Il sindacato della Corte di Cassazione sulle presunzioni semplici

Redazione 17/10/19
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di Mirco Minardi

Sommario

1. Le presunzioni semplici e il “vecchio” n. 5) dell’art. 360, primo comma, c.p.c.

2. Le presunzioni semplici dopo la modifica del n. 5) dell’art. 360, primo comma, c.p.c.

1. Le presunzioni semplici e il “vecchio” n. 5) dell’art. 360, primo comma, c.p.c.

Il primo comma dell’art. 2729 c.c. afferma che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.

Si tratta di una norma fondamentale, in quanto individua le condizioni minime affinché il giudice possa legittimamente affermare o negare l’esistenza di un fatto “ignoto”, sulla scorta degli elementi indiziari accertati in giudizio e, quindi, dei fatti “noti”.

In pratica, la norma disciplina il ragionamento induttivo in ambito civile, stabilendo che le presunzioni – ma sarebbe stato più corretto scrivere “gli elementi indiziari”[1] – debbono essere gravi, precisi e concordanti.

La presunzione è grave quando, secondo un criterio probabilistico[2], da un evento noto (E) è probabile inferire che questo sia stato provocato da uno specifico fatto (F), seppure ignoto. Non occorre, dunque, una relazione di certezza, essendo sufficiente che (F) abbia “probabilmente” provocato (E).

La presunzione è precisa se l’inferenza probabilistica indirizzi verso il fatto (F1) e non anche verso altri fatti (F2, F3, F4, ecc.).

La concordanza esprime – secondo l’opinione ritenuta preferibile dalla giurisprudenza di legittimità[3] – l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi.

In materia di presunzioni semplici gli errori più frequenti commessi dal giudice di merito sono essenzialmente di due tipi:

a) il giudice considera come gravi, precisi e concordanti elementi indiziari che, invece, sono privi di queste caratteristiche e viceversa;

b) il giudice omette di considerare elementi indiziari che, se valutati, avrebbero determinato una decisione diversa.

Vigente il “vecchio” vizio di motivazione, che prevedeva il controllo sulla sufficienza, completezza e non contraddittorietà della motivazione in fatto, la Corte di Cassazione soleva ripetere che spettava al giudice di merito la valutazione circa l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, di individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e di apprezzarne la rispondenza ai requisiti di legge. Nessun controllo avrebbe potuto esercitare la S.C. sul ragionamento presuntivo, sempre che la motivazione adottata fosse stata congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni[4]. Il controllo delle presunzioni semplici da parte della Suprema Corte, pertanto, non avveniva direttamente, bensì indirettamente, scrutinando la motivazione e, in particolare, verificando il rispetto dei canoni della coerenza, sufficienza, completezza.

[1] Difatti, confrontando l’art. 2727 c.c. con l’art. 2729 c.c. si constata che il termine «presunzione» viene utilizzato in un duplice senso e cioè sia come conseguenza che si trae dall’esame di fatti noti, sia come elemento che funge da presupposto del ragionamento induttivo. La presunzione, inoltre, può essere scrutata anche sotto il profilo dinamico, compendiando essa il metodo inferenziale induttivo. Su tali questioni v. P.L. Comoglio, Le prove civili, 2010, pag. 645 e ss. Secondo il Taruffo, La prova dei fatti giuridici, Milano, 1992, pag. 452, l’accezione più corretta di indizio è, appunto, “il fatto noto o la fonte che rappresenta la premessa dell’inferenza presuntiva: è dunque indizio qualunque cosa, circostanza o comportamento che il giudice ritenga significativo in quanto da esso possono derivarsi conclusioni relative al fatto da provare”.

[2] Tra le tante, v. Cass. 6 febbraio 2019, n. 3513.

[3] In tal senso, v. Cass., sez. un., 24 gennaio 2018, n. 1785.

[4] Tra le tante, v. Cass. 3 ottobre 2013, n. 22591. Nella prassi si era soliti censurare la decisione sulle presunzioni semplici contestualmente con il motivo di cui al n. 3) e al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. In dottrina, sulla riconducibilità della censura de qua al vizio motivazionale, v. V. Andrioli, voce Presunzioni (diritto civile e diritto processuale civile), Novissimo Digesto Italiano, Vol. XIII, pag. 772; F. Cordopatri, Presunzione (dir. proc. civ.), Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Vol. XXXV, pag. 298.

