La nato e le nuove sfide per la forza militare e la diplomazia. Resoconto Convegno.

Scarica PDF Stampa
1. Il Convegno internazionale: cenni introduttivi. 2. Gli argomenti oggetto di relazione e dibattito: la cronaca degli interventi. 3. La NATO: fonti e materiali di primo riferimento. 4. Per un approccio differente: un contributo, recente e di ampia diffusione, in argomento. 5. Nella “crisi” delle Organizzazioni Internazionali, una NATO che vive e si riforma. 6. NATO ed Università Cattolica: i più recenti sviluppi. 
 
1. Il Convegno Internazionale: cenni introduttivi.
In data 18-19 ottobre 2006, presso l’Università Cattolica di Milano (UC MI), Aula Pio XI, si è svolto il Convegno Internazionale di Studi “La NATO e le nuove sfide per la forza militare e la diplomazia”, organizzato dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Cattolica stessa, in collaborazione con il Centro Militare di Studi Strategici (CEMISS) e con il patrocinio della divisione Diplomazia Pubblica della NATO. Hanno altresì aderito all’iniziativa: il Comitato Atlantico Italiano; il Club Atlantico Lombardo; la Commissione Italiana di Storia Militare; la Società Italiana di Storia Militare.  
Il Convegno si è proposto un esame “a tutto campo” delle minacce e dei conflitti nell’attuale fase della politica internazionale, collocandoli in una prospettiva storica di più lungo periodo.
La prima giornata è stata dedicata all’evoluzione del rapporto tra politica estera ed uso della forza militare ed alla natura dei nuovi conflitti, ben diversi dalle tradizionali guerre tra Stati dell’epoca della diplomazia classica. In particolare, sono state considerate sia le problematiche militari, giuridiche e mediatiche dei conflitti che oppongono Stati dell’Occidente a paesi e forze estranei alla cultura occidentale, sia la diversa disponibilità al ricorso alla forza militare che pare manifestarsi tra la maggior parte dei paesi europei e gli Stati Uniti.
La seconda giornata è stata dedicata interamente alla NATO, unica organizzazione internazionale dotata di un’efficace struttura militare, che si è data nuovi compiti e si è trasformata profondamente per adeguarsi alle nuove sfide. In particolare, è stato considerato il ruolo della NATO in tre aree geopolitiche: l’area danubiano-balcanica ed il Caucaso, il Mediterraneo ed il Medio Oriente, l’Afghanistan. Specifica attenzione è stata dedicata al ruolo militare e politico dell’Italia nella NATO.
La mattina del giorno 20 ottobre 2006 il gruppo dei Relatori ed una delegazione di Docenti, Dottorandi e Studenti ha visitato il Comando del “NATO Rapid Deployable Corps – Italy” a Solbiate Olona (VA), presso la Caserma Ugo Mara.
 
2. Gli argomenti oggetto di relazione e dibattito: la cronaca degli interventi.
Ma si consideri, ora e nel dettaglio, il sommario sviluppo degli eventi.
Il giorno 18 ottobre 2006, dopo i saluti introduttivi e la presentazione del Convegno ad opera del Prof. A. Quadrio Curzio (Preside della Facoltà di Scienze Politiche, UC MI), dell’Ammiraglio di Divisione L. Callini (Direttore del Centro Militare di Studi Strategici) e del Prof. M. De Leonardis (Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, UC MI), sono incominciati i lavori. In particolare, il Prof. Quadrio Curzio ha sottolineato il carattere interdisciplinare della propria Facoltà, che da sempre ha posto in dovuto rilievo i temi storico-istituzionali e le questioni diplomatiche e strategiche, anche prevedendo – a differenza della maggior parte delle altre Università italiane – appositi insegnamenti in argomento (ad esempio, “Storia delle Istituzioni Militari e dei Sistemi di Sicurezza”). L’Ammiraglio Callini ha ricordato come l’Organizzazione Internazionale (O.I.) denominata NATO sia “viva”, “presente”, “l’unica O.I. che ha un significato vero, anche grazie alla sua capacità di intervenire ovunque efficacemente”. Il Prof. De Leonardis ha, poi, introdotto dettagliatamente il Convegno: “… Per limitarci alle epoche storiche, dalla battaglia delle Termopili ad oggi la guerra ha conosciuto infinite manifestazioni: tuttavia ancora oggi si ristampa e si studia nelle accademie militari ‘L’arte della guerra’ di Sun Tzu [oggi ristampato insieme con un’altra opera cinese, di due secoli successiva: Sun Tzu-Sun Pin, ‘L’arte della guerra’ e ‘I metodi militari’, Vicenza 1999], risalente al VI secolo a.C. e certe presunte novità non sono poi veramente tali da un punto di vista concettuale. Non intendo affatto sostenere che nulla di nuovo accada sotto il cielo di Marte, ma se è vero che non bisogna mai combattere la prossima guerra con gli strumenti e la mentalità della guerra precedente, è però altrettanto vero che per combattere bene la prossima guerra non sarà inutile studiare le campagne precedenti. Mi si consenta di citare le parole un po’ severe di uno storico militare, non per farle mie, poiché sono troppo partecipe del carattere interdisciplinare della mia Facoltà di Scienze Politiche per non avere il massimo rispetto delle altre discipline, ma per reagire, non cristianamente forse, alla sottovalutazione dell’importanza della storia da sempre presente nella cultura americana e oggi, talvolta, in quella europea: ‘Il problema della guerra oggi (come sempre) è troppo grande per lasciarlo ad una sola disciplina. Ma di fronte a tante tabelle di politologi, anche acute ma effimere, a generalizzazioni di strateghi, a deduzioni di sociologi, a inferenze di psicologi, a infuocate previsioni di analisti militari (non di rado poi smentite), e talora semplicemente a parole avventate di inesperti, le pacate e documentate osservazioni di uno storico meritano di essere lette su questo argomento con attenta considerazione’ [N. Labanca, ‘Presentazione’, a J. Black, ‘Le guerre nel mondo contemporaneo’, Bologna 2006 …]. Forse oggi in Irak le cose andrebbero un po’ meglio se Paul Brenner, quando fece ‘tabula rasa’ di tutte le strutture dello Stato iracheno, avesse avuto presente l’ammonimento del Duca di Wellington durante la ‘peninsular war’ all’inizio del secolo XIX: ‘Se i Portoghesi fanno il loro dovere, posso mantenermi qui da solo, altrimenti nessuno sforzo che la Gran Bretagna sia in grado di compiere sarà sufficiente a salvare il Portogallo’ [ottobre 1810, cit. in ‘Wellington: il duca di ferro’, Madrid 2004, p. 12. Sulle difficoltà dello State-building cfr. J. Hulsman, ‘Lawrence of Arabia and the Perils of State Buildings’, ‘paper’ sul sito della Heritage Foundation] …” (dal dattiloscritto letto e distribuito in sede di Convegno, pp. 1-2).
