La rappresentanza legale davanti agli organi giurisdizionali dell’Unione europea è vincolata a requisiti rigorosi, tra cui quello dell’indipendenza degli avvocati, sancito dall’art. 19 dello Statuto della Corte di giustizia. Con l’ordinanza dell’8 maggio 2023 (causa C-776/22 P, Studio Legale Ughi e Nunziante/EUIPO), la Corte ha ammesso parzialmente un’impugnazione sollevando un punto cruciale: può un avvocato socio rappresentare lo studio legale di cui fa parte senza violare il requisito di indipendenza? La risposta a questa domanda non ha rilevanza solo per il caso concreto, ma tocca un profilo centrale del diritto processuale europeo e della deontologia forense.
Indice
1. Il requisito di indipendenza degli avvocati nel diritto dell’Unione
La giurisprudenza della Corte di giustizia ha elaborato il concetto di indipendenza dell’avvocato come strumento volto a garantire la tutela effettiva degli interessi del cliente e a preservare l’imparzialità della rappresentanza. La ratio risiede nell’evitare che rapporti di lavoro subordinato o vincoli contrattuali compromettano la libertà di giudizio dell’avvocato.
Tuttavia, l’ordinanza in esame mette in luce un nodo interpretativo: quando il cliente coincide con lo studio legale e il difensore è un socio dello stesso, siamo davvero di fronte a una carenza di indipendenza? In Italia, ad esempio, la normativa esclude espressamente rapporti di subordinazione nella professione forense, e la struttura associativa non crea un vincolo gerarchico interno. Da qui l’argomento del ricorrente: non sussiste conflitto, bensì una comunanza di interessi, che dovrebbe rendere ammissibile la rappresentanza.
2. L’orientamento recente e la questione aperta
La Corte di giustizia, nella sentenza Universität Bremen/REA (14 luglio 2022, C-110/21 P), ha precisato che la mancanza di indipendenza deve emergere in modo “manifesto”, ossia nei casi in cui risulti evidente che l’avvocato non possa adempiere adeguatamente al suo compito difensivo. Questo orientamento ha segnato un parziale superamento di una prassi giurisprudenziale più rigida, che tendeva a escludere in via automatica i casi di rappresentanza da parte di soci dello studio ricorrente.
L’ordinanza Ughi e Nunziante si inserisce in tale contesto di transizione: la Corte ha ritenuto che la questione meriti un esame nel merito perché riguarda l’unità, la coerenza e lo sviluppo del diritto dell’Unione. In altre parole, stabilire se l’avvocato-socio possa considerarsi indipendente è una questione di principio che può incidere sull’accesso alla giustizia per studi legali di ogni Stato membro.
3. Indicazioni operative per i giuristi
Per i professionisti del diritto che intendano patrocinare dinanzi alle giurisdizioni europee, l’ordinanza fornisce alcune indicazioni pratiche:
- Verifica preliminare della rappresentanza: prima di proporre un ricorso, occorre assicurarsi che il difensore non sia legato al cliente da rapporti che possano essere letti come lesivi dell’indipendenza. In caso di studi associati, la questione resta aperta, ma è prudente valutare la nomina di un avvocato esterno.
- Conoscenza della giurisprudenza recente: la linea della Corte è in evoluzione. Citare casi come Universität Bremen/REA diventa essenziale per sostenere l’ammissibilità della rappresentanza interna.
- Possibilità di regolarizzazione: il mancato riconoscimento automatico della facoltà di correggere la rappresentanza, con la nomina di un altro difensore, rimane un rischio concreto. È dunque consigliabile predisporre fin dall’inizio una soluzione alternativa in caso di contestazioni.
- Valorizzazione della deontologia nazionale: argomentare sulla compatibilità tra norme nazionali e diritto dell’Unione può rafforzare la difesa, ma è necessario dimostrare che il modello associativo non compromette la libertà e l’autonomia dell’avvocato.
4. Implicazioni sistemiche
L’esito della controversia non riguarda solo il singolo studio coinvolto, ma si riflette sul più ampio rapporto tra autonomia professionale degli avvocati e uniformità delle regole processuali europee. Se la Corte accoglierà la tesi secondo cui il socio di uno studio è comunque indipendente, si avrà una significativa apertura per gli studi associati, con un riconoscimento della compatibilità tra comunanza di interessi e indipendenza. In caso contrario, il requisito verrà interpretato in senso più restrittivo, costringendo gli studi a ricorrere ad avvocati esterni per patrocinare sé stessi.
In entrambi gli scenari, la decisione inciderà profondamente sulla prassi forense dinanzi alle istituzioni europee e contribuirà a delineare il bilanciamento tra esigenze di effettività della difesa e rigore procedurale.
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