualsiasi capacità del “mediatore” di porsi effettivamente in relazione con gli agenti pubblici. Onde evitare tale irrimediabile conseguenza, è stata pertanto prospettata una diversa lettura dell’espressione “vantare relazioni asserite”, affermando che questa dovrebbe essere sganciata dall’esistenza di un ipotetico inganno nei confronti del privato, dovendo invece riferirsi soltanto ai casi in cui quest’ultimo sappia, nel momento in cui si accorda con il mediatore, che non esiste alcuna relazione con il pubblico ufficiale, ma che sarà possibile istituirla in un prossimo futuro. [14]
L’assenza di distinzioni legislative in ordine alle relazioni esistenti e a quelle solo vantate dal faccendiere da un lato e la previsione della punibilità anche a carico del privato che “subisce” l’inganno dall’altro, sono evidentemente rappresentative dell’intenzione del legislatore di intervenire con efficacia repressiva nei confronti del fenomeno della corruzione, senza tuttavia considerare che tali previsioni potrebbero rendere ancora più complessi l’accertamento e la prova del reato[15], non potendosi più facilmente contare sulla eventuale testimonianza del soggetto privato “ingannato”.
Con riferimento, invece, alla estensione della clausola iniziale di sussidiarietà anche al reato di corruzione c.d. “impropria” disciplinato dall’art. 318 c.p., non vi è dubbio che tale previsione, superando la precedente problematica inerente l’eventualità che, nel caso in cui la mediazione illecita andasse a buon fine attraverso la successiva realizzazione dell’accordo corruttivo di cui all’art. 318 c.p. si potesse irragionevolmente applicare la disciplina sanzionatoria più grave del concorso tra i due reati, introduca una disposizione più favorevole nei confronti del reo.
D’altro canto, vi è tuttavia chi sostiene che la criminalizzazione della mediazione onerosa finalizzata ad influenzare l’esercizio della funzione del pubblico ufficiale, potrebbe comportare una eccessiva anticipazione della tutela, minando la portata offensiva della norma: mentre infatti le mediazioni c.d. “gratuite” possono effettivamente causare il pericolo che l’utilità oggetto dell’accordo finisca nelle mani del pubblico funzionario, quelle c.d. “onerose” invece non prevedono alcuna remunerazione per quest’ultimo, rischiando di punire a titolo di condotta prodromica un accordo preparatorio che non è suscettibile di trasformarsi in corruzione per l’esercizio della funzione. [16]
Altro aspetto controverso sulla applicabilità della norma, già individuato nel 2012 e non ancora risolto dal Legislatore del 2019, riguarda poi l’incerta distinzione tra mediazione lecita e mediazione illecita. Il punto centrale dell’incriminazione di cui all’art. 346-bis c.p. è, infatti, rappresentato dalla condotta di mediazione. Tuttavia, l’assenza nel nostro ordinamento di una espressa previsione legislativa che regolamenti il fenomeno sociale e sempre più diffuso del lobbyismo, non può consentire all’interprete di operare una chiara e netta distinzione tra le mediazioni illecite, punibili ex art. 346-bis c.p. e quelle lecite, espressamente concesse e regolamentate, causando dubbi ancora crescenti in merito alla concreta configurabilità della nuova norma.[17]
Per quanto riguarda, poi, le questioni di diritto intertemporale, secondo quanto espressamente affermato all’interno della Relazione di accompagnamento al d.d.l. c.d. “Spazza-corrotti”,[18] il venditore di influenze illecite basate su relazioni inesistenti dovrà essere punito a norma del nuovo art. 346-bis c.p. per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della norma, sussistendo continuità normativa tra il vecchio art. 346 c.p. ed il nuovo art. 346-bis c.p.
Con riferimento, invece, all’”acquirente di una relazione inesistente”, trattandosi di una condotta oggetto di nuova incriminazione in quanto non suscettibile di sanzione penale prima della riforma, questi non potrà essere punito per i fatti commessi prima della entrata in vigore della nuova disciplina.
In conclusione, la riformulazione del nuovo reato di traffico di influenze illecite nasce prevalentemente dalla necessità di ottemperare a quegli obblighi internazionali che solo parzialmente erano stati adempiuti dalla precedente riforma del 2012.
Essa ha indotto il Legislatore del 2019 ad intervenire con maggiore incisività su alcune condotte di tipo preparatorio, attribuendovi rilevanza al solo fine di impedire che queste possano determinare il soggetto agente a porre in essere, eventualmente la violazione di una ulteriore norma incriminatrice[19] ovvero di una delle norme di cui agli artt. 318 , 319, 319-tere 322-bis c.p. Tale intervento legislativo in funzione repressiva del fenomeno corruttivo ha, pertanto introdotto una evidente anticipazione della tutela che rischia di incidere inevitabilmente sulla conservazione della offensività della norma.