Sotto la presidenza del Colonnello Pil. E. Rossi (Presidente della Commissione Italiana di Storia Militare, di cui ha sommariamente descritto strutturazione ed attività, qualificandola come “interfaccia” italiana di omologhe istituzioni estere, facenti parte di un unico network internazionale) il Prof. M. De Leonardis (Ordinario di Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali, UC MI) ha relazionato sul tema “Guerre e diplomazie: una prospettiva storica”. In particolare, il Docente ha ricordato, anche attraverso una rigorosa e dettagliata ricostruzione storica ed ideologica (dalla “fine della storia” allo “scontro di civiltà”, dal “caos mondiale” al “dualismo centro-periferia” del mondo), la contemporanea situazione delle Relazioni Internazionali, in cui ad una evidenza – trascorsa – di guerra (“fredda”) fra Stati si sono sostituiti altri generi di conflitto (“civili”), ed in cui sono contestati il ruolo egemonico (“unipolare”) degli Stati Uniti d’America ed una prematura scomparsa del sistema post-westfaliano.   Il Direttore del Dipartimento ha, quindi, distintamente enucleato i principali conflitti del ‘900. In seguito, il Professore ha proseguito ricordando come le operazioni c.d. di “polizia internazionale” altro non siano che vere e proprie guerre; ha concluso sottolineando come, particolarmente, sia la fase post-bellica a determinare la vera e fruibile vittoria bellica. Il Prof. V. Ilari (Associato di Storia delle Istituzioni Militari e dei Sistemi di Sicurezza, UC MI e Presidente della Società Italiana di Storia Militare) ha proseguito con un contributo riguardante “I conflitti del XXI secolo”. Il Docente ha considerato le coalizioni di Stati che hanno combattuto la c.d. “Guerra Fredda” (1945-1991: “guerra reale”, o “vera e propria guerra”). In particolare, la coalizione occidentale fondata nel 1914 da Francia e Gran Bretagna (Alleanza originaria) è stata accresciuta dall’apporto decisivo statunitense. Proprio questo nocciolo duro di Stati e questa Alleanza, storicamente risalente, sono all’origine della NATO, direttamente derivata dai Comandi Alleati della Seconda Guerra Mondiale. Il Professore ha proposto quindi il paragone storico della guerra combattuta dalla “Societas Italica” (militarmente strutturata sulla compresenza di “legionari” ed “ausiliari”, attraverso la c.d. “Formula Togatorum”, che permetteva di inserire “coortes vel alae sociorum” nelle legioni; politicamente, attraverso anche sanguinose guerre “civili”, poi assorbita dalla comune “Respublica Romana”) contro Cartagine, sconfitta infine nel 146 a.C., rievocando la figura di Scipione piangente sulle rovine di quest’ultima (quasi, anche qui, “una fine della storia” alla Fukuyama). Il Docente ha proseguito ricordando che anche con la costituzione dell’Impero Romano e la formale statuizione della “Pax Augustea”, i conflitti e le guerre continuarono con inusitata gravità (è stato doviziosamente ricordato, ad esempio, l’assedio di Artaxata, in Armenia, ad opera del Generale romano Corbulone, dove i principi di diritto internazionale – di guerra – dell’epoca furono pretestuosamente elusi attraverso il rifiuto della resa, che avrebbe giuridicamente creato uno stato di tutelata “captivitas” su militari e civili, ed invece la consequenziale prosecuzione militare dell’assedio, con annessa ed “involontaria” strage cittadina, fatto che permise all’esercito romano di non dover condividere le scarse provviste a disposizione ed i costi di prigionia, controllo e trasporto dei vinti), così come ora, nel XXI secolo, si sta verificando. Il Professore ha sottolineato, con riferimento alla NATO, che: 1) “si qualifica quale una delle più longeve coalizioni della storia”; 2) “ha cambiato – nel 1999 – la propria strategia (da difensiva in offensiva)”; 3) “agisce sempre più spesso per procura di altre Organizzazioni Internazionali”; 4) “il Paese leader della stessa (gli USA) è l’unico che possieda la pienezza della sovranità, cioè il diritto di guerra e pace”. Il Generale di Divisione A.C. De Bertolis (Vice Capo di Gabinetto del Ministro della Difesa) è intervenuto, quindi, sul tema “Risposte politiche, economiche e militari alle nuove minacce”. In particolare, il Generale ha riferito sull’origine e sugli sviluppi della recente missione italiana in Libano (Risoluzione ONU del giorno 11.08.2006 – sbarco italiano in Libano del giorno 2.09.2006). Lo stesso Militare ha individuato nella difesa dei “nostri” valori (proprio quelli che hanno fatto “crollare” l’URSS) e nella ricerca di strumenti adeguati alla predetta finalità le priorità della politica estera di sicurezza italiana. Nello specifico, il Generale ha esposto un’agenda operativa così strutturata: 1) “continuare a difendere il nostro sistema di valori”; 2) “utilizzare le vecchie strutture di sicurezza e difesa (come la NATO), trasformandole: mettere in discussione la NATO, ad esempio, costituirebbe un azzardo”; 3) “costruire ed accrescere intorno al ruolo della NATO quello di altre realtà istituzionali internazionali”; 4) “reinterpretare l’art. 11 della Costituzione (ripudio della guerra e rinuncia della sovranità al fine di promuovere un sistema internazionale che garantisca giustizia e pace) nell’affrontare i problemi di sicurezza”. Proprio questa ultima considerazione, per il Relatore, legittimerebbe e supporterebbe le novità dei tempi contemporanei, ovvero i “consensi interno ed internazionale”. Sotto il primo profilo risulta significativa la Risoluzione c.d. “Ruffino” del 2001, che prevede operativamente un iter chiaro e snello per l’adozione di provvedimenti legislativi d’urgenza in materia (previ rituali “passaggi” presso la Presidenza della Repubblica ed il Parlamento, tramite le Commissioni competenti [Esteri e Difesa]), così come avvenuto lo scorso 18.08.2006 per la missione in Libano. Sotto il secondo profilo, il Generale ha esposto la Check List – per gli interventi di sicurezza internazionale – fatta propria dall’attuale Ministro della Difesa e così sintetizzabile, in un ordine di importanza decrescente: ONU (risposta politica) – Unione Europea (risposta politica e militare, se fruibile) – NATO (risposta politico-militare). Nel caso del Libano, pur essendoci una Risoluzione ONU, USA, Gran Bretagna e NATO, per ragioni ambientali, non avrebbero potuto intervenire; l’Unione Europea, sollecitata, non ha reagito. Quindi, secondo il Militare, l’Italia, forte delle proprie esperienze pregresse in materia (in materia di “regole d’ingaggio” e di “catena di comando”, in operazioni di “polizia internazionale”), ha accolto la sollecitazione internazionale, caratterizzando il proprio intervento operativo di risoluzione del conflitto con l’uso anche del codice penale militare di pace.
