di Martina Mazzei
Sommario
Il trust internazionale: la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1989
Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sull’ammissibilità del c.d. trust interno
L’art. 2645 ter c.c.
L’azione revocatoria e il litisconsorzio necessario: la posizione della giurisprudenza di merito
Il trust[1] è un istituto, di matrice anglosassone, in forza del quale un soggetto disponente (settlor) trasferisce uno o più beni ad un soggetto fiduciario (trustee) che si obbliga a gestirli nell’interesse di un terzo (beneficiary) o per il conseguimento di uno scopo determinato e ulteriore specificatamente espresso.
Le figure del disponente e del trustee possono talvolta coincidere ed, in questo caso, si configura una separazione patrimoniale all’interno dello stesso patrimonio del settlor fra i beni oggetto del trust e tutti gli altri beni.
Oltre al settlor, al trustee e al beneficiary il trust può prevedere anche la presenza di un protector ossia di un soggetto che ha l’obbligo di controllare che il trustee gestisca i beni nell’interesse del beneficiario.
Il trust internazionale è disciplinato dalla Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985[2] – recepita nel nostro ordinamento con la legge n. 364 del 16 ottobre 1989[3] – la quale stabilisce la nozione di trust, nonché i presupposti necessari (e quelli eventuali) per la sua costituzione ed i relativi effetti giuridici.
La Convenzione definisce il trust un negozio unilaterale[4] – che può essere costituito sia per atto tra vivi che mortis causa – che non necessita di accettazione e che, a norma dell’art. 6, può essere regolato secondo la legge scelta dal settlor.
Nell’ottica di dare prevalenza all’elemento volontaristico vige, infatti, il principio della libera scelta della legge regolatrice da parte del disponente. Tuttavia tale libertà di scelta non è assoluta in quanto l’art. 6 della Convenzione è accompagnato da numerose disposizioni che, prevedendo alcune restrizioni, limitano p>settlor.
La Convenzione stabilisce, anzitutto, che la legge scelta dal costituente deve appartenere ad un ordinamento che conosca l’istituto del trust.
In base all’art. 7, inoltre, qualora non sia stata scelta alcuna legge, il trust sarà regolato dalla legge con la quale presenta più stretti legami sulla base di quattro criteri:[5] il luogo di amministrazione del trust designato dal costituente; il luogo in cui si trovano i beni che compongono il trust fund; la residenza o domicilio del trustee e il luogo dove dovrà essere realizzato l’obiettivo del trust.
Ulteriori restrizioni alla libertà di scelta della legge regolatrice sono costituite dall’insieme delle norme (contenute negli artt. 15-21) volte a prevenire la possibilità che la Convenzione possa essere utilizzata quale strumento per eludere le norme imperative o i principi di ordine pubblico.
L’istituto del trust, a norma dell’art. 11 della Convenzione dell’Aja, dà luogo ad un fenomeno di segregazione e destinazione patrimoniale in quanto i beni oggetto dello stesso, pur entrando a far parte del patrimonio del trustee, costituiscono una massa autonoma e separata non confondendosi con gli altri beni del patrimonio personale del fiduciario.
Tale fenomeno ricorre nei casi in cui la legge consente ai privati di separare determinati beni dalla propria sfera giuridica – pur senza privarsi della titolarità formale degli stessi – imprimendo ai medesimi un vincolo di destinazione per effetto del quale detti beni non possono essere distratti dallo scopo per il quale sono destinati.
Nel trust, infatti, il settlor trasferisce uno o più beni al trustee che si impegna ad amministrarli ed a disporne a favore del beneficiario secondo le modalità previste dall’atto costitutivo e nei limiti imposti dalla legge.
La separazione patrimoniale è la peculiarità irrinunciabile del trust ed è funzionale ad evitare che i beni che ne costituiscono oggetto possano essere aggrediti dai creditori personali del trustee e del settlor.
Il patrimonio separato e destinato diviene, infatti, insensibile alle vicende personali del soggetto a cui formalmente appartiene, in quanto i beni vincolati sono sottratti alla garanzia patrimoniale generica che incombe sull’intestatario degli stessi, la logica conseguenza che ne discende è che il patrimonio separato può essere aggredito solo dai creditori del trust.
[1] Sull’istituto trust internazionale e, in particolare, sul trust di common law cfr. S. M. CARBONE, La disciplina regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella convenzione dell’Aja del 1985, in TAF, 2000, 145; G. C. CHESHIRE, Il concetto di “Trust” secondo la common law inglese, Torino, 1998; R. FRANCESCHELLI, Il trust nel diritto inglese, Padova, 1935; A. GALLARATI, La galassia del trust in common law una questione di (ottimale) path dependence, in Riv. dir. civ., 2008, suppl., 173; A. GAMBARO, voce Trust, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIX, Torino 1999, 449; M. GRAZIADEI, voce Trusts nel diritto anglo-americano, in Dig. disc. priv., sez. comm., XVI, Torino, 1999, 257; M. LUPOI, Appunti sulla real property e sul trust nel diritto inglese, Milano, 1971; M. LUPOI, Trusts II) Convenzione dell’Aja e diritto italiano, in Enc. giur., XXXI, 1995, 1; M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001; M. LUPOI, Riflessioni comparatistiche sui trusts, in Eur. dir. priv., 1998, 427; R. SICLARI, Il trust nella Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985: un nuovo modello negoziale, in Rass. dir. civ., I, 2000, 87; M. FRATINI, Le garanzie reali e personali, Milano, 2010, 467.
