Il trasferimento d’azienda

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Indice

  1. Una cronistoria dei principali interventi normativi
  2. Il fenomeno delle esternalizzazioni
  3. Il trasferimento d’azienda nella concezione dottrinale e giurisprudenziale
  4. L’ambito di applicazione dell’art. 2112 c.c. e la sua applicabilità ai datori di lavoro non imprenditori
  5. La continuazione del rapporto di lavoro, i diritti quesiti dei lavoratori e la disciplina collettiva applicabile ai sensi dell’art. 2112 co. 3 c.c.
  6. Responsabilità solidale tra cedente e cessionario
  7. Codice della crisi d’impresa e trasferimento d’azienda

1. Una cronistoria dei principali interventi normativi

L’articolo 2112 del codice civile costituisce la norma di riferimento in tema di trasferimento d’azienda. Essa, tuttavia, è il risultato di diversi interventi normativi susseguitesi a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. In ogni caso, v’è da dire che il legislatore del 1942 aveva già delineato una disciplina informata secondo criteri di specialità rispetto a quella generale di cui all’ art. 2558 c.c., dettata in tema di successione nei contratti inerenti l’azienda ceduta. [1]

Il testo originario dell’art. 2112 c.c. fu preliminarmente modificato dall’ art. 47, della L. 29.12.1990, n. 428, attuativa delle prescrizioni contenute nella direttiva CEE 14.2.1977, n. 187 riguardante la tutela dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda. La norma, innovata dall’articolo della sopra richiamata legge, aveva confermato e rafforzato alcune guarentigie a favore del prestatore di lavoro. Tra esse vi erano la regola della continuità dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento d’azienda, oltreché il principio dell’assoluta ininfluenza del mutamento soggettivo nella persona del datore di lavoro rispetto alla conservazione del posto di lavoro. L’art. 47, inoltre, aveva esaltato il tema della responsabilità tra acquirente e alienante per la tutela dei crediti da lavoro dipendente. Infine, lo stesso articolo aveva previsto in favore dei lavoratori occupati presso datori con più di 15 dipendenti, una garanzia di tipo procedurale, consistente nella procedura di informazione e consultazione sindacale, atta ad effettuare un controllo sulla vicenda del trasferimento d’azienda sotto il profilo delle conseguenze dei lavoratori. Detta procedura è tutt’oggi vigente.

Successivamente, l’art. 1, D.Lgs. 2.2.2001, n. 18 ha riscritto il contenuto dell’art. 2112 del codice civile e dell’art. 47, della L. 29.12.1990, n. 428, senza modificare, pur tuttavia, i fondamentali principi previgenti alla promulgazione della legge in commento.[2] Quest’ultima, per la prima volta, riscrivendo, come già accennato, il contenuto dell’articolo 2112 del codice civile, ha dettato una precisa e puntuale definizione di trasferimento d’azienda, riportata al comma 5 del citato articolo. Per trasferimento d’azienda deve intendersi “qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda”. Per cessione del ramo d’azienda, inoltre, deve intendersi una “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

La legge delega n. 30 del 2003 e il suo decreto attuativo il n. 276 del 2003, hanno apportato ulteriori modifiche all’art. 2112 c.c. . La legge, agendo sugli interventi normativi esposti in narrativa, ha eliminato il requisito della preesistenza dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda al trasferimento e, in secondo luogo, ha predisposto un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore, nei limiti di cui all’ art. 1676 del codice civile per le ipotesi di contratto d’appalto connesso alla cessione del ramo d’azienda.[3]


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2. Il fenomeno delle esternalizzazioni

Le imprese procacciano lavoro, solitamente, mediante contratti di lavoro subordinato. Tuttavia, un’impresa può procurarsi lavoro ricorrendo a contratti di servizio stipulati con imprese terze. L’azienda, pertanto, e solo per semplificare il concetto, al fine di ricercare lavoro potrebbe optare per una delle due seguenti possibilità:

  • in linea con il c.d. modello gerarchico, produrre beni e servizi senza ricorrere a terzi;
  • sulla scorta del c.d. modello di mercato, acquistare all’esterno beni e servizi.

