Inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la PA

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Il D. Lgs. n. 39 dell’08.04.2013 “Disposizioni in materia di Inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1 commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”, attua la delega contenuta nella legge anticorruzione in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati di diritto pubblico, introducendo limiti all’accesso o alla permanenza negli incarichi medesimi.
La delega, attuata nell’imminenza della scadenza del termine per l’esercizio della stessa, non ha previsto il parere parlamentare e sullo schema di decreto non è stato richiesto il parere del Consiglio di Stato.
Il governo Monti ha dato esecuzione alla stessa emanando il Decreto Legislativo in epigrafe citato, al fine di codificare a priori situazioni esposte a possibili ripercussioni, negative, sull’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche.
Essa interviene su due ambiti:
1.       conferimento di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati controllati;
2.       incompatibilità tra questi incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o lo svolgimento di attività, anche non retribuite, presso enti di diritto privato sottoposti a regolazione, a controllo o finanziati da parte dell’amministrazione che ha conferito l’incarico o lo svolgimento in proprio di attività professionali, se l’ente o l’attività professionale sono soggetti a regolazione o finanziati da parte dell’amministrazione.
Da tali disposizioni si evince che mentre la delega per l’inconferibilità attiene agli incarichi da attribuire, quella sulla incompatibilità si riferisce agli incarichi già conferiti.
Il decreto non prevede l’ipotesi di disposizioni transitorie.
Il presente studio intende soffermare l’attenzione principalmente sulle ipotesi di inconferibilità ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. c) del D. Lgs. n. 39/2013, nonché sulla diversa (ed ulteriore) fattispecie di inconferibilità prevista dall’art. 35 bis del D. Lgs. N. 165/2001, rubricato “Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici”, inserito dall’art. 1 comma 46 della legge n. 190/2012.
Dopo un’analisi delle due fattispecie, si porrà particolare attenzione al lavoro decennale posto in essere dall’Autorità nazionale AntiCorruzione (ANAC), esaminando alcuni casi particolari, utili per capire attraverso lo studio delle principali delibere, l’ambito di applicazione della normativa al fine di supportare l’attività interpretativa dei soggetti convolti nell’applicazione delle disposizioni previste dal D. Lgs. n. 39/2013.

Indice

1. Finalità della legge


Per comprendere le finalità della legge è opportuno, preliminarmente, soffermare l’attenzione su un articolo del D. Lgs. n. 39/2013 che è alquanto trascurato mentre, invece, rappresenta la chiave di volta di tutto l’impianto legislativo.
Senza la comprensione dell’articolo 22, infatti, si rischia di cimentarsi con una descrizione ripetitiva delle varie casistiche e fattispecie previste in tema di inconferibilità ed incompatibilità, rischiando di non percepirne la portata.
Ai sensi dell’articolo 22 comma 1 del decreto: “Le disposizioni del presente decreto recano norme di attuazione degli articoli 54 e 97 della Costituzione e prevalgono sulle diverse disposizioni di legge regionale in materia di inconferibilità ed incompatibilità presso le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e presso gli enti privati in controllo pubblico”.
L’articolo 54 della Costituzione, facendo riferimento ai cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche prescrive il “il dovere di adempierle con disciplina ed onore”.
L’articolo 97 secondo comma della Costituzione prevede che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
Questi sono i capisaldi della normativa ulteriormente modificata, in senso restrittivo, dal D. Lgs. n. 75/2017, volta a garantire l’obbligo di esclusività che assume primario rilievo nel rapporto di impiego pubblico, in quanto trova il proprio fondamento costituzionale nell’articolo 98 con il quale i nostri Costituenti, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” hanno voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all’articolo 97 Cost., sottraendo tutti coloro che svolgono un’attività lavorativa “alle dipendenze”, in senso lato delle Pubbliche Amministrazioni, dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività.
Alla luce di tale finalità assunta dal legislatore diviene più agevole comprendere la normativa sulla(e) inconferibilità declinata nelle varie casistiche oggetto di un lavoro decennale di approfondimento compiuto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione e dalla giurisprudenza al riguardo.

