Il regime della responsabilità della PA per danni da buche stradali

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1.1       La tesi tradizionale dell’art. 2043 c.c. e la figura pretoria dell’insidia e trabocchetto.
In caso di danni cagionati a soggetti privati da buche poste sul manto stradale, l’orientamento giurisprudenziale tradizionale ha ritenuto escludere l’applicabilità alla PA della regola di responsabilità del custode per i danni derivanti dalle cose custodite ex art. 2051 c.c., in base alla considerazione che le caratteristiche di notevole estensione della strada pubblica e di utilizzazione diffusa da parte della collettività impediscono, alla PA proprietaria della strada, l’esercizio di quei poteri di controllo e vigilanza ai quali è tenuto il custode di una res e che giustificano, in punto di ratio, la previsione della forma di responsabilità aggravata di cui all’art. 2051 c.c. 
Logica derivazione di tale linea ricostruttiva è l’applicabilità generalizzata ed astratta, in caso di danni derivanti dalla presenza di buche sul manto stradale, del generale paradigma di responsabilità fissato all’art. 2043 c.c., in luogo dello speciale regime sancito a carico del custode dall’art. 2051 c.c.; la distinzione più pregnante, in termini di tutela per il danneggiato, si apprezza sotto il profilo dell’onere probatorio in ordine ai presupposti delle due norme: mentre la norma speciale di cui all’art. 2051 c.c. Impone al danneggiato di fornire la prova del rapporto di custodia e del legame eziologico tra danni prodotti e cosa custodita, la norma generale di cui all’art. 2043 c.c., basandosi sui diversi presupposti della condotta antigiuridica, dolosa o colposa e produttiva di un danno, impone al danneggiato di provare in giudizio non solo la presenza della buca e la riconducibilità del danno patito alla buca medesima, ma altresì la colpa della PA.
Inoltre, l’aggravio della posizione del danneggiato si apprezza non solo sul piano della scelta di ritenere operante il regime dettato dall’art. 2043 c.c. e non quello (più favorevole per il danneggiato) prescritto dall’art. 2051 c.c., bensì anche sul piano dei rapporti tra responsabilità del danneggiante ed onere del danneggiato di impedire i danni evitabili con l’ordinaria diligenza, ai sensi dell’art. 1227 II co. c.c.; infatti, tale disposizione, sancendo il generale principio di autoresponsabilità che impone a ciascuno di attivare i mezzi di cautela e di prudenza che consentono di riscontrare le situazioni di pericolo e, per tale via, di evitare le eventuali conseguenze dannose, ha consentito alla giurisprudenza di limitare le pronunce di condanna dalla PA a risarcire il danno alle sole ipotesi in cui il danno provenga da una fonte di pericolo la quale risulti oggettivamente invisibile e soggettivamente imprevedibile, secondo lo schema della c.d. insidia e trabocchetto.
Laddove, in esito ad un giudizio prognostico, si ritenga che un uomo medio, in presenza delle circostanze di fatto in cui si è trovato il danneggiato, avrebbe potuto rilevare la presenza della res portatrice di pregiudizio, in tal caso la PA proprietaria del bene andrebbe considerata esente da responsabilità.
 
1.2       La tesi attuale dell’applicabilità alternativa degli artt. 2043 c.c. e 2051 c.c. a seconda dei presupposti in concreto.
In numerose recenti occasione la giurisprudenza di legittimità e con essa quella di merito, hanno ritenuto operare una rimeditazione della lettura che esclude in via generale ed astratta la possibilità di applicare il regime dell’art. 2051 c.c. alla PA proprietaria di beni demaniali che abbiano cagionato danni a terzi, in favore di una ricostruzione più moderata dei rapporti tra le due disposizioni, secondo uno schema di alternatività in concreto: più nello specifico, si è sostenuto che la responsabilità per danni da omessa od insufficiente manutenzione di strade pubbliche trovi la propria collocazione naturale all’interno dell’art. 2051 c.c., ogni qualvolta non è ravvisabile l’oggettiva impossibilità dell’esercizio del potere di controllo sul bene a causa della notevole estensione e dell’uso generale e diretto da parte di terzi. Viceversa, nel caso in cui concretamente sia riscontrabile l’oggettiva impossibilità di esercizio del suddetto potere di controllo, in tal caso dovrebbe tornare ad applicarsi il generale paradigma fissato dall’art. 2043 c.c.: nella prassi applicativa, adottando queste coordinate, parte della giurisprudenza ha ritenuto che dovesse operare   il regime aggravato di responsabilità sancito dall’art. 2051 c.c. in caso di buche poste su aree autostradali, in quanto destinate alla circolazione in condizioni di velocità e sicurezza, assoggettabili ad un effettivo controllo da parte del gestore attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici adeguati; al contrario, con riferimento alla manutenzione di strade comunali, si sono distinte quelle ubicate all’interno di centri abitati, per la quali si è prospettata l’applicazione dell’art. 2051 c.c., da quelle poste all’esterno dei centri abitati per le quali opererebbe il regime generale dettato dall’art. 2043 c.c. (Cass. Sez. III, sent. n. 15383 del 06-07-2006)
Il ripudio dell’originaria concezione, che negava in via generale ed astratta l’applicazione del regime dell’art. 2051 c.c., è stato il frutto della progressiva ed inevitabile rivalutazione dei rapporti tra PA e privati che, seppur non ancora definitivamente compiuta, ha trovato riscontro, tra l’altro, nell’affermazione della applicabilità alla PA dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nei rapporti contrattuali, nella applicabilità delle forme di responsabilità precontrattuale, nel crescente utilizzo di moduli privatistici da parte della PA, nella più generale esigenza di elidere le residue forme di privilegio ingiustificato a favore della PA.
Tale ultima ricostruzione è stata accolta anche dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha rigettato la censura di incostituzionalità fatta valere nei confronti della disposizione contenuta nell’art. 2051 c.c., sotto il profilo della inapplicabilità della citata norma alla PA per i beni demanili soggetto ad utilizzo generale e diffuso da parte della collettività: facendo propria la lettura ermeneutica dell’applicabilità alternativa delle due regole di responsabilità, a seconda dei presupposti concretamente sussistenti, la Corte ha chiarito che spetta al Giudice accertare se ricorrono i caratteri della notevole estensione e della utilizzazione generale e diffusa, tali da far ricadere la vicenda nell’ambito generale delineato dall’art. 2043 c.c.
 