Un’impresa di tipo fordista sicuramente si orienterà per il primo modello; di converso, un’azienda post-fordista sceglierà il modello di mercato. [4]

I fenomeni delle esternalizzazioni sono presidiati da istituti giuridici volti a garantire il contemperamento degli interessi dei lavoratori e degli imprenditori. Da un lato, dunque, l’obiettivo è quello di tutelare i diritti dei prestatori di lavoro, dall’altro il fine è quello di consentire la circolazione delle imprese.

3. Il trasferimento d’azienda nella concezione dottrinale e giurisprudenziale

Come accennato in introduzione, la formulazione originaria dell’articolo 2112 c.c. e l’intervento di modifica del 1990 non enucleavano la definizione di trasferimento d’azienda. Per questo motivo, la giurisprudenza, ancora prima della promulgazione della L. n. 428 del 1990, ha asserito che si ha trasferimento d’azienda ogniqualvolta si verifichi un mutamento nella titolarità dell’impresa o di parte di essa, purché si tratti comunque di un complesso organizzato potenzialmente idoneo all’esercizio dell’impresa, indipendentemente dal mezzo tecnico – giuridico prescelto.[5]

La dottrina, di converso, ha individuato nell’ipotesi di successione ope legis (art. 2558 c.c.), la fattispecie del trasferimento d’azienda. In altri termini, si avrebbe un “passaggio della titolarità di un diritto da un soggetto ad un altro”.[6]

Negli articoli 2112 c.c. e 2558 c.c., in sostanza, si realizzerebbe l’ipotesi di successione ex lege a titolo particolare nel rapporto contrattuale, ovvero il subingresso di un soggetto ad un altro nel complesso delle situazioni giuridiche attive e passive che qualificano il contenuto del rapporto stesso.[7]

4. L’ambito di applicazione dell’art. 2112 c.c. e la sua applicabilità ai datori di lavoro non imprenditori

Il legislatore ha espressamente previsto che l’art. 2112 del codice civile trovi applicazione in caso di trasferimento del complesso aziendale ed in caso di concessione in godimento del medesimo a titolo di usufrutto, affitto o vendita, ovvero in caso di passaggio dell’azienda al proprietario originario dopo la scadenza del contratto di affitto. [8]

Autorevole dottrina ritiene che la fattispecie disciplinata dall’art. 2112 c.c. debba essere applicata, non solo al trasferimento volontario del complesso aziendale, ma anche quando il trasferimento d’azienda avviene mortis causa o coattivamente. [9]

La giurisprudenza, inoltre, configura il trasferimento d’azienda e, quindi, ravvisa necessariamente l’applicabilità della disciplina legale, nell’ipotesi di restituzione dell’azienda all’originario cedente, per cessazione del contratto d’affitto.[10]

La giurisprudenza, in linea di massima, ha sempre escluso l’applicabilità della disciplina legale sul trasferimento d’azienda al datore di lavoro non imprenditore,[11] poiché il difetto di tale requisito comporta che il cedente non sia il titolare di un’azienda. Per contro, giurisprudenza di segno opposto ha affermato che l’art. 2112 c.c. trova applicazione anche nell’ipotesi in cui l’alienante e l’acquirente non siano due imprenditori e l’attività da loro esercitata non sia svolta a scopo di lucro, e questo sulla scorta del disposto di cui all’ art. 2239, che estende la disciplina del rapporto di lavoro subordinato (dall’art. 2094 c.c. all’art. 2134 c.c.) anche ai rapporti di lavoro non inerenti all’esercizio dell’impresa, nei limiti della compatibilità.

5. La continuazione del rapporto di lavoro, i diritti quesiti dei lavoratori e la disciplina collettiva applicabile ai sensi dell’art. 2112 co. 3 c.c.

