Inammissibile l’illegittimità costituzionale dell’art. 639 cod. pen., nella parte in cui prevede che il delitto di deturpamento o imbrattamento di cose altrui sia punito con una sanzione penale – anche quando il fatto non sia commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’art. 331 cod. pen., né abbia ad oggetto i beni di cui agli art. 635, secondo comma, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen. – anziché con la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000, prevista per la fattispecie di danneggiamento semplice, di cui al testo previgente dell’art. 635, primo comma, cod. pen., trasformata in illecito civile dall’art. 4, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
Indice
- 1. Il fatto
- 2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 639 cod. pen., nella parte in cui prevede che il delitto di deturpamento o imbrattamento di cose altrui sia punito con una sanzione penale
- 3. La soluzione adottata dalla Consulta
- 4. Conclusioni: inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale suesposte
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1. Il fatto
Il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, era chiamato a decidere in seguito all’emissione di un decreto del pubblico ministero, con cui l’imputato era stato citato a giudizio per il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, aggravato ai sensi degli artt. 639, secondo comma, e 61, primo comma, numero 5), cod. pen., perché, eventualmente in concorso con altri soggetti allo stato ignoti, in orario notturno, dopo essersi introdotto all’interno di uno stabile condominiale, avrebbe raggiunto la porta d’ingresso dell’abitazione di un altro condomino, imbrattandola con escrementi, insieme al muro e al pavimento circostanti, e lasciando altresì un sacchetto contenente ulteriori escrementi.Ciò posto, nel processo penale che si era incardinato a seguito dell’emissione di codesto decreto, nel corso dell’udienza predibattimentale, le parti avevano concluso, chiedendo l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 554-ter, comma 1, del codice di procedura penale, il pubblico ministero per non avere l’imputato commesso il fatto e il difensore dello stesso imputato in quanto gli elementi acquisiti, a loro avviso, non consentivano una ragionevole previsione di condanna.Tuttavia, anticipando quindi il tema della rilevanza delle questioni che esamineremo da qui a breve, per il Tribunale fiorentino, era impossibile nel caso di specie prescindere per la definizione del giudizio principale dall’applicazione della norma oggetto di censura visto che, in caso di accoglimento il giudice a quo avrebbe dovuto emettere una sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, osservandosi, al riguardo, che il fatto oggetto del giudizio non era stato compiuto con violenza alla persona, né mediante minaccia né, ancora, si era verificato in occasione di manifestazioni svoltesi in luoghi pubblici o aperti al pubblico, non si collega al delitto di cui all’art. 331 cod. pen., e neppure aveva attinto i beni indicati agli artt. 635, secondo comma, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen., tenuto conto altresì del fatto la condotta qui in contestazione aveva interessato parti di un immobile avente natura privata, non aperto al pubblico, non destinato a uso pubblico o all’esercizio di funzioni di culto, bensì adibito a privata abitazione, rilevato per di più che tale immobile non ricadeva all’interno del perimetro del centro storico, bensì si trova ubicato nella periferia di un Comune, e non risultava essere interessato da opere di costruzione, ristrutturazione, recupero o risanamento in corso o non ancora ultimate. Inoltre, il giudice di Firenza faceva oltre tutto presente che non si trattava di un bene ubicato in uffici o stabilimenti pubblici, né sottoposto a vincoli di sequestro o pignoramento, né destinato a pubblico servizio, pubblica utilità, difesa o reverenza, escludendosi al contempo come i fatti oggetto del procedimento riguardassero opere finalizzate all’irrigazione, piante, boschi, vivai, attrezzature o impianti sportivi, ovvero dati, programmi o sistemi informatici o telematici.Chiarito ciò, dopo aver richiamato la questione relativa alla possibilità di ritenere esposta alla pubblica fede la porta o la vetrina di un immobile all’interno del quale sia presente il titolare (sul punto il giudice a quo segnala, tra le pronunce di segno negativo, Corte di Cassazione, Seconda sezione penale, sentenza 17 febbraio-29 maggio 2017, n. 26857 e tra quelle di segno positivo, Corte di Cassazione, Seconda sezione penale, sentenza 10 novembre-19 dicembre 2023, n. 50655), il Tribunale di Firenze evidenziava infine l’impossibilità di far rientrare comunque in tale ipotesi la fattispecie di cui si discuteva nel giudizio principale, stante la difficoltà dell’ingresso alle parti dell’abitazione oggetto di imbrattamento, trattandosi di porzioni situate all’interno di un condominio e non liberamente accessibili da parte di chiunque, considerato che, nell’ipotesi invece in cui la Consulta avesse emesso una pronuncia di non fondatezza, si sarebbe comunque dovuto valutare la ben più problematica attribuibilità all’imputato del fatto in esame, verificando se sussistessero i presupposti per una pronuncia di proscioglimento con la formula per non avere commesso il fatto, auspicata dal pubblico ministero, o per mancanza di una ragionevole prognosi di condanna, nella prospettazione della difesa. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.
