Invero la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa. _ La ratio di tale condivisibile orientamento riposa nella necessità di evitare che detta forma di impugnazione si trasformi (soprattutto, ovviamente, il problema si pone con riferimento alle sentenze pronunciate nell’ultimo grado di giudizio di merito, ovvero in sede di legittimità) in una forma di gravame, teoricamente reiterabile più volte, idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale _Il rimedio in esame non è pertanto praticabile, allorchè incida su un aspetto della controversia che ha formato oggetto di valutazione giudiziale _ La Sezione ha in passato condiviso pienamente tale orientamento ed ha affermato che “ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., sono soggette a revocazione per errore di fatto le sentenze pronunciate in grado di appello, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare
Merita di essere segnalato il seguente passaggio tratto dalla decisione numero 2740 del 6 giugno 2008, inviata per la pubblicazione in data 10 giugno 2008, emessa dal Consiglio di Stato:
< Nel caso di specie, all’evidenza, l’”errore” prospettato quale vizio revocatorio attinge uno specifico capo della sentenza oggetto di analitica valutazione da parte dei Giudici d’appello.
Di più: uno degli aspetti dei quali si sollecita la rivalutazione sub motivo di revocazione consiste addirittura nella revisione critica di un inquadramento giuridico che essi hanno reso con riguardo ad una fattispecie prospettata (ci si riferisce al punto relativo alla distinzione tra “dipendenza funzionale” e subappalto di mano d’opera).
Nella memoria da ultimo depositata, la difesa della Banca ALFA, quanto a quest’ultimo aspetto, rileva che nella sentenza in epigrafe venne in realtà soltanto assertivamente escluso il ricorrere di una ipotesi di subappalto, di guisa che non poteva affermarsi che ci si trovasse al cospetto nel caso di specie, di un vero e proprio “decisum”: ciò deponeva per la piena ammissibilità dell’impugnazione.
Per quanto elegantemente formulata, la tesi non coglie nel segno ed è anzi, la dimostrazione che nel caso di specie non ricorre il presupposto legittimante il vizio revocatorio prospettato.
A ben guardare, infatti, il profilo di doglianza così specificato si risolve non già nella “segnalazione” di una svista in cui è incorso il Giudicante (che ha, al contrario, esaminato il problema, facendone discendere conseguenze sfavorevoli al petitum dell’odierna ricorrente per revocazione) quanto in un larvato sindacato riferentesi alla ampiezza, congruità, completezza, ed esattezza, dell’iter motivo ivi seguito: il vizio prospettato è (rectius: sarebbe, ove fosse ammessa impugnazione per profili diversi da quelli concernenti la giurisdizione), quello di “difetto di motivazione”, e non certo quello di “errore di fatto”.
In sintesi: attraverso il mezzo impugnatorio in questione è ben possibile sollecitare una rivisitazione critica delle sentenze di appello rese dal plesso giurisdizionale amministrativo; ciò condiziona il passaggio in giudicato della pronuncia medesima (e si omette dal porre l’accento sulla traumaticità di un simile evento, in astratto confliggente con l’esigenza della definitività dell’accertamento del caso concreto che costituisce il fondamento teorico della stessa attribuzione del potere di jus dicere), e pertanto è in re ipsa che esso venga utilizzato con parsimonia ed in ipotesi-limite.
Ove il Giudice si sia comunque pronunciato sull’aspetto in oggetto, non v’è spazio per la praticabilità del rimedio in questione.
Nel caso di specie ciò è avvenuto, e la semplice lettura della pronuncia di cui si chiede la revocazione ne costituisce testimonianza evidente.
Se pertanto, la precondizione legittimante il ricorso al mezzo di impugnazione in oggetto riposa in un “errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli art. 81 n. 4 r.d. 17 agosto 1907 n. 642 e 395 c.p.c., che deve rispondere a tre distinti requisiti, consistenti: a) nel derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato; b) nell’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) nell’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare”(Consiglio Stato , sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 252), può legittimamente affermarsi che, nel caso in oggetto non risultano soddisfatti (quantomeno) i primi due requisiti sopradescritti.
Il ricorso per revocazione è pertanto inammissibile.>
A cura di *************
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.2740/08
Reg. Dec.
