L’accertamento dell’esistenza di un legame di parentela o affinità con soggetti inquisiti o condannati per reati di mafia non determina automaticamente la sussistenza di tentativi di infiltrazioni criminali nella impresa, occorrendo che vengano provati gl

Lazzini Sonia 02/08/07
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Merita di essere proposto il seguente passaggio tratto dalla sentenza numero 964 del 18 giugno 2007 emessa dal Tar Sicilia, Catania in tema di legittima esclusione dalle gare per pericolo di infiltrazione mafiosa
 
< E’ stato, in particolare, affermato che “un mero rapporto di parentela non può rappresentare, da solo, elemento utile per affermare la sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa e giustificare, dunque, un’informativa negativa. E’ vero, infatti, che per l’informativa prefettizia emessa in attuazione degli articoli 4 del decreto legislativo n. 490/1994 e 10 del D.P.R. n. 252/1998, circa tentativi di infiltrazione nelle imprese della criminalità organizzata, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso. Non può, tuttavia, ritenersi sufficiente il semplice sospetto o mere congetture prive di riscontro fattuale, essendo pur sempre richiesta l’indicazione di circostanze obiettivamente sintomatiche di connessioni o collegamenti con le predette associazioni. Nel caso di rapporto di parentela o coniugio di amministratori o soci di un’impresa con elementi malavitosi, siffatto riscontro può ravvisarsi sussistente solo quando l’informativa prefettizia negativa si basi non già sul rapporto di parentela in sé, ma anche su altri elementi, sia pure indiziari (cfr., Sezione 5^, n. 4408 del 29 agosto 2005; Sezione 6^, n. 4574 del 17 luglio 2006).
 
Con recente sentenza (Sezione 6^, n. 1056 del 7.3.2007), è stato affermato che “è illegittima una informativa prefettizia antimafia di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 490/1994 che, al fine di provare il tentativo di infiltrazione mafiosa nell’impresa, faccia riferimento alla circostanza che il titolare dell’impresa è imparentato (tramite la moglie) con esponenti della camorra; tale circostanza, infatti non può essere di per sé prova sufficiente di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa ove al dato anagrafico non si accompagni una acclarata frequentazione e comunanza di interessi con ambienti della criminalità organizzata”.
 
Con la recentissima sentenza della 6^ Sezione del 2 maggio 2007, n. 1916, è stato ribadito che “in materia di informative antimafia interdittive di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 490 del 1994, il delicato equilibrio tra gli opposti interessi che fanno capo, da un lato, alla presunzione di innocenza di cui all’art. 27 della Costituzione ed alla libertà d’impresa costituzionalmente garantito e, dall’altro, alla efficace repressione della criminalità organizzata, comporta che l’interpretazione della normativa debba essere improntata a necessaria cautela; d’altra parte, l’esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace non esclude che la determinazione prefettizia (pur se espressione di un’ampia discrezionalità) possa essere assoggettata al sindacato giurisdizionale sotto il profilo della logicità e dell’accertamento dei fatti rilevanti”; e che “è illegittima una informativa antimafia interdittiva ex art. 4 del decreto legislativo n. 490 del 1994 nel caso in cui in essa manchino riscontri oggettivi che comprovino l’esistenza in concreto di comportamenti e situazioni dai quali possa desumersi il condizionamento mafioso, non potendo la informativa stessa –anche alla luce della giurisprudenza costituzionale (sentenza della Corte Costituzionale n. 108 del 31 marzo 1994)- trovare una valida giustificazione con il solo riferimento ad un legame di “parentela”.>
 
Ma non solo
 
< Come ha avuto occasione di affermare la stessa Corte Costituzionale in una vicenda di cui si discuteva del possesso delle “qualità morali e di condotta” per l’ammissione ai concorsi in magistratura, è certamente “arbitrario …presumere che valutazioni comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a singoli membri della stessa diversi dall’interessato debbano essere automaticamente trasferiti all’interessato medesimo>
 
 
a cura di Sonia LAzzini
 
                       
 
                                      REPUBBLICA ITALIANA N. 0964/07 Reg. Sent.
 
                           IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 0594/07 Reg. Gen.
 
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Quarta, composto dai Signori Magistrati:
 
Dott. Biagio         CAMPANELLA             Presidente rel. est.
 
Dott. Ettore           LEOTTA                        Consigliere
 
Dott. Francesco     BRUGALETTA             Consigliere                   
 
ha pronunciato la seguente
 
S E N T E N Z A
sul riC. n. 594/2007, proposto dall’impresa DITTA ALFA. s.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della costituenda A.T.I. tra la stessa e le imprese DITTA ALFA BIS Enzo ed F.C. DITTA ALFA TER s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni e Giuseppe Immordino, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Alessandro Arcifa, in Catania, via Grasso Finocchiaro, n. 75;
 
contro:
 
-il Comune di CENTURIPE, in persona del Sindaco pro tempore, costituito in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. prof. Salvatore Mazza, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Catania, via V. E. Orlando, n. 15;
 