Dopo il coffee break, sotto la presidenza del Ministro Plenipotenziario M. E. Serra (Direttore dell’Istituto Diplomatico “Mario Toscano” del Ministero degli Affari Esteri), il Convegno ha assistito all’intervento del Generale di Corpo d’Armata (a) C. Jean (Docente di Studi Strategici, LUISS “Guido Carli” e Presidente del Centro Studi di Geopolitica Economica), con un contributo intitolato “Nuove forze armate per nuovi confini”. Il Militare ha cominciato il proprio intervento lamentando una “carenza di cultura militare” presente un po’ ovunque nella nostra società italiana, ma in particolare nel sistema politico. Prendendo spunto dalle osservazioni del Generale De Bertolis, ha aspramente criticato l’utilizzo del codice penale militare di pace nella recente missione in Libano (non idoneo a tutelare adeguatamente la popolazione civile) e la mancata nomina del Generale di (C.A.) Castagnetti quale responsabile della cellula ONU di riferimento nella menzionata missione libanese. Il Generale Jean ha proseguito ricordando la posizione dell’ONU, “nella stratosfera delle Relazioni Internazionali”, e la validità euristica sostanziale della “Formula Togatorum” citata dal Prof. Ilari in merito ai rapporti interni alla NATO (il Generale ha esplicativamente ed icasticamente aggiunto, con una rara schiettezza sceintifica: “La NATO tiene perché ci sono gli USA ed una Formula Togatoria in cui i legionari hanno ancora più spese e più perdite degli ausiliari”). Lo stesso Relatore ha sottolineato la difficoltà dell’Europa nel divenire un “attore globale” in ragione di ovvie motivazioni demografiche che determinano “un significativo drenaggio di risorse verso il welfare assistenziale”. Nel contempo, secondo il Generale, assistiamo ad una profonda crisi dell’ONU, incapace di riformarsi (vedasi, ad esempio, oltre alla nota tematica del Consiglio di Sicurezza, il problema dell’attività operativa delle singole Agenzie-ONU, che operano prevalentemente delegando funzioni – e risorse – alle grandi Organizzazioni Non Governative [ONG], che a loro volta subdelegano – con ampie criticità – ad ONG minori). A ciò si aggiunge, secondo il Relatore, la c.d. “crisi dello Stato-Nazione”, nel senso di un mancato suo mondiale consolidamento: in buona sostanza, la reale gerarchia e valenza operativa delle principali Organizzazioni Internazionali mondiali, con riferimento alla posizione italiana (ed in aperto contrasto con quanto precedentemente affermato dal Generale De Bertolis) risulta, a detta del Generale Jean, quella riassumibile, con scala di priorità effettuale, in NATO – UE – ONU. Quanto a storia, strategia e guerre c.d. “di quarta generazione” (parzialmente anticipando alcune delle riflessioni che nel pomeriggio verranno proposte dal Prof. Pastori), pur premessa la constatazione dell’ “unicità dell’avvenimento storico” (“il vantaggio della Storia è di fornire un’esperienza anticipata che non si può conseguire sul terreno”), il Generale ha ricordato che queste ultime sono sempre esistite (c.d. “piccole guerre”) e non costituiscono, quindi, una vera novità (così come l’indicazione della “conquista dell’opinione pubblica” come strumento discretivo). Altresì, secondo il Relatore, non costituisce una novità il fatto che la vittoria militare coincida con la vittoria politica solo per periodi molto brevi (“le guerre hanno sempre avuto le code”), porgendo la propria attenzione – ad esempio – alle c.d. “guerre della colonizzazione e della decolonizzazione” (oggigiorno due cose, tuttavia, risulterebbero cambiate: le tecnologie, che permettono a piccoli gruppi militari grandi potenze operative; i media, che riducono le distanze ad ogni effetto). Ha proseguito gli interventi il Capitano di Vascello E. Ferrante (del Centro Militare di Studi Strategici e dell’Istituto Superiore dello Stato Maggiore Interforze), dissertando su “Marine militari, diplomazia e security sui mari”. In particolare, il Relatore ha affrontato il tema dell’ “Alto mare post-moderno”, cioè delle nuove sfide che caratterizzano l’alto mare (stupefacenti, trasporto di armi di distruzione di massa e pirateria), unitamente alla problematica del progressivo degrado del concetto di “Stato di bandiera” (e delle conseguenti criticità in materia di diritto di visita e di inseguimento). Il Militare ha considerato anche il tema del terrorismo marittimo, che risulta ad oggi limitato a poche fattispecie (21 episodi), ma con criticità ancora da affrontare (ad esempio, le 23 “navi fantasma” riconducibili ad Osama Bin Laden ed alla sua nota organizzazione terroristica). Il Relatore ha concluso qualificando l’attuale situazione geopolitica marittima come “anarchia dei mari in un mondo globalizzato” e ha sostenuto l’importanza del ruolo giuridico delle marine militari NATO come indispensabili strumenti di “polizia dei mari” (ricordando l’evoluzione storica della c.d. “politica delle cannoniere”). Infine, il Militare ha espresso viva contrarietà alla definizione di “ausiliari” (dei “legionari”) evocata dal Generale Jean.
Alla ripresa pomeridiana, sotto la presidenza del già menzionato Ammiraglio di Divisione L. Callini, il Prof. U. Gori (Ordinario di Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze) ha relazionato su “Europa e Stati Uniti: un diverso approccio verso la forza militare?”. Nello specifico, menzionando il pensiero di un noto esperto di Relazioni Internazionali contemporanee (Kaplan) ed utilizzando dati e statistiche provenienti da riviste di settore, ha affermato che Stati Uniti ed Europa hanno una eguale percezione delle problematiche di politica estera, ma un diverso approccio operativo (gli uni, maggiormente realisti, si caratterizzano per una modalità “hard”; l’altra, nel complesso ed anche in molti dei suoi elementi statuali costitutivi, per una modalità “soft”, tale da qualificarla come “potenza civile” o attrice internazionale “in soft power”). Il Relatore ha sottolineato come il “clima transatlantico” sia in costante miglioramento, pur rimanendo ancora significative differenze valoriali (ad esempio, il sentimento religioso USA tende ancora ad orientare la politica estera in senso moralistico); nelle situazioni di crisi, il Docente evidenzia come per gli USA “la missione determini la coalizione”, mentre per l’Europa “prima venga la ricerca del consenso delle istituzioni internazionali” (in sintesi ideologica, secondo il Relatore: “Bismark versus Wilson”). In conclusione riassuntiva, il Professore ha qualificato la politica estera USA come “reattiva”, quella dell’Europa come “proattiva”. Di seguito, il Prof. G. Pastori (Docente di Storia delle Istituzioni Militari e dei Sistemi di Sicurezza, UC MI) ha esposto un approfondimento dal titolo “L’Occidente in guerra con gli ‘altri’: lezioni storiche”. Con motivato ed articolato supporto argomentativo, il Professore ha analizzato la fine della Guerra Fredda ed il consequenziale riemergere della – mai sopita – contrapposizione mondiale Nord-Sud. Il Relatore ha esaminato, quindi, il modello interpretativo di guerra oggi utilizzato: quello dell’asimmetria (“guerra asimmetrica” o “piccola guerra”). Tale ricordato modello, ad una più accurata analisi, secondo il Docente non risulta nuovo alla storia delle istituzioni militari e della sicurezza, in quanto presente nel pensiero strategico e nella prassi fino agli anni ’30-‘40 dello scorso secolo (vedasi i manuali militari inglesi per ufficiali, del 1914, o la guerra antipartigiana tedesca sul fronte orientale nella seconda guerra mondiale; per non parlare del contributo del giurista Karl Schmitt, secondo cui “i partigiani si combattono quantomeno alla partigiana”), per poi “scomparire” con la Guerra Fredda. Anche durante quest’ultimo periodo, tuttavia, l’Occidente ha combattuto alcune guerre asimmetriche (ad esempio, il Vietnam o la Corea). In queste guerre, al contrario della tradizione occidentale, l’avversario non è più un “hostis”, ma un nemico da eliminare completamente. Quale insegnamento o regolarità trarre dalla storia istituzionale? Secondo il Professore, “le piccole guerre si vincono con il sostegno della popolazione, anche se ogni contesto palesa problemi specifici e costituisce una sorta di ‘alchimia’, da svilupparsi e risolversi volta per volta”. Ha proseguito il Prof. U. Draetta (Ordinario di Diritto internazionale, UC MI) con una relazione sul tema “Il diritto internazionale e i nuovi conflitti”. Il Docente ha ricordato che nel diritto internazionale “classico” la guerra è stata messa al bando, salvo che per situazioni