Illegittimo il licenziamento “disciplinare” privo di immediatezza. Nota a Cassazione Civile , Sezione Lavoro n. 13167 del 8 giugno 2009

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E’ illegittimo, per carenza del requisito della immediatezza, il licenziamento per giusta causa intimato dall’azienda decorso un lasso di tempo eccessivo dall’effettivo accertamento dei fatti posti a fondamento del provvedimento datoriale di recesso.
E’ questo il principio statuito a chiare e linee dalla Suprema Corte nella sentenza in epigrafe.
 
I Giudici di Piazza Cavour hanno, sulla scorta del rammentato principio, accolto il ricorso presentato da un direttore di Banca il quale si era visto respingere, dapprima dal Tribunale Civile di Roma e, quindi, dall’adita Corte di Appello, l’impugnativa proposta avverso il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla Banca datrice di lavoro a distanza di oltre tre mesi dall’accertamento dei fatti contestati.
 
La Corte fa, nel caso di specie, corretta interpretazione del dettato normativo di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
 
Per licenziamento disciplinare” si intende quello intimato dal datore di lavoro al lavoratore in conseguenza di fatti attinenti al comportamento individuale del lavoratore.
Il “procedimento disciplinare” è regolato dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.
Il licenziamento rappresenta, quindi, la più grave delle sanzioni disciplinari che il datore di lavoro può comminare a seguito di una condotta colposa o, comunque, inadempiente del lavoratore rispetto agli obblighi di diligenza ed obbedienza sullo stesso gravanti.
Il licenziamento si intende disciplinare allorché sussista un comportamento del lavoratore che possa anche costituire di per sé giustificato motivo soggettivo o giusta causa.
Non occorre, infatti, che la circostanza o il comportamento individuato dal datore di lavoro quale causa del licenziamento sia espressamente previsto dalla contrattazione collettiva ovvero dal regolamento aziendale quale comportamento passibile di sanzioni disciplinari (Cass. 3.4.1998, n. 3449).
E’ sufficiente, in definitiva, che il comportamento del lavoratore sia idoneo, analizzato in relazione alle modalità di attuazione e alle circostanze concrete, a ledere il vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro (ex multis, Cass. 23.12.1997, n. 12986)
 
La norma di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (nel testo risultante a seguito della declaratoria di parziale illegittimità di cui alla sent. n. 204 del 30.11.1982 della Corte Costituzionale e alla stregua dei principi fissati da tale sentenza) impone, ai fini dell’irrogazione del licenziamento disciplinare, l’osservanza di diverse garanzie sostanziali e procedimentali dettate a favore del lavoratore.
 
Prime fra tutte si evidenzia la contestazione disciplinare la quale rappresenta condizione di efficacia del licenziamento successivamente intimato quale sanzione ai comportamenti oggetto di (preventiva) contestazione (Cass. 21.6.1988, n. 4240).
 
Ulteriore, fondamentale, requisito previsto ai fini della regolarità, formale e sostanziale, del licenziamento disciplinare e quello della “immediatezza”.
Tra l’accertamento dei fatti posti dal datore di lavoro a fondamento della contestazione disciplinare e la comunicazione di quest’ultima non deve sussistere un lasso temporale tale da far presumere al lavoratore che sia venuto meno l’interesse del datore di lavoro a porre i fatti in oggetto a fondamento di un successivo provvedimento sanzionatorio (Cass. 21.12.2000, n. 1605).
 
E’ questo il requisito che la Suprema Corte ha ritenuto carente nella fattispecie posta al suo esame.
Nel caso concreto, infatti, l’azienda aveva addotto, a motivo del ritardo nella contestazione disciplinare, la complessità della organizzazione aziendale che aveva, di fatto, reso difficoltoso l’accertamento dei fatti poi contestati nella successiva contestazione.
 
In proposito la Suprema Corte ha, in particolare:
         ribadito, recependo un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, che “… la contestazione deve avvenire in immediata connessione temporale con il fatto disciplinarmente rilevante …”
         evidenziato, comunque, che “… il requisito della immediatezza deve essere interpretato con ragionevole elasticità …”
 
Il parametro della elasticità è stato individuato come elemento di “bilanciamento” del requisito, essenziale, della “immediatezza”.
Non si deve, in sostanza, privare il datore di lavoro del diritto di dover ragionevolmente e compiutamente accertare i fatti o i comportamenti posti in essere dal lavoratore.
La Suprema Corte aveva, in relazione fattispecie assai simile a quella poi analizzata dalla sentenza in oggetto, già precisato che “… Nel licenziamento per giusta causa la necessaria immediatezza della contestazione disciplinare rispetto ai fatti che lo giustificano va intesa in senso relativo e può, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo necessario per l’accertamento e la valutazione di tali fatti, specie quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di atti convergenti in un’unica condotta, ed implichi pertanto una valutazione globale ed unitaria, ovvero quando la complessità dell’organizzazione aziendale e della relativa scala gerarchica comportino la mancanza di un diretto contatto del dipendente con la persona titolare dell’organo abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere, sicché risultano ritardati i tempi di percezione e di accertamento dei fatti. …” (Cass. civ., Sez. lavoro, 22/10/2007, n. 22066 Cass. civ., Sez. lavoro, 6.9.2006, n. 19159)
 
La Suprema Corte aveva, comunque, chiarito che l’elasticità che deve caratterizzare l’interpretazione del requisito della immediatezza non deve legittimare che “… il datore di lavoro possa procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro …” (Cass. civ., Sez. lavoro, 20.6.2006, n. 14115)
 
Il requisito della immediatezza, pur inteso nel senso della obiettiva elasticità, deve, comunque, garantire al lavoratore il concreto esercizio del diritto di difesa e cioè di poter validamente predisporre un efficace impianto difensivo rispetto ai fatti oggetto di contestazione.
Il principio rappresenta una derivazione dottrinaria del principio di buona fede che costituisce, a sua volta, il fondamento della intera procedimentalizzazione prevista dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori nonché dell’art. 2106 c.c. nel prevedere il principio di proporzionalità delle sanzioni disciplinari.
Sussiste, in definitiva, l’esigenza di garantire il rispetto di due opposte posizioni: da un lato, l’interesse datoriale ad accertare la fondatezza dei fatti da porre a fondamento della (successiva) contestazione disciplinare e dall’altro il diritto del lavoratore a raccogliere elementi utili per predisporre una adeguata ed effettiva difesa in relazione agli addebiti.
Essenziale è, inoltre, l’affidamento che il lavoratore abbia nutrito, in ragione del decorso temporale, circa il venir meno dell’interesse datoriale a contestare i fatti avvenuti e, quindi, ad avvalersi della facoltà di irrogazione di una sanzione disciplinare.
La Corte, sul punto, evidenzia che “… tra l’interesse del datore di lavoro di prolungare le indagini senza uno specifico motivo obiettivamente valido e il diritto del lavoratore ad una pronta effettiva difesa, non vi è dubbio che debba prevalere la seconda posizione…”
 
L’assenza del requisito della immediatezza concreta, quindi, la carenza di uno dei requisiti prescritti dalla legge per una validità formale e sostanziale del licenziamento per giusta causa.
Il licenziamento intimato in violazione delle regole procedurali dettate dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori deve intendersi ingiustificato.
 
 
Giuseppe A. D’Onofrio

D’Onofrio Giuseppe A.

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