La disciplina dell’attivita’ di somministrazione di alimenti e bevande in circoli privati gestiti da associazioni senza scopo di lucro dopo l’articolo 64 del decreto legislativo n° 59 del 2010

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1) I circoli privati in cui si somministrano alimenti e bevande gestiti da associazioni senza scopo di lucro: l’avvio dell’attività.

 

Oltre alle attività turistiche e ricettive fin qui esaminate, le associazioni senza scopo di lucro (ma non le fondazioni ed i comitati), sia riconosciute che non riconosciute, a condizione che tale attività sia prevista nello statuto, possono gestire circoli privati in cui si somministrano alimenti e bevande ai soli soci dello stesso circolo o di altri circoli facenti parte della stessa associazione. Per somministrazione si intende, ai sensi del comma 1° dell’art. 1° della Legge n° 287 del 1991, la vendita per il consumo sul posto, in locali o spazi appositamente attrezzati, di alimenti e bevande.

L’avvio di queste attività è disciplinato dal DPR n° 235 del 2001, che all’art. 2 ha stabilito che, se l’associazione che gestisce il circolo aderisce ad enti od organizzazioni nazionali le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’Interno, previste dalla lettera e) del 6° comma dell’art. 3 della Legge 287/1991, l’attività di somministrazione può essere avviata col solo invio della dichiarazione (o denuncia) di inizio attività (D.I.A.), con allegata una copia non autenticata dell’atto costitutivo e dello statuto dell’associazione, al Comune nel cui territorio è ubicato il circolo (comma 1°) che ha poi 60 giorni per verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per l’esercizio dell’attività, ai sensi dell’art. 19 della Legge n° 241 del 1990. Questa norma è stata confermata dal 2° comma dell’art. 64 del Decreto Legislativo n° 59 del 2010. Inoltre, ai sensi del 2° comma dell’art. 19 della Legge 241 del 1990 modificato dal 1° comma dell’art. 85 del Dlgs 59/2010, dato che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande è una di quelle disciplinate da questo ultimo decreto, essa può essere iniziata dalla data della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente o della ricezione, sempre da parte di quest’ultima, della dichiarazione stessa (è una c.d. “D.I.A. ad efficacia immediata”).

L’adesione all’ente nazionale (di solito un’associazione di associazioni o “associazione di secondo grado” con finalità ricreative, culturali, ecc.), a nostro giudizio, non deve essere mantenuta anche durante la gestione dell’attività in quanto la perdita della stessa non determina più automaticamente la revoca dell’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande effettuata nei confronti dei soci ai sensi della lettera e) del 6° comma dell’art. 3 della Legge 287/1991. Ciò deriva dalla norma contenuta nella lettera f) del 1° comma dell’art. 3 della Legge 248/2006 (il primo Decreto “Bersani” sulle liberalizzazioni), esposta nel primo box di questo paragrafo, che, non essendo stata espressamente abrogata, è ancora valida per questa fattispecie. Il legale rappresentante dell’associazione che gestisce il circolo ha tuttora l’obbligo, secondo noi, di comunicare al Comune il venir meno dell’adesione di essa all’ente nazionale ma non ha quello di richiedergli l’autorizzazione all’apertura dell’esercizio che è stato aperto con la modalità esposta nel capoverso precedente.

Se invece, l’associazione od il circolo non aderisce agli enti ed organizzazioni nazionali di cui ai capoversi precedenti, l’avvio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande è sottoposto alla disciplina normale prevista dal 1° comma dell’art. 64 del Dlgs 59/2010 e dall’art. 3 del DPR 235/2001, vale a dire all’autorizzazione rilasciata dal Comune nel cui territorio è ubicato il circolo.

Il trasferimento della sede o quello della gestione o della titolarità dell’esercizio sono soggetti, invece, alla sola dichiarazione di inizio attività da presentare allo sportello unico per le attività produttive del Comune competente per territorio, solo che nei primi due casi l’avvio effettivo dell’attività non può essere effettuato prima del decorso di trenta giorni dalla data della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente o della ricezione, sempre da parte di quest’ultima, della dichiarazione stessa (è una c.d. “D.I.A. ad efficacia differita”), mentre nel terzo caso l’attività può essere avviata immediatamente da questa data (è una c.d. “D.I.A. ad efficacia immediata”). Inoltre, sempre nei primi due casi, dell’avvio effettivo dell’attività deve essere data comunicazione al Comune (ancora 1° comma dell’art. 64).

