Il Principio di legalità

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Chiarisci i concetti essenziali su questo e altri argomenti con il “Compendio di diritto penale – parte generale” di Michele Rossetti, a cura di Marco Zincani.

Il principio di legalità afferma che gli organi dello Stato devono agire secondo la legge.

Questo principio ammette che il potere venga esercitato in modo discrezionale, ma non in modo arbitrario.

Il principio di legalità si afferma dopo la Rivoluzione francese del 1789.

Sorge come risposta al potere e all’oppressione dell’Ancien Régime, come rifiuto della funzione giurisdizionale come concepita nell’idea del tempo.

Il magistrato, funzionario del Re, diceva la legge, e la legge proveniva dal re.

Il rifiuto di questa idea si traduceva nella dottrina di chi credeva che il giudice dovesse essere la “bocca della legge” e di chi riteneva di ricacciare nell’oblìo di costumi medievali la “legge dei tribunali”.

Nell’idea giacobina del tempo, si afferma l’idea che la legge non possa essere interpretata se non rigidamente e in modo letterale.

La concezione del giudice come semplice ramite della regola è sopravvissuta sino ai giorni nostri, perdendosi il significato partigiano e giacobino della funzione giurisdizionale, e affermandosi un significato universale:

il principio di legalità esprime oggi una scelta politica in base alla quale la libertà viene limitata nella misura essenziale per assicurare la pace.

In passato, sono stati imposti limiti rigidi alla funzione giurisdizionale, a vantaggio del legislatore, rappresentante del popolo, che non può nuocere a sé stesso.

La fiducia illuministica nella ragione dell’uomo si concretizza poi nel pensiero che la legge, perché traduzione materiale di principi naturali, è cosa intrinsecamente giusta, e che la certezza dello strumento-legge deve essere massimo.

Viene elevato a principio costituzionale della Carta Fondamentale, e tra i destinatari figura il legislatore, che non potrà trasferire agli altri il proprio compito (delegificazione), dovendo provvedere con legge ordinaria, e la legge sarà soggetta al giudice costituzionale, che vaglierà la corrispondenza ai sommi principi.

La legalità ha come fine quello indicarci diritti e doveri per farci vivere in maniera civile.

Essa si atteggia come necessità di una previa norma di legge attributiva del potere (ad esempio, le Camere).

Il secondo fine aggiunge che amministrazione e giurisdizione devono esercitare i loro poteri in conformità con i contenuti prescritti dalla legge.

L’amministrazione è tenuta non esclusivamente a perseguire i fini determinati dalla legge (legalità-indirizzo), ma anche agire in conformità alle disposizioni normative stesse (legalità-garanzia) (ad esempio Magistratura).

Sul piano giuridico, il principio di legalità esprime una scelta garantista e di libertà, che si traduce nella predisposizione delle norme per l’interpretazione e in limitazioni per l’esercizio della stessa (ex artt. 12-14 preleggi).

La questione legata al principio in discorso è strettamente connesso al problema dell’interpretazione della legge, ed è necessario comprendere sinotticamente lo sviluppo del principio (di legalità) e della tecnica che ne costituisce applicazione (interpretazione della legge).

Il giudice può limitare l’attività tecnica dell’interpretazione del diritto secondo Costituzione, oppure si può muovere “praeter legem”, attraverso la cosiddetta “interpretazione evolutiva”, o il ricorso di alcune forme di analogia, consentite nel nostro ordinamento.

Sia che questo avvenga per fare fronte a determinati inconvenienti legislativi, sia che avvenga per un desiderio di vedere concretizzata una giustizia sostanziale, una presa di posizione del giudice oltre i rigidi confini segnati dalla legge può segnare un identificarsi con la giustizia politica.

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Alcuni (Calamandrei), sostengono che in ogni decisione giurisdizionale vi sia un “quantum” di politicità.

Altri rifiutano questa impostazione che si rivela, in Italia, metagiuridica, e propria del pensiero anglosassone, e risolvono per sostenere che la politicità o apoliticità del giudice è in ultima analisi, una questione di fonti del diritto.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, per molti diritti, compie un vaglio preliminare sulla legalità della procedura che a livello nazionale ha deciso su di essi: “nel caso Hentrich si era stabilito che il requisito di legalità è soddisfatto dalla sufficiente accessibilità, precisione e prevedibilità della norma: (…) non esclusivamente la Corte lo ribadisce, ma spiega anche da quale rischio in questo modo ci si salvaguarda.

Si tratta di evitare applicazioni incongrue della norma, cioè tali che potrebbero privare i ricorrenti di una concreta protezione dei loro diritti per l’arbitrarietà o imprevedibilità dei risultati.

Uno Stato di diritto passa anche per un elevato standard di qualità della legge, da offrire al cittadino sufficiente chiarezza sulle circostanze e le condizioni in cui un suo diritto potrebbe essere sacrificato (caso Halford).

Questo standard prevede (in conformità con l’articolo 13 della Convenzione europea) che si assicuri l’effettività della tutela, indipendentemente dal fatto che la  violazione sia stata compiuta da chi agisca investito di pubblico potere (caso Rotaru)”.

Attraverso le regole di Copenaghen, il principio affermato dalla CEDU è transitato tra i requisiti di accesso all’Unione europea, dove il trattato di Lisbona lo include tra i valori fondanti dell’Unione.

La norma dettata dal diritto sostanziale, per soddisfare il principio di legalità, deve garantire un elevato livello di tipicità.

Questonon la priva, in genere, del “carattere della concretezza, pur essendo applicabile a una molteplicità di casi, mentre la sentenza del giudice rappresenta la regola del caso concreto, cioè del singolo caso.

Il carattere della concretezza manca nelle norme che contengono clausole generali, ma esse costituiscono per certi versi delle eccezioni nel sistema del diritto civile, avendo soprattutto la funzione di offrire regole di comportamento alle parti per evenienze non previste e per adattare alle circostanze della fattispecie le regole legali o quelle concordate nel contratto, nonché la funzione di offrire una base testuale al giudice per trovare nel sistema la regola da applicare in caso di mancanza di una norma determinata o per correggere un risultato iniquo al quale si potrebbe pervenire con la semplice applicazione di una norma determinata.

In questo senso le clausole generali sono state spesso descritte come “ventili” o “polmoni” dell’ordinamento giuridico.

In entrambe le ipotesi il giudice elabora la regola del caso concreto applicando la norma dettata dal diritto sostanziale”.

L’esigenza di concretezza della norma non può spingersi fino a negare la sua tipicità, pena la creazione di una vera e propria antinomia.

È stato lamentato che “le strade della legittimità e della legalità (la prima, adeguatezza ad aspettative concrete; la seconda, conformità a norme astratte)” si vanno divaricando, senza andare “alla radice, per colmarlo, dello scarto tra legalità e legittimità, ci possiamo attendere uno svolgimento tragico del conflitto tra una legalità illegittima e una legittimità illegale”.

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