Il regime della prova nei casi di donazione diretta o indiretta

Paolo Geremia 03/03/21
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Premessa

La giurisprudenza si è sempre prodigata per elaborare dei criteri probatori adeguati a discernere i casi di donazione diretta da quelli di donazione indiretta in quelle situazioni in cui il la linea di demarcazione tra le due tipologie appare assai sfumata, ma che necessitano adeguata qualificazione nella fattispecie concreta di volta in volta presa in esame.

A tal proposito, si premette come l’istituto della donazione sia interessato da una casistica molto eterogenea, che spesso può portare a perdere di vista l’organicità e la coerenza della disciplina, adombrandone i princìpi generali e le ratio sottese, soprattutto con riguardo ai criteri di discernimento tra donazione diretta e indiretta.

Infatti, copiosissima è la giurisprudenza sul tema in quanto molto spesso si danno casistiche in cui non è immediatamente qualificabile la donazione oggetto della cognizione del giudice.

Peraltro, anticipando, la qualificazione di una fattispecie concreta come donazione diretta o indiretta non è priva di effetti rilevanti, in quanto esse differiscono sotto il profilo dei requisiti di forma e della relativa nullità o validità della donazione stessa.

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Donazione diretta

A livello generale, la donazione diretta viene definita all’art. 769 c.c. come: “il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”.

Analizzando tale disposizione si possono ricavare due aspetti – o meglio elementi costitutivi – propri della donazione diretta, ossia l’elemento oggettivo, consistente nell’arricchimento del beneficiario, e l’elemento soggettivo, consistente nello spirito di liberalità (animus donandi) del benefattore: in sostanza, si ha donazione quando il disponente si impoverisce volontariamente in vista dell’arricchimento del donatario.

Oltre alla sussistenza di suddetti elementi costitutivi, l’art. 782 c.c. prevede anche dei requisiti formali, prescrivendo che: “La donazione deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena di nullità, ma l’art. 783 c.c. attenua tale disposizione sottraendo al regime della nullità per mancanza forma scritta ad substantiam a quelle donazioni che – anche con riguardo alle capacità economiche reali e concrete del donante – possono considerarsi di modico valore.

Donazione indiretta

Accanto alla donazione diretta esiste anche la donazione indiretta, disciplinata dall’art. 809 c.c., ossia priva dei requisiti di forma previsti dal codice civile per la variante diretta: in tali casi l’arricchimento è soltanto indiretto poiché il bene da considerarsi donato – e dunque oggetto dell’arricchimento – viene solitamente acquisito autonomamente dal beneficiario grazie alla donazione informale precedente.

Nonostante la sua irritualità, tale tipo di pratica negoziale permeata dalla liberalità è stata definita come donazione indiretta perché de facto, indipendentemente dalla sequenza di atti giuridici impiegati, essa produce il medesimo effetto della donazione diretta contemplata ex art. 769 c.c..

Inoltre, poiché tale donazione viene effettuata in maniera indiretta, contrariamente alla donazione diretta, per essa rileva soltanto l’elemento costitutivo soggettivo dello spirito di liberalità, lasciando piena libertà circa l’elemento costitutivo oggettivo dei requisiti di forma; ciò significa che la donazione indiretta non è mai nulla per non essere stata realizzata tramite atto pubblico, mentre deve essere sempre comunque presente l’elemento dell’animus donandi.

Per fare un esempio pratico, si dà donazione indiretta – dunque priva di forma pubblica – nei casi di elargizione di una somma di denaro da parte del donante a favore di un beneficiario, il quale, solo in un secondo momento, utilizzi detto denaro per l’acquisto di un altro bene, che costituisce il vero oggetto della donazione.

 

Il problema della prova nella donazione indiretta

Come già accennato, comune ad entrambe le tipologie di donazione rimane sempre lo spirito di liberalità, il quale assume un valore ancora più significativo nel caso della donazione indiretta.

Infatti, proprio a causa della mancanza della forma dell’atto pubblico, nei casi di donazione indiretta devono essere sempre adeguatamente provati sia lo spirito di liberalità sia il suo collegamento diretto con quanto elargito, ossia il fine (nesso teleologico).

Attraverso l’osservazione dei caratteri di continuità e discontinuità tra le due figure di donazione, non stupisce il fatto che la giurisprudenza sia di legittimità che di merito si sia sempre indaffarata nell’elaborazione di criteri atti a individuare concretamente l’uno o l’altro tipo.

L’elaborazione di tali criteri risulta quanto più necessaria in forza della peculiare importanza economica del rapporto di totale impoverimento del donante e arricchimento del beneficiario.

Proprio per tale rilievo, vari sono i paramenti che la giurisprudenza ha preso in considerazione per la definizione di tali criteri, come ad esempio il nesso teleologico o il tipo di supporto utilizzato per operare una donazione.

Di seguito si illustreranno i principali canoni valutativi elaborati dalla giurisprudenza sul tema in questione; per facilitare la comprensione di detti criteri si prenderà in considerazione la paradigmatica fattispecie concreta della donazione diretta o indiretta di beni immobili.

 

I criteri probatori

Il criterio logico principale per discernere tra donazione diretta e donazione indiretta è certamente il raggiungimento di una prova inequivocabile del rapporto di liberalità col vincolo d’acquisto di uno specifico bene immobile, avendo riguardo all’idoneità del mezzo impiegato anche in relazione alla pubblicità dei vari rapporti giuridici e passaggi.

