La Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura oltre il diritto

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La Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura, presentata a Bologna nel 2011, pur non avendo un valore prescrittivo perché un’iniziativa di promozione culturale nata da un’idea del 2009, ha un valore descrittivo soprattutto per genitori, educatori e altri operatori.

Questa Carta è una declinazione dell’art. 31 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia di cui si ricorda l’affermazione del diritto del fanciullo al gioco mentre, spesso, si trascura il binomio “partecipazione” e “vita culturale ed artistica”.

 

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L’art. 1 della Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura recita: “I bambini hanno diritto: ad avvicinarsi all’arte, in tutte le sue forme: teatro, musica, danza, letteratura, poesia, cinema, arti visuali e multimediali”. La parola “creatività” contiene i termini “vita” e “arte” e fa rima con “vitalità” ed “attività”, perché è vita e arte e dà vitalità ad ogni attività. È una qualità che aiuta nel presente e prepara ad affrontare il futuro spingendo a trovare soluzioni per ogni problema o nuova situazione. Non va sottovalutata, come si è fatto soprattutto in passato, ma va stimolata come richiamato dalle varie scienze umane, tra cui la psicosintesi. Il saggista statunitense Matthew Fox scrive: “Ciò che sostengo in questo libro è che la creatività riguarda tutti noi. I bambini che facciamo venire al mondo, il modo in cui li alleviamo e li educhiamo e l’arte di fare l’amore con cui li concepiamo; il cibo che coltiviamo e mangiamo e i modi in cui lo prepariamo; il modo in cui sopravviviamo in una crisi economica come quella che oggi colpisce l’Italia e, di fatto, il mondo intero; le scelte che compiamo per porre l’amore per la vita (la biofilia) prima del pessimismo, del controllo e dell’amore per la morte (la necrofilia). In breve, tutte le nostre vite sono esistenze rivolte alla creazione di bellezza, e le nostre stesse vite sono delle opere d’arte. Tutti noi prendiamo parte all’arte del vivere, e non importa se possediamo un genio eccezionale oppure un’immaginazione ordinaria”[1].

Nell’art. 2 della Carta di Bologna si legge: “I bambini hanno diritto: […] a sperimentare i linguaggi artistici in quanto anch’essi saperi fondamentali”. La prima culla dei linguaggi artistici della vita e necessari per la vita è e dev’essere la famiglia, come si ricava pure dalle parole del teologo argentino Diego Fares: “Il linguaggio che parliamo nella nostra famiglia, con il quale consideriamo sempre l’altro come un bene maggiore delle sue idee e delle sue scelte di vita – siano esse uguali o diverse rispetto alle nostre –, è il linguaggio che ci ha permesso di «parlare» gli altri linguaggi che si parlano nella società”.

L’art. 3 della Carta enuncia: “I bambini hanno diritto: […] a essere parte di processi artistici che nutrano la loro intelligenza emotiva e li aiutino a sviluppare in modo armonico sensibilità e competenze”. Il primo processo artistico è la vita stessa e i bambini hanno diritto alla vita e ad ogni sua bellezza e grandezza. Perché è stato scritto: “Non abbiamo saputo contemplare il sole. Non abbiamo saputo contemplare la pioggia. Non abbiamo saputo contemplare il sorriso di un bambino. Non abbiamo saputo vedere la saggezza negli occhi degli anziani. Non abbiamo saputo vedere l’amore nello sguardo […]. Non abbiamo saputo vedere la grandezza […]. Non vedevamo, non sentivamo, non ascoltavamo, ma credevamo di farlo, e in questo modo abbiamo danneggiato il nostro essere interiore e gli altri” (cit.).

“Intelligenza”, dal latino “intus”, dentro, e “legere”, leggere, quindi “leggere dentro”. Il verbo “leggere” etimologicamente significa, a sua volta, “discorrere, raccogliere, narrare, descrivere, adunare”, un’esperienza fondamentale anche sotto il profilo emozionale e quello relazionale. Per questo sono proposti e promossi percorsi e progetti di lettura, tra cui quello a livello nazionale “Nati per leggere”. La storica Lucetta Scaraffia spiega: “Così abbiamo ucciso il silenzio, che non sempre e non solo significa solitudine. Silenzio è anche possibilità di sottrarsi alla banalità quotidiana, di entrare nel profondo di se stessi, nel luogo dove nasce un pensiero che si plasma poi nella parola. L’apice del silenzio ce l’abbiamo nella lettura silenziosa, che permette al lettore solitario di creare con il libro un rapporto esclusivo. Non è un caso che nella nostra società, inquinata da musiche e rumori, stia scomparendo l’abitudine alla lettura: soprattutto per i giovani è sempre più difficile trovare concentrazione e silenzio, condizioni indispensabili per la comprensione di un testo. E chi non legge perde molto”.