[2] Per un’analisi della Convenzione v. A. GIARDINA, p>, A. GAMBARO – A. GIARDINA – G. PONZANELLI (a cura di), Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le nuove leggi civ. comm., 1993, vol. II, 1211; C. MASI, La Convenzione dell’Aja in materia di trusts, in G. VETTORI (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, Padova, 1999; S. BUTTÀ, Effetti diretti della Convenzione dell’Aja nell’ordinamento italiano, in TAF, 2000, 551; S. M. CARBONE, La disciplina regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella convenzione dell’Aja del 1985, in TAF, 2000, 145; M. LUPOI, Trusts II) Convenzione dell’Aja e diritto italiano, in Enc. giur., XXXI, 1995, 1; R. SICLARI, Il trust nella Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985: un nuovo modello negoziale, in Rass. dir. civ., I, 2000, 87.
Il testo della Convenzione tradotto in italiano dall’Associazione “Il trust in Italia” è reperibile all’indirizzo http://www.il-trust-in-italia.it/aja/.
[3] La legge di ratifica del 16 ottobre 1989 n. 364 è consultabile sul sito dell’Associazione “Il trust in Italia” https://www.il-trust-in-italia.it/document.php?docx=109,2778t7Mt884NMh9SAu96HGSV.
[4] In particolare l’art. 2 della Convenzione stabilisce che “Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.
Il trust è caratterizzato dai seguenti elementi:
a. I beni in trust costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;
b. I beni in trust sono intestati al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee;
c. Il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee.
Il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust“.
[5] Secondo A. SARAVALLE, Commento all’art. 7, in A. GAMBARO – A. GIARDINA – G. PONZANELLI (a cura di), Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le nuove leggi civ. comm., 1993, vol. II, 1252 ss; l’elencazione dei criteri non sarebbe tassativa, sicché al giudice non è preclusa la possibilità di fare riferimento ad ulteriori criteri di collegamento.
Si è a lungo discusso circa la possibilità di riconoscere nel nostro ordinamento la figura del c.d. trust interno.
Un primo orientamento dottrinale[6] e giurisprudenziale[7], sulla base di una serie di argomentazioni, ritiene che non sia possibile riconoscere un trust privo di elementi di internazionalità. Secondo questa ricostruzione la Convenzione dell’Aja offre una copertura legislativa solo al trust c.d. internazionale e giammai al trust interno.
Le ragioni dell’inammissibilità del trust interno risiedono, principalmente, nell’effetto di segregazione patrimoniale che si realizza per mezzo del trust, suscettibile di porsi in contrasto con il principio dell’unitarietà della responsabilità patrimoniale consacrato nell’art. 2740 c.c.
La Convenzione dell’Aja – considerata dal suddetto orientamento esclusivamente come norma di diritto internazionale privato – non sarebbe idonea a introdurre una nuova ipotesi di patrimonio separato rispetto a quelle previste dall’ordinamento nazionale e, quindi, sarebbe insuscettibile di derogare al divieto di cui all’art. 2740 co. 2 c.c., considerato di natura imperativa.
Di conseguenza il contrasto fra la separazione patrimoniale cui dà luogo l’istituto del trust e l’art. 2740 c.c. condurrebbe alla nullità del trust interno[8].
In secondo luogo, secondo questo orientamento restrittivo, ammettere la possibilità di un trust interno implicherebbe la violazione del principio della tipicità dei diritti reali: dal momento che la proprietà del trustee è strumentale e temporanea – finalizzata a soddisfare i bisogni del beneficiario – il trust configura un diritto reale non previsto, atipico e non riconducibile al diritto di proprietà che, nel nostro ordinamento, per definizione è perpetua.
Da ultimo, verrebbe violato anche il principio di tassatività degli atti soggetti a trascrizione consacrato, nel nostro ordinamento, all’art. 2643 c.c.
L’art. 12 della Convenzione dell’Aja disciplina, infatti, la trascrivilità del trust prevedendo che “il trustee che desidera registrare beni mobili o immobili o i titoli relativi a tali beni, sarà abilitato a richiedere l’iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che ciò sia vietato dalla legge dello Stato nella quale la registrazione deve aver luogo ovvero incompatibile con essa”.
L’orientamento più restrittivo della dottrina ritiene che la portata di tale disposizione convenzionale non sarebbe quella di consentire la trasrivibilità del trust nell’ordinamento italiano bensì proprio quella di negarla.[9]
Il sistema della trascrizione previsto nel nostro ordinamento, improntato a rigidi criteri di tipicità, è, infatti, incompatibile con la possibilità di dare pubblicità al diritto del trustee in quanto, in base al combinato disposto degli artt. 2643 e 2645 c.c., non è consentito trascrivere atti che producano effetti diversi da quelli tipici.
Se, infatti, è vero che gli artt. 2643 e 2645 c.c. consentono anche la trascrizione di atti non esplicitamente menzionati nell’elenco di cui all’art. 2643 c.c., tale facoltà sarebbe in ogni caso riservata esclusivamente agli atti che producono i medesimi effetti di quelli ivi indicati in quanto – se pur si volesse ritenere che non sussista tipicità degli atti trascrivibili – si deve, tuttavia, ritenere che vi sia tipicità degli effetti della trascrizione ex art. 2643 c.c.[10]
Di conseguenza, in assenza di un’apposita norma che ampli le fattispecie tipiche non sarebbe possibile trascrivere il trust interno nei pubblici registri.
L’orientamento prevalente[11], invece, sostiene che il trust, a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja ad opera della L. 364/1989, trovi piena cittadinanza nel sistema giuridico italiano e, quindi, sia configurabile un trust c.d. interno.
A sostegno dell’ammissibilità di tale istituto si adducono una serie di argomentazioni volte a demolire quelle sostenute dal contrapposto orientamento.
Anzitutto non sarebbe violato l’art. 2740 c.c. in quanto la sua deroga è giustificata proprio dalla legge di ratifica della Convenzione dell’Aja che ha riconosciuto il trust anche nell’ordinamento italiano. Infatti, se l’ordinamento riconosce il trust internazionale è evidente che non riconoscendo l’esistenza del trust interno si determinerebbe una violazione del principio di uguaglianza a causa dell’evidente disparità di trattamento fra i due istituti.
