IL RECESSO DEL SOCIO PER GIUSTA CAUSA

Redazione 15/10/00
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di Franco Spezia

SOMMARIO: 1. Generalità. 2. Giusta causa di recesso. 3. Società a tempo indeterminato. 4. Esercizio del recesso.

1. Generalità.
L’art. 1372 c.c. prevede che il contratto possa essere sciolto solamente per mutuo consenso o nei casi stabiliti dalla legge. Uno di questi casi, che presentano sempre il carattere dell’eccezionalità (altrimenti verrebbe meno la forza vincolante del contratto), è il recesso del socio previsto dall’art 2285 c.c., vale a dire la facoltà attribuita al singolo partecipante di sciogliersi unilateralmente dal vincolo che lo unisce agli altri soci.
Il recesso è dunque un istituto di carattere eccezionale e, come tale, mantiene la sua configurazione nel contratto di società di persone, dove è consentito solo in determinate ipotesi . Il socio può recedere liberamente previa preavviso di tre mesi solo quando la società sia contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci; se invece la società è contratta a tempo determinato il recesso è consentito soltanto quando sussista una giusta causa o quando ricorra un’ipotesi indicata come causa possibile di recesso dal contratto.
La legge media quindi fra due esigenze: da un lato si vuole tutelare la libertà individuale, evitando la perpetuità del vincolo contrattuale e nel contempo garantire la libertà di iniziativa economica vista nel suo aspetto negativo come rinuncia ad una attività economica già intrapresa con altri (1); dall’altra si vuole assicurare stabilità all’assetto societario, evitando che il soggetto possa arbitrariamente e pretestuosamente ritirarsi dalla compagine sociale, compromettendone il raggiungimento delle finalità o la stessa esistenza. Conseguenza del recesso è infatti la liquidazione delle quota al socio uscente, la quale si traduce in un esborso finanziario che è tanto più elevato, quanto più consistente l’entità della partecipazione.
Va considerato nullo l’accordo che stabilisce che il socio possa rinunciare preventivamente al diritto di recesso nelle ipotesi dell’art. 2285; sono per contro modificabili contrattualmente le modalità relative al suo esercizio, come ad esempio la durata del termine di preavviso, a condizione che queste non comportino in pratica una soppressione della difesa del socio(2).

