L’art. 10, comma 1-quater, l. 109/1994 , contempla due momenti per la dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente stabiliti nel bando di gara: uno perentorio per i sorteggiati, l’altro,

Lazzini Sonia 28/06/07
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Il Consiglio di Stato con la decisione numero 6003 del 27 Ottobre 2005 ci offre un importante insegnamento in tema di termini, perentori o meno, relativi alla norma di cui all’articolo 10 comma 1 quater della Legge Merloni
 
Si legge infatti nell’emarginata sentenza che:
 
<va considerato che l’art. 10, comma 1-quater, l. 109/1994 citata, contempla due momenti per la dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente stabiliti nel bando di gara:
 
 uno, di dieci giorni dalla data (ovviamente di ricezione) della richiesta, per l’esame a campione, su un decimo degli offerenti, prima dell’esperimento della gara. Data l’esigenza di celerità insita nella fase specifica del procedimento, il termine non può che configurarsi come perentorio;
 
                     un altro, per dimostrare tali requisiti, su richiesta, da inoltrare dall’ente entro dieci giorni dalla celebrazione della gara, all’aggiudicatario ed al concorrente che segue. Il termine, per quel che riguarda i destinatari, non è definito dalla legge nella sua misura, né nella sua natura. Questo secondo termine può essere definito perentorio, nel bando o negli altri atti regolatori della gara. Ma se così non è disposto – ed è rimesso a potestà discrezionali dell’amministrazione appaltante – ragioni sostanziali di buon andamento e di affidamento del privato sull’azione amministrativa fanno concludere per un suo carattere meramente sollecitatorio nei riguardi dell’impresa destinataria della richiesta>
 
a cura di *************
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
 
      sul ricorso in appello n.r.g. 1373 del 2005, proposto dal Comune di Fondi, rappresentato e difeso dall’avv. *************** e con lui elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via G. Mercalli, n. 13,
 
contro
 
la ditta Giuseppe ****, rappresentata e difesa dagli avv. ************** e ************** e con loro elettivamente domiciliata in Roma, via Michele Mercati, n. 51, presso lo studio dell’avv. *************,
 
per l’annullamento
 
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina, n. 1171/2004, pubblicata il 16 novembre 2004.
 
       Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
       Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte sopra indicata;
 
       Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
       Visti gli atti tutti della causa;
 
       Visto l’art. 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205;
 
       Designato relatore, alla pubblica udienza del 27 maggio 2005, il consigliere *************** ed uditi, altresì, gli avvocati ***********, per delega di ***********, e **************, per delega di A. Romano, come da verbale d’udienza;
 
       Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
 
       FATTO
 
       1. È impugnata la sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione staccata di Latina, n. 1171/2004, pubblicata in data 16 novembre 2004.
 
       La decisione ha annullato la determinazione dirigenziale n. 219 del 22 agosto 2002 e tutti gli atti del procedimento, riguardante l’aggiudicazione dei lavori di manutenzione dell’impianto di illuminazione pubblica nel Comune di Fondi.
 
       2. Il ricorso è stato notificato mediante spedizione per posta del 9 febbraio 2005 alla ditta Giuseppe ****, presso il suo difensore domiciliatario. È stato depositato, con la ricevuta della notificazione, il 21 febbraio.
 
       3. Sono proposte quattro censure alle statuizioni della sentenza appellata ed è dedotta l’infondatezza dei motivi del ricorso introduttivo, che sono stati assorbiti.
 
       Nelle date del 18 e 24 marzo e del 19 aprile 2005 sono stati depositati documenti. In data 20 maggio è stata depositata memoria illustrativa.
 
       4. La parte intimata si è costituita, per resistere al ricorso, con memoria del 22 marzo 2005.
 
       Con altra successiva memoria ha ribadito le argomentazioni a sostegno della sua posizione.
 
       5. Nella camera di consiglio del 22 marzo 2005, è stata accolta la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
 
       6. All’udienza pubblica del 27 maggio 2005, il ricorso è stato chiamato per la discussione e poi trattenuto in decisione.
 
       DIRITTO
 
       1. Con la sentenza appellata il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sede staccata di Latina, ha accolto il ricorso della ditta ora appellata, che aveva partecipato alla gara, indetta con provvedimento n. 222 del 14 marzo 2002, per aggiudicare i lavori di “manutenzione ordinaria degli impianti di pubblica illuminazione” nel Comune di Fondi.
 