caratterizzate dalla c.d. “legittima difesa” (art. 51 Trattato ONU), all’interno così del c.d. “sistema ONU”; tuttavia, tale ultimo sistema, non offrendo una chiara ed univoca nozione di “aggressione” (particolarmente da un punto di vista oggettivo) ed anche in ragione di veti incrociati espressi in sede di Consiglio di Sicurezza, ha spesso solo autorizzato l’uso della forza di singoli Stati o Coalizioni (non attribuendo, invece, tale compito a specifiche Organizzazioni Internazionali, come da scelta prioritaria del Trattato). Il predetto sistema è particolarmente entrato in crisi con le evenienze del Kosovo, dell’Afghanistan, dell’Irak, dove gli elementi soggettivo ed oggettivo del concetto giuridico di aggressione hanno presentato multiformi interpretazioni. Le risposte fornite dal ricordato sistema internazionale di norme non sono parse significativamente soddisfacenti e sono, così, stati introdotti (o meglio implementati) gli istituti della “legittima difesa preventiva” e della “reazione di coalitions of willings”. Anche con riferimento al fenomeno del “terrorismo internazionale” non esiste una definizione dello stesso universalmente accettata (al punto da non essere previsto come fattispecie incriminatrice dal Tribunale sui Crimini Internazionali). Ma indubbiamente, su tutto, secondo il Docente, il problema più rilevante risulta essere la “crisi di legittimità” del Consiglio di Sicurezza ONU, in cui i membri permanenti non rappresentano più (neanche indirettamente) la maggioranza degli Stati mondiali: tuttavia, la particolare conformazione “costituzionale” dell’Organizzazione Internazionale in discussione (rigida) non permette modifiche se non con il consenso dei membri permanenti (i quali, difficilmente, converranno su modifiche soggettivamente “in peius”). In questo contesto – anche giuridico – internazionale, che fare allora? Secondo il Professore, fra le altre cose, occorrerebbe “allargare” la nozione di legittima difesa: ma a ciò, in tempi brevi, osta la natura stessa del processo di evoluzione del diritto internazionale, prevalentemente consuetudinario ed in cui l’attuazione delle norme è affidata agli stessi Stati. Dopo aver ricordato, quindi, che le norme di diritto internazionale generale si modificano – paradossalmente – attraverso la violazione delle stesse, il Docente ha concluso che, come la storia giuridica internazionalistica insegna, “sono e saranno proprio le forze determinanti della Comunità Internazionale a determinarne l’ordinamento”. Ha concluso gli interventi il Dott. F. Venturini (Editorialista del Corriere della Sera) sull’argomento “Mass media, Forze Armate e operazioni militari”. Il Relatore si è soffermato particolarmente sul caso italiano, ambito in cui ha considerato la “deregulation relazionale” tra politica e mass media ed il rapporto di questi ultimi con le Forze Armate (FF.AA.). Con attenzione la primo profilo, operando una comparazione con il mondo anglosassone, il Giornalista ha denunciato l’insussistenza di un codice di regole nei rapporti con le fonti (in altre realtà, appunto, i Portavoci politici e militari “devono poter costituire fonti attendibili di notizie”). Con riguardo al secondo tema di riflessione, il Relatore ha evidenziato come l’immagine delle FF.AA. abbia subito una radicale trasformazione (dall’intervento in Somalia in poi), anche grazie al contributo dei mass media quale “forza trainante di cambiamento relazionale” (ed a dispetto delle risalenti due tradizioni pacifiste, comunista e cattolica) sino a giungere alla affermazione che “le FF.AA. sono diventate strumento di politica estera, anzi, lo strumento principale!”. Il Giornalista ha evidenziato, quindi, i due principali “binari di rapporti” fra FF.AA. e mass media: 1) il rapporto tradizionale, dominato dalla Televisione e, minoritariamente, dalla Carta Stampata (vedasi 1° intervento nel Golfo o l’operazione somala); 2) il nuovo rapporto informatico (INTERNET), che sta progressivamente togliendo il dominio dell’informazione all’Occidente e che si caratterizza per un maggior grado di democraticità, di accessibilità e di non professionalizzazione. Il problema più rilevante dei rapporti mass media e FF.AA. risulta quindi quello, secondo il Relatore, della corretta gestione di questo secondo binario (“INTERNET è il vero problema delle FF.AA.”), utilizzabile anche per finalità terroristiche (vedasi recenti atti di reclutamento ed addestramento di terroristi internazionali per via informatica). Il dibattito finale sulle relazioni della giornata, con viva partecipazione dell’uditorio, è stato presieduto dal Dott. F. W. Luciolli (Segretario Generale del Comitato Atlantico Italiano).
Il giorno 19 ottobre 2007, sotto la presidenza del Prof. O. Bariè (Ordinario [a r.] di Storia delle Relazioni Internazionali, UC MI e Presidente del Club Atlantico Lombardo), il Convegno è proseguito con la relazione del Prof. A. Varsori (Ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali, presso l’Università di Padova) intitolata “Le relazioni euro-atlantiche”. Il Docente, premesse delle riflessioni in merito ai due diversi concetti di “Occidente” fatti propri da USA e Gran Bretagna, da un lato, e dal resto dell’Europa, dall’altro, ha evidenziato come la NATO sia un utile strumento per la guerra al terrorismo internazionale: anzi, proprio ora che ci si interroga sulla valenza dell’Unione Europea quale “attore internazionale”, ci si accorge che l’unica Organizzazione Internazionale dotata di un alto grado di effettività è la NATO. Comunque, secondo il Professore, da entrambe le sponde dell’Atlantico si attendono le prossime elezioni USA e la – futura – riforma ONU (in particolare, se dovesse vincere le elezioni una candidata democratica, il Docente ritiene che le relazioni euro-atlantiche potrebbero sensibilmente migliorare). E’ intervenuto quindi l’Ammiraglio di Squadra F. Sanfelice di Monteforte (Rappresentante Militare Italiano presso i Comitati Militari della NATO e dell’UE) con un contributo sul tema “La NATO del futuro: nuove strutture per un ruolo militare e politico”. Utilizzando delle slides esplicative e parlando “a braccio”, il Militare, con accattivante approccio problematico (“i problemi di oggi sono il frutto della storia e dei tempi”) ha esposto le principali questioni “sul tappeto” in argomento, individuando – fra quelle di politica internazionale di sicurezza – la necessaria omnicomprensività delle operazioni di pace (“la Grande Strategia”) e di soccorso umanitario (vedasi la politica navale del XVIII e XIX secolo). Affrontando, nello specifico, il tema delle questioni militari NATO, ha proposto cinque grandi aree problematiche: 1) la trasformazione dello strumento militare attuale (dalla necessità di dislocazione oltremare a quella di ingresso in teatro in presenza di contrasto, cui discende l’auspicabile uso di forze anfibie ed aeromobili; dal tema della superiorità tecnologica a quello del bilanciamento delle forze); 2) il numero, la dimensione e la tipologia di operazioni (“il numero delle operazioni determina la necessarietà delle forze”, unitamente alla considerazione che “non è vero che il ‘grande martello’ è utile per schiacciare il ‘piccolo chiodo’”; aggiungasi che in una situazione internazionale di tensione crescente la NATO non può trascurare alcuno scenario; infine, secondo il Militare, le operazioni “a bassa intensità” richiedono un significativo sforzo temporale); 3) la strategia militare delle operazioni (ovvero, cosa significhi tale operatività in un mondo ormai multipolare; quale debba essere il più costruttivo approccio alle crisi, unitamente alla ricerca della non attuazione di un interventismo spinto; l’importanza delle “strategie dallo scopo limitato” e della “difesa collettiva” ex art. 5 del Trattato NATO); 4) la struttura militare di comando (dove appare quanto mai opportuna, secondo il Militare, un’attività di semplificazione di una struttura ormai troppo grande e costosa [oltre 12.000 dipendenti]; e dove le caratteristiche essenziali risultano essere ormai solo due, l’attività operativa e la garanzia dell’interoperabilità; aggiungasi il tema della dispiegabilità versus il “reach back” e quello della distribuzione degli incarichi di vertice [c.d. “rappresentatività”]), 5) i problemi delle forze di risposta NATO (“NRF”, ad elevata integrazione e con supporto operativo e logistico per almeno tre o quattro mesi, la cui composizione oggi è prevalentemente europea e che costituisce “una bomba ad orologeria per i bilanci della difesa”, poichè implica anche la necessità della profonda trasformazione delle singole orze nazionali NATO; il Militare ha infine ricordato come, problematicamente, la NRF stia divenendo uno strumento della politica internazionale dell’UE). Dopo il coffee break il Convegno è ripreso, sotto la presidenza dell’Ambasciatore M. Moreno (Rappresentante Permanente d’Italia al Consiglio Atlantico). Il Generale V. Camporini (Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica), intervenuto in argomento con una propria relazione, ha sottolineato come oggigiorno, nel nuovo contesto internazionale ed in sede operativa, le strutture che devono fornire maggiore contributo sono proprio quelle che un tempo erano considerate di supporto (ad esempio: elicotteri, aerei da trasporto e reparti mobili di supporto). Nella stessa struttura gerarchica si stanno sempre più facendo strada modelli di degerarchizzazione e legami sempre più diretti fra unità operative. Le relazioni sono proseguite con l’intervento dell’On. Prof. E. La Loggia (Presidente del Comitato Atlantico Italiano), “Il ruolo dell’Italia nella partnership transatlantica”.  