L’art. 64 del Dlgs 59/2010, di attuazione della Direttiva CE n° 123 del 2006 sulla disciplina delle attività di servizio nel mercato interno (la c.d. Direttiva “Bolkestein”), non ha significato un ritorno alla vecchia disciplina dell’art. 3 della Legge 287/1991[1] che imponeva di contingentare le aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande su tutto il territorio comunale. Infatti, il 3° comma dell’art. 64 citato prevede che i Comuni, soltanto “limitatamente alle zone del (loro) territorio da sottoporre a tutela, adottano provvedimenti di programmazione delle aperture degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande”, garantendo sempre sia l’interesse alla fruizione di un servizio adeguato sia quello al libero esercizio dell’attività. Questa programmazione può prevedere, solo sulla base di parametri oggettivi, “divieti o limitazioni all’apertura di nuove strutture limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di pubblico nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo, in particolare per il consumo di alcolici, e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio ed alla normale mobilità”. In ogni caso, poi, i Comuni devono tutelare le zone di pregio storico, artistico, architettonico e ambientale e, per questa programmazione, “sono vietati criteri legati alla verifica di natura economica o fondati sulla prova dell’esistenza di un bisogno economico o sulla prova (dell’esistenza) di una domanda di mercato, quali l’entità delle vendite di alimenti e bevande o la presenza di altri esercizi di somministrazione”. In altre parole, il contingentamento delle aperture di questi esercizi può avvenire solo nelle zone del territorio comunale in cui una proliferazione di essi può pregiudicare la vivibilità, la sicurezza, la mobilità e gli aspetti di pregio artistico, architettonico ed ambientale di quelle zone e non può avere, come in passato, l’obbiettivo di garantire la validità economica delle attività di somministrazione. Questa interpretazione della norma è anche quella fatta propria dalla Circolare 3635/C del 6 Maggio 2010 del Ministero dello Sviluppo Economico.

Anche se lo scopo del 3° comma dell’art. 64 è condivisibile riteniamo che servano dei provvedimenti attuativi per chiarire meglio i vari aspetti della sua applicazione in concreto dato che, pur essendo essa chiaramente pensata per i centri storici e le vie commerciali principali dei comuni, l’eccesso di pubblici esercizi può creare problemi in qualsiasi zona, ma, al contempo, non sembra che la programmazione possa estendersi all’intero territorio comunale.  

Inoltre, sempre per i circoli che non aderiscono agli enti ed organizzazioni nazionali, in forza del 2° comma dell’art. 64 del Dlgs 59/2010 che mantiene fermo quanto previsto dal DPR 235/2001, la domanda di autorizzazione all’apertura si considera accolta qualora non sia comunicato il rigetto della stessa entro 45 giorni dalla sua presentazione (silenzio – assenso) (art. 3, comma 6°, del DPR 235/2001). Il Comune, per rilasciare l’autorizzazione, deve verificare che “lo statuto dell’associazione preveda modalità volte a garantire l’effettività del rapporto associativo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa, nonché lo svolgimento effettivo dell’attività istituzionale” (art. 3, comma 5°, del DPR 235/2001), proprio per evitare che ci si associ solo occasionalmente per consumare alimenti e bevande senza partecipare davvero alla vita dell’associazione.[2]

Inoltre, ai sensi del 1° comma sia dell’art. 2 che dell’art. 3 del DPR 235/2001 l’associazione che gestisce il circolo deve rientrare sempre in una delle categorie previste dal 3° comma dell’art. 148 del TUIR, vale a dire: “associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra – scolastica della persona”.

