Interpretazione costruttivista o scompositiva?

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Nell’approccio euclideo convenzionale la costruzione avviene in termini sempre più complessi, traendo volta per volta le deduzioni dalle implicazioni logiche, inversamente si può partire da costruzioni già determinate per suddividerle in un numero infinito di parti, nella prima ipotesi vi è la ricerca di una certezza mediante gerarchia e ordine che permette di creare un mondo razionale e fisso fondato su valori universali e indiscutibili , nella seconda ipotesi emergono le contraddizioni insite in una razionalità imperfetta, le strutture già esistono resta quindi solo da investigare le loro relazioni intrinseche.

Vi è pertanto a fronte di una volontà razionalistica che tende a costruire T.U. e Codici con un inglobare e razionalizzare in un complesso ordine il caos delle possibili relazioni umane, partendo dalle figure istituzionali essenziali in una costruzione sempre più complessa in cui vengono assegnati e calibrati diritti e doveri, una contrapposta analisi sempre in evoluzione relativa ad un universo normativo frantumato e mutevole, vi è quindi una scomposizione relazionale della norma che può assumere forme regressive di semplificazione, le due forme vengono a colloquiare nel momento in cui la freccia progressiva della crescita codicistica viene ad incontrare la discendente freccia dell’analisi infinitesimale.

Si creano due strutture la prima razionalista, di matrice illuministica, attraverso cui si cerca di fornire la razionalità all’agire entro logiche predeterminate tali da controllare e al contempo facilitare i rapporti socio-economici in vista di una crescente efficienza, la seconda interviene in strutture ormai mature percorse da innumerevoli fratture interne che si sono sedimentate in interessi callosi difficilmente scalfibili, tanto è vero che la prima fa seguito ad atti rivoluzionari provenienti sia dal basso che dall’alto, la seconda è un agire in una situazione di fatto.

I criteri interpretativi richiamati dalla normativa (art. 12 delle preleggi C.C.) e dalla giurisprudenza devono essere letti secondo la struttura che si è creata a seguito della teoria seguita, vi è un c.d. formalismo interpretativo che nasce da una considerazione illuministica della norma, una espressione di razionalità assoluta che nella pratica ha determinato la reazione di uno scetticismo linguistico secondo cui non vi è sicurezza di fornire allo stesso enunciato identico significato tra persone diverse, solo l’accordo sui termini tecnici fornisce la base minima o minimo comune multiplo su cui interpretare secondo cultura, si è pertanto contrapposto alla deduzione necessaria dei sistemi codificati e quindi in teoria ordinati, l’induzione quale inferenza ampliativa anche se solo probabile del contenuto in quanto informazione non interamente contenuta nelle premesse.

Nessun ruolo specifico può rivendicare il significato esatto del messaggio giuridico che, come ci ricordano Viola e Zaccaria, viene a mutare e alimentarsi nei suoi paradigmi e significati entro uno “spazio pubblico”, tanto che anche il semplice “negozio giuridico” esce dall’autonomia delle parti per acquisire un senso sociale (Betti), vi è quindi la necessità di considerare i criteri interpretativi entro rigorose logiche di sistema, in questo vi è un contrapporsi ma anche un mutare funzione delle logiche relative alle visioni su cui si fondano i sistemi, diventa fondamentale la sensibilità del soggetto nella ricerca filologica del pregresso ovvero nel ricercare e risolvere le incongruenze, l’interprete diventa parte vivente dell’interpretazione stessa con la sua mentalità, quello che Betti definisce “psicologico”, vi è pertanto la necessità di affiancare alla logica tecnica l’ascolto, l’empatia, l’intuizione (consonanza ermeneutica), tanto che l’aspetto tecnico necessario nella logica giuridica moderna venga a sfociare nel concetto più ampio di “comprensione”, ossia compenetrazione tra tecnica e uomo.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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