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Esecuzione del reato continuatoCon il presente testo si vuole fornire all’operatore del diritto un attento ed organico approfondimento della disciplina relativa al concorso formale tra reati ed al reato continuato, dettata dall’articolo 81 del codice penale, focalizzando in particolare l’attenzione sull’applicazione di tali istituti proprio nella fase esecutiva della condanna penale.Curata ed approfondita, la trattazione dedicata ai principi operanti in materia così come desumibili dalla elaborazione giurisprudenziale: il testo, infatti, è arricchito da una raccolta organica, aggiornata e ragionata dei provvedimenti resi dalla giurisprudenza di legittimità con specifica indicazione, all’interno di ogni singola massima, del principio cardine.Paolo Emilio De SimoneMagistrato dal 1998, dal 2006 è in servizio presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma; in precedenza ha svolto le sue funzioni presso il Tribunale di Castrovillari, presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonché presso il Tribunale del Riesame di Roma. Nel biennio 2007/08 è stato anche componente del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma previsto dalla legge costituzionale n°01/89. Dal 2016 è inserito nell’albo dei docenti della Scuola Superiore della Magistratura, ed è stato nominato componente titolare della Commissione per gli Esami di Avvocato presso la Corte di Appello di Roma per le sessioni 2009 e 2016. È autore di numerose pubblicazioni, sia in materia penale che civile, per diverse case editrici.Elisabetta DonatoDottoressa in giurisprudenza con lode e tirocinante presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma, ha collaborato, per la stessa casa editrice, alla stesura del volume I reati di falso (2018). Paolo Emilio De Simone, Elisabetta Donato | 2019 Maggioli Editore 32.00 € 30.40 € |
Note
[1] Il c.d. “progetto di Cernobbio” era stato elaborato nella prima metà degli anni ’90 da G. Colombo, P. Davigo, A. Di Pietro, F. Greco, O. Dominioni, D. Pulitanò, F. Stella, M. Dinoia. ( in Riv. trim. dir. pen. econ., 1994, 911 ss).
[2] Il Parlamento ha ratificato due convenzioni del Consiglio d’Europa dedicate alla lotta alla corruzione, che si sono affiancate nella legislatura alla ratifica della Convenzione ONU di Merida. Con la legge 110/2012, ha ratificato la Convenzione penale di Strasburgo del 1999 sulla corruzione che impegna, in particolare, gli Stati a prevedere l’incriminazione di fatti di corruzione attiva e passiva tanto di funzionari nazionali quanto stranieri; di corruzione attiva e passiva nel settore privato; del cosiddetto traffico di influenze; dell’autoriciclaggio.
[3] La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003 e aperta alla firma a Merida dal 9 all’11 dicembre dello stesso anno, è entrata in vigore a livello internazionale il 14 dicembre 2005. Il Parlamento ha approvato la legge n.116 del 3 agosto 2009, con la quale ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione (c.d. Convenzione di Merida) ed ha dettato norme di adeguamento interno.
[4] CATENACCI, Trattato teorico-pratico di diritto penale. Il delitto di traffico di influenze illecite, 252, Giappichelli, 2016
[5] Cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 15.2.2013, n. 17941; Cass. Pen., Sez. VI 17.3.2010, n. 13479
[6] Cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 28 .11.2014, n. 51688
[7] GROSSO PADOVANI PAGLIARO, “Trattato di diritto penale”.Reati contro la pubblica amministrazione. Traffico di influenze illecite. CONSULICH, 625, Giuffrè, 2015
[8] CATENACCI, op. cit., 256
[9] GROSSO PADOVANI PAGLIARO, op cit., 627
[10] GROSSO PADOVANI PAGLIARO, op cit., 631
[11] CANTONE MILONE “Verso la riforma del delitto di traffico di influenze illecite”, in www.penalecontemporaneo.it, 3 dicembre 2018
[12] FLORA MARANDOLA, “La nuova disciplina dei delitti di corruzione”. L’unificazione dei delitti di millantato credito e di traffico di influenze” , Pacini 2019, 23 ss
[13] Cass. Pen. Sez VI, 11.02.2013, n. 11808 in www.dejure.it
[14] GAMBARDELLA “Considerazioni sull’inasprimento della pena per il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e sulla riformulazione del delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) nel disegno di legge Bonafede”, in Cass. Pen. 2018, 11, 3586
[15] FLORA MARANDOLA, op. cit., 26
[16] FLORA MARANDOLA, op.cit., 30
[17] SEVERINO “Senza norme sul lobbyismo difficile abbattere l’illegalità”, in www.penalecontemporaneo.it, 21 giugno 2018
[18] Relazione illustrativa al d.d.l. A.C. 1189 del 2018, 17
[19] DEL TUFO “La legge anticorruzione 9 gennaio 2019, n.3”. Traffico di influenze illecite, F. DE SIMONE Giappichelli 2019, 91
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