L’Onorevole ha sottolineato, con un ampio ed articolato intervento, il necessario e positivo ruolo italiano in ambito NATO. In particolare, il Professore ha sottolineato l’importanza del dato valoriale: “E’, difatti, nel patrimonio di valori condivisi di democrazia, libertà, rispetto dei diritti umani ed economia di mercati, che si fondano le relazioni transatlantiche. Relazioni e Partnership che storicamente trovano nella NATO il foro per il loro sviluppo e la loro salvaguardia … è il patrimonio comune di valori democratici e di libertà, che costituisce il tessuto connettivo della Comunità atlantica. Un patrimonio di valori che non va dato per scontato, ma va alimentato e, allo stesso tempo, salvaguardato e non disperso” (da “Elementi d’Intervento” dell’On. Prof. E. La Loggia, distribuiti in sede di Convegno, pp. 1 e 7). Il Docente ha ricordato la grande attualità del “Rapporto Harmel” del 1967 “che nei confronti dell’avversario di allora associava ai principi di fermezza e dissuasione anche quelli del dialogo e della distensione … Crisi e conflitti che nascono fuori dall’area possono mettere a repentaglio la sua sicurezza sia in via diretta sia intaccando l’equilibrio globale” (da “Elementi …” cit., p. 2). Il Relatore ha poi sottolineato “la straordinaria capacità di adattamento che la NATO ha saputo dimostrare all’indomani della caduta del muro di Berlino. Nel vertice NATO tenutosi a Roma il 7-8 novembre 1991 … vennero enunciati un Nuovo Concetto Strategico e … Dichiarazione di Roma sulla Pace e la Cooperazione … l’11 settembre ha impresso una notevole accelerazione ai processi di adattamento interno ed esterno, ovvero di allargamento … La NATO, in particolare, ha saputo rispondere con tempestività ed efficacia alle nuove minacce di un nemico asimmetrico e senza volto come il terrorismo. I vertici di Praga (2002) e di Istanbul (2004) hanno sancito una profonda trasformazione dell’Alleanza e dei suoi strumenti politici e militari. Un processo di trasformazione che nel vertice che si terrà a Riga il prossimo mese riceverà un ulteriore impulso …”(da “Elementi …” cit., p. 3). Il Relatore ha ricordato, quindi, lo storico Vertice dei Capi di Stato e di Governo del 28.05.2002 a Pratica di Mare, che ha sancito la nascita del Consiglio NATO-Russia. Il Docente ha proseguito con una sintetica disamina dell’apporto italiano in sede NATO (amicizia con gli USA, ruoli sempre più importanti nelle strutture NATO, partecipazione ad operazioni di peace-keeping sotto l’egida ONU, ruolo di mediazione per la pace in Medio-Oriente, attività svolta per mantenere l’Europa vicina agli USA), concludendo con il ricordo dell’importanza non solo simbolica del contenuto dell’art. 2 del Trattato, secondo il quale – in sostanza – gli Stati membri si impegnano ad aiutare i Paesi “emergenti” del Sud del mondo, apportando così significativi elementi di valutazione che suscitino la nascita e lo sviluppo di quei valori che caratterizzano il vero sostrato umano dell’Alleanza. “Lotta al terrorismo globale e lotta alla povertà” si configurano, quindi, per il Professore, quali obiettivi sfidanti, ma ragionevolmente raggiungibili, del futuro della NATO: “Questa è la sfida che ci aspetta il prossimo futuro, nella quale dovremo coinvolgere tutti coloro, giovani e meno giovani, che credono nella libertà, nella coesistenza pacifica, nella cooperazione internazionale” (da “Elementi …” cit., p. 7). Successivamente il Generale di Corpo d’Armata M. Del Vecchio (Comandante “NATO Rapid Deployable Corps – Italy” e recente “carismatico” Comandante “ISAF-VIII” in Afghanistan) ha relazionato sul tema “La partecipazione italiana alle missioni militari della NATO”. Il Generale, parlando “a braccio” e con l’ausilio di slides esplicative dei dettagli, ha esposto una completa cronologia delle operazioni NATO (a partire dal 1995, Bosnia), cui l’Italia ha partecipato (n. 15 operazioni – n. 15 partecipazioni italiane). Ha altresì relazionato in merito alla pluridecennale partecipazione italiana in missioni ONU (ad esempio: Libano, Somalia e Mozambico) e alla partecipazione in altre operazioni bilaterali, in coalizioni diverse od in ambito UE. Il Generale ha commentato, quindi, le caratteristiche dei principali teatri operativi di riferimento, cioè i Balcani (Bosnia, Macedonia, Albania, Kosovo), l’area del Mar Mediterraneo (dispositivo aeronavale di pattugliamento), il Medio-Oriente e l’Asia Centrale (Irak, Pakistan, Afghanistan), dimostrando come l’impegno delle FF.AA. sia stato e sia ad oggi molto diversificato (oltre 10.000 unità di personale ultimamente e continuativamente impegnate, con assunzione di sempre maggiori responsabilità: vedasi in Kosovo ed in Afghanistan, dove è stato loro attributo l’intero comando regionale operativo). Il Militare ha sottolineato la tempestività con cui le FF.AA. italiane hanno risposto alle richieste di missione NATO, ricordando alcune eccellenze internazionali (quali, ad esempio, la MSU/Carabinieri – polizia militare/civile in Bosnia, la GDF – polizia tributaria e doganale in Afghanistan, la logistica dell’Aeronautica Militare in Bosnia ed in Afghanistan, il Genio Ferrovieri nel Kosovo ed in Bosnia). Infine, è intervenuto il Gen. C.A. G. Valotto (Presidente del centro Alti Studi per la Difesa, già internazionalmente apprezzato Comandante “KFOR” in Kosovo), con un approfondimento riguardante “La riforma delle Forze Armate italiane”. Il Generale, partendo da un’analisi del contesto mondiale di carattere geo-strategico (teoria del “core” e del “gap”, cioè aree mondiali ricche e povere) ed individuando molteplici “aree di tensione”, ha affermato la necessità di un concetto di sicurezza “olistico” e di una “strategia proattiva” che implichi una trasformazione nell’operatività delle FF.AA. italiane (già recentemente transitate dalla leva alla professionalità). Il Relatore ha individuato alcune delle linee guida che stanno caratterizzando la trasformazione dello strumento militare in Italia: 1) la capacità di sostenere lo sforzo operativo (ovvero “l’output del sistema FF.AA.”: “non basta essere efficienti ma è necessario essere efficaci”; in particolar modo il Militare ha sottolineato l’impatto sull’opinione pubblica interna ed internazionale; “in sede internazionale, l’Italia ha offerto sinora stabilmente circa 10.000 uomini in teatro e oltre 40.000 uomini di supporto”); 2) l’accelerazione della trasformazione dello strumento militare (ossia la integrazione interforze, la vocazione “expeditionary”, la cooperazione civile-militare, lo sviluppo delle singole componenti [per l’Esercito, maggiore qualità; per la Marina meno sommergibili e grandi navi ma più aeronavale e trasporto; per l’Aeronautica più trasporto ed intelligence e meno tattica; per i Carabinieri più MSU ed elicotteri]); il mutamento dell’elemento umano (sviluppo di leadership interforze ed internazionale; modificazione delle strutture organizzative e dei metodi di lavoro, verso un’architettura “a rete” che veda al centro lo Stato Maggiore della Difesa [c.d. “rivoluzione net-centrica”, dove “da un sistema piramidale e rigido si transita ad un modello net-centrico, flessibile ed orizzontale”, da un approccio “hold” a un sistema “share”]. Infine, il Relatore ha sommariamente illustrato la nuova struttura (anch’essa a rete) di formazione iniziale e permanente dei quadri direttivi militari italiani (CASD, IASD, ISSMI, CEMISS).