       L’impresa ricorrente si è classificata – con un ribasso del 24,13 % – al secondo posto nella graduatoria delle offerte. Queste erano da presentare mediante ribasso unico percentuale sull’elenco dei prezzi posto a base di gara. Era il metodo di aggiudicazione stabilito al punto n. 13 del bando.
 
       Secondo la ricorrente, l’aggiudicataria doveva invece essere esclusa, perché non aveva presentato una dichiarazione prescritta nel capitolato di gara.
 
       2. Il T.A.R. ha così argomentato:
 
       2.1. l’avviso di gara indicava lavori inerenti a “manutenzione dell’impianto elettrico di pubblica illuminazione” e richiamava l’art. 28 del d.p.r. 25 gennaio 2000, n. 34;
 
       2.2. il disciplinare sanciva l’obbligo di inserire nella busta della documentazione (busta “A”) l’attestazione, resa dalla stessa offerente, di possedere i requisiti stabiliti dall’art. 28 citato, se l’impresa non era in possesso del certificato di una società organismo di qualificazione (SOA);
 
       2.3. la prova del possesso dei requisiti, data dopo l’aggiudicazione e prima della stipulazione del contratto dalla impresa controinteressata, non assumeva rilievo, perché la dichiarazione/attestazione, inserita nella busta suddetta, non era conforme alla prescrizione del disciplinare, dato che era necessaria “una maggiore specificità dichiarativa”, consistente nel precisare i singoli requisiti contemplati dalla norma. La non conformità della dichiarazione “comportava secondo il disciplinare l’esclusione dalla procedura”;
 
       2.4. spettava, perciò, alla impresa ricorrente il risarcimento dei danni per equivalente, giacché, per effetto dell’esclusione, sarebbe stata aggiudicataria.
 
       3. L’appello del Comune sostiene, con i primi due motivi:
 
       3.1. che la statuizione (sub 2.3) circa la dichiarazione da farsi, non corrisponde ad alcuna delle censure dedotte dalla parte ricorrente col ricorso introduttivo; e
 
       3.2. che la conclusione del T.A.R. è, in ogni caso, errata. Invero, per l’ammissione alla gara, bastava la dichiarazione, così come redatta dall’aggiudicataria. Solo ciò era prescritto dal disciplinare.
 
       4. Le riferite osservazioni vanno condivise.
 
       4.1. Preliminarmente, si deve precisare che, come si desume dall’art. 10, comma 1-quater, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, l’ammissione alla gara per l’aggiudicazione di lavori pubblici avviene sulla base delle dichiarazioni rese dalle imprese offerenti.
 
       Soltanto per alcune di esse, sorteggiate a campione, si procede alla verifica del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa. E non era questo il caso dell’impresa risultata poi aggiudicataria.
 
       Lo stesso comma dell’art. 10 dispone, poi, che le prime due classificate, se già non sorteggiate, diano prova del possesso dei requisiti entro un termine successivamente fissato dalla amministrazione.
 
       In conformità di queste regole, il disciplinare ha disposto che si facesse, con le altre dichiarazioni prescritte, quella concernente il possesso dei requisiti di cui all’art. 28 del d.p.r. n. 34 del 2000 (disciplinare: § 1 – “modalità di presentazione delle offerte” – n. 3, lett. e, delle prescrizioni sulla documentazione da inserire nella busta “A”) o il possesso della certificazione SOA. Ed è stato poi precisato (alla pag. 11 del disciplinare esibito in giudizio) che si sarebbe successivamente proceduto “a richiedere all’aggiudicatario provvisorio ed al secondo in graduatoria l’esibizione di tutta la documentazione, eventualmente non ancora acquisita…”.
 
       4.2. Ma quel che conta è che nessuna censura la ditta ricorrente in primo grado aveva proposto in ordine alla suddetta dichiarazione. E ciò è reso palese sia dalla lettura dell’atto introduttivo del giudizio – del cui contenuto si farà in seguito un esame analitico – sia dalla considerazione che l’impresa ricorrente non poteva, avere dedotto l’erroneità di una dichiarazione consistente nell’attestare il possesso dei “requisiti di cui all’articolo 28 del D.P.R. n. 34/2000, in misura non inferiore a quanto previsto al medesimo articolo 28”, perché questa era la formula che essa stessa aveva usato per rendere la medesima dichiarazione. Sicché avrebbe denunziato un vizio della offerta che avrebbe dato causa anche alla sua esclusione dalla gara.
 