2. Giusta causa di recesso
Stabilire in concreto quando sussista una giusta causa di recesso è una questione di non facile soluzione.
La giurisprudenza prevalente, interpretando in modo restrittivo il concetto di giusta causa ( così come peraltro avviene per altri contratti quali quello di lavoro, di mandato, di apertura di credito e simili), ha ritenuto di doverla identificare in tutti quei fatti riconducibili alla violazione di obblighi contrattuali, e di fedeltà, di diligenza e correttezza, incidenti sulla natura fiduciaria del rapporto (3) . Il recesso diventa quindi una giustificata reazione ad un comportamento illegittimo degli altri soci, condotta che viene a minare il rapporto fiduciario sul quale si basano le società di persone. Partendo da queste premesse si è considerato insufficiente a determinare una giusta causa di recesso sia il disaccordo su una qualsiasi pretesa, anche se fondata, sia un qualunque pretestuoso motivo di dissenso (4)
Si è quindi stabilito che il diritto di recesso possa essere esercitato in presenza di una reiterata violazione da parte del socio-amministratore dell’obbligo di rendere conto della gestione sociale e dell’andamento economico della società (5). Così anche nel caso di emarginazione costante di alcuni soci amministratori, effettuata tramite l’affidamento di lavori meno importanti e più ingrati, il rifiuto di porre a loro disposizione le scritture contabili, l’assunzione di decisioni di rilievo per l’azienda, al di fuori di preventive consultazioni (6). La giusta causa di recesso è stata anche riconosciuta nell’ ipotesi che il socio venga senza motivo escluso dalla gestione degli affari sociali (7) . Parimenti nel caso di gravi irregolarità nelle tenuta delle scritture contabili da parte di altro socio amministratore, in concomitanza con un’ attività sociale irrimediabilmente passiva (8). Si è considerata giusta causa il fatto che l’altro socio abbia subito protesti di assegni bancari e di vaglia cambiari all’epoca del recesso (9).
La dottrina ha ampliato la casistica riguardante la ricorrenza della giusta causa di recesso, non limitandola agli inadempimenti e alle scorrettezze degli altri soci, facendovi rientrare altri fatti rilevanti di carattere oggettivo, riguardanti il soggetto recedente.
La ricorrenza di un giusta causa di recesso è stata identificata nell’esistenza di un dissidio insanabile fra i soci che si riflette sulla gestione dell’impresa, ostacolando in tal modo il conseguimento dell’oggetto sociale(10).
Così anche nel caso di modifiche essenziali al contratto di società deliberate a maggioranza, quando questo è ammesso dall’atto costitutivo (11). Se si cambiano infatti gli aspetti essenziali del rapporto societario, mutando radicalmente le regole del gioco, non si vede perché non concedere al socio dissenziente l’uscita dalla società, come è per altro disposto per le società di capitali nelle ipotesi indicate dall’art. 2437 c.c..
Altre situazioni che impediscono una prosecuzione proficua dell’attività sociale sono state indicate come giustificazione dell’uscita volontaria del socio, quali la perdita in misura notevole dei conferimenti, la trascuratezza o l’incapacità degli amministratori, la condotta immorale dei soci, la mancata esclusione di un socio, quando se ne verificano i presupposti (12).
Riteniamo che le fattispecie integranti la giusta causa di recesso debbano anche includere fatti sopravvenuti, di carattere straordinario, che incidono sulle qualità essenziali della figura personale del socio(13), impedendo allo stesso quella collaborazione fattiva, su cui deve essere imperniato il rapporto sociale.
Ciò si avvera nel caso di intervenuta dichiarazione d’interdizione e di inabilitazione. L’incapacità totale o parziale del socio infatti, rendono inidonea e difficoltosa la sua partecipazione in società, da attuarsi attraverso rappresentanza o assistenza. Analogamente nel caso del socio d’opera che non sia più in grado di prestare la sua attività nell’impresa. Detta ipotesi, come quella precedente sono significativamente indicate come motivo di esclusione ai sensi dell’art. 2286, perché cause idonee a giustificare la rottura del vincolo societario, determinandosi una situazione che contrasta con lo scopo sociale, consistente nello svolgimento in comune di una attività economica.
Parimenti deve ammettersi il recesso del socio che per malattia o per età avanzata non sia più in grado di seguire gli affari della società (14).
I caratteri peculiari delle società di persone, in specie l’importanza che ha in esse l’attività dei soci e l’affiatamento che deve permanere fra di essi, ci sembra possano giustificare un estensione del diritto di recesso ai casi prospettati.
Il contratto di società stesso potrà indicare a titolo esemplificativo quali fatti possano integrare la giusta causa di recesso, con l’effetto di prevenire controversie sull’idoneità della causa stessa.
L’accertamento in ordine alla sussistenza di una giusta causa e alle altre condizioni di ammissibilità del recesso è demandato alla valutazione del giudice di merito ed è sottratto al sindacato di legittimità, se congruamente motivato ed immune da vizi logici e giuridici (15).

3. Società a tempo indeterminato.
La giusta causa di recesso può essere invocata dal socio non soltanto nell’ipotesi in cui la società sia contratta a tempo determinato, ma anche quando la società è a tempo indeterminato al fine di produrre l’effetto di rendere immediatamente operativo il recesso. Diversamente, il recesso ad nutum produce i suoi effetti decorsi i tre mesi di preavviso e, nelle more, il socio potrebbe ricevere pregiudizio, come nel caso di comportamenti gravemente scorretti da parte degli altri soci o di pericolo di insolvenza. La responsabilità del socio illimitatamente responsabile, a norma dell’art. 2290 c.c., si estende infatti a tutte le obbligazioni insorte prima del recesso, sia quelle di natura negoziale, sia quelle di origine legale e ciò potrebbe anche avere rilievo nel caso di fallimento.
La dichiarazione di recesso per giusta causa, una volta regolarmente notificata, vanifica inoltre una eventuale iniziativa da parte degli altri soci mirante all’esclusione del socio stesso ex art. 2286 c.c. (16). Nel caso infatti di concorso fra due cause di scioglimento del rapporto riguardante un socio, deve considerarsi operante quella che diviene efficace per prima (17).