2. Le presunzioni semplici dopo la modifica del n. 5) dell’art. 360, primo comma, c.p.c.

Come è noto, il n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è stato sostituito dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134)[5]. La disposizione prevede ora la possibilità di denunciare in Cassazione l’“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Si tratta di un vizio specifico e ben identificato che non ha più nulla a che vedere con il difetto di sufficienza, di logicità e di coerenza della motivazione, vizi che oggi possono essere denunciati – secondo l’orientamento prevalente della S.C.[6] -, laddove gravi e decisivi, in relazione al n. 4) dell’art. 360 c.p.c. per violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c.[7]

Le Sezioni Unite[8] hanno precisato che il fatto di cui è stato omesso l’esame può consistere tanto in un fatto principale, quanto in un fatto secondario e le presunzioni semplici, come poc’anzi visto, si fondano proprio su un ragionamento che investe l’esame dei fatti secondari.

Dunque, l’aver omesso di esaminare fatti secondari decisivi, in grado di fondare una presunzione semplice, può certamente dar luogo ad un vizio della sentenza, censurabile ai sensi del n. 5) dell’art. 360 c.p.c.

Il sindacato sulle presunzioni semplici, dopo la riforma del 2012, è stato oggetto di alcuni recenti interventi della Suprema Corte sia a Sezioni Unite[9], sia a sezioni semplici. In particolare, Cass. civile, sez. 3, 06/07/2018, n. 17720, dopo avere approfonditamente affrontato la questione, ha affermato i seguenti testuali principi:

a) in tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., è deducibile come vizio di violazione e falsa applicazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3): i) l’ipotesi in cui il giudice di merito contraddica il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 1, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti) che non siano gravi, precise e concordanti[10]; ii) l’ipotesi in cui il giudice di merito fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 c.c., fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza; iii) l’ipotesi, opposta a quella sub ii) in cui espressamente, cioè motivando, il giudice di merito abbia ritenuto un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza da esso della conseguenza ignota, così rifiutandosi di sussumere sotto la norma dell’art. 2729 c.c., fatti che avrebbero avuto le caratteristiche per esservi sussunti e, quindi, incorrendo per tale ragione in una sua falsa applicazione[11].

b) In tema di presunzioni di cui all’art. 2729 c.c., la prospettazione che il giudice di merito abbia omesso di considerare un fatto noto come giustificativo dell’inferenza di un fatto ignoto e, dunque, la mancanza di applicazione di un ragionamento presuntivo che si sarebbe potuto e dovuto fare, allorquando il giudice di merito non abbia motivato alcunché al riguardo (e non si verta nell’ipotesi in cui l’invocazione del ragionamento presuntivo fosse stata oggetto di un motivo di appello contro la sentenza di primo grado, nel qual caso il silenzio del giudice può essere dedotto come omissione di pronuncia su motivo di appello), non è deducibile come vizio di violazione di norma di diritto, bensì solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, cioè come omesso esame di un fatto secondario, quello che avrebbe fondato la presunzione e lo è nei sensi e con i limiti sottesi a detto paradigma.

Anche per le presunzioni semplici, dunque, è accaduto quel che si è verificato per altri vizi della sentenza dopo la modifica del 2012, ovvero hanno semplicemente subìto un trasloco “ai piani superiori”. Ad esempio, la motivazione apparente, che un tempo si denunciava come insufficienza della motivazione[12] (e quindi ex art. 360, primo comma, n. 5), oggi si censura con il n. 4), trattandosi di violazione di legge costituzionalmente rilevante[13]. Del pari, come abbiamo visto, la motivazione irriducibilmente contraddittoria, perplessa o incomprensibile[14].

Come si vede, la Suprema Corte ha prospettato tutti i possibili scenari e cioè quello dell’errore di diritto in senso stretto, quello dell’errore di sussunzione e quello dell’errore di omesso esame, affermando, a nostro avviso correttamente, che nei primi due casi ricorre il vizio di legge, da far valere in relazione al n. 3) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., mentre nel terzo il vizio di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c.