La dottrina, infatti, rinviene nell’art. 11 della Convenzione la norma idonea a conferire una copertura legale a questa nuova ipotesi di separazione patrimoniale. L’obiettivo della Convenzione dell’Aja, infatti, non è solo quello di dettare dei criteri uniformi per individuare la legge applicabile ad un trust che presenti elementi di estraneità rispetto alla legge dello Stato che lo disciplina, bensì quello di permettere che tali criteri possano produrre un effetto sostanziale nei c.d. ordinamenti non trust.
Secondo questa prospettiva, dunque, l’art. 11 della Convenzione, disciplinando gli effetti del trust, assume carattere sostanziale.
È stato rilevato, infatti, che la separazione patrimoniale è un effetto connaturale al riconoscimento del trust che, al pari delle altre ipotesi nominate di separazione patrimoniale, non può considerarsi in contrasto con i valori dell’ordinamento italiano.[12]
Secondo l’orientamento prevalente, inoltre, non si pone un problema di tipicità dei diritti reali perché il trust rappresenta un diritto reale che, sebbene atipico, è previsto dalla legge.
A maggior sostegno di tale statuizione, la dottrina sottolinea l’importanza dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja ai sensi del quale nessuno Stato è tenuto al riconoscimento del trust ben potendo introdurre delle norme volte ad escluderne l’ammissione.
Ed allora fino a quando il legislatore nazionale non introdurrà una norma che espressamente esclude il trust interno si deve necessariamente ritenere che esso sia ammissibile in base alla Convenzione ratificata.
Per quanto riguarda, invece, la trascrizione – a differenza di quanto sostenuto dall’orientamento più restrittivo – la dottrina dominante[13] ritiene che la possibilità di trascrivere il trust nei registri immobiliari si basi sull’art. 12 della Convenzione che, in forza della legge di attuazione (l. n. 364 del 1989), amplierebbe l’elenco degli atti trascrivibili ex art. 2643 c.c.
La Convenzione, infatti, oltre a contenere norme di diritto internazionale privato, conterrebbe anche alcune norme sostanziali uniformi, tra le quali proprio l’art. 12 che, per tale ragione, introduce, negli ordinamenti che non conoscono il trust, una nuova fattispecie trascrivibile permettendone l’operatività.
In tal senso è stato osservato come l’art. 12 della Convenzione è essenzialmente destinato ai paesi di civil law, “nei quali è quasi sempre necessario specificare che le caratteristiche intrinseche alla proprietà del trustee debbono essere oggetto di manifestazione pubblicitaria per potersi affermare con sicura efficacia”.[14]
Tale rilievo, in effetti, sembra trovare conferma anche nella relazione esplicativa della Convenzione dalla quale emerge che l’art. 12 è stato introdotto per risolvere alcuni problemi pratici che si sarebbero potuti verificare negli Stati che non conoscono il trust: la difficoltà cui si fa riferimento è, appunto, legata alla necessità di riportare il più fedelmente possibile nei pubblici registri le peculiarità del trust.[15]
Questa impostazione dottrinaria è stata condivisa dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito.[16]
In numerose pronunce si legge che qualora si negasse la possibilità di trascrivere l’atto costitutivo del trust non sarebbe possibile rendere opponibile ai terzi il carattere fiduciario del trasferimento con la conseguenza di vanificare le finalità del trust stesso.
Inoltre, il principio di tassatività degli atti soggetti a trascrizione deve essere inteso in senso elastico con riferimento agli effetti che lo stesso produce: nella specie l’effetto del trust è identico a quello prodotto dagli altri atti di cui all’art 2643 c.c. – ossia quello di un trasferimento della proprietà con condizioni e vincoli – tale per cui l’istituto del trust è necessariamente trascrivibile. E, se pure non si volesse prendere in considerazione tale assunto, il trust sarebbe comunque trascrivibile in base all’art 2645 c.c. il quale permette la trascrizione di altri atti soggetti a trascrizione.
Da ultimo, inoltre, con l’approvazione della l. 22 giugno 2016 n. 112 (legge c.d. «sul Dopo di noi»),[17] – la quale ha annoverato il trust fra i rapporti giuridici cui si può fare ricorso per realizzare progetti di vita in favore di disabili gravi privi dell’aiuto della famiglia – parte della dottrina ha ritenuto che il legislatore abbia pienamente e definitivamente riconosciuto l’istituto del trust interno.
[6] In dottrina v. F. GAZZONI, Tentativo impossibile (osservazioni di un “giurista non vivente” su trust e trascrizione), in Riv. Not., 2011; F. GAZZONI, Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, 2002; F. GAZZONI, In Italia tutto è permesso anche quello che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e sulle altre bagatelle), in Riv. Not., 2001, 1247; V. MARICONDA, Contrastanti decisioni sul trust interno, ma sono nettamente prevalenti gli argomenti contro l’ammissibilità, nota a decreto Trib. Parma 21 ottobre 2003, in Corr. Giur., 2004, 76 ss; C. CASTRONOVO, Trust e diritto civile italiano, in Vita Not., 1998, III, 1323; C. CASTRONOVO, Il Trust e ‘sostiene Lupoi’, in Eur. dir. priv., 1998, 32; A. GAMBARO, Problemi in materia di riconoscimento degli effetti del trust nei paesi di civil law, in Riv. dir. civ., I, 1984, 93; A. GAMBARO, Il «Trust» in Italia e Francia, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco, I, Milano, 1994, 494; L. GATT, Dal trust al trust. Storia di una chimera, Napoli, 2009; L. GATT, Il trust c.d. interno: una questione ancora aperta, in Riv. Not., 2011, 280; L. GATT, La nullità della clausola di rinvio alla legge straniera nei trust interni, in NGCC, II, 2013, 622; L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, Padova, 2001; A. GAMBARO, p>, in Riv. dir. civ., 2002, II, 257; F. GALLUZZO, Il «trust» internazionale ed il «trust» interno: compatibilità con l’ordinamento giuridico italiano, in Corriere giur., 2003, 264; P. SCHLESINGER, Il «trust» nell’ordinamento giuridico italiano, in Quaderni del notariato, 2002, fasc. 7.