Intelligenza emotiva, armonia, sensibilità: espressioni del perfezionamento nell’amore e il nutrimento di tutto ciò è il contenuto del vero insegnamento. Già il grande scrittore russo, nonché educatore, Lev Tolstoj scriveva: “[…] i ragazzi non si lasciano ingannare… Noi cerchiamo di dimostrare che siamo intelligenti, ma essi non se ne interessano affatto, e vogliono sapere se siamo onesti, se siamo sinceri, se siamo buoni, se siamo compassionevoli, se abbiamo una coscienza […]. Un buon insegnante deve avere una buona vita ed una sola è la caratteristica generale e principale di una buona vita: l’aspirazione al perfezionamento nell’amore”.

I bambini vanno educati ad amare e a pensare, rammentando quanto asserito dallo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung: “Se vai dal pensiero, porta il cuore con te. Se vai dall’amore, porta la testa con te. Vuoto è l’amore senza il pensiero, vuoto il pensiero senza l’amore”. Inoltre lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro precisa: “Il mondo può avere un futuro se, e solo se, lasciamo spazio alla ragione che ci invita a educare le nostre emozioni, a spezzare il cerchio della visione manichea del mondo, a dialogare con noi stessi e con gli altri”.

“I bambini hanno diritto: […] a sviluppare, attraverso il rapporto con le arti, l’intelligenza corporea, semantica e iconica” (art. 4 Carta), perché attraverso le arti i bambini sono educati al vero senso e valore del corpo, dei significati e delle immagini. Ferdinando Scianna, maestro di fotografia, afferma: “Prima non si pensava di fotografare i bambini, poi si è cominciato a farlo: si fotografa un bel bambino mentre dorme, quando corre sul bagnasciuga, quando fa il compleanno… Probabilmente oggi si continua a farlo, ma all’interno di una pratica compulsiva, con una quantità di strumenti che non implicano più la “scelta”. Ogni qualità implica una scelta, una gerarchia: questo vale per il cibo, come per i vestiti, come per le qualità di carattere sociale. Se di un bambino si fotografano tutti gli istanti, il giorno in cui compie gli anni e soffia sulle candeline non è più importante degli altri istanti e quindi non si mette più quella foto nell’album di famiglia. Oggi succede questo: io mi faccio un selfie, lo “posto”, e ne ricevo centinaia di altri di “amici”, senza che si sappia più cosa significhi essere amici. Come non si sa più cosa significa essere amici, così non si sa più cosa significa un’immagine che serva a comunicare senso. Quindi la quantità è un successo della società delle immagini, ma questo successo rende irrilevante la comunicazione”. Con l’abuso delle fotografie dei bambini si violano i loro diritti all’immagine e all’immaginazione. Occorre, anzi urge, recuperare e rispettare la valenza psicologica, filosofica e spirituale dell’immagine, come fa intendere il bioeticista Paolo Marino Cattorini: “[…] fotografia deriva da luce (phos) e scrittura (graphìa). Fotografo è chi scrive e disegna con la luce, descrivendo il mondo con luci e ombre. Scrivere con la luce equivale a creare”. Anziché fotografare in maniera compulsiva, i genitori (ed in genere gli adulti) dovrebbero diffondere luce e indicare la luce ai figli. Dovrebbero piuttosto trasmettere la passione per la fotografia come forma artistica e linguaggio artistico, secondo i principi della Carta.

Ammonitore è l’art. 6 della Carta: “I bambini hanno diritto: […] ad avere un rapporto con l’arte e la cultura senza essere trattati da consumatori ma da soggetti competenti e sensibili”. I bambini hanno diritto all’immaginazione, hanno diritto di immaginare cose diverse e tempi migliori. Lucetta Scaraffia dichiara: “Una società in cui ogni desiderio è creato artificialmente, e subito realizzato attraverso l’acquisto, non valorizza l’immaginazione. Una società in cui invece di leggere, ascoltare musica, andare al cinema, prevale l’abitudine a dedicare la maggior parte del tempo a giocare sul tablet, a controllare i social e a fare giochetti elettronici, non favorisce l’immaginazione”.

I bambini si sorprendono anche con poco e hanno il diritto e il bisogno di meravigliarsi: ma perché sia così occorre che ci siano degli adulti che li facciano meravigliare e che si meraviglino con loro, poiché “[…] il piacere di frequentare, produrre e conservare la cultura nei suoi diversi aspetti è contagioso – dice Fulvio Scaparro – e costituisce un efficace antidoto contro l’indifferenza nei confronti dell’arte, della scienza e della natura, oltre che un aiuto nei momenti difficili della nostra esistenza. Non cesserò di ringraziare chiunque si adoperi per nutrire i bambini e le bambine di amore per il proprio Paese e, di conseguenza, per se stessi, incentivandone la naturale curiosità, esponendoli alle infinite meraviglie della migliore creatività umana e aiutandoli così ad arricchire il proprio patrimonio culturale, attraverso il confronto pacifico con le culture degli altri”.