La soluzione non mancherà di sollevare le critiche di una parte della dottrina, ma ci pare in linea con quella impostazione che individua il confine del sindacato della Suprema Corte non ripiegando sulla tradizionale dicotomia quaestio facti/ quaestio iuris, bensì sulla distinzione tra “questione regolata da norme di diritto” e “questione non regolata da norma di diritto”[15] e l’uso delle presunzioni semplici, come sopra abbiamo visto, è certamente regolato dal diritto.

[5] La disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, con i limiti di applicabilità previsti dal terzo comma dello stesso art. 54 del d.l. n. 83/2012. Ai sensi del secondo comma dell’art. 54 la disposizione si applica «ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». I contributi dottrinari sulla modifica del n. 5) del primo comma dell’art. 360 c.p.c. sono assai numerosi; tra i tanti si segnala: B. Capponi, L’omesso esame del n. 5) dell’art. 360 c.p.c. Secondo la Corte di cassazione, in www.judicium.it; B. Sassani, Riflessioni sulla motivazione della sentenza e sulla sua (in)controllabilità in cassazione, in Corr. giur., 2013, 849 ss.; G.F. Ricci, Il giudizio civile di cassazione, Torino, 2013, 156 ss.; Consolo, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di «svaporamento», in Corr. giur., 2012, 1133 ss.; Panzarola, Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Martino e Panzarola, Torino, 2013, p. 693 ss.; Caponi, La modifica dell’art. 360, 1° comma n. 5 c.p.c. , in www.judicium.it; Id., Norme processuali «elastiche» e sindacato in Cassazione (dopo la modifica dell’art. 360, 1° comma, n. 5), c.p.c., in Foro it., 2013, V, 149 ss.; Bove, Ancora sul controllo della motivazione in cassazione, in Giusto proc. civ., 2012, 431 ss.; Id., Giudizio di fatto e sindacato della Corte di cassazione: riflessioni sul “nuovo” art. 360, n. 5) c.p.c. , in Giusto proc. civ., 2012, 677 ss.; Impagnatiello, Pessime nuove in tema di appello e ricorso in cassazione, in Giusto proc. civ., 2012, 758 ss.; Didone, Ancora sul vizio di motivazione dopo la modifica dell’art. 360, n. 5 c.p.c. e sul tassello mancante del modello di Toulmin, in Giusto proc. civ., 2013, 631 ss.; Pagni, Gli spazi per le impugnazioni dopo la riforma estiva, in Foro it., 2012, V, 299 ss.; Di Iasi, Il vizio di motivazione dopo la l. n. 134 del 2012 , in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1441 ss.; Comoglio, Requiem per il processo giusto, in Nuova giur. civ., 2013, 29 ss.; Trisorio Liuzzi, Il ricorso in cassazione: le novità introdotte dal D.L. 83/2012 , in www.judicium.it.

[6] Tra le tante e solo per citare le più recenti, v. Cass. 13 settembre 2019, n. 22867; Cass. 30 maggio 2019 n. 14754; Cass. 18 aprile 2019, n. 10813. Nel caso deciso da Cass. 9 novembre 2017, n. 26538, il ricorrente aveva lamentato formalmente un vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., ma aveva, nell’illustrazione del motivo, prospettato «il più classico dei vizi di contraddittorietà della motivazione: ovvero l’avere il giudice di merito dapprima rigettato le richieste istruttorie, e poi rigettato la domanda perché non provata». In tal senso, v. anche Cass. 17 dicembre 2015, n. 25386. Per la verità, questo orientamento benevolo si scontra con i principi affermati da Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931 per la quale l’errore di sussunzione (dei n.ri 3 o 5 in luogo del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.) è giustificabile sempre che «si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione», dovendosi dichiarare, viceversa, inammissibile il motivo allorquando il ricorrente sostenga soltanto che la motivazione sia stata insufficiente o contraddittoria, o che sia stato omesso l’esame di un determinato fatto, o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. Per questi rilievi si veda A. Scarpa, Il nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. nell’applicazione giurisprudenziale, Giustizia Civile, fasc. 4, 1 aprile 2018, pag. 925 .