[7] Parte della giurisprudenza di merito pur ammettendo la piena operatività del trust in Italia, non riconosce il trust interno cfr. Trib. Belluno, decr., 25 settembre 2002 il quale ha affermato che “posto che la convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985 regola conflitti di legge e non ha assunto il carattere di convenzione di diritto sostanziale uniforme, il trust è riconosciuto nel nostro ordinamento nei limiti dettati dall’art. 13 della stessa e cioè solo quando si tratta di un trust costituito in uno Stato che conosca e disciplini il tipo di trust in questione; ne consegue che il c.d. trust interno non trova riconoscimento in Italia e, per tale ragione, non può essere fatto oggetto di pubblicità” e Trib. Santa Maria Capua Vetere, decr. 14 luglio 1999, Foro it., Rep. 2000, voce Impresa, n. 43, e, per esteso, Riv. dir. impresa, 2000, 117, con nota di F. PASCUCCI.
[8] In tal senso F. GAZZONI, In Italia tutto è permesso, anche quel che è vitato (Lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e su altre bagatelle), in Riv. Not, 2001, 1247 ss. secondo il quale “Il vero ostacolo è dunque l’art. 2740 c.c., secondo cui le limitazioni della responsabilità patrimoniale del debitore, nel senso dell’aggredibilità del suo patrimonio, sono fissate dalla legge (e non dunque dall’autonomia privata, che in questa materia ha un ben ristretto campo di azione, sul piano, peraltro, puramente obbligatorio, cioè inter partes)”; cfr. anche C. CASTRONOVO, Il Trust e “sostiene Lupoi”, in Eur. dir. priv., 1998; C. CASTRONOVO, Trust e diritto civile italiano, in Vita Not.,1998, III, 1329 il quale tuttavia ritiene che il contrasto fra la separazione patrimoniale cui dà luogo il trust e l’art. 2740 c.c. debba essere risolto in termini di inefficacia dell’atto piuttosto che in termini di invalidità.
[9] In tal senso si esprime F. GAZZONI, Tentativo impossibile (osservazioni di un “giurista non vivente” su trust e trascrizione), in Riv. Not., 2011, 12 ss.
[10] Cfr. F. GAZZONI, Tentativo impossibile (osservazioni di un “giurista non vivente” su trust e trascrizione), in Riv. Not., 2011, 17 ss sostiene che “il richiamo a quest’ultima norma (l’art. 2645 c.c) è peraltro del tutto inconferente e risponde all’errata idea che essa abbia il compito di legittimare la trascrizione quando l’effetto dell’atto sia analogo o simile ad uno di quelli previsti dall’art. 2643 c.c. e non già identico, come viceversa deve essere, dovendosi adottare, per quanto già detto, una nozione di effetto giuridico in senso formale e tipico. L’art. 2645 c.c., infatti, ha il solo (ma importante) scopo di ampliare l’area degli atti soggetti a trascrizione sul piano non già dei loro effetti, ma della loro natura e struttura e dunque non i soli contratti e le sole sentenze, ma anche i negozi unilaterali e gli atti amministrativi, produttivi degli stessi effetti di cui all’art. 2643 c.c. Per quanto riguarda l’art. 2643 n. 1 c.c., poi, è evidente che la proprietà del trustee nulla ha a che vedere con quella che acquista un acquirente nella compravendita o un donatario nella donazione o anche il fiduciario, atteso che, come è ben noto, i limiti derivanti dal pactum fiduciae non hanno rilevanza esterna e, risolvendosi in obblighi, legittimano, in caso di inadempimento, il solo risarcimento del danno. Il fiduciante dunque, sul piano della opponibilità, può solo sperare di trascrivere tempestivamente la domanda ex art. 2652 n. 2 c.c. in virtù del diritto di credito al ritrasferimento che egli vanta, per prevalere sugli aventi causa dal fiduciario infedele o che, inadempiente nei confronti di terzi, rischi di subire un pignoramento immobiliare”.
[11] In dottrina v. F. DI CIOMMO, La convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985 ed il c.d. «trust» interno, in Temi romana, 1999, 779; A. BRAUN, «Trusts» interni, in Riv. dir. civ., 2000, II, 578; M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001; M. LUPOI, Trusts in diritto civile, in Vita Not., 2003, 605; G. PALERMO, Sulla riconducibilità del «trust» interno alle categorie civilistiche, in Riv. dir. comm., 2000, I, 133; F. DI CIOMMO, Struttura causale del negozio di «trust» ed ammissibilità del «trust» interno, in Trusts, 2003, 178; R. SICLARI, Il «trusts» interno tra vecchie questioni e nuove prospettive: il «trust» «statico», in Vita Not., 2002, 727; M. LUPOI, I «trusts» interni al vaglio giurisdizionale in occasione della trascrizione di un «trust» auto-dichiarato, in Notariato, 2002, 383; M. LUPOI, Lettera ad un notaio conoscitore dei trust, in Riv. Not., 2001, 1164; M LUPOI, La sfida dei trusts in Italia, in Corr. giur., 1995, Vol. 2, 1209; L. SANTORO, Il Trust in Italia, Milano, 2009.
