La libertà sindacale: tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nel nostro ordinamento giuridico

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Premessa

Il diritto sindacale è quella parte della disciplina del diritto del lavoro che studia e analizza i rapporti collettivi tra i lavoratori (organizzazioni sindacali e imprenditoriali, contrattazione collettiva).

Protagonisti sono i soggetti collettivi (organizzazioni sindacali, imprenditoriali) che danno vita ad un ordinamento intersindacale.

Negli anni tale ambito giuridico è stato limitato, soprattutto nel periodo fascista in cui vi era per ogni categoria un solo sindacato, sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, direttamente controllato e riconosciuto dal governo; inoltre venivano repressi i conflitti collettivi come lo sciopero e la serrata.

Solo nel secondo dopoguerra, dopo il 1945, si è assistito progressivamente all’abolizione delle corporazioni.

Così come per l’intera disciplina giuslavoristica, anche il diritto sindacale si basa su fonti normative internazionali come le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (O.I.L.) e nello specifico la n. 87/1948 che ha ad oggetto la protezione dei diritti sindacali nei confronti delle amministrazioni statali e la n. 98/1949 che riguarda invece la protezione dei lavoratori contro discriminazioni dei datori di lavoro per ragioni sindacali; su fonti comunitarie come la carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (Carta di Nizza); su fonti interne come la Costituzione, le legge ordinaria, le pronunce giurisprudenziali e la contrattazione collettiva.

 

Titolarità

Con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, l’art. 39 c.1 Cost. dice che “l’organizzazione sindacale è libera”; si tratta di una norma di immediata precettività in quanto enuncia un principio fondamentale.

In base alla realtà sociale, è sindacale l’attività o l’organizzazione diretta a proteggere gli interessi collettivi dei lavoratori.

Titolari della libertà sindacale sono i lavoratori subordinati privati e pubblici (Dlgs. 165/2001), i parasubordinati (es. agenti e rappresentanti di commercio, i medici convenzionati con il S.S.N.); i lavoratori autonomi, invece, in quanto non soggetti al vincolo di subordinazione, sono titolari della sola libertà di associazione ex art. 18 Cost.

I datori di lavoro non sono titolari della libertà sindacale, elaborata dal costituente esclusivamente per i lavoratori, ma solo della libertà d’impresa ex art. 41 c.1 Cost. e della libertà di associazione.

Gli appartenenti alla Polizia di Stato, a seguito della smilitarizzazione del 1981, hanno diritto di associarsi in sindacati ma non possono iscriversi ad altri né rappresentare altri lavoratori; i sindacati di polizia non possono quindi aderire o affiliarsi con altre organizzazioni sindacali.

I militari, invece, non possono costituire organizzazioni sindacali né aderire ad altre.

 

Contenuto

La libertà sindacale può essere analizzata sotto un profilo individuale o collettivo: sul piano individuale si può configurare una libertà positiva, ossia consentire ai lavoratori di organizzarsi in sindacati, svolgere attività di proselitismo ecc. ma anche una libertà negativa, ossia consentire ai lavoratori di non aderire ad alcun sindacato o di cessare liberamente di farne parte.

Sul piano collettivo si configura una libertà organizzativa (senza intrusioni), una libertà di scegliere gli obiettivi e gli ambiti d’intervento (es. scegliere le categorie di lavoratori da rappresentare), una libertà d’azione contrattuale e non un obbligo a trattare o contrarre, una libertà di lotta.

 

Natura giuridica

La libertà sindacale ha un’ampia autonomia che si estende anche ai rapporti con lo Stato e i pubblici poteri; in questo modo non vi è la possibilità per lo Stato di intervenire con provvedimenti autoritativi sull’attività sindacale.

Tuttavia ciò non significa che non possano esserci rapporti tra organizzazioni sindacali e Stato per stabilire dei vincoli all’attività per raggiungere il benessere sociale; in questo caso si parla di concertazione (trattative tra organizzazioni sindacali, imprenditoriali e Stato).

Ovviamente la libertà sindacale è garantita nei confronti del datore di lavoro; le principali tutele sono quelle previste agli artt. 14, 15, 16, 17 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) che ha contribuito notevolmente alla disciplina protettiva e inderogabile posta a tutela dei lavoratori subordinati.

L’art. 14 Stat. Lav. definisce il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale anche all’interno dei luoghi di lavoro.

L’art. 15 Stat. Lav. definisce il divieto di atti discriminatori, ossia vieta il compimento di atti o patti diretti a subordinare l’occupazione alla condizione che il lavoratore aderisca ad un sindacato o cessi di farne parte o a discriminarlo in ogni fase della sua attività lavorativa (es. sanzioni disciplinari, licenziamento); nel caso in cui dovessero essere compiuti, sono giuridicamente nulli e deve essere ripristinata la situazione giuridica precedente.

L’art. 16 Stat. Lav. definisce il divieto di trattamenti economici collettivi di maggior favore aventi carattere discriminatorio; i lavoratori discriminati e/o le organizzazioni sindacali possono adire il giudice del lavoro per ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento al Fondo Pensioni dei lavoratori dipendenti, di una sanzione pari all’importo dei trattamenti economici di favore illegittimamente corrisposti in un anno.

Infine l’art. 17 Stat. Lav. vieta ai datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari, organizzazioni sindacali dei lavoratori; si tratta dei c.d. “sindacati di comodo” che fingono di tutelare gli interessi dei lavoratori, subendo in realtà l’influenza del datore di lavoro.

Contro questo fenomeno è possibile ricorrere al procedimento di repressione delle condotte antisindacali ex art. 28 Stat. Lav.

Dott. La Marchesina Dario

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