In tema di tutela giurisdizionale degli interessi superindividuali o diffusi: si può affermare che l’interesse diffuso sussiste quando una pluralità di interessi, riferibili ad una intera categoria di soggetti, si neutralizza per capo ad una collettività

Lazzini Sonia 25/09/08
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Si è giunti ad emancipare l’interesse legittimo dal carattere squisitamente individuale e personale, valorizzando, in quest’ottica, la previsione dell’art. 2 Cost. nella parte in cui dispone che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. _Si è quindi ritenuto che il concetto di interesse legittimo vada affrancato da una accezione puramente personalistica e vada riconosciuto anche in un ambito collettivo in cui il soggetto si trova ad operare e ad esplicare la propria personalità_Ne discende che gli interessi diffusi (rectius collettivi) ben possono essere ricompresi, come specie, nel più ampio genere, dell’interesse legittimo, se di quest’ultimo si ha una visione più estesa di quella tradizionale, non circoscritta alla tutela delle situazioni soggettive di appartenenza esclusiva_ la concentrazione dell’interesse diffuso in interesse collettivo si realizza proprio attraverso l’individuazione di soggetti qualificati, e quindi di organismi collettivi, che agiscano istituzionalmente e statutariamente per la sua tutela, e che di conseguenza, proprio per la particolarità del fine che perseguono, emergono dalla collettività indifferenziata e si fanno portatori delle istanze del gruppo sociale di cui sono esponenziali. Quindi, dall’interesse diffuso, in cui ciascun membro del gruppo, che fruisce del bene di uso collettivo è titolare di un interesse omogeneo rispetto a quello facente capo agli altri, si passa all’interesse collettivo, in cui emerge una organizzazione che agisce a tutela di quell’interesse e che diviene come tale portatrice di una posizione soggettiva giuridicamente rilevante che la legittima ad impugnare provvedimenti amministrativi o ad opporsi a comportamenti della p.a. che siano lesivi della posizione giuridica protetta.
 
Merita di essere segnalata la decisione numero 3507 dell’ 11 luglio 2008, inviata per la pubblicazione in data 17 luglio 2008,  emessa dal Consiglio di Stato
 

Tale nuova concezione dell’interesse legittimo, tuttavia, non era sufficiente per ricondurre l’interesse diffuso nel novero delle posizioni soggettive meritevoli di tutela giudiziale. Restava, infatti, da superare l’ostacolo principale frapposto alla tutelabilità giurisdizionale dell’interesse in questione, consistente, come riferito, nel suo carattere adespota.
 
A tal fine, come è noto, è stata elaborata la tesi della trasformazione dell’interesse diffuso in interesse collettivo, a tenore del quale il primo, se dotato di struttura, ha natura di interesse collettivo. Queste due situazioni soggettive, infatti, sebbene riconducibili entrambe alla categoria degli interessi superindividuali sono sostanzialmente diverse. L’interesse diffuso è un interesse privo di titolare, latente nella comunità e ancora allo stato fluido, in quanto comune a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. L’interesse collettivo, invece, è quell’interesse che fa capo a un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (si pensi alle associazioni riconosciute e non, ai comitati, agli ordini professionali), ma autonomamente individuabile.
 
Questo interesse, in altre parole, sussiste quando una pluralità di interessi, riferibili ad una intera categoria di soggetti, si neutralizza per capo ad una collettività determinata ed organizzata. Si può pertanto sostenere che fino a quando gli interessi non si soggettivizzano si è in presenza di interessi diffusi>
 
La domanda ora è la seguente
 
quali sono i requisiti che gli organismi collettivi devono possedere perché possano essere legittimati a ricorrere avverso provvedimenti lesivi dell’interesse collettivo di cui sono portatori?
 
 
Tre condizioni:
 
-Occorre anzitutto evidenziare che deve trattarsi di un ente il cui statuto preveda come fine istituzionale la protezione di un determinato bene a fruizione collettiva, cioè di un dato interesse diffuso o collettivo.
 