4. Esercizio del recesso

L’esercizio del recesso per giusta causa si attua attraverso una dichiarazione unilaterale di volontà, di carattere recettizio, che produce i suoi effetti quando viene a conoscenza degli altri soci che ne sono i destinatari (art. 1334 c.c.) (18). Contestualmente il recedente perde la qualità di socio. La sentenza che accerta la sussistenza della giusta causa e l’efficacia del recesso, assume conseguentemente natura dichiarativa e produce i suoi effetti ex tunc(19).
La comunicazione del recesso può attuarsi in qualsiasi maniera, non essendo richieste forme particolari (20) . E’ valida ed efficace anche se manifestata tacitamente o per fatti concludenti, a parte in tali casi le ovvie difficoltà e complicanze sul piano probatorio. Può essere contenuta anche nell’atto di citazione con il quale viene instaurata la lite tendente alla liquidazione della quota sociale appartenente al recedente (21).
La dichiarazione di recesso deve essere fatta personalmente dal socio o da chi lo rappresenta legalmente, non rientrando tuttavia fra i poteri del procuratore ad litem (22).
Detta dichiarazione, proprio perché provoca l’effetto di modificare il contratto sociale, deve essere portata a conoscenza personale di ciascuno degli altri soci, non basta ad alcuni soltanto o agli amministratori (23). La società deve considerarsi priva di legittimazione passiva, essendo i soci che restano gli unici soggetti direttamente e necessariamente contraddittori, i quali diventano obbligati al pagamento della quota (24). Lo scioglimento del vincolo limitatamente ad un socio inerisce infatti ai rapporti interni del gruppo non assumendo rilievo l’autonomia patrimoniale del gruppo stesso, che invece rileva soltanto all’esterno, nei rapporti verso i terzi.
L’efficacia del recesso viene vanificata se gli altri soci deliberano lo scioglimento anticipato della società, a condizione che non abbiano intrapreso dopo il recesso nuove operazioni sociali (25).
Nella società composta da due soli soci, il recesso di uno di essi non comporta lo scioglimento della società, che si verifica, tuttavia, solamente alla scadenza del termine concesso al socio non receduto dall’art. 2272 n. 4, per ricostituire la pluralità dei soci (26)
E’ stata dichiarata nulla sia perché integrante l’ipotesi del patto leonino, sia perché contraria a norme imperative( per le quali non si può procedere alla ripartizione dell’attivo, se non tramite la procedura di liquidazione), la clausola prevista in un contratto di società o patto parasociale che stabilisce che, in caso di recesso di uno dei soci non sorretto da giustificato motivo, il conferimento iniziale di questi non gli sarà restituito (neppure in parte e neppure in presenza di utili futuri) e lo stesso verrà suddiviso fra i soci non recedenti a titolo di risarcimento del danno, anche per i rischi ed oneri inerenti l’attività imprenditoriale ( 27)

BIBLIOGRAFIA

1.Cfr. GALGANO, Diritto commerciale, Le società, 1992, 84

2.Cfr. FERRARA, Imprenditori e società, 1971, 272

3.Cass. 10 giugno 1999, n. 5732, in Arch. Civ. 2000, 534. Cass. 6 febbraio 1965, n. 186, in Giust. Civ. 1965, I, 34; Cass. 3 gennaio 1962, n. 2, in Giur. it. 1962,I,1, 129; Cass. 13 giugno 1957, n. 2212, in Dir fall. 1958, II, 894.

4.Cass. 6 febbraio 1965, n. 186, cit.

5.Trib. Pavia 19 aprile 1991, in Giust. Civ. 1991, I, 1821.

6.App. Milano 20 settembre 1985, in Società 1986, 378.

7.Trib. Verona, 25 gennaio 1994,in Società 1994, 800. Nel caso di specie, al socio erano stati negati gli utili di sua spettanza, sia la possibilità di esercitare il controllo sull’attività sociale.

