Come deve essere intesa l’espressione “minaccia grave” contenuta nel secondo comma dell’art. 612 cod. pen. A questo e ad altri aspetti del diritto penale si dedica il volume La Riforma Cartabia della giustizia penale
1. La questione: minaccia grave
La Corte di Appello di Genova confermava una condanna nei confronti di una persona imputata per il reato di minaccia, aggravato ai sensi del secondo comma dell’art. 612 e dell’art. 61, n.11, quater, cod. pen. e dell’art. 4, comma 2 e 3, I. 110 del 1975.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, chiedeva che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale in merito alla procedibilità d’ufficio prevista per il reato di cui all’art. 612, secondo comma, cod. pen., per contrasto di tale disposizione con l’art. 3 Cost. e col principio di ragionevolezza, posto che, in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, è stato introdotto il regime di procedibilità a querela per altri reati, ben più gravemente offensivi di beni giuridici rispetto al reato di minaccia grave. A questo e ad altri aspetti del diritto penale si dedica il volume La Riforma Cartabia della giustizia penale
La Riforma Cartabia della giustizia penale
Al volume è associata un’area online in cui verranno caricati i contenuti aggiuntivi legati alle eventuali novità e modifiche che interesseranno la riforma con l’entrata in vigore.Aggiornato ai decreti attuativi della Riforma Cartabia, pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2022, la presente opera procede ad una disamina della novella, articolo per articolo.Il Legislatore delegato è intervenuto in modo organico sulla disciplina processualpenalistica e quella penalistica, apportando considerevoli modificazioni nell’ottica di garantire un processo penale più efficace ed efficiente, anche attraverso meccanismi deflattivi e la digitalizzazione del sistema, oltre che ad essere rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato.La riforma prevede poi l’introduzione della giustizia riparativa, istituto in larga parte del tutto innovativo rispetto a quanto previsto in precedenza dall’ordinamento.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB). Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica http://diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto manifestamente infondato.
Difatti, una volta premesso che, secondo la costante giurisprudenza del Giudice costituzionale, la discrezionalità del legislatore nella disciplina degli istituti processuali è ampia e insindacabile, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza (ex multis, sentenze nn. 250 del 2018, 65 del 2014, 10 del 2013, 216 del 2013, 304 del 2012; ordinanze n. 48 del 2014 e n. 190 del 2013), gli Ermellini osservavano come tale limite non emergesse dall’esame della norma censurata, e ciò rendeva la prospettata questione di legittimità costituzione manifestamente infondata, vieppiù alla luce delle osservazioni difensive circa la mancata, o ridotta, offensività del reato in questione rispetto ad altri reati.
Difatti, a fronte dell’assunto difensivo secondo il quale la fattispecie incriminatrice in questione si caratterizzerebbe “solo” per “una violenza di carattere psichico da parte dell’agente”, la Corte di legittimità richiamava invece quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, con l’espressione “minaccia grave”, contenuta nel secondo comma dell’art. 612 cod. pen., il legislatore ha inteso dare rilievo al turbamento psichico che l’atto intimidatorio può cagionare nel soggetto passivo, demandando al prudente apprezzamento del Giudice la valutazione in ordine alla gravità della minaccia, anche sulla base del contesto in cui esse vengono pronunciate (Sez. 6, n. 35593 del 16/6/2015; Sez. 5, n. 8193 del 14/01/2019), e della verosimiglianza della lesione del bene della vita insito nella intimidazione con la quale se ne prospetti, alla vittima, la soppressione (Sez. 5, n. 8895 del 18/01/2021).
Orbene, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, tali considerazioni erano di per sé sufficienti a mettere in discussione l’efficacia dell’avverbio “solo” con cui il ricorrente aveva inteso minimizzare la portata evidentemente offensiva del reato in parola.
3. Conclusioni
Fermo restando che, come è noto, l’art. 612, co. 2, cod. pen. stabilisce che “la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno”, è chiarito in tale pronuncia come deve essere intesa siffatta gravità.
Si afferma difatti in questa decisione, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, con l’espressione “minaccia grave”, contenuta nel secondo comma dell’art. 612 cod. pen., il legislatore ha inteso dare rilievo al turbamento psichico che l’atto intimidatorio può cagionare nel soggetto passivo, demandando al prudente apprezzamento del Giudice la valutazione in ordine alla gravità della minaccia, anche sulla base del contesto in cui esse vengono pronunciate, e della verosimiglianza della lesione del bene della vita insito nella intimidazione con la quale se ne prospetti, alla vittima, la soppressione.
Tale provvedimento, quindi, può essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare quando una minaccia possa considerarsi grave.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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