Infine, segnaliamo il caso delle associazioni, diffuse in diverse regioni d’Italia, che non gestiscono circoli privati di somministrazione ma la cui attività consiste nel preparare e consumare (cioè somministrare) pasti al domicilio degli associati. In questo caso, ai sensi del 7° comma dell’art. 64 del Dlgs 59/2010 che sostituisce il comma 6° dell’art. 3 della Legge 287/1991, questa attività è esclusa dalla programmazione comunale delle aperture degli esercizi di somministrazione di cui al 3° comma dell’art. 64 citato ed essa può essere avviata immediatamente dopo la presentazione al Comune della dichiarazione di inizio attività (è una c.d. “D.I.A. ad efficacia immediata”).

 

 

2) Gli altri aspetti dell’attività di questi circoli privati.

La denuncia di inizio attività o l’autorizzazione del Comune sostituisce la licenza del Questore prevista dall’art. 86 del Regio Decreto n° 773 del 1931 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza – TULPS) per l’esercizio dell’attività di somministrazione di bevande alcoliche nei circoli privati (art. 4, comma 1°, del DPR 235/2001).

Sia per l’attività di somministrazione che per quella di vendita al dettaglio di bevande alcoliche sono inoltre previsti, dal comma 4° dell’art. 29 del Decreto Legislativo n° 504 del 1994 (Testo Unico delle imposte sulla produzione e sui consumi), l’obbligo di denuncia dell’attività all’Ufficio tecnico di finanza (oggi Agenzia delle Dogane) competente per territorio e quello di ottenimento della licenza fiscale che è soggetta al pagamento di un diritto annuale. L’esercizio di queste attività senza licenza fiscale è punito con una sanzione amministrativa da 258 a 1.549 Euro (art. 50 del Dlgs 504/1994).[3]

Il locale dove è esercitata l’attività di somministrazione deve essere conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico – sanitaria ed ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell’Interno (questi ultimi col D.M. n° 564 del 1992) ai sensi del 1° comma dell’art. 3 della Legge 287/1991 e deve essere in possesso delle prescritte autorizzazioni in materia (art. 3, comma 2°, lettera d, DPR 235/2001). Sostanzialmente, quindi, esso deve avere una destinazione d’uso adatta per l’attività svolta e deve aver ottenuto il certificato di agibilità, mentre non è più necessario l’ottenimento dell’autorizzazione di idoneità sanitaria che era prevista dall’art. 2 della Legge n° 283 del 1962 dato che questa disposizione è stata abrogata dall’art. 3 del Decreto Legislativo n° 193 del 2007. Occorre invece che il circolo rispetti il Regolamento CE n° 852 del 2004 sulla presenza di un sistema di autocontrollo igienico HACCP obbligatorio per tutte le attività di produzione, preparazione, vendita di prodotti alimentari che fu introdotto dai Decreti Legislativi n° 155 e 156 del 1997, abrogati sempre dall’art. 3 del Dlgs 193/2007 proprio perché sostituiti dal citato Regolamento CE 852/2004.

In particolare, l’art. 4 del D.M. 564/1992 prevede che “i locali di circoli privati in cui si somministrano alimenti e bevande devono essere ubicati all’interno della struttura adibita a sede del circolo o dell’ente collettivo e non devono avere accesso diretto da strade, piazze ed altri luoghi pubblici. All’esterno della struttura non possono essere apposte insegne, targhe ed altre indicazioni che pubblicizzino le attività di somministrazione esercitate all’interno” (è il c.d. “requisito di sorvegliabilità” dei circoli privati). Inoltre, il listino dei prezzi e i documenti autorizzativi (la D.I.A. con allegata una copia non autenticata dell’atto costitutivo e dello statuto dell’associazione oppure l’autorizzazione del Comune) devono essere esposti in luogo visibile. I circoli in cui si somministrano alimenti e bevande non sono soggetti alla disciplina degli orari degli esercizi di somministrazione, ma sono tenuti a non arrecare disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone ai sensi dell’art. 8 della Legge n° 447 del 1995, la “Legge quadro sull’inquinamento acustico”.