Dopo la sosta meridiana, il Convegno, presieduto dal Prof. F. Perfetti (Ordinario di Storia contemporanea, LUISS “Guido Carli” e Capo del Servizio Storico, Archivi e Documentazione del Ministero degli Affari Esteri), ha ripreso i propri lavori con la relazione del Prof. A.G. De Robertis (Coordinatore dell’Osservatorio Balcanico, Eusino, Danubiano dell’Università di Bari), “Il ruolo di stabilizzazione della NATO: dai Balcani ai confini dell’Europa”.  In particolare, il Docente ha sottolineato, con dovizia di riferimenti di specie, l’importante ruolo internazionale e strategico svolto dalla NATO in differenti contesti d’area ed in presenza di significative criticità di coordinamento. Successivamente, il Prof. R. Redaelli (Associato di Storia delle Civiltà e delle Culture Politiche, UC MI) ha relazionato su “Il ruolo della NATO nel Mediterraneo e nel grande Medio Oriente”. In particolare, il Docente ha enucleato, dopo un’ampia disamina geostrategica, la difficoltà di definizione dei contesti mediorientali (da “Mediterraneo allargato” a “Nuovo Medio-Oriente” a “grande Medio-Oriente”) e le connesse implicazioni di comprensione reciproca fra realtà Occidentali/Occidentalizzate e non. Motivatamente assente, infine, il Dott. D. Riggio (NATO International Staff) che avrebbe dovuto esporre un proprio contributo dal titolo “Le operazioni a lunga distanza: il caso Afghanistan”, il già citato Generale Del Vecchio ha offerto la proiezione di un filmato sulla recente esperienza ISAF-VIII in Afghanistan: “It is a privilege as well as an honour for me to have been the Commander of International Security Asssitance Force (ISAF) during a very crucial and challenging time for the Islamic Republic of Afghanistan and its people … We helped to establish the conditions in which Afghanistan can enjoy a representative government, self-sustaining peace and security. An amazing country with an extraordinary people that after almost three decades of conflict showed great determination in moving its democratic process through the National Parliamentary and Council Elections and the inauguration of the new Parliament on 19 December 2005” (dal volume celebrativo ISAF VIII, “The NATO Mission in Afghanistan”, Solbiate Olona – Milano 2006, “COMISAF FOREWORD”, p. 5). Si segnala, nella bellezza paesaggistica e nella drammaticità di alcune riprese post-belliche, la toccante metafora dell’aquilone (come la piuma nel famoso film “Forrest Gump”), già sport nazionale afgano, che sta ritornando, dopo tempo, a volare nei cieli.
Dopo il coffee break, è iniziata la sessione conclusiva, dove R.F. Simmons Jr. (deputy Assistant Secretary General of NATO) ha relazionato sul tema “Towards the Riga Summit: a Global NATO”. In particolare, in previsione del prossimo Summit di Riga, il Segretario ha evidenziato alcune delle tematiche e delle criticità che saranno oggetto di approfondimento in tale sede: dalla revisione delle partnership (sia nell’ambito del processo di allargamento – Macedonia, Albania, Croazia, Ucraina – che con riferimento ai “Paesi di contatto” – Australia, Giappone, Nuova Zelanda – ed all’area asiatica) ai rapporti con UE ed OCSE, al problema della riforma dei costi di “deployment” (dal “pay as you go” ad una maggiore centralizzazione indennitaria) all’accentuazione dell’interoperabilità fra Paesi alleati. Alla tavola rotonda finale hanno partecipato il Prof. M. C. Henriques (Universidade Catolica Portuguesa e Istituto da Defesa Nacional, Lisbona), il Prof. A. Chauprade (la Sorbona e College Interarmees de Defense, Parigi), il Prof. M. De Leonardis (cit., UC MI), il Contrammiraglio (a) P.P. Ramorino (UC MI e Università di Firenze). Il Prof. De Leonardis ha introdotto il tema della dialettica “Atlantismo-Europeismo”, raffrontando le politiche estere di difesa e di sicurezza della NATO e dell’EU, individuando l’art. 5 del Trattato atlantico come importante momento discretivo (e che ha spinto molti nuovi Stati ex-sovietici a perseguire fattivamente l’adesione alla NATO). Il Docente ha, riassuntivamente, individuato tre criticità in argomento: 1) quella istituzionale, che – senza scomodare Bismark, che già nel 1863 chiese: “Chi è l’Europa?” – non ha ancora avuto una risposta, neppure nell’ “abortito” Trattato UE; 2) quella operativa, dove sono stati compiuti molti progressi sulla base della divisione dei compiti e che domanda un superamento o una istituzionalizzazione; 3) quella strategica, che afferisce al modo in cui l’Europa voglia pensare se stessa: riequilibrio (visione già “gollista”) o massima coesione (visione già “da Guerra Fredda”)? Il Prof. A. Chauprade ha, invece, evidenziato come il mondo si stia trasformando, “globalizzando”, ma nel senso di una progressiva “americanizzazione”, in una situazione di sempre minore multipolarità. Dal 1947 l’atlantismo, secondo il Docente, ha sostituito il mondialismo (una volta compresi appieno i pericoli potenziali ed attuali del comunismo). Ora, gli USA, secondo il Professore, cessata la minaccia comunista, stanno ulteriormente implementando la propria essenza e proiezione internazionale, quale “nazione-progetto”, in divenire perpetuo e “con una missione quasi-religiosa” di trasformare il mondo verso valori (ed interessi) propri di un certo tipo di società. Il Docente ha enucleato quelli che sembrano essere le più rilevanti finalità della politica estera USA: 1) “aggiramento della Cina”; 2) “indebolimento della Russia”, 3) “sostegno alla geopolitica israeliana”; 4) “consolidamento del grande blocco transatlantico”. Secondo il Docente, quindi, la NATO, dal 1990, ha mutato il proprio principale obiettivo nell’essere diventata sempre più “strumento per scopi geopolitica” degli USA: “sempre meno euroatlantica, sempre più globale”, con una generale convergenza antiterrotistica (ed il futuro Vertice di Riga non sarebbe altro che il momento di determinazione operativa di tali nuove linee guida). Gli altri partecipanti alla discussione hanno, con ampiezza argomentativa e con esplicitazione di singole brevi contribuzioni, apportato le proprie valutazioni in argomento, con segnalabile vivo interesse dell’uditorio (ad esempio: l’Ammiraglio Ramoino ha relazionato e suscitato discussione in merito al tema della dimensione marittima della NATO; il Prof. Henriques ha apportato la propria esperienza di consulente e studioso di sicurezza del Governo portoghese con specifico riferimento alle nuove strutture e strategie NATO).
 
3. La NATO: fonti e materiali di primo riferimento.
Il tema oggetto di approfondimento e dibattito presenta una multiforme varietà di fonti, in questa sede – ovviamente – non enucleabili con la necessaria e dovuta precisione. Per un primo – ma esaustivo – approccio si consiglia, oltre ai classici manuali di Relazioni Internazionali, di Storia delle Istituzioni e delle Relazioni Internazionali, oltre che di Storia delle Istituzioni Militari/dei Sistemi di Sicurezza e di Diritto Internazionale (cui, con consapevole omissione, si rinvia), la lettura di M. DE LEONARDIS, “La nuova NATO: i membri, le strutture, i compiti”, Bologna 2001 (seppur relativamente risalente, ha il pregio di raccogliere ancor metodologicamente valide considerazioni in argomento, con amplia bibliografia di riferimento). Affiancherei, inoltre, i seguenti più recenti contributi (anch’essi con interessante – ma più recente – apporto bibliografico di riferimento): M. DE LEONARDIS, “La NATO: attualità e prospettive”, relazione alla Conferenza c/o ISTRID dell’ 11 maggio 2005 (in ISTRID, a. VIII, nn. 108-110, luglio-settembre 2005, pp. 4-8); M. DE LEONARDIS, “Dopo la guerra fredda ed il ‘decennio delle illusioni’, la crisi della ‘terza età’ della NATO”, relazione letta al Convegno “La nuova NATO dopo il vertice di Praga”, c/o ISPI, 28 novembre 2002 (in Nova Historica, a. II, n. 4, 2003, pp. 31-43). Fra le fonti di diretta derivazione NATO, molte peraltro a download gratuito sul correlato sito, segnalo: NATO/OTAN, Office of Information and Press, “Manuale della NATO”, Bruxelles 2001 (ultima edizione tuttora disponibile). Nel vasto mondo sitografico in argomento, sempre per un primo ed auspicabilmente satisfattivo contatto, e con specifica attenzione agli sviluppi del Convegno di cui in Resoconto, si invita alla visione di  www.nato.int o di www.otan.nato.int (sito ufficiale della NATO, al cui interno è rinvenibile una ponderosa mole di materiale) e del sito www.nato.int/nrdc-it/about/organ/supp_unit.htm (sulla struttura NATO “Rapid Deployable Corps – Italy”, con attenzione particolare alle strutture ed alle funzioni NATO svolte in Solbiate Olona-VA ed in Milano-città).