-la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di ENNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege;
 
e nei confronti
 
dell’A.T.I. DITTA BETA Costruzioni di C. driana & C. s.a.s. –DITTA BETA BIS s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
 
per l’annullamento:
 
1)della determinazione n. 8 del registro del Settore LL.PP. e n. 43 del registro generale, del 29 gennaio 2007, comunicata con nota prot. n. 1270 del 30.1.2007, con la quale il Responsabile Unico del procedimento ha disposto “di recedere in autotutela dal contratto di appalto rep. 78 del 10.10.2006 registrato a Enna il 19.10.2006 al n. 618 serie I” relativo all’appalto per l’esecuzione dei “lavori di realizzazione di opifici nella zona artigianale-Zona I”;
 
2)della nota prot. n. 283 del 9.1.2007 con la quale il Sindaco del Comune di Centuripe ha comunicato al RUP che la Prefettura di Enna ha trasmesso le informazioni richieste in data 2.5.2006 prot. n. 5187 e che, da tali informazioni, risultano a carico della società DITTA ALFA. s.r.l. (capogruppo dell’ATI), “elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa”;
 
3)della nota del R.U.P. prot. n. 1170 del 29.1.2007, con la quale è stato proposto il recesso, in autotutela, del suddetto contratto;
 
4)della nota informativa prefettizia dl 27 novembre 2006, prot. n. 5712/I-C/Area 1^, con la quale il Prefetto di Enna ha comunicato al Comune di Centuripe, con riferimento alle imprese costituenti l’ATI ricorrente, che “in relazione alla richiesta sopradistinta, concernente l’oggetto, si informa, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 3.6.1998, n. 252, che dalle informazioni acquisite sono emerse nei confronti della società DITTA ALFA. s.r.l. (capogruppo) elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa”;
 
5)della nota prot. n. 684/I-C/Area I^ del 24.1.2007, con la quale la Prefettura di Enna non ha consentito l’accesso agli atti da cui erano emersi tali tentativi di infiltrazione mafiosa;
 
a)della nota del 30 marzo 2007, prot. n. 3215/I-C/Area I, depositata dalla difesa erariale in data 6 aprile 2007, con la quale il Prefetto di Enna ha fornito i rapporti informativi della Questura di Palermo e del Reparto territoriale C.C. di Monreale;        
 
b)del verbale del 23.4.2007 con il quale il Comune di Centurie, a seguito della revoca dell’aggiudicazione in favore dell’ATI DITTA ALFA., ha provveduto alla nuova aggiudicazione della gara all’ATI controinteressata (motivi aggiunti);
 
Visto il riC. con i relativi allegati;
 
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune e della Prefettura intimati;
 
Visti gli atti tutti della causa;
 
Designato relatore per la Camera di consiglio del 23 maggio 2007 il Presidente Dott. Biagio Campanella; uditi gli avvocati delle parti, come da relativo verbale, anche ai sensi dell’art. 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205 per la definizione del giudizio nel merito a norma del successivo art. 26 della legge innanzi citata.
 
Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria.
 
Ritenuto in fatto quanto rappresentato nell’atto introduttivo del giudizio. Considerato che il riC. appare fondato in quanto:
 
Secondo la Prefettura di Enna, la DITTA ALFA. s.r.l. sarebbe permeabile al condizionamento mafioso soltanto perché i proprietari delle quote di partecipazione nella suddetta società sono parenti od affini del sig. C. Giuseppe, relativamente al quale viene ritenuta determinante un’asserita “condanna per i reati di cui all’art. 416 bis assieme ad altri esponenti di spicco della criminalità organizzata di stampo mafioso, fra i quali viene citato tale Vito Vitale noto pericoloso capomafia”.
 
Orbene, osserva il Collegio che, al di là del mero rapporto di parentela, non vi è traccia di alcun elemento volto a suffragare il rischio della permeabilità dell’impresa; né risultano accertati fatti che, anche in via ipotetica, possano ricondurre, ancora oggi, l’operato della società ricorrente al sig. C., anche in considerazione del fatto che la figlia ed il genero vivono lontano dal predetto.
 
Anche questo Tribunale ha ritenuto che “l’accertamento dell’esistenza di un legame di parentela o affinità con soggetti inquisiti o condannati per reati di mafia non determina automaticamente la sussistenza di tentativi di infiltrazioni criminali nella impresa, occorrendo che vengano provati gli effettivi tentativi di condizionamento degli indirizzi e delle scelte della società. Non può, quindi, costituire presupposto per la revoca dell’aggiudicazione, conseguente alla informativa del Prefetto, la circostanza che due soci della impresa aggiudicataria di un concessione di costruzione e gestione di opera pubblica siano in rapporto di parentela o affinità avevano riportato condanne od applicazione di misure di prevenzione correlati a reati di mafia (cfr., 1^ Sezione, n. 2403 del 12 dicembre 2001).
 
Tale è sostanzialmente l’orientamento del Consiglio di Stato.
 