Nel caso di trasferimento di proprietà dell’azienda, il lavoratore ha diritto all’automatico passaggio alle dipendenze dell’acquirente. La norma realizza una soluzione ex lege di cessione dei contratti di lavoro, sia per il trasferimento dell’azienda, sia per quanto attiene al trasferimento di una parte di essa. A differenza della cessione del contratto di cui all’articolo 1406 c.c., nell’ipotesi del trasferimento d’azienda, o parte di essa, non è necessario il consenso del contraente ceduto, ovverosia del lavoratore. Il principio della continuità del rapporto di lavoro stabilito dall’art. 2112, 1° co. può subire deroghe di natura convenzionale nella sede sindacale. L’accordo sindacale di natura transattiva che preveda la risoluzione dei rapporti di lavoro con l’imprenditore cedente e la costituzione di nuovi autonomi rapporti di lavoro con il cessionario, deve riconoscersi nella preminente esigenza di salvaguardia del posto di lavoro sull’interesse alla continuità dei singoli rapporti di lavoro.[12] In ogni caso, il lavoratore cui ritenga di non far parte del ramo d’azienda ceduto, potrà adire il giudice del lavoro per contestarlo. Parimenti, il lavoratore potrà ricorrere all’autorità giudiziaria per far accertare il diritto al passaggio al datore di lavoro che ha rilevato il ramo d’azienda.

Ad ogni modo, la proposizione dell’azione giudiziale è soggetta ai termini di decadenza di cui all’art. 32 della L. 183/2010 (60+180 giorni).

È bene, inoltre, significare che, in linea con quanto prescritto dalla norma in disamina, il prestatore “può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’articolo 2119, primo comma”[13], nel caso in cui le condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda.[14]

Il comma 4 dell’art. 2112 chiarisce che “il trasferimento dell’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento”.

L’articolo 2112 c.c. prevede che il lavoratore conservi i diritti maturati nella fase pregressa del rapporto di lavoro. Siamo di fronte ai c.d. diritti quesiti, diritti cioè che fanno parte della sfera patrimoniale del lavoratore e non costituiscono una mera aspettativa futura dello stesso. Pur tuttavia, è da segnalare come il rapporto di lavoro non è esente da mutazioni di sorta per il futuro, giacché “il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello”. È chiaro, pertanto, che un contratto di pari livello sostitutivo del precedente anche non scaduto, o un contratto che fa seguito ad un precedente scaduto, ha la forza di mutare i trattamenti economici e normativi, anche in pejus.[15]

6. Responsabilità solidale tra cedente e cessionario

Secondo l’articolo 2112 del codice civile “il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido[16] per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro”.

Il cessionario, dunque, deve accollarsi per legge anche i debiti relativi alla precedente gestione nei confronti dei lavoratori, salvo poi poter esercitare il diritto di regresso sul cedente.  Per contro, un accordo stipulato nella sede sindacale o amministrativa, così come innanzi al giudice, può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Non è escluso, in radice, che l’applicazione del disposto dell’art. 2113 co. 4 (c.d. accordi tombali) possa sollevare il cessionario dalla responsabilità nei confronti dei crediti da lavoro dipendente.

È da segnalare, infine, che un orientamento della giurisprudenza di legittimità annovera anche il trattamento di fine rapporto nel novero delle spettanze oggetto di responsabilità solidale tra cedente e cessionario.[17]

7. Codice della crisi d’impresa e trasferimento d’azienda

Dalla lettura del presente articolo, risulta condivisibile che l’art. 2112 c.c. e l’art. 47 della L. n.428/1990 costituiscono la disciplina generale della fattispecie del trasferimento d’azienda. Orbene, è necessario significare che “il Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza” è ampiamente intervenuto sull’art. 47 della l. n. 428/1990, modificandolo e integrandolo sotto vari aspetti. [18]

L’art. 368 del “nuovo diritto concorsuale” ha modificato l’art. 47 della sopra citata legge, introducendo il comma 1 bis secondo il quale “Nei  casi  di trasferimenti di aziende  nell’ambito  di  procedure  di  regolazione della  crisi  e  dell’insolvenza  di  cui  al  presente  codice,   la comunicazione di cui al comma 1 può’ essere effettuata anche solo  da chi intenda proporre offerta di acquisto dell’azienda o  proposta  di concordato preventivo concorrente con  quella  dell’imprenditore;  in tale ipotesi l’efficacia degli accordi di cui ai commi 4-bis e 5 può essere subordinata alla successiva attribuzione dell’azienda ai terzi offerenti o proponenti”.