N. 3158 Reg.Ric.
ANNO 2006
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso per revocazione n. 3158/2006 proposto dalla BANCA ALFA S.P.A. ******. MAND. R.T.I., RTI – BANCA ALFA BIS, RTI – BANCA ALFA TER, RTI – BANCA ALFA QUATER, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. ***************, con domicilio eletto presso lo studio di questi, in Roma, via Principessa Clotilde n. 2
CONTRO
BETA Banca SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’ Avv. ************** con domicilio eletto in Roma, Largo del Teatro Valle n. 6, presso lo studio di questi, costituitasi in giudizio;
e nei confronti di
– REGIONE UMBRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. *************, con domicilio eletto in Roma via **************, n. 8, presso l’Avv. **************, costituitasi in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 1268/2006;
visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ BETA Banca SPA e della Regione GAMMAe le memorie da esse depositate;
visti gli atti tutti di causa;
relatore, alla pubblica udienza del 28 marzo 2008, il Cons. **************;
Udito l’avv. ******** per la ALFA, l’avv. ******* per la Banca dell’Umbria, e l’avv. *****, per delega dell’avv. ******* per la Regione GAMMA
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
F A T T O
La Regione GAMMAha indetto una gara per l’affidamento e la gestione quinquennale del servizio di tesoreria regionale, a partire dal 1 gennaio 2005.
Alla gara hanno partecipato la “Banca dell’GAMMA” s.p.a. ed il costituendo raggruppamento tra la Banca ALFA (quale mandataria capogruppo) e le Banche “ALFA BIS” s.p.a., “Banca ALFA QUATER” s.p.a., “Banca ALFA TER” ****** (in qualità di mandanti).
L’affidamento del servizio di tesoreria è stato provvisoriamente aggiudicato alla “Banca dell’Umbria” avendo questa presentato un’offerta valutata dalla Commissione giudicatrice economicamente più vantaggiosa sotto il profilo tecnico ed economico.
La ALFA, in proprio e quale capogruppo designata del predetto costituendo raggruppamento temporaneo di imprese bancarie, ha proposto ricorso, che è stato accolto dal Tar Umbria, con conseguente annullamento del provvedimento di aggiudicazione.
Si è ritenuto da parte dei primi Giudici che la Banca dell’GAMMAnon possedesse il requisito concernente la “capacità tecnica” (del concorrente stesso), secondo quanto stabilito dal punto III 2.1. lett. c) del bando di gara e dall’art. 14, comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 157/1995”, ed afferente alla “regolare gestione, nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando, di servizi di tesoreria di enti pubblici territoriali, caratterizzati da un volume di movimenti di cassa gestito complessivamente non inferiore a 2,5 miliardi di euro”.
La Banca dell’GAMMAha impugnato tale decisione per i seguenti motivi:
1) inammissibilità del ricorso di primo grado perché proposto dalla sola ALFA e non anche dalle altre imprese partecipanti all’ATI;
2) fondatezza del ricorso incidentale proposto con riferimento alla limitazione del computo del requisito contestato ai soli servizi di tesoreria svolti per enti pubblici territoriali;
3) erroneità dell’interpretazione accolta dal Tar, secondo cui non potrebbe essere computato il servizio di tesoreria svolto in precedenza dall’appellante in ATI per la stessa regione Umbria.
Con separato ricorso anche la Regione GAMMAha impugnato la medesima sentenza per lo stesso motivo sopra indicato sub 3).
I ricorsi in appello sono stati riuniti e la Sezione, con la decisione n. 1268/2006 ha accolto il terzo motivo del ricorso della Banca dell’GAMMA(ed unica censura contenuta nell’atto di appello della Regione Umbria), disatteso le doglianze incidentali della ALFA, ed annullato la sentenza del Tar GAMMAsopramenzionata.
L’accoglimento del sopracitato motivo di ricorso in appello è stato determinato dal convincimento secondo il quale (si riporta di seguito uno stralcio della motivazione di detta decisione) “contrariamente a quanto sostenuto dal Tar, l’art. 7 del capitolato speciale prevede un unico e inscindibile requisito minimo di ammissibilità: la regolare gestione, nel triennio precedente, di servizi di tesoreria di enti pubblici territoriali, caratterizzati da un volume di movimenti di cassa gestito complessivamente non inferiore a 2,5 miliardi di euro.