L’attività di somministrazione è esercitata dal legale rappresentante (di solito denominato “presidente”) del circolo o dai soci rappresentanti di esso che risultano dall’atto autorizzativo (sempre la D.I.A. con allegati l’atto costitutivo e lo statuto oppure l’autorizzazione del Comune), purché provvisti del requisito professionale soggettivo (cioè dell’attestato di frequenza di un apposito di formazione riconosciuto dalla Regione) richiesto per l’esercizio dell’attività dalla lettera c) del comma 2° dell’art. 2 della Legge 287/1991 la cui obbligatorietà è stata confermata dalla lettera a) del 1° comma dell’art. 3 della Legge 248/2006.

La lettera a) del 1° comma dell’art. 3 della Legge 248/2006 ha poi implicitamente abrogato, ai sensi dell’art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale premesse al Codice Civile, anche le norme del DPR 235/2001 che prevedevano, nel caso in cui l’attività di somministrazione venisse affidata in gestione ad un terzo non socio, che questi dovesse essere iscritto nel Registro Esercenti il Commercio (R.E.C.) tenuto presso il Registro delle Imprese della Camera di Commercio, come previsto dall’art. 2 della Legge 287/1991 (art. 3, comma 4°, del DPR 235/2001) perché si presumeva che il terzo gestore esercitasse un’attività d’impresa. A questa iscrizione era tenuto anche il legale rappresentante (o un suo delegato) dell’associazione che gestiva il circolo nel caso in cui lo statuto di essa non fosse conforme alle prescrizioni del comma 8° dell’art. 148 del TUIR o, nel caso di circolo (cioè di associazione) non aderente ad un ente nazionale riconosciuto, quando esso perdeva la qualifica di ente non commerciale ai sensi dell’art. 149 del TUIR perché esercitava prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta (commi 5° dell’art. 2 e 7° dell’art. 3 sempre del DPR 235/2001). Siccome la lettera a) del 1° comma dell’art. 3 della Legge 248/2006 prescrive che le attività di somministrazione di alimenti e bevande devono essere svolte senza il limite dell’iscrizione a registri abilitanti, come il R.E.C., anche l’obbligo di iscrizione previsto dalle citate norme del DPR 235/2001 è da ritenersi implicitamente abrogato.

Questa interpretazione è stata definitivamente confermata dal fatto che la lettera a) del 5° comma dell’art. 85 del Dlgs 59/2010 ha abrogato l’art. 2 della Legge 287/1991 che prevedeva che l’esercizio dell’attività imprenditoriale di somministrazione di alimenti e bevande fosse subordinato all’iscrizione nel R.E.C. del titolare dell’impresa individuale o del legale rappresentante della società, ovvero di un suo delegato.

 

 

3) Il regime fiscale dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nei circoli privati.

Queste attività di somministrazione sono sempre considerate attività non commerciali ai sensi del 3° comma dell’art. 148 del TUIR, anche se svolte verso il pagamento di corrispettivi specifici da parte degli associati, purché le associazioni che gestiscono i circoli siano “associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra – scolastica della persona” (categorie di associazioni richiamate anche dal comma 1° sia dell’art. 2 che dell’art. 3 del DPR 235/2001).

Questa agevolazione, però, non si applica all’attività di “somministrazione di pasti” che è sempre considerata commerciale dal 4° comma dell’art. 148 TUIR se svolta verso gli associati a fronte del pagamento, da parte loro, di corrispettivi specifici. Riteniamo che per “pasti” la norma citata intenda pasti completi e non i singoli elementi di un pasto, alimenti o bevande che siano. Tale norma è confermata dalla lettera d) del primo periodo del 5° comma dell’art. 4 del DPR n° 633 del 1972 sulla disciplina dell’IVA che prevede che sono sempre considerate commerciali (e, pertanto, soggette ad IVA) le attività di “gestione di mense e somministrazione di pasti” da chiunque siano esercitare, compresi gli enti non commerciali ed anche gli enti pubblici.

Vi è però l’eccezione dell’eccezione: ai sensi del 5° comma sempre dell’art. 148 TUIR per le associazioni di promozione sociale a carattere nazionale (quelle iscritte nel Registro Nazionale dell’Associazionismo di cui all’art. 7 della Legge 383/2000), le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’Interno, si considera non commerciale anche l’attività di somministrazione di alimenti e bevande agli associati effettuata da bar ed esercizi similari presso le sedi (i circoli) in cui si svolge l’attività istituzionale e purché tali attività siano strettamente complementari a quelle istituzionali dell’associazione.