Il d.lgs. n. 14 del 2019, inoltre, ha modificato il comma 4 bis all’art. 47 della legge n. 428/1990.  Esso definisce condizioni e portata delle deroghe alla disciplina recata dall’art. 2112 c.c. . Nello specifico, è possibile segnalare i seguenti aspetti peculiari:

  1. l’elenco delle situazioni in cui l’azienda deve trovarsi, affinché l’accordo sindacale sia legittimato a prevedere deroghe alla disciplina dettata dall’art. 2112 è stato modificato. “Scelta, questa, che facilmente si comprende come riflesso della rivisitazione, operata dal Codice, delle procedure legate alla crisi”.[19] L’elenco passato in rivista dal comma comprende le aziende: 1) per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura  della procedura  di  concordato  preventivo  in   regime   di   continuità indiretta, ai sensi dell’articolo 84, comma 2, del codice della crisi e  dell’insolvenza,   con   trasferimento   di   azienda   successivo all’apertura del concordato stesso;  2) per le quali vi sia  stata  l’omologazione  degli  accordi  di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non  hanno  carattere liquidatorio; 3)   per   le   quali   è   stata   disposta   l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo  8  luglio  1999,  270,   in   caso   di   continuazione   o   di   mancata   cessazione dell’attività”;
  2. l’accordo raggiunto nella fase di consultazione sindacale, “fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro” stabilisce le condizioni di lavoro nei limiti dettati dell’accordo stesso. L’atto negoziale collettivo può essere concluso “anche attraverso i contratti   collettivi   di   cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”.

Il comma 5 dell’articolo 47 viene completamente riscritto. Esso prevede che, fermo il principio della continuazione dei rapporti con il cessionario, in caso di “liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero di emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa”, possano essere stipulati, nella fase della consultazione sindacale e con la finalità della conservazione del posto di lavoro, “contratti collettivi ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n.  81, in deroga all’articolo 2112, commi 1, 3 e 4, del codice civile.” Inoltre, resta aperta la possibilità di addivenire ad “accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi nelle sedi di cui all’articolo 2113, ultimo comma del codice civile”.

La penultima disposizione del codice della crisi d’impresa da analizzare è quella che riguarda l’introduzione dell’articolo 5 bis all’art. 47 della legge n. 428/1990. Secondo la stessa, per le aziende per le quali sia stata aperta la liquidazione giudiziale o il concordato preventivo liquidatorio, ovvero    vi sia stata l’emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, “non si applica l’articolo 2112, comma 2, del codice civile e il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente dell’azienda”. In altre parole, nelle ipotesi sopra elencate, viene esclusa la responsabilità solidale tra cedente e cessionario e il trattamento di fine rapporto diventa esigibile e attuale anche nel caso di passaggio del lavoratore al cessionario senza soluzione di continuità. Viene ripreso, altresì, il ruolo del Fondo di garanzia Inps, il quale – alle condizioni previste dall’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n.  297 – è tenuto ad intervenire “a favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell’acquirente. La liquidazione dei crediti per TFR sono corrisposti “dal Fondo di Garanzia nella loro integrale misura, quale che sia la percentuale di soddisfazione stabilita, nel rispetto dell’articolo 85, comma 7, del codice della crisi e dell’insolvenza, in sede di concordato preventivo”.

Infine, la nuova disciplina della crisi dell’impresa, ha previsto, all’art. 5-ter, che alle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria non sia applicabile il disposto di cui all’articolo 2112 c.c., allorché – nella fase della consultazione sindacale – “sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che questo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante”.[20]

Il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n.  14, come modificato dal D.L.  24 agosto 2020, n. 118, ha disposto (con l’art. 389, comma 1) la proroga dell’entrata in vigore della modifica dei commi 4-bis, 5 e 6 dell’articolo 47 della l. n. 428/1990 dal 15 agosto 2020 al 1° settembre 2021 e la proroga dell’entrata in vigore dell’introduzione dei commi 1-bis, 5-bis e 5-ter al presente articolo dal 1° settembre 2021 al 16 maggio 2022.