Il requisito era quindi integrato dalla titolarità dei servizi di tesoreria per un ammontare complessivo non inferiore alla somma indicata.
In caso di servizi di tesoreria gestiti in A.T.I. non era richiesta alcuna specifica verifica circa l’esatto ruolo svolto da ciascun partecipante all’interno dell’ATI, essendo incontestabile in tali ipotesi la co-titolarità del servizio (tutte le banche partecipanti all’Associazione, che nel caso di specie era peraltro “orizzontale”, sono per contratto ritenute affidatarie del servizio di tesoreria, in co-titolarità e con vincolo solidale fra loro).
Ovviamente, ciascuna banca può computare solo l’ammontare dei movimenti cassa corrispondente alla propria quota di partecipazione all’ATI ed in effetti la Banca dell’GAMMAaveva calcolato solo l’ammontare di tali movimenti relativo alla sua quota del 16 % di partecipazione all’associazione temporanea.
In definitiva, la Banca dell’GAMMAnon poteva che essere considerata a pieno titolo “istituto tesoriere” nel precedente rapporto con la Regione e solo tale elemento assume rilevanza ai fini del computo del requisito di ammissibilità alla gara in questione, senza che possano assumere rilievo le sottostanti modalità organizzative interne stabilite tra i vari istituti di credito, compresa la capogruppo, in via di mero fatto.”
L’appellata, già ricorrente in primo grado, ha proposto ricorso per la revocazione della menzionata sentenza della Sezione ai sensi dell’art. 395 n. 4 cpc.
Si rilevava nel ricorso per revocazione che nelle memorie difensive prodotte nel giudizio di appello (pag. 17 della memoria datata 26.7.2005 e pag. 16 di quella datata 14.11.2005) si era evidenziato che l’originaria appellante Banca dell’GAMMAin ordine alla sottovoce “Numero e qualifica del personale assegnato a tempo pieno al servizio di tesoreria dell’Ente” (voce: “Modalità organizzative e gestionali del servizio”)aveva in tutto offerto n. 25 unità (pagg. 54 e 55 del progetto Banca dell’Umbria).
Per detto coefficiente era stato assegnato, dalla Commissione, il giudizio di “sufficiente”, (con attribuzione di coefficiente di punteggio pari a 0,25).
Posto che nessuna delle 25 unità soddisfaceva il requisito del tempo pieno, la valutazione non poteva essere di sufficienza; conseguentemente non sarebbe stato possibile l’attribuzione di alcun punteggio.
Laddove si consideri che lo scarto tra l’offerta della Banca della GAMMAe quella della ALFA fu soltanto di 0,009 in favore della prima, ne consegue che, laddove il superiore parametro fosse stato rispettato, la procedura selettiva avrebbe visto prevalere il r.t.i ALFA.
In secondo luogo, (pag 19 della memoria datata 26.7.2005) si era evidenziato che, posto che veniva impiegato personale non dipendente, la Banca dell’GAMMAincorreva nella -vietata ex art. 26 del capitolato- ipotesi del subappalto, cui doveva conseguire l’esclusione dalla gara, o, almeno, la valutazione di insufficienza dell’offerta, con conseguente aggiudicazione al rti ALFA.
Detti aspetti della controversia erano stati espressamente devoluti alla cognizione del Giudice d’appello: si trattava di un motivo di censura contenuto nel ricorso introduttivo del giudizio che era stato dichiarato assorbito dai Giudici di prime cure ed espressamente riproposto dalla ALFA in secondo grado. In ordine ai medesimi aveva controdedotto l’appellante Banca dell’GAMMA(pagg. 26-30 della memoria difensiva recante data 7.11.2005)
La Sezione, mercè la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, aveva sul punto statuito che “con riferimento alla voce numero e qualifica del personale assegnato a tempo pieno al servizio di tesoreria, si rileva che si tratta di un elemento di valutazione dell’offerta , e non di un requisito di ammissibilità e che, comunque, l’appellante ha indicato n. 3 unità di personale, ottenendo per questo la valutazione di “sufficiente”, mentre le ulteriori 22 unità non sono state valutate perché non a tempo pieno e risulta quindi irrilevante la circostanza che le stesse fossero formalmente dipendenti da un soggetto terzo (essendo funzionalmente dipendenti dalla banca dell’GAMMAnon è configurabile l’ipotesi del subappalto)”.