2. Normativa sulla(e) inconferibilità


Il capo II “Inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione” si compone di un solo articolo, il numero 3, che disciplina le ipotesi di inconferibilità di incarichi per condanne, per reati contro la pubblica amministrazione, con particolare riferimento a quelli previsti dal Titolo II, Capo I del codice penale, riconducendo l’effetto preclusivo anche a sentenze non passate in giudicato.
La norma si inserisce in un quadro normativo che già interviene in tale materia. Difatti la legge 27.03.2001, n. 97, recante “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”, all’articolo 3 “Trasferimento a seguito di rinvio a giudizio”, prevede il trasferimento ad ufficio diverso a seguito di rinvio a giudizio di un dipendente di amministrazioni o di enti pubblici, ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, per alcuni dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater e 320 del codice penale e dall’articolo 3 della legge 09.12.1941, n. 1383. Nel caso di condanna, anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per gli stessi reati, i dipendenti sono sospesi dal servizio (art. 4).
L’articolo 3 del D. Lgs. n. 39/2013 prevede che “a coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del Titolo II del libro secondo del codice penale, non possono essere attribuiti:
(omissis)
c) gli incarichi dirigenziali, interni ed esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale”.
Il secondo comma dell’articolo specifica che, nei casi di reati di cui all’articolo 3 comma 1, della legge 27.03.2001, n. 97, l’inconferibilità ha carattere permanente laddove sia stata inflitta come pena accessoria l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ovvero sia intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro a seguito di procedimento disciplinare o la cessazione del rapporto di lavoro autonomo. Nei casi, invece, in cui, sia stata inflitta una interdizione temporanea, l’inconferibilità ha la stessa durata dell’interdizione. Negli altri, casi (ai quali non seguono pene accessorie di interdizione dai pubblici uffici) l’inconferibilità degli incarichi ha la durata di cinque anni.
Il terzo comma prevede, per le condanne previste dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, l’Inconferibilità di carattere permanente nei casi in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero nei casi in cui sia intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro a seguito di procedimento disciplinare o la cessazione del rapporto di lavoro autonomo. Ove sia stata inflitta una interdizione temporanea dai pubblici uffici, l’inconferibilità ha la stessa durata della interdizione. Nei casi in cui alla condanna non segua come pena accessoria l’interdizione temporanea dai pubblici uffici, l’Inconferibilità ha una durata pari al doppio della pena inflitta, per un periodo, comunque, non superiore a cinque anni.
In tema di inconferibilità di incarichi, il legislatore ha definito due fattispecie distinte: una disciplinata, compiutamente, nel D. Lgs. n. 39/2013; l’altra prevista dall’articolo 1 comma 46 della legge n. 190/2012 che ha introdotto una diversa ed ulteriore fattispecie di inconferibilità, inserendo nel TUPI (D. Lgs. n. 165/2001) l’art. 35 bis rubricato “Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici”.
Per l’applicabilità delle ipotesi di inconferibilità, di cui al D. Lgs. n. 39/2013, il legislatore prevede la sussistenza dei seguenti requisiti di natura soggettiva e oggettiva:
·         che l’incarico da conferire rientri nell’ambito soggettivo di applicazione del medesimo D. lgs. n. 39/2013;
·         che vi sia un provvedimento giurisdizionale, seppure non definitivo, di condanna per uno dei reati rientranti nell’elenco previsto dall’art. 3 del d. lgs. citato.