Le attività di somministrazione considerate non commerciali ai sensi del 3° e del 5° comma dell’articolo citato proprio perché tali non rappresentano nemmeno operazioni imponibili ai fini dell’IVA – Imposta sul Valore Aggiunto.

Al fine di veder considerata dalla legge come non commerciale l’attività di somministrazione esercitata verso gli associati, le associazioni citate dal 3° e dal 5° comma dell’art. 148 del TUIR devono rispettare le disposizioni del comma 8° dello stesso articolo per cui esse devono costituirsi per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o registrata e prevedere nei loro atti costitutivi o statuti le seguenti clausole:

a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili od avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la distribuzione o la destinazione non sia imposta dalla legge;

b) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento, ad altra associazione con finalità analoghe od a fini di pubblica utilità, sentito il parere dell’Agenzia per le ONLUS e salvo diversa destinazione di esso imposta dalla legge;

c) la disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati maggiori di età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;

d) la redazione e l’approvazione annuale di un rendiconto economico e finanziario;

e) l’eleggibilità libera degli organi amministrativi, il principio del voto singolo (cioè di un voto per ogni associato), la sovranità dell’assemblea degli associati, i criteri per la loro ammissione od esclusione, idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti;

f) l’intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione della trasmissibilità per causa di morte e la non rivalutabilità della quota.

La non imponibilità ai fini dell’IVA delle operazioni derivanti dall’attività di somministrazione di questi circoli è confermata, per le sole associazioni di promozione sociale a carattere nazionale le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno di cui all’art. 3, comma 6°, lettera e) della Legge 287/1991, anche dalla norma riportata dal comma 6° dell’art. 4 del DPR n° 633 del 1972 sulla disciplina dell’IVA che stabilisce che “non si considera commerciale, anche se effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, sempre che tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali (vale a dire quelli previsti dallo statuto dell’associazione) e sia effettuata nei confronti dei soli associati” dell’associazione.

Se le associazioni senza scopo di lucro che gestiscono circoli privati in cui si somministrano alimenti e bevande ai soci perdono i requisiti richiesti dagli artt. 2 e 3 del DPR 235/2001 (compresi, quindi, quelli richiesti dagli artt. 148, commi 3° ed 8°, e 149 del TUIR ed esclusi quelli che abbiamo visto essere stati abrogati dalla Legge 248/2006), le attività di somministrazione verso i soci da esse gestite ricadono nel regime fiscale previsto per le attività commerciali. Lo stesso avviene per l’eventuale attività di somministrazione di alimenti e bevande rivolta a persone non aderenti all’associazione che gestisce il circolo che però è soggetta alle sanzioni di cui al capoverso successivo.

In caso di violazione delle norme degli artt. 2 e 3 del DPR 235/2001 si applica la sanzione amministrativa da 516 a 3.099 Euro prevista dall’art. 10 della Legge 287/1991 ed il Comune competente ordina la cessazione dell’attività di somministrazione (art. 4, commi 2° e 3° del DPR 235/2001). Il Comune, inoltre, ha sempre la possibilità di effettuare controlli ed ispezioni in tutti i circoli privati in cui si effettuano attività di somministrazione di alimenti e bevande (artt. 2 e 3, ultimi commi).

Alle associazioni di promozione sociale disciplinate dalla Legge n° 383 del 2000, che per tutto il resto seguono la disciplina esposta nel presente paragrafo e nei due precedenti, il Sindaco può concedere autorizzazioni temporanee alla somministrazione di alimenti e bevande, in deroga ai criteri di cui all’art. 3, comma 4°, della Legge n° 287 del 1991, per la durata degli eventi o manifestazioni organizzate da queste associazioni e per gli spazi o i locali in cui questi si svolgono ed “a condizione che l’addetto alla somministrazione sia iscritto al registro degli esercenti commerciali” di una Camera di Commercio (2° comma dell’art. 31 della Legge 383/2000).