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2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 639 cod. pen., nella parte in cui prevede che il delitto di deturpamento o imbrattamento di cose altrui sia punito con una sanzione penale
A fronte delle criticità summenzionate, il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 639 del codice penale «nella parte in cui prevede che per i fatti ivi descritti [deturpamento o imbrattamento di cose altrui] si applichi – anche quando il fatto non è commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’art. 331 c.p., né ha ad oggetto i beni di cui agli art. 635 co. 2, 635 bis, 635 ter, 635 quater e 635 quinquies c.p. – una sanzione penale anziché la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000».In particolare, se, in punto di rilevanza, si rimanda a quanto già enunciato poco prima, per quanto invece concerne la non manifesta infondatezza, il Tribunale di Firenze deduceva la violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., nonché del principio di proporzionalità, enucleabile dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., in relazione a quanto previsto dall’art. 635 cod. pen. e dall’art. 4 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), con riferimento a condotte comunque riconducibili al paradigma del danneggiamento.Più nel dettaglio, il giudice a quo notava prima di tutto che il reato di deturpamento e imbrattamento di cui all’art. 639 cod. pen. costituisce fattispecie sussidiaria e meno grave rispetto alla figura delittuosa del danneggiamento di cui all’art. 635 cod. pen., come può desumersi sia dalle condotte tipizzate, sia dalla clausola di riserva contenuta nell’incipit dell’art. 639 «fuori dei casi preveduti dall’articolo 635», sia ancora dall’entità delle pene previste, deducendo al contempo che entrambi i reati offendono il medesimo bene giuridico e possono essere realizzati con modalità simili, ma producono effetti di differente gravità nel senso che, se il danneggiamento implica una modificazione della cosa altrui con apprezzabile diminuzione di valore o impedimento, anche parziale, dell’uso, determinando così la necessità di un intervento ripristinatorio dell’essenza e funzionalità della cosa stessa, a sua volta, il deturpamento o imbrattamento consiste in un’alterazione temporanea e superficiale della res aliena, il cui aspetto originario, quale che sia la spesa da affrontare, è comunque facilmente reintegrabile.Premesso ciò, il rimettente evidenziava inoltre sul punto l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità riguardo all’applicabilità del principio di sussidiarietà tra le ipotesi delittuose indicate, richiamando una serie di pronunce (si citavano a tal proposito le seguenti pronunce: Corte di Cassazione, Seconda sezione penale, sentenze 3 febbraio-3 marzo 2016, n. 8826; 16 giugno-29 luglio 2005, n. 28793; 10 maggio-7 giugno 2002, n. 22370; Quinta sezione penale, sentenza 21 maggio-19 settembre 2014, n. 38574; Sesta sezione penale, sentenza 3-16 novembre 2000, n. 11756).Orbene, in siffatto contesto ermeneutico, rammentava il Tribunale di Firenze nell’ordinanza di rimessione qui in esame, se il legislatore delegato, con il d.lgs. n. 7 del 2016, nell’ambito di una più ampia riforma ispirata a criteri di ricorso minimo alla sanzione penale e di razionalizzazione dell’intero sistema sanzionatorio, ha disposto l’eliminazione dal novero dei fatti penalmente rilevanti di quelli che integravano il vecchio delitto di danneggiamento semplice (art. 635, primo comma, cod. pen., previgente), contestualmente trasformando le precedenti ipotesi di danneggiamento aggravato (art. 635, secondo comma, cod. pen., previgente) in fattispecie autonome di reato, in guisa tale che le condotte, così espunte dalla sfera del penalmente rilevante, sono state trasformate in illeciti civili di nuovo conio con la previsione, all’art. 4, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 7 del 2016, di una sanzione pecuniaria civile in misura compresa tra euro 100 ed euro 8.000, per contro, l’art. 639 cod. pen. non ha subito modificazioni, fatta eccezione per gli interventi normativi che hanno interessato, nel tempo, i beni culturali nonché le relative teche o custodie di esposizione e conservazione, così continuando ad incriminare sia le ipotesi che – ove assurgessero al livello di gravità del danneggiamento – integrerebbero le fattispecie di danneggiamento tuttora penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 635 cod. pen., sia quelle che – ove assurgessero al livello di gravità del danneggiamento – costituirebbero ora meri illeciti civili.Il Tribunale di Firenze denunciava, pertanto, alla stregua di ciò, l’irrazionalità di una disciplina normativa che prevede l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di natura civile laddove la condotta