 
4. Per un approccio differente: un contributo, recente e di ampia diffusione, in argomento.
Per un approccio differente, rispetto alla dottrina sopra ricordata ed a molta parte degli interventi del Convegno di cui sopra, al ruolo ed ai possibili sviluppi politico-istituzionali ed operativi della NATO, oltre a rinviare ai corposi studi in argomento, si propone, in estratto, un recentissimo intervento divulgativo sul tema di un noto esperto di relazioni internazionali, quale è l’Ambasciatore (a r.) Sergio Romano, tratto dalle pagine di un diffuso quotidiano (Corriere della Sera, 14.10.2006, p. 37, “La NATO: il lungo declino di una grande alleanza”) e peraltro sinteticamente citato dal Prof. De Leonardis, per correttezza di informazione scientifica ma con una certa giustificata sorpresa, durante il dibattito, : “… è vero che la NATO è un ostacolo sulla strada dell’integrazione politica e militare dell’Europa. Gli Stati Uniti la vogliono tenere in vita perché permette a Washington di sostenere che la difesa dell’Europa è già assicurata e che ogni iniziativa europea nel campo militare sarebbe soltanto un inutile doppione. Molti europei la accettano perché temono che la sua dissoluzione li costringerebbe ad affrontare responsabilmente il problema della propria sicurezza e provocherebbe una crisi maggiore nei rapporti con l’America. Grazie a questa convergenza fra diversi interessi, ma egualmente poco confessabili, la NATO ha impiegato gli ultimi quindici anni, dopo il crollo del suo vecchio nemico, nella instancabile ricerca di nuove missioni e nuovi obiettivi, insomma di una ragione che giustifichi la propria esistenza. I risultati non sono brillanti. Ne ricorderò alcuni a titolo di esempio. La guerra del Kosovo, vale a dire l’operazione che i militari di Mons e i funzionari di Bruxelles considerano probabilmente un successo, ha umiliato la Serbia, ha creato un problema pressoché insolubile (che cosa fare del Kosovo) e ha avuto per di più il paradossale effetto di scontentare l’America. Agli Stati Uniti, infatti, non è piaciuto che i loro bombardieri fossero costretti a operare sotto la guida di un comitato che si riuniva ogni mattina per scegliere gli obiettivi da colpire nel corso della giornata. Il risultato del malumore americano fu evidente in Afghanistan nell’ottobre del 2001. Quando Bush decise di reagire all’ 11 settembre colpendo il regime dei talebani, il Consiglio Atlantico scattò in piedi e offrì all’America, per la prima volta nella storia della NATO, l’applicazione dell’art. 5 del trattato, versione moderna del giuramento dei moschettieri: uno per tutti, tutti per uno. Ma quando si passò dai comitati di solidarietà all’uso delle armi, gli Stati Uniti preferirono agire al di fuori dell’Alleanza, con l’aiuto dei pochi Paesi anglofobi (Gran Bretagna, Canada) su cui ritenevano di poter contare. Nel caso dell’Iraq, due anni dopo, la NATO venne chiamata in causa soltanto quando gli Stati Uniti si resero conto che non avrebbero ottenuto l’avallo del Consiglio di Sicurezza. Fu quello il momento in cui convocarono il Consiglio Atlantico e chiesero agli alleati di impegnarsi a proteggere la Turchia dalle minacce irachene. Quali minacce? Sappiamo che Saddam Hussein non era in condizione di attentare all’integrità del territorio turco, ma quell’impegno, se fosse stato sottoscritto, avrebbe dato al mondo la sensazione che l’America combatteva in Iraq con l’approvazione dell’Alleanza. Più tardi la NATO ha fatto finalmente la sua apparizione in Afghanistan, dove è oggi impegnata contro le formazioni talebane che si sono ricostituite in alcune parti del Paese. Ma è accaduto perché gli Stati Uniti, dopo aver vinto la guerra, non avevano alcuna intenzione di gestire il dopoguerra distogliendo truppe dall’Iraq. E non sembra purtroppo che i membri europei dell’Alleanza abbiano voglia di mettere in campo le forze necessarie al successo dell’operazione. Vi è ancora un esempio che dimostra quanto la NATO sia oggi difficilmente utilizzabile. Allorché l’operazione israeliana contro gli Hezbollah si dimostrò più difficile del previsto e fu necessario ricorrere ad una forza di interposizione nel Libano meridionale, gli Stati Uniti ed Israele lasciarono intendere che la loro preferenza andava ad un intervento della NATO. Ma si resero conto rapidamente che una forza atlantica sarebbe stata percepita nella regione come la longa manus degli Stati Uniti e, indirettamente, dello Stato israeliano … Il compito per cui la NATO si è rivelata inadatta è stato assunto da una forza dell’ONU che è in buona parte europea. Se i Paesi dell’UE che la compongono si accordassero per gestirla collegialmente e dimostrassero di avere una visione comune dei problemi della regione, il Libano potrebbe forse diventare il terreno di prova ed il laboratorio dell’Europa politica e militare di cui abbiamo bisogno”. Sostanzialmente eguali argomentazioni sono state sviluppate anche dallo stesso Romano, sul medesimo quotidiano, il giorno 25.10.2006, in “Base di Vicenza: qualche riflessione in più”: “… Oggi la situazione è radicalmente diversa. Il nemico comune è il terrorismo islamico di ispirazione religiosa, ma il miglior modo per sconfiggerlo non è combattere guerre immotivate come quella irachena, smantellare strutture statali senza avere idee chiare sul sistema politico che dovrebbe prenderne il posto, creare condizioni di insicureza che provocano il risentimento della popolazione civile. In Iraq e per certi aspetti anche in Afghanistan, l’America ha creato il terreno su cui il fanatismo religioso può raccogliere sotto le proprie bandiere anche coloro che si battono, più semplicemente, contro l’occupazione straniera del proprio paese. Se l’America persegue una politica estera discutibile e non conforme ai nostri interessi, perché l’Italia dovrebbe ospitare basi che sono strumenti di quella politica? … Resta naturalmente il problema delle basi NATO, aperte sulla base di accordi con un’organizzazione di cui l’Italia è membro. Ma l’organizzazione ha perso la sua originale ragione sociale e corre il rischio di essere usata, come nel caso dell’Afghanistan, quando Washington non può o non vuole portare a termine un lavoro lasciato a metà. Vi sono ottime ragioni per mantenere in vita l’Alleanza Atlantica. Ma ve ne sono altrettante per rivedere interamente gli accordi militari della NATO. Per concludere … so che non è possibile, per il momento, fare affidamento sulla forza militare dell’Europa. Ma il problema in questo caso è un altro: se sia opportuno affidarsi alla politica estera degli Stati Uniti”.