 


Note:

[1] Cfr. F. Rotondi (a cura di), Codice commentato del rapporto di lavoro, Milano, 2008, 240

[2] Il D.Lgs. 2.2.2001, n. 18, che attua la direttiva CEE 26.6.1998, n. 98/50, introduce nel nostro ordinamento giuridico importanti novità in tema di trasferimento d’azienda

[3] Cfr. V. Bavaro, Il trasferimento d’azienda, in Curzio (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, La “Legge Biagi” e le norme di attuazione, Bari, 2004; F. Santoro Passarelli, La disciplina del rapporto di lavoro nel trasferimento di azienda: evoluzione e prospettive, in DL, 2003, 763; R. Flammia, Le modificazioni della disciplina del trasferimento d’azienda alla luce del D.Lgs. n. 276 del 2003, in ADL, 2004, 2, 489

[4] Cfr. R. Del Punta, Diritto del lavoro, Giuffré Francis Lefebvre, 2020

[5] Cfr. C.10348/2002; C. 3167/1990; C. 123/1990; C. 4600/1987; C. 2088/1986; C. 2900/1985; C. 4132/1984;

  1. Milano 6.3.2002; T. Bologna 21.2.1990, in Leggi d’Italia

[6] Cfr. R. Nicolò, Successione nei diritti, in NN.D.I., XVIII, Torino, 1971, 608;

[7] Cfr. F. Santoro Passarelli, L’impresa nel sistema del diritto civile, in RDCo, 1942, I, 392

[8] Cfr. C. 2521/1998; C. 8252/1992, in Leggi d’Italia

[9] Cfr. A. Fontana, La successione dell’imprenditore nel rapporto di lavoro, Milano, 1970, 418; G. Suppiej, Il rapporto di lavoro (costituzione e svolgimento), Padova, 1982, 298; S. Magrini, La sostituzione soggettiva nel rapporto di lavoro, Milano, 1980, 122

[10] Cfr. C. 7458/2002, in Leggi d’Italia

[11] Cfr. C. 6701/1983, in Leggi d’Italia 

[12] Cfr. C. 14098/2001, in  Leggi d’Italia

[13] Il lavoratore, quindi, potrà recedere senza preavviso e ciò gli consentirà di percepire l’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso

[14] Si pensi, ad esempio, all’ipotesi nella quale ai lavoratori vengano applicati trattamenti economici deteriori determinati dalla sostituzione dal contratto collettivo di lavoro dell’acquirente.

[15] Sul punto cfr. D. Giardino, la successione dei contratti collettivi nel tempo, in diritto.it

[16] L’articolo 1292 del codice civile così definisce un’obbligazione solidale: “l’obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori.

[17] La Corte di Cassazione sez. lavoro, con la sentenza n. 23775/2018, afferma che il datore di lavoro cessionario risponde per l’intero t.f.r. (in via diretta quanto alla quota di t.f.r. maturata dopo la cessione, in via solidale quanto alla quota maturata precedentemente); invece il datore di lavoro cedente risponderà solo per la quota di t.f.r. maturata prima della cessione.

[18] Il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, riguardante il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, ha dato attuazione alla legge 19 ottobre 2017, n. 155”. Esso, costituito da ben 391 articoli, e destinato a sostituire la legge fallimentare del 1942, ha modificato profondamente alcune disposizioni del diritto del lavoro, tra cui quelle riguardanti il trasferimento d’azienda.

[19] A. Pandolfo, Codice della crisi di impresa e trasferimento di azienda, in Lavorosì.it, cit.

[20] Il comma 5-ter può essere visto in analogia agli accordi raggiunti nella fase di consultazione sindacale per i licenziamenti collettivi. L’art. 4 co. 11 della L. 223/1991 sui licenziamenti collettivi prevede che, in caso di riassorbimento totale o parziale del personale, sia possibile assegnare i lavoratori ad altre mansioni.  La ratio della norma è sempre la stessa, cioè quella di tutelare l’occupazione dei prestatori di lavoro pur mortificando alcuni dei loro diritti tutelati dalle norme imperative di legge.

Dott. Domenico Giardino

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