       4.3. Si deve aggiungere che anche il facsimile della domanda di ammissione alla gara, redatto dal Comune e allegato al disciplinare, recava, per la dichiarazione di possesso dei requisiti in discussione, la formula utilizzata dall’aggiudicataria (e dalla ditta ricorrente in primo grado). Sicché l’eventuale difformità della dichiarazione resa dallo schema legale doveva, semmai, essere valutata come mera irregolarità alla quale aveva dato causa l’ente locale, con necessità di consentirne l’integrazione, non certo di disporre l’esclusione delle imprese che avevano fatto affidamento sulle indicazioni di un atto di regolazione della gara.
 
       4.4. In dipendenza delle considerazioni ora fatte, la sentenza in esame deve essere riformata.
 
       5. Nelle difese scritte, che la ditta resistente ha prodotto, si fa richiamo a tutte le censure del ricorso introduttivo, sia pure come mezzi argomentativi per contrastare l’appello.
 
       Si deve perciò ora condurre l’esame dei vari motivi proposti, perché, per la considerazione ora fatta, non è da condividere la tesi, della difesa del Comune, che non sono state riprodotte le censure del ricorso introduttivo, non esaminate dal primo giudice.
 
       Esse, tuttavia, sono infondate.
 
       6. Non fondato è l’assunto del primo motivo, secondo il quale l’amministrazione non ha richiesto alla ditta vincitrice, né alla ditta ricorrente (seconda classificata) la documentazione da produrre in sede di presentazione della domanda di partecipazione alla gara (è questo il senso della censura, come è stato precisato nella memoria del 22 marzo 2005).
 
       Per quanto si è già chiarito al § 4.1, la domanda di partecipazione, con riguardo all’attestazione del possesso dei requisiti ivi prescritti, era da considerare conforme al bando ed al disciplinare, oltre che ai princìpi della legge n. 109/1994.
 
       7. Non meritevole di adesione è anche l’altro assunto, in parte dedotto nel primo motivo ed in parte nel secondo, secondo il quale l’impresa vincitrice della gara aveva dichiarato il possesso della qualificazione, di cui al d.p.r. 34 del 2000, nella categoria OG1, mentre doveva possedere altra specifica qualificazione, richiesta dal bando, nella categoria OG10.
 
       Nessuna delle regole della gara ha prescritto il possesso di tale qualificazione. La tesi dell’impresa resistente deriva da una lettura non condivisibile del bando, nel quale è specificato che “ai soli fini del rilascio del certificato di esecuzione i lavori si intendono appartenenti alla categoria OG10”.
 
       La prescrizione circa il possesso di una qualificazione è data, invece, al punto 11 del bando, in forma molto lata, quanto all’attestazione SOA: “relativa ad almeno una categoria attinente alla natura dei lavori da appaltare”. Ed è poi specificata nel § 2 del disciplinare, dove si precisa che i lavori da affidare, ai fini dell’analogia con i lavori eseguiti dai concorrenti – e quindi con riguardo alla capacità tecnica da far valere – sono quelli rientranti in una serie esplicitata di qualificazioni, che vanno dalla categoria OG1 (lett. a) alla OG11 (lett. d), successivamente documentata dall’impresa aggiudicataria
 
       8. Neppure ha pregio la terza ed ultima censura, con la quale si sostiene che la dichiarazione, attestante l’esecuzione dei lavori per la categoria OG11, è stata presentata il 23 agosto 2002. E perciò fuori termine. Di essa, poi, si deduce l’inidoneità perché “rilasciata da privato e di data incerta”. Si sostiene, ancora, che non sono stati presentati documenti di cui all’art. 2, punto 3, del disciplinare (bilanci, dichiarazioni IVA o dei redditi “relativi anche ad un solo anno del quinquennio antecedente la data del bando … attestanti … un costo per il personale dipendente non inferiore al 15 % dell’importo complessivo a base di gara”).
 