[12] Sul carattere sostanziale dell’art. 11 si esprimono G. ROJAS ELGUETA, Autonomia privata e responsabilità patrimoniale del debitore, Milano, 2012, p. 119 ss; GAMBARO, Il «Trust» in Italia e Francia, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco, I, Milano, 1994, 1215 ss.; A. GAMBARO, Trust e trascrizione, in TAF, 2002, 464 ss.; A. GAMBARO, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, I, 263; A. GALLARATI, La galassia del trust in common law una questione di (ottimale) path dependence, in Riv. dir. civ., 2008, suppl., 173; A. GALLARATI, Il trust come organizzazione complessa, Milano, 2010; A. GALLARATI, Fiducie v trust. Spunti per una riflessione sull’adozione di modelli fiduciari in diritto italiano, in TAF, 2010, 238; A. GALLARATI, La Pubblicità del diritto del trustee, Torino, 2012.; R. SICLARI, Il trust nella Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985: un nuovo modello negoziale, in Rass. dir. civ., I, 2000, 107 ss.
Secondo alcuni, tuttavia, le regole del terzo paragrafo dell’art. 11 della Convenzione non sarebbero norme di diritto materiale uniforme giacché trovano applicazione nella misura in cui siano previste dalla legge determinata ai sensi della Convenzione. In tal senso LUPOI, Trust, Milano, 2001, 529. Infatti, anche qualora si ritenga che la Convenzione si ponga esclusivamente quale norma di diritto privato internazionale, sembra corretto ritenere che il trust, nell’ottica di una tipizzazione della separazione patrimoniale, riceva una copertura legale dalla legge straniera, in virtù del rinvio operato dalla Convenzione stessa. È chiaro, infatti, che ai fini dell’applicazione della Convenzione, qualora si ravvisasse nell’art. 2740 c.c. una norma imperativa o di applicazione necessaria, si finirebbe per negare la funzione primaria di quest’ultima, ossia permettere ai trusts di common law, che presentino profili di internazionalità, di produrre effetti negli ordinamenti in cui tale istituto è sconosciuto.
[13] In tal senso cfr. A. GAMBARO, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, I, 260 ss; A. GAMBARO, Trust e trascrizione, in TAF, 2002, 346 ss.; S. BARTOLI, Trust, Milano, 2001, 582 ss.; L. BATTISTELLA, Pubblicità: registri mobiliari, immobiliari e sistema tavolare in M. G. MONEGAT – G. LEPORE – I. VALAS (a cura di), Trusts, aspetti sostanziali e applicazione nel diritto di famiglia e delle persone, Torino, 2007, 131 s.; P. PICCOLI, Possibilità operative del trust nell’ordinamento italiano. L’ operatività del trustee dopo la convenzione dell’Aja, in Riv. Not., 1995, 62; S. BUTTÀ, Effetti diretti della Convenzione dell’Aja nell’ordinamento italiano, in TAF, 2000, 551 ss.; M.L. CENNI, Trascrizione di atti attributivi di beni immobili al trustee, in TAF, 2002, 361 ss.
[14] Così A. GAMBARO, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, I, 260.
[15] Sul punto cfr. A. GAMBARO, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, I, 260; M. C. PAGNI, Commento all’art. 12, in GAMBARO – GIARDINA – PONZANELLI (a cura di), Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Le nuove leggi civ. comm., II, 1993, p. 1274 ss. Dalla relazione emerge, altresì, che la precisazione finale per cui la trascrizione della qualità del trustee è ammessa salvo che la legge del luogo ove deve avvenire la trascrizione non lo vieti è stato inserito quale clausola di salvaguardia. Si legge che “this restriction might possibly have been included in article 15; however, it was preferred to insert it directly in this special provision. In addition, the escaspe clauses of articles 13,15 and 16 may also limit the scope of article 12”.
[16] In tal senso Trib. Reggio Emilia, 14 maggio 2007; Trib. Bologna, decreto 18 aprile 2000, in TAF, 2000, 373 s. con nota di A. TONELLI, ove il giudice di merito rileva che “ove fossero individuati elementi ostativi verrebbe a cadere qualsiasi effetto al riconoscimento che lo Stato italiano ha operato dell’istituto del trust con la sottoscrizione e successiva ratifica della Convenzione dell’Aja sopra richiamata atteso che, il trust non potrebbe trovare alcuna applicazione ed in particolare: i beni non potrebbero essere intestati al trustee, con quanto ne consegue in ordine ai poteri di autonoma gestione e disposizione dei beni oltreché di legittimazione attiva e passiva in giudizio, ma soprattutto non potrebbe trovare attuazione poiché inapplicabile ai terzi l’effetto della separazione dei beni in trust da quelli personali del trustee”.
In senso conforme v.: Trib. Chieti, ordinanza del 10 marzo 2000, in TAF, 2000, 372 ss.; Trib. Pisa, sentenza del 22 dicembre 2001, in TAF, 2002, 241 ss.; per ulteriori riferimenti cfr. anche A. BRAUN, Trust interni, Riv. dir. civ., 2000, II, p. 591.
[17] L. GATT, La destinazione patrimoniale di fonte negoziale tra restrizioni interpretative e limitazioni legislative, in Foro it. anno 2016, parte V, col. 338, sostiene, invece, che “il dibattito sull’ammissibilità del trust in Italia e, più in generale, sull’operatività della destinazione patrimoniale di fonte negoziale, in tutte le sue forme possibili, imperversa in ambito dottrinale e giurisprudenziale, con riflessi caotici sulla prassi negoziale. Ciò avrebbe potuto essere evitato, ricorrendo ad una più rigorosa tecnica interpretativa. Tuttavia, ben lungi dal favorire il superamento di tali divergenze, la l. 112/16 elabora norme che, nella sostanza, si contraddicono, regolando in modo identico tre fattispecie (solo apparentemente?) diverse.”
Con il d.lgs. n. 273 del 2005 – convertito in legge n. 51 del 2006 – è stato introdotto l’art. 2645 ter c.c. il quale disciplina la trascrizione degli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’articolo 1322, co. 2 c.c., riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche.
Dottrina e giurisprudenza continuano ad interrogarsi sulla portata di questa disposizione chiedendosi se la stessa abbia introdotto un nuovo istituto nell’ordinamento italiano ovvero se sia volta a regolamentare, tramite la trascrizione, gli effetti di fattispecie atipiche.