dell’agente si concreti in una modificazione della cosa altrui tale da alterarne in modo apprezzabile il valore ovvero da comprometterne anche solo parzialmente l’uso, e l’applicazione di una sanzione penale, che diviene anche pena detentiva nei casi di beni immobili o di mezzi di trasporto, nell’ipotesi in cui la condotta realizzi un’alterazione meramente temporanea o superficiale del bene altrui, agevolmente reversibile, tanto più se si considera che l’irragionevolezza di tale assetto normativo appare evidente in quanto determinerebbe una netta sproporzione sanzionatoria, punendo con maggiore severità l’ipotesi manifestamente meno lesiva.Orbene, nel sottolineare l’ampia discrezionalità del legislatore nella determinazione della politica criminale, tanto in relazione alla selezione delle condotte meritevoli di sanzione quanto in ordine alla individuazione, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, delle relative risposte punitive, il giudice a quo ricordava come tale discrezionalità non possa, in alcun modo, tradursi in arbitrio, essendo essa pur sempre soggetta ai limiti imposti dal principio di eguaglianza e dalla funzione rieducativa della pena. visto che risulta imprescindibile che sia costantemente assicurata una proporzione tra la natura e l’entità della sanzione irrogata e l’offesa arrecata al bene giuridico tutelato (si citavano a tal riguardo le sentenze della Consulta di cui ai nn. 46 del 2024, n. 143 del 2021, n. 179 del 2017, n. 236 del 2016 e 313 del 1990).Ciò posto, sulla proporzionalità della sanzione in relazione alla gravità dell’illecito, il giudice rimettente richiamava tra l’altro la costante giurisprudenza costituzionale che ritiene applicabile l’indicato principio non soltanto nello stretto ambito penalistico, bensì in ogni settore dell’ordinamento giuridico riconducibile al diritto punitivo, fermo restando che, in materia di sanzioni amministrative si richiamavano le susseguenti sentenze: n. 95 del 2022, n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019; in ambito tributario la sentenza n. 46 del 2023; nell’ambito delle sanzioni disciplinari, invece, si citavano all’uopo le sentenze n. 51 del 2024 e n. 197 del 2018.Precisato anche pure tale aspetto, il rimettente osservava, ancora, che la sussistenza di un rapporto tra fattispecie più grave e fattispecie meno grave, in riferimento ai reati di danneggiamento e di deturpamento o imbrattamento, risulta avvalorata dalla disciplina contenuta nell’art. 518-duodecies cod. pen. la quale era descritta, in questa ordinanza di rimessione, nei seguenti termini: “Tale disposizione, introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 9 marzo 2022, n. 22 (Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale), ha previsto due nuove figure di reato, relative alle condotte di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento nonché uso illecito di beni culturali o paesaggistici. Con il primo comma il legislatore ha stabilito l’incriminazione della condotta di danneggiamento, per la quale ha fissato la pena della reclusione da due a cinque anni, nonché la multa da euro 2.500 a euro 15.000 per poi disciplinare, al secondo comma, dopo una clausola di riserva analoga a quella di cui all’art. 639 cod. pen., le condotte di deturpamento e imbrattamento, prevedendo per esse la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da euro 1.500 a euro 10.000”.Concluso tale excursus normativo, quanto invece al rimedio appropriato alla denunciata violazione dei principi costituzionali, il Tribunale di Firenze chiedeva al Giudice delle leggi una pronuncia che – nei casi in cui il fatto non sia commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni svolgentisi in luogo pubblico o aperto al pubblico, né con riferimento al delitto previsto dall’art. 331 cod. pen., e neppure abbia ad oggetto beni di particolare rilevanza, come individuati agli artt. 635, secondo comma, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies cod. pen. – sostituisca le pene previste dall’art. 639 cod. pen. con la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, che è la medesima stabilita per la più grave fattispecie di danneggiamento, precisandosi al contempo come una siffatta soluzione sarebbe costituzionalmente adeguata, in quanto derivante da una disciplina già vigente nell’ordinamento (è citata la sentenza n. 222 del 2018), e si inserirebbe all’interno di una cornice edittale, quella di cui all’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 7 del 2016, strutturata in modo sufficientemente ampio da potersi applicare anche a condotte di diversa gravità, assicurando una risposta sanzionatoria proporzionata e rispettosa del principio di ragionevolezza fermo restando che, ove i giudici di legittimità costituzionale ritenessero, invece, una siffatta sentenza «foriera di “insostenibili