La necessità di dimostrare un così stretto legame tra l’elargizione e l’acquisto dell’immobile è stata ribadita proprio dalla Suprema Corte, per la quale deve sempre sussistere incontrovertibilmente un collegamento teleologico tra elargizione del denaro e acquisto dell’immobile. Infatti, la Cassazione ha ben definito come fondamentale sia proprio la presenza del nesso tra donazione del denaro e acquisto dell’immobile: in caso di totale assenza o mancanza di prova di tale nesso, non può dirsi integrata la fattispecie della donazione indiretta[1].

La Suprema Corte non si è limitata ad indicare genericamente l’importanza della prova del collegamento teleologico della liberalità, ma ha anche elaborato una sorta di criterio probante, per il quale la liberalità indiretta può essere considerata come collegata ad un atto di trasferimento immobiliare se l’atto di liberalità viene espressamente enunciato nell’atto stesso. Dunque, per la Cassazione l’atto di acquisto che è sprovvisto di suddetta enunciazione e semplicemente eseguito in piena autonomia dall’acquirente non può essere considerato come collegato a nessun precedente atto di liberalità, dovendosi dunque valutare la precedente donazione come diretta e non indiretta[2].

Addirittura, talvolta il giudice di merito ha elaborato metodi ancora più stringenti, come ad esempio una pronuncia il Tribunale di Fasano, che ha definito come sia persino necessaria la partecipazione del donante nell’atto d’acquisto – anche se non necessariamente in veste formale di promissario acquirente o di debitore del prezzo – affinché possa autenticamente configurarsi una donazione indiretta. Da ciò deriva automaticamente che un eventuale acquisto operato in autonomia dal beneficiario della donazione qualifica la fattispecie come una donazione diretta di denaro, la quale, di conseguenza è soggetta alla forma scritta ad substantiam ex art. 782 c.c.[3].

 

La rilevanza del mezzo impiegato: il bonifico bancario

Come già anticipato, nella definizione di una donazione come diretta o indiretta può assumere rilevanza anche il supporto utilizzato per la suddetta donazione.

Di seguito, a titolo esemplificativo, si indicano gli esiti dei ragionamenti della giurisprudenza in quelle casistiche in cui la donazione viene effettuata col mezzo del bonifico bancario. Si è optato per tale esemplificazione in forza del fatto che il bonifico è logicamente uno dei metodi più utilizzati nella prassi per la donazione di somme di denaro e dunque, di riflesso, anche per il conferimento di somme in donazione e poi eventualmente utilizzate indirettamente per perseguire qualche arricchimento di altra natura.

Nello specifico, la Suprema Corte ha definito come il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del donante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta. Pertanto, la Cassazione ha ritenuto che – salvo i casi di donazione di modico valore – una attribuzione patrimoniale di rilevante entità operata con l’intermezzo di una banca necessita la stipulazione dell’atto pubblico così come previsto dall’art. 782 c.c., consistendo dunque in una vera e propria donazione diretta[4].

Anche il Tribunale di Barletta ha chiarito l’irrilevanza giuridica del mezzo bonifico in materia di donazione indiretta, poiché esso costituisce soltanto il mezzo per il trasferimento del denaro, integrando pienamente una donazione diretta ove l’interposizione dell’istituto di credito non differisce rispetto alla traditio manuale di contanti tra donante e beneficiario[5].

Oltre a tali pronunce qui esplicitate, copiose sono le sentenze che si sono allineate a tale orientamento[6].

Conclusioni

Riassumendo, appare evidente come eterogenei siano i parametri ed i criteri elaborati dalla giurisprudenza per discernere nella prassi i casi di donazione diretta e quelli di donazione indiretta.

Nello specifico, nelle fattispecie di donazione indiretta deve essere sempre inequivocabilmente provato il nesso teleologico tra la liberalità del donante e la disposizione del diritto, con attenzione anche alla modalità ad ai supporti utilizzati.

In conclusione, si rileva come la qualificazione di una fattispecie come donazione diretta o indiretta non sia priva di rilevanti conseguenze pratiche e giuridiche: infatti, ad esempio, potrebbe darsi il caso per cui donazione prima privatamente qualificata come indiretta da donante e beneficiario – e quindi sprovvista della forma scritta ad substantiam – venga poi giudizialmente qualificata come diretta in un procedimento attivato da qualche terzo ritenutosi leso dalla donazione. In tal caso, si avrebbe una declaratoria di nullità per i vizi formali ex art. 782 c.c..

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[1] Cass. civ. Sez. VI – 2, 02/09/2014, n. 18541

[2] Cass. civ. Sez. V, 24/06/2016, n. 13133

[3] Tribunale di Fasano, Sent., 05/07/2006. Per approfondire vd. Obbl. e Contr., 2006, 12, 1036 nota di G. Schiavone.

[4] Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 27/07/2017, n. 18725

[5] Tribunale Barletta, Sent., 16/01/2020

[6] Su posizioni similari anche:Tribunale Vicenza Sez. I, Sent., 26/03/2020; Tribunale Bolzano Sez. I, Sent., 12/06/2020; Tribunale Firenze Sez. I, Sent., 19/06/2020; Tribunale Imperia, Sent., 10/08/2020

Paolo Geremia

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