Innanzitutto la norma dispone che per “coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti al capo I del titolo II dl libro II del codice penale, non possono essere attribuiti: (omissis)
 c) gli incarichi dirigenziali interni e esterni, comunque denominati, nelle pubbliche amministrazioni negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale”.
È necessario, quindi, un provvedimento giurisdizionale, anche non definitivo, di condanna per uno dei reati rientranti nell’elenco di cui all’articolo 3 del D. Lgs. n. 39/2013 e in secondo luogo occorre verificare se l’incarico ricoperto dal soggetto rientri nell’ambito soggettivo di applicazione della norma.
Sono equiparate alle sentenze di condanna, per espressa previsione normativa (art. 3 comma 7 del decreto), anche le sentenze di applicazione della pena, ai sensi degli articoli 444 e 445 del c.p.p.
Ugualmente si ritiene di estendere l’ambito di applicazione dell’inconferibilità alle ipotesi di condanne pecuniarie comminate con decreto penale di condanna, quand’anche tale soluzione comporti criticità riferite alla durata dell’inconferibilità (vedasi infra).
Non è possibile, tuttavia, stante l’attuale normativa applicare la fattispecie dell’inconferibilità, di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 39/2013, alle ipotesi di condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria (multa). La difficoltà nasce dall’impossibilità di convertire la sanzione pecuniaria in periodo di reclusione al fine di determinare la durata dell’inconferibilità derivante dalla sentenza.
A nulla rileva che la pena sia stata condizionalmente sospesa. Difatti, l’ANAC, in plurime decisioni (cfr. delibera n. 1292 del 23.11.2016; n. 1201 del 18.12.2019; n. 427 del 14.09.2022) ha indicato come l’inconferibilità non rientri nella categoria delle misure sanzionatorie, penali o amministrative, ma attenga ad uno status soggettivo, in cui viene a trovarsi colui che è stato condannato, per uno dei reati previsti dal capo I, titolo II, libro II del codice penale, anche se la pena è stata sospesa (in senso conforme anche Consiglio di Stato, sentenza n. 6538 del 25.07.2022).
Tale misura assolve ad una funzione di prevenzione della corruzione e di garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione e, di conseguenza, non subisce gli effetti indicati dall’art. 166 c.p. (Parere ANAC n. 5020/2022).
Il secondo elemento della fattispecie di inconferibilità è dato dalla natura dell’incarico.
Nella definizione del perimetro soggettivo di applicazione della fattispecie sovviene l’articolo 1 comma 2 del decreto ai commi ai commi j) e k).
Per il comma j, sono da intendersi “«incarichi dirigenziali interni», “gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a dirigenti o ad altri dipendenti, ivi comprese le categorie di personale di cui all’articolo 3 del  decreto  legislativo 30 marzo 2001, n. 165, appartenenti ai ruoli dell’ amministrazione che conferisce l’incarico ovvero al ruolo di altra pubblica amministrazione”, mentre per il comma k) per «incarichi dirigenziali esterni» devono intendersi “gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a soggetti non muniti della qualifica di dirigente pubblico o comunque non dipendenti di pubbliche amministrazioni”.
L’ANAC, con plurime pronunce, ha ricondotto in siffatte tipologie:
–   gli incarichi conferiti, negli enti locali, ai sensi dell’art. 110 comma 1 e 2 del D. Lgs. n. 267/2000;
–   gli incarichi di posizione organizzativa, nell’Ente Locale, di Comandante della Polizia Locale (Delibera ANAC n. 306 del 01.10.2020; Orientamento ANAC n. 4 del15.05.2014);
–   gli incarichi di Presidente di ordini e collegi professionali, anche territoriali, quando agli stessi siano attribuiti in via generale poteri di natura amministrativa oppure specifiche deleghe gestionali dirette che attribuiscano funzioni di natura analoga (Delibera ANAC n. 782 del 07.10.2020).