vuoti di tutela” per gli interessi protetti», il rimettente ricordava la possibilità di individuare un’altra tipologia di pronuncia che la stessa Corte costituzionale avrebbe potuto considerare più idonea rispetto a quella manipolativa suggerita (si menzionava a tal proposito la decisione n. 46 del 2024).Per di più, in via subordinata, il giudice a quo sollevava, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 639, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui «prevede la procedibilità d’ufficio per i casi previsti dal 639 co. 2 c.p. anche quando i fatti abbiano ad oggetto beni diversi da quelli di cui art. 635 co. 2 c.p. – ad eccezione delle cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, ai sensi dell’articolo 625 co.1 n. 7 c.p. – e non siano commessi in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico né del delitto previsto dall’articolo 331 c.p. e la persona offesa non sia incapace, per età o per infermità».In particolare, se si faceva carico della costante giurisprudenza costituzionale secondo la quale la determinazione del regime di procedibilità rientra nella discrezionalità del legislatore, chiamato a operare complessi bilanciamenti di interessi e a compiere scelte di politica criminale che, in quanto espressione di opzioni politico-legislative, risultano sindacabili in sede di giudizio di legittimità costituzionale esclusivamente nei casi in cui esse si manifestino affette da irrazionalità evidente (in tal senso è citata l’ordinanza n. 178 del 2003 e, in termini analoghi, la sentenza n. 248 del 2020, unitamente ad altri precedenti conformi), tuttavia, sempre ad avviso del rimettente, avuto riguardo alla già segnalata natura sussidiaria e di minore gravità del reato di deturpamento e imbrattamento rispetto a quello di danneggiamento, sarebbe manifestamente irragionevole la previsione della procedibilità d’ufficio per il primo, qualora aggravato ai sensi dell’art. 639, secondo comma, cod. pen., in fattispecie nelle quali il delitto di danneggiamento, ove ancora penalmente rilevante, come nell’ipotesi dell’esposizione dei beni alla pubblica fede, è perseguibile a querela della persona offesa, e, ove non più penalmente rilevante, risulta sanzionato quale illecito civile, su iniziativa della medesima persona offesa, secondo quanto disposto dall’art. 8 del d.lgs. n. 7 del 2016.Il giudice a quo, infine, escludeva la possibilità di potere ricorrere ad un’interpretazione conforme ai parametri costituzionali, ritenendo che il dato normativo oggetto di censura presentasse caratteri di chiarezza e univocità tali da non consentire letture alternative costituzionalmente compatibili.
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3. La soluzione adottata dalla Consulta
La Corte costituzionale – dopo avere respinto l’eccezione formulata dall’Avvocatura generale dello Stato in via preliminare e proceduto ad una sintetica illustrazione della evoluzione normativa di cui è stato oggetto l’art. 639 cod. pen. – reputava inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 639 cod. pen., sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost..In particolare, il Giudice delle leggi osservava prima di tutto che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore gode di ampia discrezionalità nella definizione delle ipotesi astratte di reato e nella determinazione delle relative pene, nel rispetto del principio di proporzionalità (sentenze n. 46 del 2024 e altre, ivi citate) e con il limite della non manifesta irragionevolezza (sentenze n. 83 del 2025, n. 86 del 2024, n. 207 del 2023, n. 260 e n. 95 del 2022 e n. 62 del 2021).Premesso ciò, si faceva tra l’altro presente come la scelta normativa censurata dal giudice a quo riponga all’esigenza di contrastare fenomeni di diffusa illegalità che si caratterizzano per l’offesa al decoro urbano, esigenza, questa, espressamente enunciata nel testo della legge n. 94 del 2009, il quale pone in evidenza la necessità di adottare misure più rigorose.Chiarita qual è stata la voluntas legislatoris che ha condotto ad una scelta normativa di questo genere, sempre per la Consulta, se è pur vero che, come riconosciuto da consolidata giurisprudenza di legittimità, il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui realizza rispetto a quello di danneggiamento un’offesa al medesimo bene attraverso una condotta che si differenzia soltanto per gli effetti che si fanno, via via, più incidenti sulla consistenza del bene attinto (tra le molte: Cass., sentenze n. 8826 del 2016 e n. 38574 del 2014), tuttavia, qualora il danneggiamento offenda la struttura e la funzionalità del bene che, una volta inciso dalla condotta, potrà risultare definitivamente distrutto o disperso o comunque richiederà un più importante e oneroso intervento di ripristino, il deturpamento e l’imbrattamento toccano invece l’estetica