-In secondo luogo, l’ente deve essere in grado, per la sua organizzazione e struttura, di realizzare le proprie finalità ed essere dotato di stabilità, nel senso che deve svolgere all’esterno la propria attività in via continuativa. L’azione, pertanto, deve assumere connotazioni tali da creare in capo all’ente una situazione sostanziale meritevole di tutela, al fine di escludere la legittimazione a ricorrere delle c.d. associazioni di comodo, la cui attività non riflette effettive esigenze collettive.
 
-Infine, l’organismo collettivo deve essere portatore di un interesse localizzato, deve, cioè, sussistere uno stabile collegamento territoriale tra l’area di afferenza dell’attività dell’ente e la zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (criterio della c.d. vicinitas).>
 
 
A cura di *************
 
N.3507/08
Reg.Dec.
N. 261 Reg.Ric.
ANNO   2008
Disp.vo 340/2008
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 261/2008 proposto dal COMUNE DI PARMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti prof.ri *************** e ************************, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Viale XXI Aprile n. 11;
contro
ALFA – ASSOCIAZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO STORICO DI PARMA E PROVINCIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. **************, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. ****************, in Roma, via Panama, 12;
ALLEGRI ******, non costituito;
PICCININI ALBERTO, non costituito;
e nei confronti
dell’IMPRESA BETA & *********, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti prof.ri ************ e ************, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, viale Parioli, 180;
della PROVINCIA DI PARMA, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitasi in giudizio;
del MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi 12 ha legale domicilio;
per l’annullamento
della sentenza del T.a.r. Emilia Romagna, sezione di Parma, n. 618/2007, resa inter partes;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Associazione ALFA; Provincia di Parma, dell’impresa BETA & *********, dell’Avvocatura Generale dello Stato e controricorso con ricorso incidentale della I.C.I. s.r.l;
Viste le memorie depositate dalle parte a sostegno delle rispettive posizioni;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla udienza pubblica del 15 aprile 2008, il Consigliere ******************; uditi, altresì, gli avv.ti Cugurra, *******, ******, ***** e l’avv. dello Stato *********;
Visto l’art. 23-bis legge n. 1034/1971;
FATTO
1. Il Comune di Parma, al fine di destinare il complesso immobiliare del c.d. “Ospedale Vecchio” a sede operativa di un progetto culturale incentrato sui temi dei media e della comunicazione denominato “Cittadella della Carta e del Cinema”, disponeva una variante al piano operativo comunale – centro storico, e avviava l’iter di realizzazione dei relativi lavori a mezzo dello strumento operativo del project financing, per il quale veniva prescelta la proposta dell’a.t.i. BETA – Foglia.
2. L’associazione non riconosciuta “ALFA – Associazione per la salvaguardia del patrimonio storico e ALFAle di Parma e Provincia”, ha impugnato innanzi al T.a.r. Emilia Romagna, sezione staccata di Parma sia la variante urbanistica, sia gli atti della procedura di project financing avviata dal Comune di Parma per la realizzazione del progetto. 
3. Con la sentenza indicata in epigrafe il T.a.r. di Parma ha accolto il ricorso annullando gli atti impugnati.
Il T.a.r., riconosciuta la legittimazione ad agire dell’associazione “ALFA”, ha accolto il ricorso ritenendo che il progetto di riqualificazione elaborato dall’***** BETA-Foglia, e fatto proprio dal Comune, nella parte in cui prevede la stabile destinazione di una considerevole parte del complesso ALFAle ad usi privati (uffici, residenza alberghiera, commercio), fosse incompatibile con l’obbligo, sancito dall’art. 101 d.lgs. n. 42/2004, di destinare i complessi ALFAli alla “pubblica fruizione” e all’espletamento di un “servizio pubblico”.
4. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di Parma.
Si è costituita in giudizio l’Associazione ALFA chiedendo il rigetto del gravame.
Si è costituita in giudizio, chiedendo invece l’accoglimento dell’appello, l’impresa BETA & *********
Si è costituita in giudizio anche l’Avvocatura dello Stato nell’interesse del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
5. All’udienza del 15 aprile 2008, la causa è stata trattenuta per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’appello merita accoglimento.