Era evidente l’errore di fatto in cui era incorso il Giudicante, laddove aveva ritenuto che le 22 unità non fossero state valutate, contrariamente a quanto emergeva dal verbale della seconda seduta della commissione (16.12.2004) laddove era chiaro che v’era stato un riferimento ad una “ampia disponibilità di personale” che implicava che le stesse erano state valutate. Sotto altro profilo, la circostanza che le anzidette 22 unità fossero formalmente dipendenti da soggetto diverso dalla Banca dell’Umbria, e terzo, non poteva che ricondurre la fattispecie all’ipotesi del subappalto (era stata la stessa Banca dell’Umbria, a pag. 29 della memoria datata 7.11.2005 ad ammettere che dette unità erano soltanto “funzionalmente disponibili per le esigenze della Banca”). Risultava pienamente integrata l’ipotesi del subappalto (erano state prodotte le ricevute contabili che erano intestate alla Banca BETAo), e risultava essere stato quindi violato il disposto di cui all’art. 26 del Capitolato: da ciò sarebbe dovuta discendere l’esclusione della Banca dell’GAMMAdalla procedura selettiva.
La Banca ALFA ha poi depositato una articolata memoria ribadendo ed ampliando le superiori considerazioni e facendo presente che, con particolare riguardo alla questione del subappalto, la sentenza di cui ha chiesto la revocazione si era espressamente ma soltanto assertivamente soffermata, di guisa che non poteva invocarsi il ricorrere, nel caso di specie, di un vero e proprio “decisum”:ciò deponeva per la piena ammissibilità dell’impugnazione per revocazione.
L’BETA Banca SPA si è costituita in giudizio depositando una articolata memoria e chiedendo che il ricorso per revocazione venga dichiarato inammissibile perché incidente su punti controversi della decisione, oltrechè infondato nel merito.
La Commissione espresse un giudizio di (mera)sufficienza, quanto al personale, dando atto che soltanto per tre unità era stato specificato che le stesse sarebbero state adibite al servizio in oggetto a tempo pieno (chè altrimenti, ben più lusinghiero sarebbe dovuto essere il giudizio reso dalla Commissione).
Nessun subappalto era ravvisabile nel caso di specie, posto che i predetti dipendenti non erano stabilmente inseriti in una autonoma organizzazione, con gestione a proprio rischio.
Anche la Regione GAMMAsi è costituita si è costituita in giudizio depositando una articolata memoria e chiedendo che il ricorso per revocazione venga dichiarato inammissibile perché incidente su punti controversi della decisione, oltrechè infondato nel merito: il dato relativo al numero del personale non costituiva elemento di ammissibilità dell’offerta ma oggetto di valutazione.
La valutazione (che riguardò soltanto le tre unità adibite a tempo pieno all’assistenza commerciale per la Tesoreria regionale posto che, altrimenti, ben più lusinghiero sarebbe stato il punteggio attribuito dalla Commissione) fu congrua e ponderata, e logicamente inattaccabile. Nessun errore di fatto era ravvisabile nel caso di specie, tanto che il servizio era stato reso dalla Banca dell’Umbria, a far data dal gennaio 2005, in modo ineccepibile.
Il ricorso per revocazione, in quanto inammissibile ed infondato, doveva essere respinto.
DIRITTO
Il ricorso per revocazione è inammissibile.
Invero la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che l’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di “quell’abbaglio dei sensi” che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa. (ex multis, Consiglio Stato , sez. IV, 07 settembre 2006, n. 5196).
La ratio di tale condivisibile orientamento riposa nella necessità di evitare che detta forma di impugnazione si trasformi (soprattutto, ovviamente, il problema si pone con riferimento alle sentenze pronunciate nell’ultimo grado di giudizio di merito, ovvero in sede di legittimità) in una forma di gravame, teoricamente reiterabile più volte, idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale ( ex multis Cassazione civile , sez. I, 19 giugno 2007, n. 14267).