       8.1. Quanto al termine da osservare, va considerato che l’art. 10, comma 1-quater, l. 109/1994 citata, contempla due momenti per la dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente stabiliti nel bando di gara:
 
       – uno, di dieci giorni dalla data (ovviamente di ricezione) della richiesta, per l’esame a campione, su un decimo degli offerenti, prima dell’esperimento della gara. Data l’esigenza di celerità insita nella fase specifica del procedimento, il termine non può che configurarsi come perentorio;
 
       – un altro, per dimostrare tali requisiti, su richiesta, da inoltrare dall’ente entro dieci giorni dalla celebrazione della gara, all’aggiudicatario ed al concorrente che segue. Il termine, per quel che riguarda i destinatari, non è definito dalla legge nella sua misura, né nella sua natura. Questo secondo termine può essere definito perentorio, nel bando o negli altri atti regolatori della gara. Ma se così non è disposto – ed è rimesso a potestà discrezionali dell’amministrazione appaltante – ragioni sostanziali di buon andamento e di affidamento del privato sull’azione amministrativa fanno concludere per un suo carattere meramente sollecitatorio nei riguardi dell’impresa destinataria della richiesta (per questa tesi, confr. V Sezione 16 giugno 2003, n. 3358 e 29 novembre 2004, n. 7758).
 
       Nel caso di specie, non c’è nel bando o nel disciplinare una indicazione o prescrizione su un termine perentorio per presentare documentazione dimostrativa del possesso dei requisiti in discussione. C’è soltanto la previsione generica, nel disciplinare, della successiva richiesta di documenti atti a dimostrare certuni requisiti.
 
       Si deve perciò concludere che la produzione di documenti prima della stipulazione del contratto non si configura come vizio di illegittimità del procedimento di gara o degli atti successivi, compiuti dall’amministrazione per perfezionare l’accordo contrattuale con l’impresa aggiudicataria.
 
       8.2. Le altre deduzioni, sulla non idoneità dei documenti prodotti, sono poi inconsistenti.
 
       Nessuna disposizione stabilisce che i lavori compiuti da un’impresa non possano essere comprovati mediante dichiarazioni di soggetti privati (come, nel caso in esame, un amministratore di condominio).
 
       Neppure è dato rilevare per quale ragione le dichiarazioni, rilasciate da privati per i lavori eseguiti dall’impresa aggiudicataria, sarebbero incerte nella data. Questa censura è manifestamente inammissibile.
 
       Quanto, infine, alla dimostrazione di una spesa per il personale non inferiore al 15 % dell’importo a base d’asta (92.962 euro) e di lavori eseguiti per importi non inferiori al contratto, è sufficiente l’esame della dichiarazione dei redditi per il 2000 e della dichiarazione IVA per lo stesso anno. La prima indica spese per il personale per lire 103.816.000 (ben oltre il 15 % di cui sopra). La seconda indica lavori per una somma superiore al doppio dell’importo del contratto in discussione. Sono perciò irrilevanti le osservazioni del resistente sulle dichiarazioni fiscali su redditi del successivo anno 2001, sulle quali si sofferma la parte appellata.
 
       9. Per effetto della infondatezza di tutte le censure della ditta ricorrente in primo grado, vengono, conseguenzialmente, a cadere anche le statuizioni del primo giudice sul risarcimento dei danni e sulle spese del grado.
 
       10. In ragione della soccombenza, la parte privata va condannata alla rifusione delle spese del giudizio in favore del Comune appellante. Se ne fa liquidazione in dispositivo.
 
       P.Q.M.
 
      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) accoglie l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo.
 
     Condanna la parte privata soccombente al pagamento, in favore del Comune, delle spese del giudizio, che liquida in tremila euro.
 
      Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
      Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 27 maggio 2005, con l’intervento dei Signori:
 
*****************     Presidente
 
*************** estens.    Consigliere
 
********************    Consigliere
 
*************     Consigliere
 
***************     Consigliere
 
 
      L’Estensore       Il Presidente
 
f.to ***************                                    f.to *****************
 
                        Il Segretario
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
Il 27 ottobre 2005
 
(Art. 55, L. 27 4 1982, n. 186)
 
Per il Direttore della Sezione
 
f.to ********************
 
 

Lazzini Sonia

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