Parte della dottrina ritiene che l’art. 2645 ter c.c., pur contenendo al contempo norme sostanziali e norme sugli effetti, non disciplini un nuovo istituto ma faccia riferimento a destinazioni patrimoniali atipiche[18].
Su un versante differente si colloca, invece, l’impostazione adottata da altra parte della dottrina e della giurisprudenza secondo cui l’art. 2645 ter c.c. non introdurrebbe un nuovo negozio di destinazione nell’ordinamento italiano ma soltanto “un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione (…) accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi”.[19]
L’orientamento dominante[20], invece, ritiene che l’art. 2645 ter c.c. abbia introdotto esplicitamente, all’interno dell’ordinamento italiano, l’istituto del trust ancorandolo alla realizzazione di una funzione economico-sociale meritevole di tutela. La dottrina maggioritaria, infatti, sostiene che con l’introduzione di tale disposizione si sia data vita ad una nuova tipologia di atti ad effetti reali: gli atti di destinazione tra cui rientra anche il trust interno.
La norma, pur non menzionando espressamente l’istituto del trust, contiene l’importante previsione dell’effetto segregativo – per i negozi di destinazione stipulati in vista della protezione di interessi meritevoli di tutela – prevedendone la trasrivibilità ai fini della loro opponibilità ai terzi.
La trascrizione, quindi, svolge una funzione dichiarativa per quanto riguarda l’opponibilità del negozio ai terzi e una funzione costitutiva, inerente all’effetto segregativo, senza il quale la destinazione non potrebbe di fatto realizzarsi.
Tale effetto segregativo comporta che i beni conferiti possano costituire oggetto di esecuzione ove i debiti siano contratti a tale scopo. Potranno, infatti, soddisfarsi sul patrimonio destinato soltanto i creditori il cui credito sia stato contratto per il perseguimento della destinazione, non potendo soddisfarsi, invece, i creditori che vantino sul bene un diritto di credito che esuli dalle finalità proprie del patrimonio destinato.
Lo scopo dell’atto di destinazione patrimoniale, secondo il disposto dell’art. 2645 ter c.c., deve consistere nella realizzazione di specifici interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c.
Il requisito della meritevolezza è stato diversamente interpretato in dottrina. Parte di essa ritiene che il vincolo si giustifica solo se viene perseguito un fine di utilità sociale a carattere superindividuale e socialmente utile. Secondo tale tesi, laddove non venga perseguito un fine di pubblica utilità, l’atto sarebbe nullo e non potrebbe essere sanato dalla trascrizione (i cui effetti si producono solo se il titolo è valido).
La dottrina maggioritaria, invece, sostiene che il requisito della meritevolezza sia soddisfatto ogniqualvolta lo scopo perseguito sia lecito ovvero non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Pertanto la meritevolezza di tutela verrebbe meno laddove vengano valicati i limiti della liceità, dell’ordine pubblico e del buon costume.
Così inteso il requisito della meritevolezza dello scopo si può affermare che esso non rappresenta solo un requisito di opponibilità del vincolo ma soprattutto un requisito necessario di validità della destinazione patrimoniale.
Il negozio di cui all’art. 2645 ter c.c., infatti, è un negozio eccezionale che incide negativamente sulla sfera giuridica dei creditori in quanto deroga a due principi fondamentali del nostro ordinamento: il principio di cui all’art. 2740 c.c. secondo cui i creditori devono avere la possibilità di soddisfarsi su tutti i beni del debitore, presenti e futuri; e il principio di sicurezza dei traffici giuridici, secondo cui i proprietari normalmente hanno il potere di disposizione e di gestione pieno e incondizionato dei propri beni (art. 832 c.c.).
Pertanto per giustificare l’eccezionale compressione dei diritti dei creditori è necessario che il negozio de quo persegua fini di utilità sociale meritevoli di tutela.
[18] Cfr. G. DE NOVA, Esegesi dell’art. 2645-ter c.c., relazione al seminario Atti notarili di destinazione dei beni: articolo 2645-ter c.c ., Consiglio Notarile di Milano e Scuola notarile della Lombardia, Milano 19 giugno 2006; R. LENZI, Le destinazioni tipiche e l’art. 2645-ter c.c ., in G. VETTORI (a cura di), Atti di destinazione e trust, Padova, 2008, p. 201, secondo il quale l’atto di destinazione sarebbe figura già ammessa nell’ordinamento italiano sicché “la norma non innova sul piano della fattispecie ma, riconoscendone implicitamente l’esistenza e la legittimità, ne regola gli effetti e detta alcuni presupposti senza i quali tali effetti non si produrranno”; R. DI RAIMO, L’atto di destinazione dell’art. 2645 ter: considerazioni sulla fattispecie, in G. VETTORI (a cura di), Atti di destinazione e trust, Padova, 2008, p. 48 ss. secondo il quale la norma non introdurrebbe la fattispecie degli atti di destinazione quale categoria generale. La norma dando per presupposto l’esistenza di tali atti, si limiterebbe a prevedere i requisiti in presenza dei quali questi potrebbero essere trascritti ai fini dell’effetto a rilievo reale.
[19] In questo senso Trib. Trieste, 7 aprile 2006; Trib. Reggio Emilia, 23 marzo 2007; Trib. Reggio Emilia, 22 giugno 2012, in Giur. it., 2012, 2274, con nota critica di R. CALVO, Trust e vincoli di destinazione: “conferire” vuol dire trasferire?.
In dottrina in tal senso P. MANES, La norma sulla trascrizione di atti di destinazione è. dunque, norma sugli effetti, in Contr. e impr. 2006, I, 632; CALVO, Trust e vincoli di destinazione:“conferire” vuol dire trasferire?; ulteriori riferimenti in A. PICIOTTO, Orientamento giurisprudenziale sull’art. 2645 ter cod. civ., in VETTORI (a cura di), Atti di destinazione e trust, Padova, 2008, p. 2274 ss., secondo il quale “attraverso la pubblicità costitutiva del vincolo reale è stata assegnata rilevanza esterna (…) al vincolo di scopo (…), il cui contenuto non è circoscritto da un numero chiuso o predefinito di destinazioni”.