Il rimedio in esame non è pertanto praticabile, allorchè incida su un aspetto della controversia che ha formato oggetto di valutazione giudiziale (tra le tante, Cassazione civile , sez. II, 22 giugno 2007, n. 14608).
La Sezione ha in passato condiviso pienamente tale orientamento ed ha affermato che “ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., sono soggette a revocazione per errore di fatto le sentenze pronunciate in grado di appello, quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” (Consiglio Stato , sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3721, Consiglio Stato , sez. VI, 05 giugno 2006, n. 3343, Consiglio Stato , sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2278).
Nel caso di specie, all’evidenza, l’”errore” prospettato quale vizio revocatorio attinge uno specifico capo della sentenza oggetto di analitica valutazione da parte dei Giudici d’appello.
Di più: uno degli aspetti dei quali si sollecita la rivalutazione sub motivo di revocazione consiste addirittura nella revisione critica di un inquadramento giuridico che essi hanno reso con riguardo ad una fattispecie prospettata (ci si riferisce al punto relativo alla distinzione tra “dipendenza funzionale” e subappalto di mano d’opera).
Nella memoria da ultimo depositata, la difesa della Banca ALFA, quanto a quest’ultimo aspetto, rileva che nella sentenza in epigrafe venne in realtà soltanto assertivamente escluso il ricorrere di una ipotesi di subappalto, di guisa che non poteva affermarsi che ci si trovasse al cospetto nel caso di specie, di un vero e proprio “decisum”: ciò deponeva per la piena ammissibilità dell’impugnazione.
Per quanto elegantemente formulata, la tesi non coglie nel segno ed è anzi, la dimostrazione che nel caso di specie non ricorre il presupposto legittimante il vizio revocatorio prospettato.
A ben guardare, infatti, il profilo di doglianza così specificato si risolve non già nella “segnalazione” di una svista in cui è incorso il Giudicante (che ha, al contrario, esaminato il problema, facendone discendere conseguenze sfavorevoli al petitum dell’odierna ricorrente per revocazione) quanto in un larvato sindacato riferentesi alla ampiezza, congruità, completezza, ed esattezza, dell’iter motivo ivi seguito: il vizio prospettato è (rectius: sarebbe, ove fosse ammessa impugnazione per profili diversi da quelli concernenti la giurisdizione), quello di “difetto di motivazione”, e non certo quello di “errore di fatto”.
In sintesi: attraverso il mezzo impugnatorio in questione è ben possibile sollecitare una rivisitazione critica delle sentenze di appello rese dal plesso giurisdizionale amministrativo; ciò condiziona il passaggio in giudicato della pronuncia medesima (e si omette dal porre l’accento sulla traumaticità di un simile evento, in astratto confliggente con l’esigenza della definitività dell’accertamento del caso concreto che costituisce il fondamento teorico della stessa attribuzione del potere di jus dicere), e pertanto è in re ipsa che esso venga utilizzato con parsimonia ed in ipotesi-limite.
Ove il Giudice si sia comunque pronunciato sull’aspetto in oggetto, non v’è spazio per la praticabilità del rimedio in questione.
Nel caso di specie ciò è avvenuto, e la semplice lettura della pronuncia di cui si chiede la revocazione ne costituisce testimonianza evidente.
Se pertanto, la precondizione legittimante il ricorso al mezzo di impugnazione in oggetto riposa in un “errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli art. 81 n. 4 r.d. 17 agosto 1907 n. 642 e 395 c.p.c., che deve rispondere a tre distinti requisiti, consistenti: a) nel derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato; b) nell’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) nell’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare”(Consiglio Stato , sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 252), può legittimamente affermarsi che, nel caso in oggetto non risultano soddisfatti (quantomeno) i primi due requisiti sopradescritti.
Il ricorso per revocazione è pertanto inammissibile.
Possono nondimeno essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti.
P.Q.M
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione in epigrafe lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2008 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
*************** Presidente
************************ Consigliere
********** Consigliere
*************** Consigliere
************** Consigliere Rel.
Presidente
CLAUDIO VARRONE
Consigliere Segretario
************** *****************
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 6/06/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
****************
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa
al Ministero………………………………………………………………………………….
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
Il Direttore della Segreteria
N.R.G. 3158/2006
AS
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