Risulta fondato, in particolare, il motivo di appello con il quale, in via pregiudiziale, il Comune di Parma, censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha riconosciuto la legittimazione ad agire dell’associazione ALFA.
Il T.a.r. ha riconosciuto la legittimazione al ricorso ritenendo che ALFA fosse un ente esponenziale deputato in maniera stabile e duratura alla tutela di un interesse superindividuale (quello alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale, specie della Provincia di Parma).
2. Il T.a.r. ha desunto la stabilità e la rappresentatività dell’associazione ALFA da una serie di indici sintomatici quali, in particolare: l’articolazione della struttura, il numero degli associati; le iniziative svolte a tutela degli interessi superindividuali; l’area di azione ricollegabile alla zona in cui è situato.
3. Il Collegio non condivide tali conclusioni.
4. *****, al riguardo, premettere qualche breve considerazione di carattere generale sulla questione al centro, soprattutto in passato, di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, della tutela giurisdizionale degli interessi superindividuali o diffusi. 
4.1. Il problema di fondo che viene in rilievo è, come è noto, quello di coniugare l’interesse superindividuale con la posizione classica dell’interesse legittimo. Operazione questa particolarmente complessa, perché, come la dottrina non ha mancato di evidenziare, almeno in radice interesse legittimo e interesse ultraindividuale, nella sua forma per così dire primitiva di interesse diffuso, sono esattamente agli antipodi.
Infatti, mentre il primo riguarda una posizione di vantaggio personale e differenziata, il secondo è, al contrario, un interesse non individuale e non differenziato, poiché il soggetto singolo non vanta, con riferimento al bene specifico, aspettative specifiche rispetto ad altri soggetti. Egli, cioè, non è portatore di una posizione differenziata, visto che si trova nella stessa condizione in cui versano le persone che appartengono alla collettività, più o meno ampia, che è interessata al provvedimento amministrativo o al comportamento della p.a.
Ciò ha indotto la dottrina a qualificare tale interesse come adespota, perché privo di un titolare.
4.2. Partendo da questa profonda differenza strutturale, la giurisprudenza si è sforzata di individuare delle chiavi di lettura del nostro sistema di giustizia amministrativa volte ad elidere tale diversità, preoccupandosi di far combaciare l’interesse diffuso con l’interesse legittimo mediante l’individuazione di elementi di differenziazione e qualificazione di determinati soggetti portatori dell’interesse diffuso rispetto al gruppo sociale complessivamente inteso.
Questa opera ricostruttiva è stata compiuta dalla giurisprudenza sulla scorta della migliore dottrina, da un duplice angolo visuale, non solo ponendo mente alla figura dell’interesse diffuso per verificarne la compatibilità con l’interesse legittimo, ma anche avendo riguardo alla effettiva portata di quest’ultimo.
Si è giunti, in particolare, ad emancipare l’interesse legittimo dal carattere squisitamente individuale e personale, valorizzando, in quest’ottica, la previsione dell’art. 2 Cost. nella parte in cui dispone che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
Si è quindi ritenuto che il concetto di interesse legittimo vada affrancato da una accezione puramente personalistica e vada riconosciuto anche in un ambito collettivo in cui il soggetto si trova ad operare e ad esplicare la propria personalità.
4.3. Ne discende che gli interessi diffusi (rectius collettivi) ben possono essere ricompresi, come specie, nel più ampio genere, dell’interesse legittimo, se di quest’ultimo si ha una visione più estesa di quella tradizionale, non circoscritta alla tutela delle situazioni soggettive di appartenenza esclusiva.
Tale nuova concezione dell’interesse legittimo, tuttavia, non era sufficiente per ricondurre l’interesse diffuso nel novero delle posizioni soggettive meritevoli di tutela giudiziale. Restava, infatti, da superare l’ostacolo principale frapposto alla tutelabilità giurisdizionale dell’interesse in questione, consistente, come riferito, nel suo carattere adespota.
