Il visto di regolarità nell’ Ancien Régime Alle origini della Corte dei conti

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          Gli artt. 100 e 103 della Costituzione assegnano alla Corte dei conti funzioni di controllo e giurisdizionali, relativamente al controllo la legge n. 20/94 ha ridotto fortemente gli atti soggetti al visto preventivo di legittimità circoscrivendoli sostanzialmente in poche tipologie di alta amministrazione e di rilevante incidenza sul bilancio (art. 3 ).
         Si è molto scritto al riguardo ma non vi è una analisi storica delle origini del visto di regolarità che, precedente alla riforma cavouriana dello Stato piemontese, affonda le sue radici e motivazioni sugli equilibri dell’ Ancien Régime.
         Vi sono dei motivi di continuità nel complesso di fatti che incarnano i valori, espressione di una pratique du systéme operante attraverso gruppi, istituzioni e “corpi intermedi”.
         Già la presenza di apparati giudiziali propri di una magistratura parlamentare fin dagli anni trenta del XVIII secolo era vista come l’unico modo per impedire la degenerazione dell’assolutismo monarchico in tirannide.
         Dobbiamo considerare che l’appoggio fornito al re da un corpo di giuristi professionisti che traevano sostanza dalle strutture amministrative (Corpo dello Stato), permise a questo di prevalere sui poteri feudali ed ecclesiastici tra il XV e il XVII secolo, occorreva tuttavia, con il trionfo della monarchia assoluta del Re Sole (Luigi XIV), porre dei limiti al monopolio del potere politico.
         Il problema appare di difficile soluzione in quanto trattasi di una contraddizione in termini dovendo il corpo dei giuristi, tecnici che hanno dato continuità alle istituzioni statali, fornendo le basi per la dottrina della potestas absoluta del re, limitarne tuttavia le prerogative. 
         La soluzione avviene gerarchizzando le norme, concetto ripreso dai successivi costituzionalisti, e rifacendosi a un presunto diritto naturale ( arcana juris) nonché all’ordinamento giuridico positivo consolidato.
         Tuttavia queste leggi fondamentali a cui si alludeva non possedevano la garanzia essenziale della sanzione positiva propria del costituzionalismo moderno, circostanza che avrebbe comunque posto una contraddizione al potere sovrano assoluto.
         La soluzione avvenne attraverso la pratica del sistema, ossia attraverso corti di giustizia le quali attribuendosi ampi poteri interpretativi intervenivano sull’attività legislativa e l’applicazione delle norme vigenti.
         Non potendo le magistrature parlamentari, in particolare quella di Parigi, come magistrature supreme colpire la fonte stessa del loro potere, il re, basato sulla nozione di giustizia delegata, si applicò l’unica sanzione politica non delegittimante costituita dall’ostruzionismo parlamentare posto in atto durante il procedimento di registrazione degli atti legali provenienti dalla Corona.
         Si aveva perciò il rifiuto della registrazione degli atti, nonché il rallentamento del normale iter procedimentale, poteva perciò accadere che il re ponesse una “questione di fiducia” sulla registrazione di un provvedimento e se non si giungeva ad un accordo il tutto poteva sfociare in una crisi con esili e riforme istituzionali, vi era pertanto una logica del compromesso nei rapporti tra l’apparato del re e quello dei “corpi intermedi”, di cui il Parlamento ne era prima espressione.
         La monarchia, pertanto, sebbene definita assoluta di fatto era obbligata ad una serie di mediazioni sociali e istituzionali.
La presenza di questi apparati giudiziali è la premessa delle riflessioni di Montesquieu nell’ “Esprit des lois” ei corpi intermedi diventano una componente essenziale della costituzione monarchica, canali intermedi attraverso cui si trasmette il potere delle leggi fondamentali su cui si regge un governo e quindi garanzia delle libertà nel non perdersi la monarchia nel dispotismo, ossia nel governo senza leggi né regole, ma proprio per questo continua fonte di scambi che possono degenerare nel traffico di cariche e favori se non portato nella collegialità più ampia possibile quale primordiale concetto di trasparenza.
 
 
Bibliografia
 
·        Montesquieu, Lo spirito delle leggi, traduz. italiana di S. Cotta, Torino 1952;
 
·        P. Rossi, Gli illuministi francesi, Torino 1962;
 
·        F. Venturi, Le origini dell’enciclopedia, Firenze 1946;
 
·        F. Venturi, Settecento riformatore, Torino 1969.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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