L’art. 9 della Carta prevede: “I bambini hanno diritto: […] a condividere con la famiglia il piacere di un’esperienza artistica”. Bisogna condividere con i propri figli ogni esperienza emozionale, dalla lettura delle fiabe all’arte del vivere, come si ricava, fra i tanti, dal libro “Fabiola, la principessa delle fiabe” (della materana Rosanna Lacopeta), che narra la storia di una bambina di circa 9 anni che scavalca una finestra per fuggire dalla solitudine, dai vuoti di una famiglia in crisi, dall’incomprensione, dalle finzioni. Il mondo che lei trova è quello che lei vede con i suoi occhi di bambina, con la sua fantasia, che dà alla realtà la sua veste magica, fino a quando realtà e fiaba si confondono sempre di più, tanto da assumere risvolti inquietanti, ma nello stesso tempo salvifici. Questa storia, seppure inventata, sottolinea che i genitori non devono dimenticare che la genitorialità è una continua educazione emozionale: educarsi alle emozioni, educare nelle emozioni. Basta ricominciare dall’arte del cucinare e da quella del mangiare insieme (si ricordino la sacralità e la ritualità della mensa in passato): per esempio la trasformazione dei vari ingredienti in una bella torta è un’esperienza multisensoriale nonché un’opera d’arte.

“I bambini hanno diritto: […] a progetti artistici e culturali pensati nella considerazione delle diverse abilità” (art. 15 Carta), come avvenuto a Reggio Emilia dove, nel 2003, è nato uno speciale laboratorio, “Atelier dell’Errore”, per bambini e ragazzini (all’incirca dagli 8 ai 16 anni) con difficoltà più o meno gravi, dalla dislessia all’autismo. Laboratorio in cui l’errore diventa una scelta, un metodo di lavoro per trivellare i densi strati di sofferenza e far emergere la potenzialità poetica e creativa di questi ragazzini, sconosciuta a molti; non è vietato sbagliare, ma è vietato chiamarlo errore, fermarsi lì. Cancellare non si può, né è concesso gettare via il foglio di carta quando vi sia stato tracciato anche il minimo segno. Da lì bisogna ripartire, cambiando strada se serve, inventando una nuova profondità a forza di prendere in esame quei tratti (questo il pensiero dell’ideatore Luca Santiago Mora). È un’applicazione della teoria dell’errore creativo di Gianni Rodari.

L’art. 17 della Carta prescrive: “I bambini hanno diritto: […] a frequentare una scuola che sia reale via d’accesso a una cultura diffusa e pubblica”.  La scuola è il soggetto educativo più citato nella Carta, perché è bene che la scuola torni ad essere quel luogo “cre-attivo” come era nata – e come auspicato da molto pedagogisti – (scuola deriva dal verbo greco “scholazein”, “avere tempo di occuparsi di una cosa per divertimento”), e gli alunni tornino ad essere tali, “coloro che sono nutriti, allevati”. Ogni bambino ha diritto a sorridere, sognare e seguire il proprio sentiero ed in questo percorso gioca un ruolo fondamentale la scuola.  “Il bimbo sorride soltanto. Il fiore nelle sue mani diventa un sole luminoso, e il bimbo continua il suo cammino, il suo sentiero tra le stelle” (il pensatore vietnamita Thích Nhất Hạnh).

La formula testuale con cui si conclude l’ultimo articolo, l’art. 18, riprendendo l’incipit e aggiungendo l’aggettivo “tutti”, ribadisce che “tutti i bambini hanno diritto all’arte e alla cultura”. I bambini sono arte e cultura, sono e hanno le risorse dell’arte e della cultura (si pensi alle caratteristiche dell’infanzia, quali l’animismo e la ludicità) e gli adulti devono fornire loro solo gli strumenti, gli ambienti e i momenti per la realizzazione e la condivisione (riprendendo il contenuto dell’art. 2 della Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro, sottoscritta a Roma nel 1967).

L’umanità si è sviluppata mediante l’arte e la cultura e attraverso l’arte e la cultura si riscopre la vera natura dell’umanità. “L’uomo tecnologico tende così a ripiegarsi sull’istante, senza una narrazione più grande capace di ricomprendere la ricchezza e complessità dell’esistenza, privando così l’arte della possibilità di sopravvivere a se stessa, mentre la sua caratteristica peculiare era proprio il saper parlare alle generazioni di ogni epoca, presentandosi come esperienza di eternità nel tempo. Lo stesso atto di scrivere, dipingere, comporre, raccontare, rappresenta una maniera di dare senso e unità al vissuto: arte e vita presuppongono una prospettiva ulteriore e un rimando vicendevole” (il gesuita Giovanni Cucci, studioso di filosofia e psicologia).

 

[1] M. Fox, “Creatività”, Fazi Editore, Roma 2013

Dott.ssa Marzario Margherita

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