del bene o la sua più superficiale consistenza, cosicché l’opera di ripristino sarà più agevolmente esperibile.Orbene, per la Corte, è proprio facendo leva sull’indicata sussidiarietà che il rimettente sollevava il proprio dubbio di illegittimità costituzionale in ragione della dedotta manifesta irragionevolezza del diverso trattamento riservato dal legislatore a un fatto, quello di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, che, pur offendendo un medesimo bene, ma in misura inferiore rispetto al delitto di danneggiamento, ha conservato rilevanza penale nonostante l’espunzione dal codice penale, e la trasformazione in illecito civile, pecuniariamente sanzionato, del “vecchio” danneggiamento semplice.Ciò posto, a questo punto della disamina, erano considerate le ragioni per le quali il legislatore ha inteso mantenere, con riguardo alle fattispecie in questione, una risposta sanzionatoria rigorosa, avuto riguardo, come chiarito, all’interesse collettivo a preservare il territorio urbano dal degrado, particolarmente a fronte dell’intensificarsi di fenomeni criminali volti a determinarlo, richiamandosi a tal proposito la nuova figura di reato di deturpamento introdotta dal richiamato d.l. n. 48 del 2025, come convertito, che opera sulla struttura della disposizione dell’art. 639 cod. pen., cui provvede a dare nuovi contenuti, e che esprime la chiara volontà del legislatore di irrigidire il trattamento punitivo di condotte in cui plurimi sono i beni attinti o, prima ancora, l’equiparazione del bene immobile altrui ai «mezzi di trasporto pubblici o privati», operata, come si è riferito, dall’art. 3, comma 3, lettera b), della legge n. 94 del 2009. Ebbene, ad avviso del Giudice delle leggi, tali disposizioni evidenziano una dimensione collettiva del fenomeno penalmente rilevante, nella quale la condotta di deturpamento o imbrattamento non si configura più come una meno grave declinazione del delitto di danneggiamento – in forza della natura comune del bene protetto e del principio di sussidiarietà tra le due fattispecie – ma si pone come lesiva di un nuovo interesse, caratterizzato da una peculiare concezione dell’estetica avente autonoma e distinta rilevanza penale.Nel descritto quadro normativo, pertanto, secondo quanto trapela nella decisione qui in commento, un intervento da parte della Consulta nel senso auspicato dal rimettente – pur nella opinabilità della scelta legislativa concernente la perdurante rilevanza penale delle fattispecie di deturpamento o imbrattamento, a fronte del differente trattamento riconosciuto a talune ipotesi di danneggiamento – comporterebbe la necessità di un complessivo riassetto della disciplina sanzionatoria in materia, come tale precluso in sede di legittimità costituzionale visto che un siffatto intervento sarebbe volto a isolare profili solo patrimoniali all’interno di quella che è ormai una fattispecie unitaria più ampia, comprensiva di una pluralità di beni, con conseguente superamento dei limiti del controllo di legittimità costituzionale (sentenza n. 259 del 2021).Argomentazioni del tutto analoghe, del resto, conducevano sempre il Giudice delle leggi a stimare inammissibile pure l’altra questione sollevata, in via subordinata, relativamente al regime di procedibilità d’ufficio del reato di deturpamento o imbrattamento di cose altrui previsto dall’art. 639, quinto comma, cod. pen..
4. Conclusioni: inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale suesposte
Con la decisione qui in esame, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale suesposte, ossia, come visto prima, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 639 del codice penale «nella parte in cui prevede che per i fatti ivi descritti [deturpamento o imbrattamento di cose altrui] si applichi – anche quando il fatto non è commesso con violenza alla persona o con minaccia, né in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’art. 331 c.p., né ha ad oggetto i beni di cui agli art. 635 co. 2, 635 bis, 635 ter, 635 quater e 635 quinquies c.p. – una sanzione penale anziché la sanzione pecuniaria civile da euro 100 a euro 8.000».Di conseguenza, per effetto di questa decisione, in relazione alla norma incriminatrice di cui all’art. 639 cod. pen.[1] che, come è noto, prevede il delitto di deturpamento e imbrattamento di cose altrui, si continua ad applica tutt’ora la sanzione penale anche quando il fatto non è commesso con violenza alla persona o con minaccia, o in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall’art. 331 c.p., o ancora, qualora i fatti sempre descritti da tale disposizione codicistica abbiano ad oggetto i beni di cui agli art. 635 co. 2, 635 bis, 635 ter, 635 quater e 635 quinquies c.p..Questa è dunque la novità che connota la pronuncia qui in commento.
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