E’ stato, in particolare, affermato che “un mero rapporto di parentela non può rappresentare, da solo, elemento utile per affermare la sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa e giustificare, dunque, un’informativa negativa. E’ vero, infatti, che per l’informativa prefettizia emessa in attuazione degli articoli 4 del decreto legislativo n. 490/1994 e 10 del D.P.R. n. 252/1998, circa tentativi di infiltrazione nelle imprese della criminalità organizzata, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso. Non può, tuttavia, ritenersi sufficiente il semplice sospetto o mere congetture prive di riscontro fattuale, essendo pur sempre richiesta l’indicazione di circostanze obiettivamente sintomatiche di connessioni o collegamenti con le predette associazioni. Nel caso di rapporto di parentela o coniugio di amministratori o soci di un’impresa con elementi malavitosi, siffatto riscontro può ravvisarsi sussistente solo quando l’informativa prefettizia negativa si basi non già sul rapporto di parentela in sé, ma anche su altri elementi, sia pure indiziari (cfr., Sezione 5^, n. 4408 del 29 agosto 2005; Sezione 6^, n. 4574 del 17 luglio 2006).
 
Con recente sentenza (Sezione 6^, n. 1056 del 7.3.2007), è stato affermato che “è illegittima una informativa prefettizia antimafia di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 490/1994 che, al fine di provare il tentativo di infiltrazione mafiosa nell’impresa, faccia riferimento alla circostanza che il titolare dell’impresa è imparentato (tramite la moglie) con esponenti della camorra; tale circostanza, infatti non può essere di per sé prova sufficiente di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa ove al dato anagrafico non si accompagni una acclarata frequentazione e comunanza di interessi con ambienti della criminalità organizzata”.
 
Con la recentissima sentenza della 6^ Sezione del 2 maggio 2007, n. 1916, è stato ribadito che “in materia di informative antimafia interdittive di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 490 del 1994, il delicato equilibrio tra gli opposti interessi che fanno capo, da un lato, alla presunzione di innocenza di cui all’art. 27 della Costituzione ed alla libertà d’impresa costituzionalmente garantito e, dall’altro, alla efficace repressione della criminalità organizzata, comporta che l’interpretazione della normativa debba essere improntata a necessaria cautela; d’altra parte, l’esigenza di contrastare i tentativi di infiltrazione mafiosa nel modo più efficace non esclude che la determinazione prefettizia (pur se espressione di un’ampia discrezionalità) possa essere assoggettata al sindacato giurisdizionale sotto il profilo della logicità e dell’accertamento dei fatti rilevanti”; e che “è illegittima una informativa antimafia interdittiva ex art. 4 del decreto legislativo n. 490 del 1994 nel caso in cui in essa manchino riscontri oggettivi che comprovino l’esistenza in concreto di comportamenti e situazioni dai quali possa desumersi il condizionamento mafioso, non potendo la informativa stessa –anche alla luce della giurisprudenza costituzionale (sentenza della Corte Costituzionale n. 108 del 31 marzo 1994)- trovare una valida giustificazione con il solo riferimento ad un legame di “parentela”.
 
Per il caso di specie, la circostanza che le quote di partecipazione della ricorrente DITTA ALFA. siano intestate alla moglie, alla figlia ed al genero del sig. C. Giuseppe, non può costituire di per sé prova sufficiente di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa, atteso che a tale dato anagrafico non si accompagna una acclarata frequentazione e comunanza di interessi, da parte di tali intestatari, con ambienti della criminalità.
 
Come ha avuto occasione di affermare la stessa Corte Costituzionale in una vicenda di cui si discuteva del possesso delle “qualità morali e di condotta” per l’ammissione ai concorsi in magistratura, è certamente “arbitrario …presumere che valutazioni comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a singoli membri della stessa diversi dall’interessato debbano essere automaticamente trasferiti all’interessato medesimo” (sentenza della Corte Costituzionale su citata).
 
Quindi, in difetto di riscontro oggettivo che comprovino l’esistenza in concreto di comportamenti e situazioni dai quali possa desumersi il condizionamento mafioso, deve concludersi che l’impugnata informativa prefettizia non può trovare una valida giustificazione con il solo riferimento al richiamato legame di “parentela”.
 
Come già anticipato, il riC. va accolto, con conseguente annullamento dei provvedimenti con lo stesso impugnati.
 
Vanno fatti salvi, ovviamente, gli ulteriori eventuali legittimi provvedimenti delle Amministrazioni intimate.                                     
 
Per quanto concerne le spese giudiziali, infine, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione.       
 
 
                                                       P. Q. M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia-Sezione staccata di Catania-Sez. 4^ ACCOGLIE il riC. in esame ed annulla, per l’effetto, i provvedimenti con lo stesso impugnati.
 
Fatti salvi gli ulteriori eventuali legittimi provvedimenti delle Amministrazioni intimate.
 
Spese compensate.
 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
Così deciso in Catania, nella Camera di consiglio del 23 maggio 2007.
 
Il Presidente este.
Dott. Biagio Campanella
Depositata in Segreteria il 08 giugno 2007
 
 

Lazzini Sonia

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