A tal fine, come è noto, è stata elaborata la tesi della trasformazione dell’interesse diffuso in interesse collettivo, a tenore del quale il primo, se dotato di struttura, ha natura di interesse collettivo. Queste due situazioni soggettive, infatti, sebbene riconducibili entrambe alla categoria degli interessi superindividuali sono sostanzialmente diverse. L’interesse diffuso è un interesse privo di titolare, latente nella comunità e ancora allo stato fluido, in quanto comune a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. L’interesse collettivo, invece, è quell’interesse che fa capo a un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (si pensi alle associazioni riconosciute e non, ai comitati, agli ordini professionali), ma autonomamente individuabile. Questo interesse, in altre parole, sussiste quando una pluralità di interessi, riferibili ad una intera categoria di soggetti, si neutralizza per capo ad una collettività determinata ed organizzata. Si può pertanto sostenere che fino a quando gli interessi non si soggettivizzano si è in presenza di interessi diffusi.
4.4. Stante questa profonda differenza, la concentrazione dell’interesse diffuso in interesse collettivo si realizza proprio attraverso l’individuazione di soggetti qualificati, e quindi di organismi collettivi, che agiscano istituzionalmente e statutariamente per la sua tutela, e che di conseguenza, proprio per la particolarità del fine che perseguono, emergono dalla collettività indifferenziata e si fanno portatori delle istanze del gruppo sociale di cui sono esponenziali. Quindi, dall’interesse diffuso, in cui ciascun membro del gruppo, che fruisce del bene di uso collettivo è titolare di un interesse omogeneo rispetto a quello facente capo agli altri, si passa all’interesse collettivo, in cui emerge una organizzazione che agisce a tutela di quell’interesse e che diviene come tale portatrice di una posizione soggettiva giuridicamente rilevante che la legittima ad impugnare provvedimenti amministrativi o ad opporsi a comportamenti della p.a. che siano lesivi della posizione giuridica protetta.
4.5. Precisate le nozioni di interesse diffuso e di interesse collettivo, e individuati i relativi elementi discretivi, bisogna a questo punto accertare, per verificare la legittimazione ad agire dell’associazione “ALFA”, quali sono i requisiti che gli organismi collettivi devono possedere perché possano essere legittimati a ricorrere avverso provvedimenti lesivi dell’interesse collettivo di cui sono portatori.
4.6. La suddetta problematica riguarda proprio gli enti esponenziali “spontanei” (come “ALFA”), che si qualificano motu proprio come difensori di alcuni valori, per lo più di rango costituzionale (nella specie, “la tutela e la valorizzazione dei beni con valenza storica, artistica, culturale e paesaggistica”).
Può considerarsi indirizzo ormai consolidato quello secondo cui l’interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo, e diventa, quindi, interesse legittimo tutelabile in giudizio, nel momento in cui, indipendentemente dalla sussistenza della personalità giuridica, l’ente dimostri la sua rappresentatività rispetto all’interesse che intende proteggere. Rappresentatività che deve essere desunta da una serie di indici elaborati, non senza contrasti, dalla giurisprudenza nel corso degli ultimi trent’anni.
4.6.1. Occorre anzitutto evidenziare che deve trattarsi di un ente il cui statuto preveda come fine istituzionale la protezione di un determinato bene a fruizione collettiva, cioè di un dato interesse diffuso o collettivo.
4.6.2. In secondo luogo, l’ente deve essere in grado, per la sua organizzazione e struttura, di realizzare le proprie finalità ed essere dotato di stabilità, nel senso che deve svolgere all’esterno la propria attività in via continuativa. L’azione, pertanto, deve assumere connotazioni tali da creare in capo all’ente una situazione sostanziale meritevole di tutela, al fine di escludere la legittimazione a ricorrere delle c.d. associazioni di comodo, la cui attività non riflette effettive esigenze collettive.
4.6.3. Infine, l’organismo collettivo deve essere portatore di un interesse localizzato, deve, cioè, sussistere uno stabile collegamento territoriale tra l’area di afferenza dell’attività dell’ente e la zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (criterio della c.d. vicinitas).
5. Il Giudice di primo grado ha ritenuto sussistenti tutti i requisiti in questione rilevando che l’associazione ALFA fosse un ente esponenziale che in maniera stabile e duratura persegue lo scopo statutario di tutela del patrimonio storico artistico e culturale e come tale certamente legittimato ad impugnare atti potenzialmente idonei a pregiudicare il “Vecchio Ospedale”, cioè un bene culturale a fruizione collettiva situato nel Comune di Parma e, quindi, nell’area in cui principalmente opera l’Associazione che ha sede in Parma.
6. Il Collegio non condivide tale conclusione, ritenendo che nel caso di specie difetti in capo all’associazione originaria ricorrente il requisito della effettiva rappresentatività.
6.1. Tale valutazione negativa si impone alla luce delle seguenti considerazioni:
– l’associazione è stata costituita il 10 giugno 2004, nemmeno un mese prima della proposizione del ricorso innanzi al T.a.r. (il ricorso è stato notificato l’8 luglio 2004);
– nello statuto, pur facendosi generico riferimento ad uno scopo di tutela e valorizzazione dei beni con valenza storica, culturale e paesaggistica, si fa più specifico riferimento all’impegno di “seguire il programmato intervento per l’Ospedale Vecchio”, […] “oltre che in modo propositivo, anche contestando od impugnando in sede amministrativa o giurisdizionale interventi che ritenga illegittimi e/o dannosi per le strutture protette”, il che conferma che si tratta di una ente sorto con il principale obiettivo di proporre il ricorso giurisdizionale avverso gli atti della procedura di project financing relativa al “Vecchio Ospedale” di Parma;
– al momento della proposizione del ricorso, a differenza di quanto sostenuto dal giudice di primo grado, l’associazione non risulta avesse svolto attività significative da cui desumere l’esistenza di un’azione stabile e continuativa a sostegno del patrimonio storico e artistico della Provincia di Parma. Giova evidenziare, sotto tale profilo, che le varie iniziative (convegni, visite guidate, borse di studio, etc.) cui l’associazione fa riferimento per dimostrare la propria legittimazione sono in realtà successive alla proposizione del ricorso giurisdizionale e non possono, pertanto, essere prese in considerazione ai fini di vagliare l’ammissibilità del gravame (è noto, infatti, che i presupposti processuali – tra cui senz’altro la legittimazione ad agire – debbono sussistere al momento della domanda e non possono essere desunti da eventi verificatisi successivamente);
– non rileva neanche la circostanza che gli associati sono attualmente più di 250, atteso che, anche in tal caso, la maggior parte delle adesioni sono avvenute dopo la proposizione del ricorso giurisdizionale.
7. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve quindi concludersi nel senso che, al momento della proposizione del ricorso innanzi al T.a.r. Parma, l’associazione ALFA fosse priva di effettiva rappresentatività rispetto all’interesse che intendeva proteggere, in quanto la sua azione risultava carente di stabilità e continuità.
Risulta, al contrario, un’associazione nata con il fine principale perseguire l’azione giurisdizionale popolare in veste diversa.
8. Sotto tale profilo, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado deve essere dichiarato inammissibile.
9. Tutte le altre censure fatte valere con l’appello devono essere, di conseguenza, dichiarate assorbite.
10. Pare, tuttavia, opportuno precisare, anche in considerazione dell’importanza delle questioni di merito sollevate, che il ricorso di primo grado, risultava infondato anche nel merito.
La Sezione non condivide, invero, la conclusione cui è giunto il primo Giudice, secondo cui dall’obbligo di destinare il complesso ALFAle alla pubblica fruizione e all’espletamento di un servizio pubblico deriverebbe l’assoluto divieto di dare temporaneamente in gestione, al concessionario, una parte di tale complesso da adibire ad attività recettive, ad esercizi commerciali e ad altri pubblici uffici.
Sarebbe, infatti, contraddittorio pensare che la legislazione in materia di beni culturali, da un lato, preveda l’istituto del project financing e, dall’altro, escluda, tuttavia, la possibilità di dare provvisoriamente in gestione al concessionario parte della struttura realizzata.
Al contrario, proprio la previsione del project financing dimostra che la fruizione pubblica può essere compatibile con la gestione privata di una parte (minoritaria) del bene culturale.
11. Le spese del giudizio possono essere interamente compensate fra le parti sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 15 aprile 2008 con l’intervento dei Sigg.ri:
*****************           Presidente
*************                  Consigliere
**************                  Consigliere
***************               Consigliere
******************            Consigliere Est
 
 
Presidente
*****************
Consigliere                                                                           Segretario
******************                                    *************
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
Il 11/07/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
****************
 
 
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
 
Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa
 
al Ministero………………………………………………………………………………….
 
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
 
Il Direttore della Segreteria

Lazzini Sonia

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