[7] Come aveva previsto parte della dottrina, infatti, nonostante la modifica del n. 5) non è affatto sparito il controllo di logicità. Scriveva, tra gli altri, il Bove, op. ult. cit., all’indomani della riforma: “Io credo assolutamente nulla di nuovo! Certo assisteremmo alla produzione di massime nelle quali si direbbe che la censura del difetto di motivazione è espunta dal sistema della Cassazione o almeno che essa è espunta nel fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma, poi, nella realtà accadrebbe ciò che è già accaduto negli anni ’40 del secolo scorso, quando questa stessa formula era legge dello Stato, ossia quel vizio logico cacciato dalla porta delle apparenze rientrerebbe dalla finestra della sostanza delle cose. E ciò perché esso non è espungibile dal sistema della Cassazione, per il semplice fatto che, si ripete, con esso non si fa altro che lamentare una violazione di legge”. In dottrina, in tal senso v. anche M. Fornaciari, Ancora una riforma dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.: basta, per favore, basta!, in www.judicium.it. In senso contrario v. G.F. Ricci, Il giudizio civile di cassazione, Torino, pag. 188, secondo cui “L’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, non potranno pertanto essere più censurate come vizio autonomo, come si poteva fare in passato, ma solo come mezzo per arrivare a cogliere l’eventuale omissione”. Secondo il modesto parere di chi scrive, invece, appare preferibile l’opinione di chi afferma che la strada per denunciare gli errori compiuti nell’uso delle massime di esperienza e nella formulazione del ragionamento non può che passare attraverso l’art. 116 c.p.c., che non a caso parla di “prudente apprezzamento”, in relazione quindi al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.; in questo senso, v. R. Caponi, op. ult. cit. Su questi argomenti, vedi ampiamente L.A. Lombardo, Il sindacato di legittimità della Corte di Cassazione, Torino , 2015.

[8] Cass. sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054. Da allora, il principio è stato costantemente riaffermato; da ultimo, v. Cass. 12 settembre 2019, n. 22808.

[9] Cass., sez. un., 24 gennaio 2018, n. 1785, non chiamate, però, a risolvere un contrasto sulla questione de qua.

[10] Si tratta di un caso di violazione diretta della norma non frequente nella pratica.

[11] Principi già affermati dalla richiamata Cass., sez. un., 24 gennaio 2018, n. 1785.

[12] Tra le tante, v. Cass. 6 giugno 2012, n. 9113.

[13] Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; in senso conforme, tra le altre Cass. 12 aprile 2017, n. 9356; Cass. 30 ottobre 2018, n. 27458.

[14] Tra le decisioni più recenti si veda Cass. 12 settembre 2019, n. 22735 in cui, peraltro, si trova uno straordinario esempio di insufficienza, mascherata da apparenza. La decisione di merito, infatti, è stata cassata con questa motivazione che in nulla si distingue dalle “vecchie” pronunce per omessa/insufficiente motivazione: “La Corte territoriale ha fondato la propria decisione condividendo da una parte la valutazione del giudice di primo grado circa la particolare imprudenza della condotta del conducente del veicolo antagonista (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), ma considerando, dall’altra, che ciò non fosse sufficiente a ritenere la sua colpa esclusiva; ed ha basato il giudizio di “pari responsabilità” di entrambi i conducenti dei mezzi sulla violenza dell’impatto del motoveicolo desunta dalla parte meramente percettiva delle dichiarazioni rese dai testi O. (“sopraggiunse a tutta velocità”), G. e B. (che hanno riferito “una scivolata di 200 metri prima dell’impatto” e ” un “impatto violento”: cfr. pag. 5 primo e secondo cpv) senza alcuna valutazione circa la graduazione di responsabilità imposta proprio dalle emergenze processuali e giungendo, in assenza di logica e consequenziale motivazione, ad un giudizio di “sostanziale equivalenza delle infrazioni del C.d.S. rispettivamente commesse”, privo di ogni considerazione relativa al contenuto ed al valore fidefacente del rapporto dell’incidente stradale redatto dai Vigili Urbani”.

[15] In tal senso L. Lombardo, La logica del giudice e il controllo di legittimità nel giudizio civile, in www.cortedicassazione.it, pag. 19 e più ampiamente nell’op. ult. cit.

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