La detenzione patita in uno Stato straniero

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In tema di fungibilità della pena, come la detenzione patita in uno Stato straniero può essere computata nella pena da espiare 

Corte di Cassazione – Sez. V pen – Sentenza n. 8156 del 17-01-2023
 

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Indice

1. La questione

Un condannato proponeva incidente di esecuzione avente ad oggetto: 1) la declaratoria di bis in idem, ai sensi dell’art. 669, comma 1, cod. proc. pen., rispetto alla pronuncia antecedentemente adottata a carico dell’interessato dall’Autorità giudiziaria di Albania; 2) lo scomputo di quest’ultima pena, ai sensi dell’art. 138 cod. pen., da quella, maggiore, inflitta in Italia e in corso di esecuzione.
Ciò posto, il Tribunale ambrosiano, quale giudice dell’esecuzione, dal canto suo, da un lato, respingeva la prima richiesta, ritenendo il principio del ne bis in idem, di cui all’ art. 669 cod. proc. pen. avendo la norma rilevanza giuridica interna, dall’altro, dichiarava inammissibile la seconda richiesta perché non previamente formulata al Pubblico ministero competente per l’esecuzione.
Orbene, a fronte di tale provvedimento, il condannato proponeva ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi addotti, veniva dedotta l’inosservanza degli artt.657, e 666, comma 5, cod. proc. pen. in quanto, secondo il ricorrente, lo scomputo della pena già espiata all’estero, rappresentava un atto dovuto, cui il giudice dell’esecuzione, già investito ad altro titolo, non si sarebbe potuto sottrarre per esigenze di economia processuale.
A sua volta la Prima sezione della Cassazione annullava con rinvio questa ordinanza, stimando fondato il motivo summenzionato dato che, se è corretto affermare, in linea con il giudice a quo, che la richiesta di detrazione di pena già scontata per il medesimo fatto, ancorché all’estero, debba essere proposta in linea di principio al pubblico ministero, organo funzionalmente competente a provvedere in ordine alla determinazione del quantitativo di pena da espiare, e non direttamente al giudice dell’esecuzione, la giurisprudenza della medesima Cassazione ammetteva (Sez. 1, n. 26343 del 29/05/2001) l’intervento sostitutivo del giudice ove risultassero specifiche ragioni, tra le quali, per evidente economia processuale, il caso in cui il giudice sia investito, in relazione al medesimo titolo, di un incidente di esecuzione concomitante.
Ebbene, a seguito della sentenza di annullamento con rinvio, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’incidente di esecuzione sullo specifico profilo del quale era stato investito, condividendo il provvedimento del Pubblico Ministero che, investito della istanza di fungibilità, la aveva accolta nel limite della pena determinata dal giudice dell’esecuzione italiano e non computando l’intero periodo di pena effettivamente scontato all’estero dall’interessato.
Detto questo, avverso questo provvedimento il difensore del condannato proponeva (nuovamente) ricorso per Cassazione e, tra i motivi ivi enunciati, si denunciava violazione di legge in riferimento all’art.138 cod. pen., sostenendosi come l’ordinanza impugnata non avesse computato lo stesso periodo di pena sofferto all’estero per ciascuno dei reati, ma avesse calcolato la pena sofferta in relazione alla quantificazione di pena già operata dal giudice dell’esecuzione in relazione ai singoli reati satellite della pronunzia italiana, e avesse detratto unicamente la pena corrispondente a siffatta quantificazione.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

Il motivo summenzionato era reputato infondato.
In particolare, tra le argomentazioni utilizzate per addivenire a siffatta reiezione, il Supremo Consesso citava quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, “in tema di fungibilità della pena, la detenzione patita in uno Stato straniero può essere computata nella pena da espiare solo se relativa ad un fatto-reato per cui si è proceduto in Italia. (Sez. 1, n. 50376 del 12/11/2019), nel senso che, al “fine di determinare la pena residua da espiare, qualora la condanna in Italia sia avvenuta per più reati in continuazione, la detenzione patita all’estero per un fatto identico ad uno dei suddetti reati, può essere presa in considerazione solo per esso e non anche per gli altri, in quanto l’istituto della continuazione mira a mitigare l’entità della pena complessivamente inflitta in relazione a violazioni costituenti espressione di un medesimo disegno criminoso, ma non sopprime la loro autonomia fenomenologica. (Sez. 1, n. 6734 del 28/01/2014)”.
Quindi, una volta fatto presente che le sentenze ora richiamate fissano il principio secondo il quale la pena sofferta all’estero e da computare in Italia deve essere relativa a quello specifico fatto reato per cui si è proceduto anche in Italia e può essere presa in considerazione solo per quello specifico fatto e non per altri, gli Ermellini ritenevano come nel caso di specie la pena scontata all’estero e da computare in Italia per i medesimi cinque reati dovesse essere pari alla medesima quantità di pena che per quei cinque reati era stata inflitta in Italia, non potendosi immaginare di computare una pena maggiore di quella che per i singoli reati sia stata inflitta in Italia mentre, invece, l’accoglimento della tesi del ricorrente, per la Corte di legittimità, avrebbe comportato l’illogica conseguenza che la parte maggiore di pena scontata all’estero per i medesimi reati italiani sarebbe diventata “fungibile” rispetto a quegli altri e diversi reati per i quali vi era stata condanna in Italia, ma non in Albania.
 

3. Conclusioni

Fermo restando che, come è noto, l’art. 138 cod. pen. dispone che, quando “il giudizio seguito all’estero è rinnovato nello Stato, la pena scontata all’estero è sempre computata tenendo conto della specie di essa; e, se vi è stata all’estero custodia cautelare, si applicano le disposizioni dell’articolo precedente”, la decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi chiarito come, in tale caso, la detenzione patita in uno Stato straniero possa essere computata nella pena da espiare.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che la pena sofferta all’estero e da computare in Italia deve essere relativa a quello specifico fatto reato per cui si è proceduto anche in Italia e può essere presa in considerazione solo per quello specifico fatto e non per altri.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba valutare l’applicabilità (o meno) dell’art. 138 cod. pen..
Ad ogni modo il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
 

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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