Sulla base del succitato disposto normativo, la Cassazione ha respinto il ricorso volto al riconoscimento dell’infortunio in itinere di una dipendente che non aveva provato la mancanza di mezzi pubblici lungo il tragitto che conduceva dal luogo di lavoro alla propria abitazione.
La vicenda trae origine da un sinistro occorso alla lavoratrice durante il rientro a casa a bordo del proprio motociclo.
La domanda per il riconoscimento delle indennità di legge veniva respinta sia in primo che in secondo grado. In particolare, la corte di appello nell’emendare la sentenza del tribunale, che aveva concluso per la nullità del ricorso, sosteneva che non fosse stata adeguatamente comprovata la necessità di utilizzo del mezzo privato (sebbene fosse presente un tratto di strada interessato da lavori che ne avevano determinato la sospensione del servizio di trasporto pubblico).
Nella motivazione del giudice del gravame – così come richiamata nella sentenza oggi in esame, confermativa delle argomentazioni ivi svolte – si legge che l’infortunata nulla avesse dedotto e provato circa la totale carenza di idonei mezzi di trasporto pubblico ovvero circa l’impossibilità di fruire di corse con fermate intermedie poste ai margini della tratta interessata dai lavori, lunga circa 700 metri e “quindi agevolmente percorribile a piedi da persona”, quale la ricorrente, “non anziana ed in buone condizioni”.
Peraltro, come ulteriormente precisato dai Giudici di legittimità, il requisito della necessità in parola non deve essere inteso in senso assoluto, essendo sufficiente a tal fine anche una necessità relativa (e comunque non provata dalla ricorrente), espressione di vari fattori, quali, ad esempio, esigenze personali e familiari e/o altri interessi meritevoli di tutela, che condizionano la scelta del mezzo privato rispetto a quello pubblico.
Il suddetto onere probatorio – proseguono gli Ermellini – non può ritenersi assolto attraverso l’uso di generiche presunzioni, ritenendo cioè in re ipsa (così come erroneamente asserito nel ricorso) l’esigenza di poter “dedicare il massimo di tempo libero ai più svariati bisogni” migliorando, così, “la qualità della vita”; né, tantomeno, attraverso la sollecitazione dei poteri d’ufficio del giudice, trattandosi di poteri discrezionali, che postulano pur sempre l’esistenza di piste probatorie.
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