1.3       Conseguenze sostanziali e processuali della tesi dell’applicazione alternativa degli artt. 2043 c.c. e 2051 c.c.
Sotto il profilo sostanziale (come già accennato sub 1.1), la nuova ricostruzione consente al privato di accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2051 c.c. sulla base della sussistenza del duplice presupposto del rapporto di custodia e della derivazione causale del danno dalla cosa custodita, senza necessità di fornire la prova dell’elemento soggettivo nelle forme del dolo e della colpa; il favor per il danneggiato è evidente, ma, come già chiarito (sub 1.2) deve comunque ritenersi subordinato alla previa verifica che, nel caso concreto, sussista l’oggettiva possibilità di esercitare il potere di controllo sul bene in relazione ai due parametri dell’estensione del bene e dell’incontrollabilità del suo utilizzo.
Restando sul campo dei presupposti sostanziali necessari per accedere alla tutela risarcitoria nei confronti della PA in caso di danno da cattiva od omessa manutenzione stradale, la Corte di legittimità, in una recente pronuncia (Cass. 20/02/2006 n. 3651) ha ritenuto opportuna un’ulteriore precisazione: anche nel caso in cui trovi applicazione il regime generale ex art. 2043 c.c., per l’impossibilità di esercizio del potere di controllo, a causa dell’estensione e dell’uso generale, deve escludersi la possibilità di assegnarsi rilievo a figure di pericolo occulto come insidia e trabocchetto, le quali si pongono in contrasto con l’art. 2043 c.c. sia sotto l’aspetto dell’interpretazione letterale, in quanto non previste in alcun modo da tale disposizione, sia sotto l’aspetto dell’interpretazione sostanziale volta a riconoscere un generale favor per il soggetto che abbia subito una lesione della propria sfera giuridica a causa di un altrui comportamento illecito. Diversamente, in altre occasioni (Cass. 09/11/2006 n. 21684) la giurisprudenza ha ritenuto che il carattere insidioso del pericolo, ovvero l’invisibilità ed imprevedibilità della fonte di danno, è presupposto necessario per poter ottenere l’accoglimento della propria pretesa risarcitoria, nel caso in cui sia stato azionato l’art. 2043 c.c. (e non nel caso in cui si sia agito con l’art. 2051 c.c.)
Dunque, l’insidiosità del pericolo resta irrilevante in caso di pretesa ex art. 2051 c.c., mentre è oggetto di interpretazioni discordanti in caso di pretesa ex art. 2043 c.c.
Sotto il profilo processuale, si è posto il problema della ammissibilità della domanda di risarcimento formulata nell’atto introduttivo ex art. 2043 c.c. e proposta ex art. 2051 c.c. per la prima volta in appello: la risposta fornita dalla Cassazione è stata nel senso dell’inammissibilità di una domanda ex art. 2051 c.c. formulata per la prima volta in appello, in base alla considerazione che le due domande hanno presupposti diversi e, dunque, implicano, sul piano eziologico e probatorio, accertamenti diversi.
Diversamente, si è chiarito che non vìola il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato il giudice che, investito di domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c., fondi l’accoglimento della domanda sulla responsabilità ex art. 2051 c.c. (Cass. 16/11/1999 n. 12694). 
 
2          La natura giuridica della responsabilità ex art. 2051 c.c., tra responsabilità oggettiva e responsabilità presunta.
Nel caso in cui trovi applicazione il regime speciale dettato dall’art. 2051 c.c., ovvero nell’ipotesi in cui sia possibile il controllo sulla res produttiva di danno, in base ai connotati della estensione del bene e della sua utilizzazione, si pone l’ulteriore problema relativo alla natura giuridica della responsabilità del custode ex art. 2051 c.c.
In virtù del prevalente orientamento dottrinale, dovrebbe parlarsi di responsabilità oggettiva nella misura in cui la prova liberatoria ha ad oggetto il caso fortuito, da intendersi come fattore esterno non prevedibile né altrimenti prevenibile, idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del custode e l’evento dannoso occorso al danneggiato; infatti, precisa la dottrina maggioritaria, la prova liberatoria, avendo ad oggetto l’interruzione del nesso di causalità, non consente al custode di liberarsi da responsabilità provando l’assenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, ma solamente la non riconducibilità causale a sé dell’evento dannoso.
Diversamente, parte della giurisprudenza ha prospettato una responsabilità presunta ma non oggettiva, facendo leva sul concetto di fortuito in senso soggettivo, ovvero di fattore che, in quanto imprevedibile, sarebbe idoneo ad escludere la colpa del custode e non ad interrompere il nesso di causalità, come prospettato dalla tesi della responsabilità oggettiva; le critiche dottrinali si fondano sulla considerazione che, ragionando in tal modo, si introduce il presupposto della mancanza di diligenza del custode nella responsabilità ex art. 2051 c.c., la quale richiede, quali unici presupposti, il rapporto di custodia e la derivazione causale del danno dalla cosa custodita.
                                                                                                          Avv. Fabrizio Aliotta   

Aliotta Fabrizio

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