2.1 Applicazione del periodo di inconferibilità
Particolare interesse assume il tema della decorrenza del periodo di inconferibilità.
In questi casi, in mancanza di una dichiarazione da parte del dipendente che consenta all’Ente datoriale di acquisire conoscenza della condanna e considerato che non è possibile fare affidamento sulle comunicazioni ad opera della cancelleria del Tribunale all’amministrazione di appartenenza (art. 154 ter disp. att. c.p.p.) che nella maggior parte dei casi sono disattese, l’ANAC ritiene che il periodo di decorrenza dell’inconferibilità inizi non dalla data di emanazione della sentenza, ma dalla data in cui l’amministrazione ne ha avuto piena conoscenza, a nulla rilevando le informazioni rinvenute a notizie provenienti dai mezzi di comunicazione. Il dies a quo non può che individuarsi nel primo atto dal quale sia possibile evincere la conoscenza da parte dell’amministrazione “successiva” alla situazione di inconferibilità stessa. (vedasi AG/27/15/AC del 01.04.2015; Delibera n. 157 del 27.02.2019). Tale orientamento va letto alla luce dei principi costituzionali, oltre che della ratio sottesa alla disciplina delle inconferibilità contenuta nel D. Lgs. n. 39/2013.


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3. Rapporti tra l’art. 3 del D. Lgs. n. 39/2013 e l’art. 35 bis del D. Lgs. n. 165/2001


L’art. 35 bis del D. Lgs. n. 165/2001 rubricato “Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici”, introdotto dall’art. 1 comma 46 della L. n. 190/2012, come già chiarito dall’ANAC fin dalla delibera n. 1292 del 23.11.2016, rappresenta un’autonoma fattispecie di inconferibilità, con la quale si preclude il conferimento dello svolgimento di specifiche attività, non solo a coloro che esercitano funzioni dirigenziali, ma indistintamente a tutti coloro cui vengano affidati compiti di segreteria o funzioni direttive e non dirigenziali.
La finalità, come per l’articolo 3 del D. Lgs. n. 39/2013, è di prevenire il discredito in capo all’Amministrazione per il conferimento di tali incarichi a dipendenti che a vario titolo si sono resi responsabili di reati previsti nel capo I del titolo II del codice penale.
Tale misura, come quella prevista dall’art. 3 del D. Lgs. n. 39/2013, è applicata con l’irrogazione della sentenza penale di condanna anche non definitiva.
Differisce, invece, per la durata delle preclusioni visto che estende la sua applicazione sine die e fino a che non sia intervenuta, per il medesimo reato, una sentenza di assoluzione (anche non definitiva) ovvero la riabilitazione del soggetto condannato.
Nel PNA del 2013, l’Autorità chiarisce, inoltre, che la norma va applicata a tutti gli enti pubblici e comporta la verifica, in capo all’amministrazione, di accertare l’insussistenza di eventuali precedenti penali a carico dei dipendenti e/o di soggetti cui intendono conferire incarichi all’atto della formazione delle commissioni di gare per affidamenti o per concorsi di personale; ovvero all’atto del conferimento degli incarichi dirigenziali o degli altri incarichi previsti all’art. 3 del D. Lgs. n. 39/2013; ovvero all’atto dell’assegnazione di dipendenti dell’area direttiva agli uffici che presentano le caratteristiche indicate all’art. 35 bis del D. Lgs. n. 165/2001 (vedasi Delibera ANAC n. 685 del 29.07.2020).
Altro aspetto di differenziazione è dato dal diverso ambito di applicazione.
Mentre l’art. 35 bis del D. Lgs. n. 165/2001, rimandando all’articolo 1 comma 2 del D. Lgs. n. 165/2001, in riferimento agli enti pubblici si rivolge a “tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali”, l’ambito di applicazione dell’inconferibilità prevista e disciplinata dall’art. 3 del D. Lgs. n. 39/2013 fa riferimento anche agli “enti pubblici economici”. Anche l’inconferibilità di cui all’art. 35 bis del D. Lgs. n. 165/2001 non rientra tra le misure sanzionatorie, a carico del soggetto condannato (anche con sentenza non passata in giudicato), ma afferisce alla condizione soggettiva del condannato, avendo lo scopo di evitare che l’esercizio della funzione amministrativa sia svolto da chi abbia dimostrato la propria inidoneità allo svolgimento delle funzioni pubbliche, contravvenendo ai principi enunciati agli articoli 54 e 97 della Costituzione (vedasi paragrafo “Finalità della legge). Tale impostazione assunta dall’ANAC è stata fatta propria anche dalla Corte Costituzionale. Nella sentenza n. 236/2015, infatti, si legge: “tali misure non costituiscono sanzioni o effetti penali della condanna, ma conseguenze del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate o per il loro mantenimento”. (In senso conforme anche Corte Costituzionale sentenza n. 25/2002 e sentenza n. 295/2014).

4. Conclusioni


A dieci anni dall’introduzione della normativa in materia di inconferibilità degli incarichi, l’ANAC ha svolto una notevole attività posta in essere sulla base delle segnalazioni e sulle richieste di parere pervenute. La mole di lavoro con decine di pareri e deliberazioni ha, nel tempo, chiarito l’applicabilità della norma nei passaggi descritti, senza tacere le lacune e le possibilità di integrarla e migliorarla. Da ultimo, con la pubblicazione dei documenti “Catalogazione delle delibere ANAC in materia di inconferibilità ed incompatibilità” e delle “Pillole esplicative in materia di inconferibilità e incompatibilità ai sensi del D. Lgs. n. 39/2013”, ha inteso supportare le amministrazioni interessate alla corretta applicazione delle ipotesi di inconferibilità.
 

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Antonio Lamanna

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