8.Trib. S. Maria Capua V. 20 luglio 1991, in Dir. fall. 1992,II, 1149

9.Trib. Milano 26 settembre 1988, in Società 1989, 156

10.Cfr.FERRARA, cit., 272; GRAZIANI, Diritto delle società 1963, 94; GRECO, Le società 1959, 348; in senso contrario App. Milano 25 ottobre 1991, in Società 1992, 1073, che prevede che il dissidio insanabile sia un caso di scioglimento della società e non valga invece come giusta causa di recesso.

11.Cfr; GALGANO, cit., 85; FERRI, Le società, 1987, 283; nello stesso senso App. Firenze 21 novembre 1955, in Giur. tosc. 1956, 256.

12. Cfr. FERRI, cit, 283

13.In senso contrario FERRI, cit., 283 e Cass. 15 giugno 1957, in Dir. fall. 1958;II, 894

14. Cfr.GRECO, cit. , 348; AULETTA, Clausole di continuazione della società coll’erede del socio personalmente responsabile, in Riv. trim. dir. pro. civ. 1951, 929.

15. Cass. 21 luglio 1981, n. 4683, in Giust. Civ. mass. 1981, fasc. 7.

16. Cfr.GALGANO , cit., 85

17. Cass, 13 gennaio 1987, n. 134, in Giust. Civ. 1987, I, 843; Trib. Torino 26 giugno 1980, in Giur. comm. 1981, II, 487; Cass. 17 marzo 1955, n. 790, in Riv. Comm. 1955, II, 349, con nota di GIORDANO, Concorso fra una causa di esclusione e una di recesso da una società personale.

18.Cass. 13 gennaio 1987, n. 134, cit.; Trib. Torino 9 febbraio 1978, in Giur. comm. 1979, II, 98; cfr in dottrina Cfr. COTTINO, Diritto commerciale, II, 1994, 226; GHIDINI, Società personali, 1972, 521; GRAZIANI, cit., 95; FERRI, cit., 281

19. Cass. 6 febbraio 1965 n. 186, cit..

20. Cass. 16 dicembre 1988, n. 6849 , in Giur. it .1989, I, 1, 1130; Trib. Pavia 21 aprile 1989, in Giust. Civ. 1989,I, 1439. Cfr. anche FERRI, cit. 281. In senso contrario si è espresso GALGANO, op. cit., 85, per cui il recesso per giusta causa si esercita mediante domanda giudiziale; ed acquisterà efficacia, una volta che una sentenza passata in giudicato abbia accertato l’esistenza della giusta causa di recesso, a decorrere dalla data della domanda .

21.Cass. 10 giugno 1999 n. 5732, cit.

22. Cass. 16 maggio 1958 n. 1599, in Dir fall. 1958, II, 437.

23. Cass. 1965 n. 186, cit; Trib. Catania 24-6-1982, in Giur. com. 1983,II,98.

24. Cass. 24 novembre 1995, n. 12172, in Arch. Civ. 1996, 1064; Cass. 23 maggio 1972 n. 1577, in Dir. fall. 1972,II, 974; Cass. 6 febbraio 1965, n. 186, cit.; Trib. Milano 20 ottobre 1997, in Società 1998, 320; Trib Pavia 21 aprile 1989, cit.; in senso contrario si è espressa la più recente giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. 21 gennaio 2000 n. 642 in Società 2000, 550, Cass. 19 novembre 1999 n. 12833, in Giust. Civ. 2000, I, 1039, con nota di SCHERMI, Soggettività e società di persone, Cass. 10 giugno 1998 n. 5757, in Società 1998, 1417, per la quale la liquidazione della quota del socio receduto od escluso rappresenta un credito nei confronti della società, non direttamente dei soci,la cui responsabilità è solo sussidiaria, come per ogni altro debito sociale

25. Cass 14 aprile 1982, n. 2224, in Giust. Civ.1982,I, 2082; cfr. anche FERRARA, cit., 273.

26. Cass. 22 dicembre 1978, n. 6156, in Giur. comm. 1979, II, 179.

27. Trib. Milano 22 ottobre 1990, in Società 1991, 221

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