 
5. Nella “crisi” delle Organizzazioni Internazionali, una NATO che vive e si riforma.
In conclusione, il dibattito politico-istituzionale sul tema della natura e delle funzioni della “nuova NATO”, unitamente alla partecipazione dell’Italia a tale Organizzazione Internazionale, appare, quindi, ancora aperto ed, anzi, in palese e sensibile divenire. Il prossimo Vertice di Riga, auspicabilmente, offrirà – sia agli atlantisti che agli europeisti ed agli internazionalisti – ulteriori elementi di riflessione e confronto .
Restano di indubbio ed attualissimo interesse, così, le recenti considerazioni di C.A. Kupchan, Docente di Relazioni Internazionali alla Georgetown University di Washington, esposte – anche in sede di Lectio Magistralis “Transatlantics Relations in a New Era”, presso l’Università Cattolica di Milano, lo scorso 13 ottobre 2006 (nell’ambito delle celebrazioni per il decennale dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali – ASERI). All’incontro magistrale hanno partecipato: il Prof. L. Ornaghi, Rettore dell’Università e Direttore dell’ASERI; il Prof. V.E. Parsi, Ordinario di Relazioni Internazionali UC MI; il Prof. A. Quadrio Curzio, Preside della Facoltà di Scienze Politiche; il Dr. P. Bassetti, Presidente di “Globus et Locus”. Le sopra ricordate considerazioni sono state sommariamente anticipate dallo studioso stesso, in un recentissimo contributo rubricato “Il mondo cambia, le istituzioni no. Nazioni Unite, NATO, Unione Europea: la criticità del momento storico impone un sostanziale ripensamento dell’architettura internazionale”, in “Il Sole 24 Ore”, Osservatorio Global View – Mutamenti geopolitici, 8.10.2006, p. 10: “Le istituzioni internazionali che hanno retto la politica mondiale per oltre mezzo secolo stanno rapidamente diventando obsolete e di scarsa utilità. Molte di queste, globali e regionali, furono costituite nell’immediato dopoguerra. Dopo sessanta anni, risultano tristemente fuori moda e si affannano per rimanere legittime ed efficaci in uno scenario globale che ha ormai pochi aspetti in comune con quello del 1945. Anche se questo impegno non è urgente, come la stabilizzazione dell’Iraq e dell’Afghanistan, o come la risoluzione del conflitto arabo-israeliano, la comunità internazionale deve fare della riforma istituzionale una priorità. Viviamo infatti in un momento tanto critico quanto lo furono il 1815, il 1918 e il 1945, quando una nuova realtà geopolitica richiese una nuova architettura internazionale. Come nelle congiunture storiche precedenti, le scelte istituzionali che verranno fatte oggi daranno forma al sistema internazionale nei decenni a venire … Analogamente [all’ONU], anche la NATO sta attraversando un momento sempre più difficile. La frattura politica che si è aperta in merito alla guerra in Iraq ha reso evidente che l’unità transatlantica non è più quella di una volta. La NATO sta ora combattendo per la propria vita in Afghanistan. Anche se ingenti rinforzi alla fine saranno disponibili, non si deve assolutamente dare per scontato che l’Alleanza sia in grado di sconfiggere i ribelli Talebani e portare la stabilità nel Paese. La posizione della NATO in Afghanistan e la natura globale delle minacce contemporanee alla sicurezza sollevano domande importanti in merito al futuro dell’Alleanza. Dovrebbe diventare l’organizzazione per far fronte alle principali sfide di oggi alla sicurezza, magari inviando truppe in Cisgiordania e in Darfur? Oppure, come hanno suggerito alcuni esperti, dovrebbe aprire la porta a tutte le democrazie del mondo? All’aumentare del numero degli Stati membri e delle missioni, dovrebbe forse abbandonare il principio dell’unanimità, riconoscendo che l’unità d’intenti della Guerra Fredda è svanita per sempre? La NATO potrebbe optare per un futuro più cauto e moderato, ma perlomeno deve affrontare questi interrogativi stringenti … Non è solo un cambiamento nella distribuzione globale della potenza che sta causando questo sconvolgimento nelle istituzioni globali e negli ordini regionali. Anche la globalizzazione, insieme agli squilibri ed alle ingiustizie che l’accompagnano, e la democratizzazione, con le politiche imprevedibili che produce, sono responsabili per aver liberato potenti forze di cambiamento. Quali che ne siano le cause, i mutamenti geopolitici in corso impongono alle istituzioni di adattarsi e di innovare con urgenza. Il rischio che si corre se si trascura questo compito non è solo l’indebolimento dell’ONU o della NATO, ma potenzialmente la spaccatura delle fondamenta istituzionali del sistema globale”.
 
6. NATO ed Università Cattolica: i più recenti sviluppi.                                                 
Segnalo, infine, la costante attenzione all’argomento, nei suoi più recenti sviluppi, ad opera del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Cattolica di Milano (Direttore prof. M. De Leonardis) che, unitamente al “NATO Information Office for Italy, Public Diplomacy Division – International Staff” (dott. D. Riggio), ad esempio, nel maggio scorso ha organizzato un breve soggiorno-studio, presso il Quartier Generale NATO in Bruxelles, dove è stato possibile visitare i più significativi luoghi di riferimento ed assistere ad un ciclo di interessanti conferenze (con relatori civili e militari) che hanno cercato di compendiare la struttura e le attività dell’Organizzazione Internazionale. All’iniziativa hanno partecipato i più coinvolti e diligenti studenti del corso di Storia delle Relazioni e delle Istituzioni Internazionali, unitamente ad alcuni dei Dottorandi e dei Docenti, particolarmente interessati all’argomento, tutti della Facoltà di Scienze Politiche.
Altresì, al termine del Convegno qui recensito, il giorno 20.10.2006, una delegazione dell’Università, composta da partecipanti al Convegno stesso (Relatori, Docenti, Dottorandi e Studenti) sotto la guida del Prof. De Leonardis, ha visitato il NRDC-IT (“NATO Rapid Deployable Corps – Italy”) in Solbiate Olona (VA), presso la Caserma U. Mara. In particolare, dopo un caffè di benvenuto presso il Circolo Ufficiali ed un primo contatto con alcuni ufficiali in rappresentanza di quasi tutti i Paesi Nato (segnalo il diffuso compiacimento nel vedere insieme ai militari da sempre NATO, militari bulgari, sloveni ed ungheresi) la visita è proseguita nella palazzina Comando, dove si sono svolti dei briefing, con slides ed in lingua inglese, sulla struttura e le funzioni del Comando stesso, sulle infrastrutture di supporto e dove sono stati visionati audiovisivi esplicativi in argomento. Il già ricordato Comandante NRDC-IT Generale (C.A.) Del Vecchio, con i suoi più stretti collaboratori (fra cui segnalo, per incisività e rigore espositivo, oltre che per disponibilità interrelazionale, i Col. Scollo e Perfetti ed il Gen. [B.] De Feo), ha guidato gli incontri, che si sono conclusi, dopo un breve dibattito e la visita ad una mostra statica, con un aperitivo ed un pranzo di commiato. L’ambiente (mezzi, strutture, logistica), moderno ed internazionale, militarmente informale, ed il personale dirigenziale (ufficiali superiori), molto preparato e motivato, hanno concorso a confermare l’immagine di una piena operatività ed efficienza/efficacia della struttura operativa di sicurezza atlantica sita in Italia ed, indirettamente, dell’intera Organizzazione Internazionale NATO.
 
 
Marco Rondanini
(Università Cattolica di Milano – Agenzia delle Entrate)
 
Le opinioni espresse nel presente scritto sono da ricondursi unicamente all’autore dello stesso, restando impregiudicate le posizioni delle Istituzioni formative e/o lavorative di riferimento. Eventuali errori grammaticali o sintattici, non evidenziati in sede di rilettura, sono anch’essi da attribuirsi all’autore. Il presente scritto è stato sottoposto, preventivamente, al sommario esame del Tutor universitario dottorale Prof. M. Scazzoso, che si ringrazia per le osservazioni critiche formulate in argomento.
 

Rondanini Marco

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento