Illegittimità del credito azionato in via monitoria o esecutiva dalla banca

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È fattispecie assai nota alle aule di giustizia tanto la azione di ripetizione di indebito promossa dal correntista verso la banca, allorché assuma di aver pagato oneri e commissioni non dovute, quanto l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta per i medesimi motivi. In questa sede mette conto trattare solo della seconda fattispecie.

 Il cliente bancario può vedersi notificare un decreto ingiuntivo per un debito che, all’esito delle opportune indagini matematiche e finanziarie, risulta viziato per i seguenti motivi:

 

(i)                  la banca ha illegittimamente applicato gli interessi di mora;

(ii)                è stata fatta applicazione di una formula matematica che il consulente tecnico reputa non corretta, ancorché fatta propria dalle Istruzioni della Banca d’Italia;

(iii)               è stata applicata la commissione di massimo scoperto, ancorché essa non fosse stata prevista nel contratto siglato con il correntista;

(iv)              è stata applicata una capitalizzazione trimestrale per i crediti della banca e annuale per quella dei crediti del cliente, o, comunque, è stato applicato anatocismo difformemente da quanto previsto dalla delibera Cicr 9 febbraio 2000 o in epoca successiva all’art. 1, comma 649, l. n. 147 del 2013 (anche se tale ultimo aspetto è oggi controverso, siccome taluni tribunali hanno messo in discussione la vigenza di tale disposizione);

(v)                la banca non ha prodotto tutti gli estratti conto dalla apertura del rapporto e deve dunque applicarsi la regola giurisprudenziale del saldo zero;

(vi)              il contratto prevedeva la clausola di interessi uso piazza;  

(vii)             la banca ha applicato tassi di usura, anche sopravvenuta.

Tutti questi rilievi portano a un ricalcolo del credito che la banca pretende di vantare nei confronti del correntista e non è infrequente che, all’esito del ricalcolo, le parti si invertano e sia il correntista ad essere creditore.

Questa evenienza costituisce una mancanza del credito, che porta alla revoca del titolo esecutivo sulla cui base medio tempore la banca aveva già intrapreso l’esecuzione.

Si rinvengono, infatti, pronunce che hanno sospeso la provvisoria esecutorietà di un decreto ingiuntivo, perché hanno accertato la sussistenza di gravi motivi che giustificano la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, sulla scorta di quanto emerso dalla perizia di parte allegata dall’opponente, ove si ravvisano violazioni delle norme in materia di anatocismo e usura (Trib. Modena, 14 aprile 2015; Trib. Rovigo, 1/22 aprile 2015).

L’esecutorietà del decreto di ingiunzione, poi, è stata sospesa anche in casi in cui risultava in atti che il tasso di interesse applicato dalla banca per gli utilizzi del conto extra-fido era superiore al tasso soglia (Trib. Rimini, 27 giugno 2015) o laddove, a fronte delle censure mosse dall’ingiunto in merito alla validità di alcune clausole contrattuali, la banca ha omesso di produrre in giudizio il relativo contratto (Trib. Roma, 3 dicembre 2014).

Ancora, l’immediata esecutività è stata sospesa in un caso in cui l’opponente chiese la modifica della formulazione del quesito da porre al CTU e la sua integrazione di esso con la esclusione di tutti gli anticipi provenienti a qualunque titolo dal conto anticipi, ciò che, secondo l’opponente, rendeva illiquido il credito della banca e, in quanto tale, non meritorio della provvisoria esecuzione (Trib. Sassari, 12 novembre 2014).

Dette censure possono essere esperite in sede di opposizione a decreto ingiuntivo anche per l’usura rilevata nel calcolo degli interessi nel contratto di leasing (Trib. Bergamo, 22 gennaio 2015) o per la omessa indicazione del TAEG nel contratto di leasing (Trib. Treviso, 27 maggio 2015).

Ancora, la giurisprudenza di merito ha accolto l’opposizione a precetto applicando la sanzione dell’art. 1815, comma 2, c.c., in un caso in cui le clausole del contratto che prevedevano gli interessi corrispettivi e moratori erano nulle per contrasto con le norme di legge che vietano le pattuizioni usurarie. La sentenza si diffonde sulla questione inerente la rilevanza, o meno, degli interessi di mora al fine del calcolo dell’eventuale superamento del tasso soglia, fornendo risposta positiva, in motivato dissenso con quella parte della giurisprudenza che ritiene gli interessi di mora non soggetti alla soglia derivante dall’aumento del tasso globale medio previsto per gli interessi corrispettivi (Trib. Rovereto, 30 giugno 2015).

Altre corti territoriali hanno sospeso la esecuzione immobiliare per usurarietà delle clausole del mutuo, con conseguente assenza di inadempimento del mutuatario e inesistenza originaria di un valido titolo esecutivo (Trib. Padova, 13 maggio 2014).

In altri casi il giudice ha ritenuto di sospendere la procedura esecutiva ai sensi dell’art. 624 c.p.c., a seguito della opposizione all’esecuzione dispiegata dal debitore ai sensi dell’art. 615 c.p.c., con la quale quest’ultimo ha lamentato la usurarietà del credito da mutuo azionato esecutivamente dalla banca procedente (Trib. Alessandria, 25 febbraio 2015).

Altre volte la procedura esecutiva è stata sospesa ai sensi dell’articolo 20, l. 23 febbraio 1999, n. 44, a protezione delle vittime di usura, dietro istanza di persona figurante come parte offesa in un procedimento penale per usura, ossia ancora in stato di indagini preliminari (Trib. Patti, 11 marzo 2015; Procura della Repubblica di Potenza, 25 febbraio 2015) o, laddove la Procura della Repubblica non aveva ancora espresso il proprio parere favorevole, l’esecuzione è stata sospesa dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624 c.p.c. (Trib. Varese, 20 aprile 2015).

L’esecuzione è stata altresì sospesa in un caso in cui vi era contrasto tra le parti circa la individuazione dei criteri di calcolo del capitale su cui calcolare gli interessi dovuti dal debitore bancario.

La pronuncia in discorso si apprezza perché sventa un possibile equivoco in cui cade la opinione tradizionale (Messineo; Torrente, Schlesinger) che parla di anatocismo come passaggio di interessi a capitale: in quella sede, il giudice ha precisato che, per quanto gli interessi possano produrre ulteriori interessi, ciò non toglie che essi restino tali, ossia interessi, e debbano essere considerati come costo del credito ai fini del calcolo volto ad appurare l’eventuale superamento del tasso soglia.

Il rischio di ritenere sovrapponibili anatocismo e capitalizzazione è quello di concludere erroneamente che, se gli interessi passano a capitale e cessano di produrre interessi, essi diventano capitale e, per tale ragione, non devono essere computati come costo del credito ai fini della normativa antiusura. Si segnala, a questo proposito, la preferibilità della definizione di anatocismo offerta da parte della dottrina (Galgano; Trabucchi), che parla non di passaggio di interessi a capitale, ma di interessi composti, ossia di interessi che producono ulteriori interessi.

A questo proposito, ricordo anche che in dottrina vi è stato un contributo (Di Pietropaolo) che ha analizzato anatocismo e capitalizzazione per concludere che essi non sono concetti sovrapponibili e che vi può essere anatocismo senza che vi sia capitalizzazione.

Né mancano, in contrario, sentenze che hanno rigettato l’istanza di sospensione dell’esecuzione avanzata dal correntista, perché generica e non corredata dalla dimostrazione degli addebiti mossi alla banca; analoga censura è altresì rivolta alla perizia di parte. Frequente è la proposizione, da parte del correntista, della doglianza per cui il debitore non avrebbe ricevuto la notifica del titolo esecutivo unitamente all’atto di precetto. Trattasi di censura palesemente infondata, perché omette di considerare il disposto dell’art. 41, d.lgs. n. 385 del 1993, a mente del quale nel procedimento di esecuzione fondiaria è escluso l’obbligo della notifica del titolo esecutivo contrattuale (Trib. Napoli, 4 giugno 2014).

Avv. Agnese Andrea

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