[20] V. in dottrina A. GALLARATI, La pubblicità del diritto del trustee, Torino, 2012, p. 133 ss; M. BIANCA, voce Destinazione (negozio di), in Il diritto, Enc. giur. del Sole 24 ore, VI, Bergamo, 2007, 15; M. BIANCA, Il nuovo art. 2645-ter c.c. notazioni a margine di un provvedimento del giudice tavolare di Trieste, in Giust. civ., 2006, I, 187; S. BARTOLI, Riflessioni sul «nuovo» art. 2645 ter c.c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust, in Giur. it., 2007, 1297; M. BIANCA, Trustee e figure affini nel diritto italiano, in Riv. Not., 2009, 557; M. BIANCA, Novità e continuità dell’atto di negoziale di destinazione, in L a trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile , Milano, 2007, p. 29 ss; M. LUPOI, Gli atti di destinazione nel nuovo art. 2645- ter c.c. quale frammento di un trust, in Riv. Not., 2006, 467 ss.; F. GAZZONI, Osservazioni sull’art. 2645-ter c.c., in Giust. civ., 2006, II, 166, il quale rileva che: “(…) l’art. 2645-ter c.c. è, prima ancora che norma sulla pubblicità e quindi sugli effetti, norma sulla fattispecie, che avrebbe meritato dunque, previa scissione, di figure in un diverso contesto, di disciplina sostanziale”.
Nel caso in cui il debitore disponga dei propri beni e diritti con la finalità di ledere la posizione dei propri creditori, privandosi di consistenze patrimoniali potenzialmente aggredibili – e, quindi, diminuendo la garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. – l’atto di costituzione del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. è assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria, ex art. 2901 c.c., [21] al fine di ottenerne l’inefficacia relativa.
L’atto destinatorio, infatti, pur non determinando la fuoriuscita dei beni dal patrimonio del disponente, comporta un effetto di segregazione patrimoniale che imprime agli stessi una destinazione idonea a sottrarli alla generica garanzia dei creditori in quanto, per effetto della costituzione del vincolo, possono costituire oggetto di esecuzione solo per i debiti contratti per la realizzazione del fine di destinazione.
Lo strumento dell’azione revocatoria rappresenta, quindi, il rimedio offerto dall’ordinamento per tutelare le ragioni creditorie che possano essere lese dall’istituzione di un trust da parte del debitore.
L’azione revocatoria, nota anche come actio pauliana, ex art. 2901 c.c., ha, infatti, la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore la cui consistenza, per effetto dell’atto di disposizione, si sia ridotta al punto di pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l’eventuale azione espropriativa.
In coerenza con tale funzione, l’azione revocatoria, ove esperita vittoriosamente, determina, nei soli confronti del creditore procedente, l’inefficacia dell’atto pregiudizievole.
Nel caso di trust, le condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria sono rappresentate dalla scientia damni, ossia dalla necessaria e sufficiente consapevolezza del debitore (nonché disponente) di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, e dall’eventus damni, ossia dalla conseguente soddisfazione coattiva del credito.
La funzione dell’actio pauliana, quindi, non è soltanto quella di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore ma soprattutto quella di assicurare una maggiore “fruttuosità e speditezza” dell’azione esecutiva.
L’azione revocatoria, infatti, non ha nè effetto restitutorio, in quanto l’atto di disposizione posto in essere dal debitore è valido ed efficace erga omnes con l’unica eccezione del creditore procedente, né efficacia satisfattoria dovendosi escludere che, quando il credito abbia ad oggetto un bene determinato e individuabile nel patrimonio del debitore, il creditore possa ottenerlo direttamente in seguito al favorevole esercizio dell’azione revocatoria essendo necessario, a tal fine, l’esperimento di una successiva azione esecutiva.
Per quanto riguarda le parti dell’azione revocatoria l’art. 2901 c.c. menziona il creditore le cui ragioni siano pregiudicate, il debitore che abbia posto in essere atti di disposizione del patrimonio (ossia il disponente), e il terzo avente causa del debitore. È pacifico che tra tali soggetti si realizzi un’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c.
A tal proposito, uno dei temi processuali più interessanti, è quello relativo alla possibilità di considerare – nel caso di azione revocatoria esperita sul trasferimento dei beni in trust – i beneficiari del trust quali litisconsorti necessari.
Tuttavia, prima di approfondire la posizione della giurisprudenza di merito, è necessaria una premessa in ordine alla diversa qualifica che i beneficiari possono rivestire.
Il beneficiario, infatti, può essere considerato vested – ovvero titolare di un vested interest – nel caso in cui questi possa esercitare i poteri propri della situazione soggettiva attribuitagli sin dal momento istitutivo del trust, ovvero in un momento successivo nel corso della durata del trust (ad esempio a seguito del verificarsi di una particolare condizione fissata nel trust), pretendendo il versamento a suo favore del reddito generato dal trust o, se previsto, dei beni ivi conferiti.
La situazione soggettiva di beneficiario può, inoltre, qualificarsi come contingent, cioè a dire sottoposta a condizione: di conseguenza, ove l’evento futuro ed incerto accada, vi è l’automatica rimodulazione della posizione beneficiaria nella qualifica di vested mentre, in caso contrario, la stessa posizione viene ad estinguersi.[22]
Si parla, infine, di trust c.d. discrezionale quando il trustee conservi il potere di determinare liberamente sia i beneficiari, sia il quantum loro spettante sia, infine, il quomodo dell’elargizione.
