L’ironia quale dialogo

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         Nell’ironia si è visto in età classica uno degli estremi del rapporto con la verità, ossia la diminutio, quale opposizione alla millanteria, o esagerazione della verità (Aristotele), tanto da essere considerata nella scolastica medioevale come forma legittima di menzogna.
         L’ironia socratica è una sottovalutazione che si fa di se stessi nei confronti degli avversari, con il fine retorico preciso di confutare l’avversario mettendone in risalto per contrasto le mancanze logiche del pensiero e creando contemporaneamente nella controparte o una predisposizione favorevole di animo o un comportamento compiaciuto, immagine negativa nei confronti dei terzi.
         In età romantica l’ironia assume una connotazione del tutto differente, strumento dell’io assoluto per smontare la realtà, modo per esaltare la libertà assoluta di fronte a qualsiasi realtà. Diventa strumento per facilitare il trasferimento dell’io da un mondo a un altro, non solo in termini di immaginazione ma anche di essere, alla ricerca di nuove dimensioni dell’io.
         La soggettività portata all’estremo viene a comprendere se stessa come qualcosa di assoluto, a cui tutto viene abbassato e la sua centralità è esaltata e manifesta verso le altre cose attraverso l’ironia, quale coscienza della soggettività assoluta (Solger, Hegel).
         Vi è un tentativo continuo della mente umana di entrare nella mente altrui attraverso l’imitazione delle esperienze di altri individui, come hanno scoperto recentemente i neuro-scienziati con i cosiddetti neuroni mirror. Ne deriva che la centralità del proprio io è in parte relativizzata al rapporto con le altrui esperienze.
         Si può quindi fornire una ulteriore lettura all’ironia di Kierkgaard intesa come “infinitizzazione dell’interiorità dell’io”, ossia con più precisione una “infinitizzazione” interiore dell’infinità dell’io. Non vi è più un’infinità creativa romantica dell’io assoluto, ma vi è solo una accentuazione all’infinito del valore dell’io nella coscienza in contrasto con le sue relativamente modeste manifestazioni esterne, tenendo comunque sempre ben distinto l’io dalla coscienza.
         Se l’ironia è come abbiamo visto strumento dell’esaltazione dell’io, l’autoironia diventa mezzo di vero dialogo nel preciso momento in cui ridimensiona l’infinita potenza dell’io nella coscienza del Sé, superando al contempo l’uso socratico della stessa ironia.
         L’esigenza del dialogo implica la tolleranza filosofica e religiosa, il riconoscimento della pari legittimità degli altrui punti di vista e della necessità di intenderli nelle loro vere ragioni, ma anche una forza interiore derivante dalla saldezza del proprio pensiero al fine di non scivolare verso un relativismo amorfo.
         Ma l’esigenza di una dialettica sia come logica aristotelica del probabile e come sintesi hegeliana degli opposti, deve indurre a favorire la altrui libera espressione evitando di inibire la creatività. Non si dovranno pertanto adoperare atteggiamenti sbagliati e frasi killer quali:
 
·        Non funzionerà mai,
 
·        Abbiamo già provato altre volte senza successo,
 
·        Può essere A o B,
 
o comunque creare climi emozionali atti a blocchi mentali.
 
 
 
 
Bibliografia
 
·        N. Abbagnano, Storia della filosofia, Utet, 1974;
 
·        T.E. Feinberg e J.P. Keenan ( a cura di ),The Cost Self: Pathologies of the Brain and Identity, Oxford University Press, 2005.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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