Ricordiamo che dopo la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 la potestà legislativa sulla somministrazione di alimenti e bevande è passata alle Regioni e pertanto il quadro normativo è destinato ad essere rivisto. Le leggi regionali finora emanate (Emilia – Romagna, Toscana, Lombardia), però, non hanno introdotto novità sostanziali.

Infine, segnaliamo che l’effettuazione di spettacoli o di intrattenimenti destinati esclusivamente ai soci del circolo non necessita di alcuna autorizzazione amministrativa. Se però, agli spettacoli accedono anche non soci o semplici invitati o vi siano circostanze che escludano il carattere privato della rappresentazione o del trattenimento, lo svolgimento di queste attività è subordinato all’ottenimento dell’autorizzazione comunale (che ha sostituito quella del Questore) ai sensi dell’art. 68 del R.D. 773/1931 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza – TULPS), che comporta l’osservanza delle norme di prevenzione incendi e di agibilità dei locali dell’art. 80 TULPS e, nel caso di piccoli trattenimenti, dell’autorizzazione comunale prevista dall’art. 69 TULPS.

L’art. 23 del Decreto Legislativo n° 460 del 1997 esenta dall’imposta sugli intrattenimenti (già denominata imposta sugli spettacoli ed oggi disciplinata dal Decreto Legislativo n° 60 del 1999) le attività di spettacolo organizzate occasionalmente dalle ONLUS e dalle associazioni di cui al 3° comma dell’art. 148 del TUIR “in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze e campagne di sensibilizzazione”, sia presso circoli privati da esse gestiti che in altro luogo.

 

 

 

Gianfranco Visconti

Consulente di direzione aziendale in Lecce

 


[1] Peraltro abrogato, nei suoi primi cinque commi, dalla lettera a del comma 5° dell’art. 85 del Dlgs 59/2010.

[2] Fino all’emanazione del Dlgs 59/2010, per l’associazione od il circolo che non aderiva agli enti ed organizzazioni nazionali di cui lettera e) del 6° comma dell’art. 3 della Legge 287/1991, l’avvio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande era sottoposto alla disciplina comune prevista dalla lettera f) del 1° comma dell’art. 3 della Legge 248/2006 (il primo Decreto “Bersani”), che aveva liberalizzato totalmente l’apertura degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande stabilendo che essa non poteva essere sottoposta all’ottenimento di autorizzazioni amministrative preventive. Per tale motivo, anche in questo caso, l’attività di somministrazione poteva essere avviata con l’invio della denuncia di inizio attività (D.I.A.), con allegata una copia non autenticata dell’atto costitutivo e dello statuto dell’associazione, al Comune nel cui territorio era ubicato il circolo.

Che questa disciplina riguardasse anche i circoli privati gestiti da associazioni senza scopo di lucro si ricavava dal fatto che la norma citata riguardava “le attività […] di somministrazione di alimenti e bevande” da chiunque svolte ed in qualsiasi forma esercitate, vale a dire imprenditoriale o senza scopo di lucro. Del resto, sarebbe stato illogico liberalizzare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande svolta in forma imprenditoriale e non quella svolta da associazioni non profit solo per i propri soci.

Prima di questa norma, invece, l’associazione od il circolo che non aderiva agli enti ed organizzazioni nazionali di cui sopra, l’avvio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande era sottoposto alla disciplina normale prevista dall’art. 3 della Legge 287/1991, vale a dire all’autorizzazione rilasciata dal Sindaco del Comune nel cui territorio era ubicato il circolo sulla base della programmazione comunale per il rilascio di queste autorizzazioni il cui numero era contingentato (art. 3, comma 5°, della Legge 287/1991 oggi abrogato dalla lettera a del comma 5° dell’art. 85 del Dlgs 59/2010).

[3] Gli esercizi in cui si somministrano e/o si vendono al dettaglio bevande alcoliche, compresi i circoli privati, sono esentati dall’obbligo di contabilizzare tali prodotti in un apposito registro di carico e scarico. La licenza fiscale è revocata o negata a chiunque sia stato condannato per fabbricazione clandestina o per evasione dell’accisa sull’alcol e le bevande alcoliche.

Visconti Gianfranco

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