La ratio di tale tipologia di trust è rinvenibile nel fatto che il disponente potrebbe trarre maggiore giovamento nell’attuazione del programma stabilito a fronte della libertà – e dell’obbligo – del trustee di decidere, quando si renda concretamente necessario, come soddisfare le esigenze proprie del beneficiario.[23]
Sulla base di tale classificazione la giurisprudenza di merito – in particolare il Trib. Genova, 21 maggio 2014 – ha ritenuto necessario il litisconsorzio solo “ove l’atto istitutivo del trust riconosca loro beneficiari una posizione tale da consentirgli di avanzare pretese immediate sui beni conferiti nel trust medesimo, ovvero sui redditi dai suddetti beni prodotti”. Mentre “nell’ipotesi in cui, al contrario, il trust non riconosca ai beneficiari suddetta posizione, essendo i medesimi non “vested” bensì meramente “contingent” ovvero in caso di trust “discrezionale” o “di scopo”, il litisconsorzio necessario dovrebbe invece considerarsi limitato, oltre che alla figura del disponente debitore, a quella del trustee”.
Anche per il Trib. Savona, 14 marzo 2017, in un giudizio instaurato per la revocatoria del conferimento di beni in trust, “deve primariamente escludersi che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei beneficiari del trust […] Se è vero che il trust in oggetto è volto ad assicurare ai figli del convenuto una autonomia economica, patrimoniale e finanziaria, è anche vero che il settlor si riserva la facoltà di individuare e nominare i beneficiari finali del trust, come previsto dall’art. 4, con la conseguenza che […] l’assegnazione dei beni per i beneficiari è meramente eventuale e potrà non riguardare i beni conferiti o non intervenire per sopravvenuta consumazione dei beni stessi”.
E, recentemente, conformandosi all’orientamento delineato dalle precedenti pronunce, per Trib. Vicenza, 27 ottobre 2017, n. 2991, i beneficiari finali non sono litisconsorti necessari nel giudizio per la revocatoria del conferimento in trust qualora l’assegnazione del fondo in trust in loro favore sia meramente eventuale ed incerta. È stato infatti argomentato che benché sia “senz’altro vero che sussiste un interesse giuridicamente rilevante dei beneficiari del trust in relazione all’impugnazione dell’atto istitutivo dello stesso, trattandosi propriamente del riconoscimento dell’interesse degli stessi a resistere all’aggressione del titolo negoziale costituente il fondamento di una propria posizione soggettiva di natura creditoria. Tuttavia, non vi è nel caso di specie, alcuna necessità di integrare il contraddittorio. L’interesse del beneficiario a partecipare al giudizio di impugnazione dell’atto di conferimento in trust deve essere attuale e concreto: in tal senso ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario.”[24]
In senso parzialmente difforme, invece, il Trib. Reggio Emilia, 26 aprile 2012, ha ritenuto che nell’ambito di in una causa per la revocatoria dell’atto di dotazione di un trust è necessaria la chiamata in causa dei beneficiari c.d. contingent, in quanto titolari di una aspettativa sui beni in trust. Ciò comporta che questi devono necessariamente essere chiamati in giudizio attraverso l’ordine di integrazione del contraddittorio.[25]
Quello che emerge dalle pronunce soprariportate è che, nel valutare se sia necessario (o meno) il litisconsorzio processuale, la giurisprudenza si concentra, essenzialmente, su un’analisi del tipo di aspettativa che i beneficiari possono vantare sui beni in trust.
[21] Sull’esperibilità dell’azione revocatoria nel trust v. in dottrina F. DI CIOMMO, Brevi p>, in Foro it., 1999, I., 1469; A. FALZEA, Introduzione e considerazioni conclusive, in Destinazione di beni allo scopo, strumenti attuali e tecniche normative, Milano 2003, 23; G. PALERMO, Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2001, I, 414 ss.; G. PALERMO, Ammissibilità̀ e disciplina del negozio di destinazione, in Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003, p. 251; L. SALAMONE, Gestione e separazione patrimoniale, Padova, 2001; M. LUPOI, I trust, i flussi giuridici e le fonti di produzione del diritto, in Foro it. anno 2018, parte I, col. 3147; M. A. LUPOI, Primi temi del diritto processuale dei trust, in Trusts e attività finanziarie, 14, 245-255; M. A. LUPOI, Beneficiari litisconsorti nell’azione revocatoria?, in Trusts e attività finanziarie, 2016, p. 476-48M. A. LUPOI, Aggiungi un posto a tavola: azione revocatoria in ambito di trust e litisconsorzio necessario, in Trust, 2013, p. 12-21.
[22] Cfr., sul punto, M. LUPOI, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008, 125-127, nonché E. BARLA, DE GUGLIELMI, I beneficiari: le posizioni beneficiarie, in M. Monegat, G. Lepore, I. Valas (a cura di), Trust. Applicazioni nel diritto commerciale e azioni a tutela dei diritti in trust, I, Torino, 2010, 271.
[23] Sul punto E. BARLA, DE GUGLIELMI, I beneficiari: le posizioni beneficiarie, in M. Monegat, G. Lepore, I. Valas (a cura di), Trust. Applicazioni nel diritto commerciale e azioni a tutela dei diritti in trust, I, Torino, 2010, 273.
[24] Cfr. anche Cass. civ. sez. III 25 maggio 2017 n. 13175 e Trib. Reggio Emilia, 10 giugno 2013.
[25] La pronuncia in questione è commentata da M. LUPOI, Aggiungi un posto a tavola: azione revocatoria in ambito di trust e litisconsorzio necessario, in Trusts e attività finanziarie, 2013,12 ss., il quale, pur concordando in via di principio con tale decisione, essendo l’eventuale accoglimento della domanda finalizzato a travolgere i diritti di tutti i potenziali beneficiari dell’atto, rileva come, sotto un profilo pratico, una simile impostazione finisca verosimilmente per complicare ulteriormente l’itinerario processuale.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento