Il perfezionamento della notificazione a mezzo PEC ai sensi dell’art. 3-bis della Legge n. 53/1994 in caso di mancata consegna per causa imputabile al destinatario. Brevi note a margine di una non condivisibile pronuncia di merito (Corte d’Appello di Roma, 19 ottobre 2018, n. 6619)

Redazione 02/05/19
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di Marco Farina*

* Professore a contratto di Diritto Processuale Civile presso l’Università LUISS di Roma

Sommario

1. Il caso di specie e la soluzione della Corte di Appello di Roma

2. Rapidi cenni sulle notificazioni a mezzo pec ai sensi dell’articolo 3-bis L. n. 53/1994

3. Osservazioni critiche

4. Conclusioni

1. Il caso di specie e la soluzione della Corte di Appello di Roma

A seguito della notificazione di un atto di citazione in appello avvenuta nel rispetto del termine (lungo) di impugnazione di cui all’art. 327, primo comma, c.p.c., il convenuto appellato, nel costituirsi, deduce comunque l’inammissibilità per tardività della impugnazione in quanto proposta oltre il termine (breve) di cui all’art. 325 c.p.c., vale a dire al di là dei trenta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza di primo che si assume avvenuta su istanza di parte ex art. 285 c.p.c. ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3-bis L. 53/1994.

In particolare, a parere del convenuto il termine breve di impugnazione di cui all’art. 325 c.p.c. doveva dirsi nella specie interamente ed inutilmente decorso in quanto la notificazione della sentenza di primo grado si era perfezionata nei confronti del procuratore costituito ex art. 170 c.p.c. a seguito e per effetto (i) dell’invio all’indirizzo PEC di quest’ultimo risultante da pubblici elenchi di un messaggio contenente, come allegati, la relata di notificazione e la sentenza stessa, (ii) della generazione della ricevuta di accettazione e, infine, (iii) della generazione di una ricevuta di mancata consegna che dava, tuttavia, atto della circostanza per cui l’impossibilità di recapitare il messaggio era dipesa dal fatto che la casella PEC del destinatario risultava piena.

A fronte della contestazione da parte dell’appellante circa il preteso perfezionamento della notificazione della sentenza anche a fronte della mancata consegna attestata dalla ricevuta negativa generata dal sistema e prodotta dall’appellato, la Corte di Appello di Roma ha dovuto quindi prendere posizione intorno al se possa dirsi validamente perfezionata una notificazione a mezzo PEC ex art. 3-bis L. 53/1994 all’esito della quale non si sia potuto procedere alla consegna del messaggio nella casella del destinatario per fatto imputabile a quest’ultimo.

Secondo quanto rilevato a tal proposito dalla Corte d’Appello nella sentenza oggetto di queste p>ex art. 3-bis L. 53/1994 non si sia potuta perfezionare per fatto e/o causa imputabile al destinatario – ciò che tipicamente avviene allorché il mancato recapito del messaggio in cui sostanzialmente consiste la notificazione dipenda dal fatto che la casella del destinatario ha superato il limite di capienza dei messaggi in entrata – essa deve intendersi comunque validamente e perfettamente eseguita a tutti gli effetti in quanto si tratterebbe, in sostanza, di un caso esattamente corrispondente a quello di (illegittimo) rifiuto di ricevere l’atto da notificare regolato dall’art. 138, secondo comma, c.p.c. per il quale, come noto, la notificazione si intende perfezionata anche quando sia mancata la consegna dell’atto per “fatto” del destinatario.

In conclusione, per la Corte d’Appello nel caso di specie deve affermarsi la validità della notificazione della sentenza avvenuta ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione atteso che la mancata consegna al procuratore costituito ex art. 170 c.p.c. del messaggio PEC è stata causata da circostanza imputabile al destinatario e, di conseguenza, deve essere dichiarata l’inammissibilità per tardività della impugnazione proposta oltre il trentesimo giorno decorrente dalla generazione della ricevuta di mancata consegna.

2. Rapidi cenni sulle notificazioni a mezzo PEC ai sensi dell’articolo 3-bis L. n. 53/1994

Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3-bis L. 53/1994, l’avvocato munito di procura alle liti ma non anche dell’autorizzazione del Consiglio dell’Ordine nel cui albo questi è iscritto[1] può procedere alla notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale con modalità telematica.

In tal caso, la notificazione si esegue inviando un messaggio da un indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocato notificante che risulti da pubblici elenchi ad un indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario della notificazione anch’esso risultante da pubblici elenchi[2]; il messaggio dovrà contenere nell’oggetto la dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” e avrà come allegati l’atto e/o il provvedimento da notificare e la relata di notificazione rispettosa dei requisiti di contenuto-forma di cui al comma 5 dell’art. 3-bis L. 53/1994.

Secondo quanto disposto dal comma 3 dell’art. 3-bis L. 53/1994 la notificazione si perfeziona “per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68 e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68”. Tale previsione in ordine al momento perfezionativo della notificazione a mezzo pec eseguita da un avvocato ai sensi delle disposizioni contenute nella L. 53/1994 deve, peraltro, completarsi con quanto previsto dall’art 16-septies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, secondo cui “la disposizione dell’articolo 147 del codice di procedura civile si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”[3].

Ai fini che qui interessano non è necessario soffermarsi sulle varie e numerose questioni (sovente, peraltro, di carattere eminentemente tecnico) che sorgono in relazione alla notificazione di atti processuali a mezzo PEC ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3-bis L. 53/1994[4]; interessa piuttosto verificare se, alla luce del dato legislativo e dei precedenti della giurisprudenza di legittimità, la soluzione fornita dalla Corte di Appello di Roma sia o meno corretta.

[1] La lettera b) del quinto comma dell’art. 3-bis L. 53/1994 – che precedentemente prevedeva la necessità di indicare nella relata di notificazione gli estremi dell’autorizzazione rilasciata dal competente Consiglio dell’Ordine – è stata infatti soppressa dall’art. 46, comma 1, lett. d), del D.L. 30 giugno n. 90/2014, conv. Con modif. in L. 11 agosto 2014, n. 114.

[2] Ai sensi dell’art. 16-ter D.L. 18 ottobre 2012 n. 179 convertito con modificazioni nella legge 17 dicembre 2012, n. 221 “ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis , 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia“. Per quanto qui interessa, il pubblico elenco di cui all’articolo 6-bis del d.lgs. 82/2005 coincide con l’Indice nazionale dei domicili digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti istituito presso il Ministero per lo sviluppo economico, quello di cui all’articolo 16 del D.L. 185/2008 coincide con il registro delle imprese, quello di cui all’art. 6-quater del D.lgs. 82/2005 con l’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese la cui realizzazione e gestione sono affidate all’AgID (Agenzia per l’Italia Digitale), quello di cui all’art. 16, comma 12, del D.L. 179/2012 coincide con il Registro degli indirizzi elettronici delle Pubbliche Amministrazioni, gestito dal Ministero della giustizia (da non confondere con l’indice delle Pubbliche Amministrazione-IPA che invece non costituisce elenco pubblico valido ai fini delle notificazioni a mezzo PEC), mentre infine nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici-ReGIndE gestito dal Ministero della Giustizia confluiscono, ad es., gli indirizzi PEC che gli avvocati hanno il dovere di comunicare al proprio ordine di appartenenza. In ragione del chiarissimo tenore testuale della disposizione, nonché in dipendenza delle modalità con le quali viene alimentato e compilato l’INI-PEC (ossia attraverso la comunicazione giornaliera dei dati risultanti dal registro delle imprese o dagli ordini professionali), deve ritenersi gravemente errata Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2019, n. 3709 in cui è stata affermato il seguente principio di diritto: “Il domicilio digitale previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicché la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)”. Nel caso di specie era accaduto che la sentenza di secondo grado impugnata per cassazione era stata notificata, ai fini della decorrenza del termine breve, ad un indirizzo PEC dell’Avvocatura Generale dello Stato che risultava nell’INI-PEC ma, a quanto è dato capire dalla motivazione, non anche dal ReGIndE nel quale, al contrario, sembrava essere stato inserito un altro indirizzo. Alla luce del contesto fattuale in cui è stata pronunciata la decisione qui segnalata si capisce che il principio di diritto infine affermato risulti probabilmente non replicabile all’infuori di casi che coinvolgano l’avvocatura dello stato atteso che, come detto in precedenza, per i professionisti iscritti in ordini i due registri – INI-PEC e ReGIndE – sono alimentati con gli stessi dati provenienti dagli albi di appartenenza. Al di là di questo, la pretesa prevalenza delle risultanze del ReGIndE rispetto a quelle del registro INI-PEC che dovrebbe giustificare, secondo l’assunto della Corte di legittimità, la conclusione per cui, nei casi (lo ribadiamo, rari se non impossibili a verificarsi) di conflitto, solo la notificazione eseguita all’indirizzo risultante dal primo potrà considerarsi validamente eseguita non si fonda su alcuna previsione di legge; esattamente al contrario, il tenore letterale del combinato disposto degli articoli 3-bis, comma 1, L. 53/1994 e 16-ter D.L. 18 ottobre 2012 n. 179 induce a ritenere gli elenchi pubblici individuati da tale ultima disposizione perfettamente fungibili. È appena il caso di precisare, poi, che Cass. 3709/2019 intende espressamente dare continuità all’orientamento di cui sono espressione Cass. civ., Sez. VI – 3, 14 dicembre 2017, n. 30139 in cui, però, può leggersi che “l’art. 16 sexies (rubricato “Domicilio digitale”) del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, come introdotto dal D.L. 25 giugno 2014, n. 90, art. 52, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 […]impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo PEC risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, (codice dell’amministrazione digitale) ovvero presso il ReGIndE, di cui al D.M. n. 44 del 2011 ” e Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, 25 maggio 2018, n. 13224 la quale ha sì affermato la nullità di una notificazione a mezzo PEC eseguita ad un indirizzo diverso da quello risultante dal ReGIndE ma in un caso in cui tale diverso indirizzo coincideva con quello che il difensore aveva indicato negli atti processuali e che, in ogni caso, ribadisce il principio di diritto per cui “ai fini del domicilio digitale di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16-sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, siccome introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, comma 1, lett. b), conv. con modif. in L. n. 114 del 2014, l’unico indirizzo di posta elettronica certificata rilevante è quello risultante dagli elenchi di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 6-bis, nonché dal “Reglnde”, gestito dal ministero della giustizia”.

[3] Secondo il “diritto vivente” la disposizione – letta unitamente al terzo comma dell’art. 3-bis L. 53/1994 – stava a significare che nel caso in cui la ricevuta di accettazione fosse stata generata dopo le ore 21, ancorché l’invio del messaggio fosse precedente, la notificazione si intendeva perfezionata anche per il notificante il giorno successivo (così, tra le tante, Cass. civ., Sez. VI – Lav., 9 gennaio 2019, n. 393, Cass. civ., Sez. VI – 5, 9 gennaio 2019, n. 398 Cass. civ., Sez. VI – 1, 12 novembre 2018, n. 28864, Cass. civ., Sez. lavoro, 30 agosto 2018, n. 21445, Cass. civ., Sez. VI – 3, 31 luglio 2018, n. 20198). La Corte d’Appello di Milano (ordinanza 16 ottobre 2017, in Giur. It., 2018, 3, 617 con nota di F. Cossignani) ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-septies del D.L. n. 179/2012 nella parte in cui differisce il perfezionamento della notificazione alle ore 7 del giorno successivo, anche per il notificante, quando la notificazione è eseguita dall’avvocato in via telematica ex art. 3 bis, L. n. 53/1994 e la ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21, risultando violati l’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’uguaglianza e della ragionevolezza, e gli artt. 24 e 111 Cost., con riferimento al diritto di azione e di difesa del notificante. La Corte Costituzionale, con sentenza 75 del 9 aprile 2019, ha ritenuto fondata la questione e, per l’effetto, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 16-septies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta”.

[4] Per un esame si v. A. Bonafine, L’atto processuale telematico. Forma, patologie, sanatorie, Roma, 2017, 220 e s.s., nonché la recente rassegna tematica della giurisprudenza di legittimità sul processo civile telematico a cura dell’Ufficio del Massimario e Ruolo della Corte di Cassazione aggiornata al febbraio 2019 e reperibile sul sito www.cortedicassazione.it.

3. Osservazioni critiche

Nella propria (diciamolo subito, non condivisibile) decisione, la Corte d’Appello di Roma ritiene che la conclusione circa la piena e perfetta efficacia[5] della notificazione a mezzo PEC che abbia avuto come esito quella della generazione di una ricevuta di mancata consegna per fatto imputabile al destinatario (nel caso di specie, in quanto la casella pec del procuratore costituito in primo grado era risultata “piena”) debba venire a fondarsi, innanzi tutto, sulla sussistenza di un obbligo a carico di tutti i soggetti che per legge devono dotarsi di un indirizzo e di una casella di posta elettronica certificata di verificare diligentemente il corretto funzionamento di tali strumenti telematici[6].

Secondo il ragionamento della Corte territoriale, dunque, se il messaggio correttamente inviato dal notificante all’indirizzo PEC risultante da pubblici registri del destinatario non viene consegnato per un malfunzionamento della casella che il destinatario stesso avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza o, comunque, di cui si sarebbe potuto accorgere sempre usando l’ordinaria diligenza, allora è giusto far derivare a carico del negligente destinatario la negativa conseguenza di ritenere comunque perfezionata la notificazione nonostante vi sia la certezza che l’atto non è stato recapitato e che, in definitiva, il procedimento notificatorio non ha concretamente potuto attingere il proprio scopo.

Si tratta, sempre a parere della Corte di Appello, di una ricostruzione che troverebbe conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (sia civile, che penale) e, segnatamente, in tre precedenti che vengono a tal fine evocati.

La Corte capitolina, innanzi tutto, richiama Cass., sez. VI-3, 25 settembre 2017, n. 22320 in cui, tuttavia, non si faceva minimamente questione della possibilità di ritenere comunque (efficacemente) consegnato e, dunque, notificato un atto a mezzo PEC pur se venga generato un messaggio di mancata consegna per casella piena. Al contrario, in questa decisione si risolve un caso in cui il destinatario di una notificazione a mezzo PEC ne aveva dedotto la nullità in quanto, nonostante il fatto che il messaggio fosse stato correttamente recapitato nella sua casella pec e fosse stata, dunque, generata la ricevuta di avvenuta consegna, non vi era stata la possibilità di avere concreta conoscenza dell’atto notificato perché il suo formato era leggibile solo mediante particolare strumenti tecnici non installati nel computer del destinatario. A fronte di tale deduzione, la SC ha avuto buon gioco nel rilevarne la manifesta infondatezza osservando, in motivazione, come non possa sostenersi che “nell’attuale contesto di diffusione degli strumenti informatici ed in ogni caso delle telecomunicazioni con tali mezzi, quello che consenta di leggere correntemente il formato di un atto notificato nel rispetto di quelle regole, corrispondenti a standard tecnici minimi ed adeguatamente diffusi e pubblicizzati, comporti, per un professionista legale quale ordinario ovvero normale destinatario di quelle regole, un onere eccezionale od eccessivamente gravoso: integrando piuttosto la dotazione di quegli strumenti un necessario complemento dello strumentario corrente della sua attività quotidiana e, quindi, un adminiculum ormai insostituibile per l’esercizio corrente della sua professione, attesa l’immanente e permanente quotidiana possibilità dell’impiego, da parte sua o nei suoi confronti, degli strumenti tecnici consistenti nella notifica col mezzo telematico di atti, soprattutto processuali; e salva beninteso l’allegazione e la prova, da valutarsi con il necessario rigore, del caso fortuito, come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli ed imprevedibili, comunque non imputabili, nemmeno con la diligenza professionale legittimamente esigibile, al professionista coinvolto”.

Dunque, nel caso deciso da Cass. 22320/2017 l’onere di diligenza alla cui violazione si richiama la Corte d’Appello nella decisione in commento al fine di farne discendere il perfezionamento della notificazione nonostante sia mancata la consegna del messaggio nella casella PEC del destinatario è impiegato dalla Suprema Corte, assai diversamente, per negare ingresso alla questione di nullità di una notificazione (i) correttamente perfezionatasi al lume della disposizione di cui al terzo comma dell’art. 3bis L. 53/1994 e (ii) che aveva anche pienamente raggiunto il suo scopo di portare a conoscenza del destinatario l’atto da notificare la cui concreta conoscibilità era stata, semmai, impedita da inconvenienti tecnici addebitabili alla piena responsabilità del destinatario stesso.

Una fattispecie ed un principio di diritto certamente inapplicabili, dunque, al caso della mancata consegna del messaggio PEC nella casella del destinatario per fatto a questi imputabile.

L’altro precedente evocato dalla decisione della Corte d’Appello romana è Cass. civ., sez. lav., 21 maggio 2018, n. 12451 in cui si discuteva della tempestività del ricorso per cassazione (exart. 99, comma 12, L.F.) avverso il decreto di rigetto della opposizione allo stato passivo che, come risaputo, deve essere proposto entro 30 giorni dalla comunicazione di tale decreto da parte della cancelleria[7].

In questo caso, in effetti, si trattava di accertare se il mancato perfezionamento della comunicazione di cancelleria a mezzo PEC (e non anche, si badi, di una notificazione a mezzo PEC ai sensi della L. 53/1994[8]) per causa imputabile al destinatario[9] potesse comunque consentire di ritenere inammissibile, in quanto tardivo, il ricorso per cassazione proposto al di là del termine di 30 giorni dal deposito in cancelleria del decreto o se, invece, proprio in ragione del fatto che la comunicazione di cancelleria non si era potuta perfezionare (ancorché per fatto imputabile al destinatario) tale impugnazione dovesse ritenersi tempestiva ed ammissibile perché proposta entro il termine di 6 mesi dalla pubblicazione (vale a dire, dal deposito in cancelleria) del decreto stesso.

La Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso ritenendo, correttamente, che il termine di 30 giorni fosse comunque decorso in quanto, in ipotesi siffatte, si deve fare applicazione del disposto dell’art. 16, comma 6, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito, con modificazioni, in l. 17 dicembre 2012, n. 221) per il quale “le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”.

In dipendenza di tale norma[10], dunque, non vi è dubbio che in caso di comunicazione telematica omessa per fatto imputabile al destinatario si debba comunque intendere perfezionato il procedimento previsto dalla legge per portare a conoscenza di una parte il contenuto di un provvedimento, in quanto la pubblicità del provvedimento garantita con il deposito in cancelleria è comunque in grado di assicurarne una sua, pur astratta[11], conoscibilità in capo al negligente destinatario[12].

Il caso, dunque, era differente da quello risolto dalla pronuncia della Corte di Appello oggetto di queste p>

La stessa valutazione di radicale inconferenza deve essere riservata anche all’ulteriore “precedente” invocato dalla Corte d’Appello a sostegno della propria decisione, ossia Cass. pen., 1° dicembre 2017, n. 54141 che ha affermato il seguente principio di diritto “Deve ritenersi regolarmente perfezionata la comunicazione o la notificazione mediante deposito in cancelleria, ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, nel caso in cui la mancata consegna del messaggio di PEC sia imputabile al destinatario, ciò che si verifica quando il destinatario medesimo, venendo meno agli obblighi previsti dal D.M. n. 44 del 2011, art. 20, non si doti dei necessari strumenti informatici ovvero non ne verifichi l’efficienza”.

Anche in tal caso, dunque, si discuteva della sufficienza del mero deposito in cancelleria di un provvedimento ai fini della sua conoscibilità allorché la sua comunicazione a mezzo PEC non si sia perfezionata per causa imputabile al destinatario; e quindi anche in tal caso a venire in rilievo era la chiara disposizione dettata, per le comunicazioni e notificazioni di cancelleria, dall’art. art. 16, comma 6, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito, con modificazioni, in l. 17 dicembre 2012, n. 221).

La decisione in commento, dopo aver invocato a sostegno della (palesemente) errata conclusione raggiunta “precedenti” solo apparentemente conformi ma, in realtà, del tutto inconferenti in quanto resi in relazione a casi diversi da quello in cui si tratti di dover stabilire le sorti di una notificazione a mezzo PEC ex art. 3-bis L. 53/1994 che non si sia potuta perfezionare per fatto imputabile al destinatario, si spinge oltre sino a negare immotivatamente rilevanza e decisività all’unico precedente – contrario alla soluzione adottata dalla Corte territoriale nel provvedimento oggetto di queste brevi p>

Nella sua decisione, infatti, la Corte d’Appello fa riferimento, per discostarsene, a Cass. civ., Sez. V, 20 luglio 2018, n. 19397 resa a definizione di un giudizio di cassazione in cui era accaduto questo: ordinata l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., il ricorrente, l’ultimo giorno utile, tentava di notificare il ricorso al litisconsorte pretermesso a mezzo PEC ma la notificazione si concludeva con la generazione di un avviso di mancata consegna per fatto imputabile al destinatario; a questo punto, dunque, il ricorrente, il giorno immediatamente successivo, procedeva a notificare il ricorso al litisconsorte pretermesso nelle forme tradizionali e la notificazione si perfezionava ritualmente; a fronte di tali accadimenti processuali la Corte si è interrogata su di una eventuale inammissibilità del ricorso per mancata ottemperanza all’ordine ex art. 331 c.p.c. entro il termine “perentorio” all’uopo fissato e, a tal proposito, ha innanzi tutto rilevato come non potessi darsi alcuna rilevanza al (mero) tentativo di notificazione eseguito a mezzo PEC l’ultimo giorno utile atteso che “l’esito negativo della notifica, sia pure chiaramente imputabile al destinatario per non aver reso possibile la ricezione di messaggi sulla propria casella di PEC, non consente di ritenere perfezionata tale notifica a mezzo PEC; non si applica, invero, con riguardo alla ricevuta di mancata consegna generata a seguito di notifica telematica effettuata da un Avvocato ai sensi della L. n. 53 del 1994, la disciplina prevista nel caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica (o comunicazione) effettuata dalla Cancelleria”[13]; prosegue la Suprema Corte affermando che l’articolo 16, comma 6, D.L. n. 179 del 2012“è riferibile […] esclusivamente alle comunicazioni/notificazioni della cancelleria e non anche alle notifiche effettuate a mezzo PEC dagli Avvocati, il che impone, dunque, di provvedere a rinnovare la notifica dell’atto secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e ss. c.p.c., anche nel caso in cui la notifica effettuata non vada a buon fine per causa imputabile al destinatario, atteso che la notifica si perfeziona unicamente al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC)”[14].

A fronte di tali chiarissime e corrette considerazioni, la Corte d’Appello ritiene di doversi discostare da tale (unico, invero) precedente, da un lato addebitando alla Suprema Corte di non essersi misurata con “i principi affermati dalle precedenti decisioni sotto il profilo della ascrivibilità al destinatario della notifica via PEC della mancata consegna a causa della inagibilità o inadeguatezza della propria casella, sanciti dalle ricordate Cass. n. 22320 del 25/09/2017 e Cass. Pen. n. 54141 del 01.12.2017”[15] e, dall’altro, assai sorprendentemente rilevando che la “motivazione di Cass. n. 19397/2018 risulta più che altro incentrata sull’applicazione del principio della efficacia della notificazione a far data dalla iniziale richiesta di notifica, nel caso di mancato perfezionamento per ragioni non imputabili al notificante e di presa del procedimento notificatorio entro un termine ragionevolmente contenuto secondo la comune diligenza, senza entrare in motivato contrasto con i principi formulati dalle precedenti pronunzie del 2017”.

Anche quest’ultimo rilievo, però, non pare proprio cogliere nel segno. È agevole osservare, infatti, che in tanto la Suprema Corte ha ragione di evocare il principio di diritto per cui la richiesta di notificazione di un atto è da considerarsi tempestiva pur se intervenuta dopo la scadenza del termine perentorio allorché detta richiesta costituisca la riattivazione, entro un termine ragionevole, di un procedimento notificatorio innescato entro il medesimo termine perentorio e però non perfezionatasi per causa non imputabile al notificante[16], proprio perché ha ritenuto non perfezionatasi – per causa imputabile al destinatario e, quindi, per causa non imputabile al notificante – la notificazione a mezzo PEC solo tentata entro il termine posto dalla ordinanza di integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c.; quindi, esattamente al contrario di quanto opinato nella pronuncia in commento, il fatto che la decisione sia “più che altro incentrata sull’applicazione del principio della efficacia della notificazione a far data dalla iniziale richiesta di notifica” non consente in alcun modo di far degradare a mero obiter quanto chiaramente ed espressamente affermato dalla Suprema Corte circa la radicale impossibilità di ritenere perfezionata la notificazione a mezzo PEC in caso di generazione di una ricevuta di mancata consegna (anche) per causa imputabile al destinatario atteso che, come visto, tale conclusione è dichiaratamente funzionale alla necessariamente conseguente invocazione del principio di diritto espresso da Cass., SS.UU., 14594/2016 al fine di ritenere tempestivamente adempiuto l’ordine di integrazione del contraddittorio[17].

[5] Nella decisione si afferma più volte che la notificazione a mezzo pec deve considerarsi valida anche quando, come nel caso di specie, sia stata generata una ricevuta di mancata consegna per fatto imputabile al destinatario. Preferiamo nel testo far riferimento ad un giudizio di efficacia, piuttosto che di validità, perché in realtà in ipotesi siffatte non vi è da far questione intorno al rispetto o meno di requisiti formali ma, diversamente, di comprendere se la mancata consegna consenta ugualmente, in quanto dipendente da causa imputabile al destinatario, di far conseguire al procedimento notificatorio (evidentemente incompleto) il suo tipico effetto.

[6] Si tratta di obbligo certamente esistente ma, come si vedrà, il suo eventuale inadempimento e, quindi, l’impossibilità di procedere con una notificazione a mezzo pec ai sensi della L. 53/1994 per fatto imputabile al destinatario non produce mai l’automatica conseguenza di ritenere comunque perfezionato il relativo procedimento ancorché esso si sia arrestato prima del suo completamento. Situazioni diverse da quella oggetto del provvedimento della Corte di Appello di Roma e di queste brevi p>account di posta elettronica certificata del destinatario il quale, si è detto, ha il dovere di assicurarsi del corretto funzionamento della propria casella postale certificata utilizzando a tal fine dispositivi di vigilanza e di controllo, dotati di misure anti intrusione, e controllando prudentemente la posta in arrivo, ivi compresa quella considerata dal programma gestionale utilizzato come “posta indesiderata” (così, Cass., civ., 7 luglio 2016, n. 13917). Si tratta, come ognuno vede, di situazioni radicalmente diverse da quella in cui la notificazione a mezzo PEC non abbia potuto attingere il suo scopo, ossia quello di consegnare l’atto alla casella PEC del destinatario, seppur per fatto imputabile al destinatario. Su questo punto decisivo si tornerà di seguito nel testo.

[7] La norma, dunque, è doppiamente speciale rispetto alle norme ordinarie che disciplinano i termini per la proposizione del ricorso per cassazione. Non solo, infatti, il termine per ricorrere in cassazione avverso il decreto che definisce una delle impugnazioni dello stato passivo di cui all’art. 98 L.F. è dimidiato rispetto a quello ordinario di cui all’art. 325 c.p.c. ma, di più, la sua decorrenza è ancorata alla comunicazione di cancelleria piuttosto che alla notificazione ad istanza di parte ai sensi dell’art. 285 c.p.c. È appena il caso di precisare, peraltro, che in mancanza di comunicazione da parte della cancelleria si applicherà il termine di 6 mesi dal deposito in cancelleria del decreto e che, al contrario, nel caso in cui la comunicazione della cancelleria sia anticipata dalla notificazione ad istanza di parte, allora dal compimento di questa decorrerà il termine di 30 giorni. Per quanto qui specificamente interessa, deve precisarsi che, secondo quanto si dirà meglio infra nel testo e nelle p>dies a quo per la proposizione di un mezzo di impugnazione (sono i casi, ad es., del regolamento di competenza, dell’ordinanza che decide un giudizio svoltosi nelle forme del procedimento sommario di cognizione ex art. 702-quater c.p.c., così come quello della impugnazione della sentenza di primo grado allorché l’appello sia stato dichiarato inammissibile ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.), allorché la comunicazione di cancelleria a mezzo PEC del provvedimento venga “omessa” per fatto imputabile al destinatario, si applicherà comunque il termine breve (rispettivamente di 30 giorni in caso di regolamento di competenza, ricorso per cassazione avverso il decreto ex art. 99, 12, L.F. e di appello avverso l’ordinanza ex art. 702-quater c.p.c. e di 60 giorni in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado nei caso di cui all’art. 348-ter c.p.c.) decorrente dal deposito in cancelleria del provvedimento impugnabile con regolamento di competenza, del decreto ex art. 99, comma 12, L.F. o dell’ordinanza ex art. 702-quater, ovvero della ordinanza ex art. 348-ter c.p.c. e non troverà, invece, applicazione la regola residuale per cui, mancando la comunicazione, dovrebbe farsi applicazione del termine lungo di 6 mesi dalla pubblicazione.

[8] La distinzione è fondamentale ai fini della questione specifica che si sta affrontando. Lo si vedrà a breve nel testo e nelle p>

[9] Anche nel caso deciso da Cass. 12451/2018, peraltro, l’impossibilità di recapitare il messaggio PEC da parte della cancelleria era dipesa dal fatto che la casella PEC del destinatari era risultata piena.

[10] La norma, è bene precisarlo, si applica solo alle comunicazioni e alle notificazioni di cancelleria le quali, ai sensi dell’art. 16, comma 4, D.L. 179/2012, si eseguono “esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi”. Quello che rileva ai nostri fini è, come evidente, il fatto che in tali casi l’utilizzo dello strumento telematico è l’unico a disposizione della cancelleria per procedere alle comunicazioni o notificazione, così come si desume dall’avverbio “esclusivamente” che campeggia nella disposizione appena evocata.

[11] La previsione in ordine alla sufficienza del mero deposito in cancelleria del provvedimento e, dunque, della “semplice” pubblicità del provvedimento stesso ai fini del perfezionamento della comunicazione è giustificata, come è ovvio, proprio dal fatto che l’omissione dello specifico procedimento volto a garantire la concreta conoscibilità del provvedimento è dipesa da fatto imputabile al destinatario. Ciò non toglie, però, che pur trattandosi di norma che in qualche misura tende a sanzionare il negligente destinatario, essa consenta comunque di ricollegare la conoscibilità del provvedimento ad un dato evento distinto dal mero mancato perfezionamento della comunicazione e astrattamente in grado di surrogare l’attività conoscitiva omessa. Ciò che, al contrario, non può in alcun modo dirsi nel caso di mancato perfezionamento di una notificazione a mezzo PEC ai sensi della L. 53/1994 allorché, cioè, venga generata una ricevuta di mancata consegna. Anche su questo ulteriore e decisivo aspetto di tornerà meglio infra nel testo e nelle p>

[12] Nei casi in cui, dunque, la comunicazione di cancelleria del provvedimento segna il momento da cui inizia a decorrere il termine per la proposizione di una impugnazione (v. la precedente nota 7), il fatto che la legge preveda che, in ipotesi di comunicazione omessa, la stessa si intenda eseguita per mezzo del mero deposito in cancelleria implica che detto deposito in cancelleria – in quanto, come detto, da intendersi quale comunicazione – segnerà il momento di decorrenza del medesimo termine (breve) che sarebbe stato innescato in ipotesi di perfezionamento della comunicazione, diciamo così, vera e propria. In questo senso v. anche Cass. civ., sez. VI, 15 dicembre 2016, n. 25968 che ha dichiarato inammissibile perché tardivo il ricorso per cassazione proposto contro la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. oltre il termine di 60 giorni dal deposito in cancelleria dell’ordinanza di inammissibilità in un caso in cui la comunicazione a mezzo PEC di questa ordinanza era stata omessa per causa imputabile al destinatario.

[13] Così i punti 1.3 e 1.4 della motivazione di Cass. 19397/2018.

[14] Così il punto 1.5 della motivazione di Cass. 19397/2018.

[15] Il rilievo mosso dalla Corte d’appello romana ai giudici della Corte Suprema è, a dir poco, ingeneroso. Gli è che, per un verso, la Suprema Corte non doveva in alcun modo misurarsi con i precedenti erroneamente invocati dalla decisione in commento in quanto, come già visto, essi si riferivano a fattispecie in cui a venir in rilievo era la disposizione di cui all’art. 16, comma 6, D.L. 179/2012 che la Suprema Corte, nella decisione 19397/2018, dichiara espressamente non applicabile al caso del mancato perfezionamento della notificazione a mezzo PEC ex art. 3-bis L. 53/1994 per causa imputabile al destinatario e, per altro e decisivo verso, il profilo della ascrivibilità alla responsabilità del destinatario della mancata consegna è in realtà chiaramente preso in considerazione dalla Suprema Corte nella motivazione della decisione 19397/2018 laddove espressamente si afferma che si deve “provvedere a rinnovare la notifica dell’atto secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e ss. anche nel caso in cui la notifica effettuata non vada a buon fine per causa imputabile al destinatario, atteso che la notifica si perfeziona unicamente al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC)” .

[16] Il riferimento è a Cass. civ., Sez. Unite, 15 luglio 2016, n. 14594 la quale – aderendo al dictum di Cass. civ., Sez. Un., 24 luglio 2009, n. 17352 che aveva affermato il seguente principio di diritto: “nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quest’ultimo, ove se ne presenti la possibilità, ha la facoltà e l’onere di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio, e la conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, avrà effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie” – ne ha voluto, diciamo così, chiarire e concretizzare la portata statuendo che “la parte che ha richiesto la notifica, nell’ipotesi in cui non sia andata a buon fine per ragioni e lei non imputabili, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve attivarsi con immediatezza per riprendere il processo notificatorio e deve svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento. Questi requisiti di immediatezza e tempestività non possono ritenersi sussistenti qualora sia stato superato il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data rigorosa prova”.

[17] Vale la pena di ribadirlo: se la decisione avesse ritenuto correttamente perfezionatasi la notificazione a mezzo PEC culminata con la generazione di una ricevuta di mancata consegna per fatto imputabile al destinatario, non avrebbe avuto alcun motivo di indugiare sulla necessità di invocare il salvifico principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nella decisione 17352/2016 per dare rilevanza alla richiesta di notificazione secondo le regole generali avvenuta il giorno dopo la scadenza del termine perentorio.

4. Conclusioni

Da quanto sopra esposto, la manifesta erroneità della conclusione attinta dalla Corte d’Appello nel caso di specie emerge, crediamo, con evidenza.

Pure al di là dei decisivi rilievi in precedenza svolti circa l’inconferenza dei precedenti invocati a sostegno della decisione e la decisiva rilevanza, a torto negata, da riconoscere all’unico vero precedente in termini, occorre ribadire come il ritenere perfezionata una notificazione a mezzo PEC ai sensi dell’art. 3-bis L. 53/1994 pure nel caso in cui non sia stato possibile recapitare il messaggio per causa imputabile al destinatario ed in cui, quindi, sia stata generata una ricevuta di mancata consegna confligge, apertamente e testualmente, con la previsione contenuta nel terzo comma dell’art. 3-bis L. 53/1994 a tenore del quale, come sopra visto, la notificazione “si perfeziona […]per il destinatario nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna […]”; di modo che non si riesce a comprendere in che modo la notificazione possa ritenersi perfezionata allorché venga generata una ricevuta di mancata consegna.

Già questo argomento dovrebbe essere considerato, di per sé, sufficiente a risolvere la questione specifica nell’unico modo razionalmente possibile, vale a dire negando che possa attribuirsi efficacia ad un procedimento notificatorio manifestamente incompleto che ha avuto un esito radicalmente negativo non avendo potuto attingere – ancorché per fatto imputabile al destinatario – il proprio scopo[18].

Ma volendo proseguire oltre, dovrebbe anche rilevarsi che, ferma la inapplicabilità al caso che qui interessa della disposizione dettata per il caso di comunicazione o notificazione di cancelleria omessa per causa imputabile al destinatario, vi è anche un’altra norma che impone di giungere alla conclusione circa la radicale impossibilità di ritenere perfezionata una notificazione a mezzo PEC ex art. 3-bis L. 53/1994 pacificamente omessa in quanto culminata non con la generazione di una ricevuta di avvenuta consegna, bensì con il suo esatto opposto (ossia con la generazione di una ricevuta di mancata consegna).

L’art. 16-sexies del D.L. 179/2012 prevede, infatti, che “salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”. La norma, dettata al fine di rendere oramai inattuale l’obbligo per il difensore extra-districtum di eleggere un domicilio “fisico” nel Comune nel cui circondario ha sede il giudice adito, costituisce ulteriore conferma – semmai ve ne fosse bisogno – del fatto che in caso di mancato perfezionamento della notificazione a mezzo PEC per fatto imputabile al destinatario (ossia, per i casi in cui venga generata una ricevuta di mancata consegna per un malfunzionamento della casella del destinatario imputabile a quest’ultimo) è comunque necessario procedere ad una altra forma di notificazione che, nel caso di procuratore extra-districtum sarà quella della notificazione in cancelleria, mentre negli altri casi sarà quella ordinaria prevista dagli artt. 137 e ss. c.p.c..

In nessun caso, quindi, l’imputabilità al destinatario del mancato perfezionamento della notificazione a mezzo PEC è in grado di ingenerare una fictio iuris tale per cui l’atto deve ritenersi comunque consegnato quand’anche in concreto non lo sia stato, altrimenti si farebbe, a dir poco, fatica a capire il senso della disposizione dettata dall’art. 16-sexies appena menzionata.

Né, beninteso e come già accennato, tale fictio in cui in definitiva si risolve la conclusione patrocinata dalla Corte d’Appello di Roma può trovare valida e fondata giustificazione nella evocata equiparazione quoad effectum della fattispecie in discorso con quella disciplinata dall’art. 138 c.p.c.

Nel caso in cui il destinatario rifiuti di ricevere la copia dell’atto che l’ufficiale giudiziario sta tentando di consegnarli a sue mani, vi è un volontario e consapevole contegno del destinatario stesso che consente, nel caso in cui non se ne riesca a dimostrare la legittimità, di ritenere la notificazione eseguita e “fatta in mani proprie”, nell’altro c’è un contegno, al più, negligentemente omissivo del destinatario il quale, pur se con colpa, non è comunque neppure in grado di conoscere che una notificazione è stata tentata nei suoi confronti[19]. Le situazioni sono, quindi, oggettivamente e profondamente diverse e non possono, quindi, essere disciplinate allo stesso modo.

Del resto, e l’osservazione ci pare decisiva, il parallelo istituito dalla Corte d’Appello romana finisce con il provare troppo: se fosse vero quello che si sostiene nella decisione in commento, si dovrebbe allora ritenere che in ogni caso di mancata consegna dell’atto per fatto imputabile al destinatario la notificazione si dovrebbe ritenere ugualmente perfezionata, senza necessità di procedere con forme alternative di comunicazioni che pur tengano conto di tale situazione di procurata irreperibilità[20].

Neppure, infine, potrebbe tentarsi di giustificare la conclusione raggiunta dalla Corte d’Appello rilevando una omologia di fondo tra l’ipotesi del mancato perfezionamento della notificazione a mezzo PEC ai sensi dell’art. 3-bis L. 53 per causa imputabile al destinatario e quella di impossibilità di esecuzione della comunicazione o notificazione di cancelleria sempre per fatto ascrivibile alla responsabilità del destinatario.

Al di là della considerazione per cui per le comunicazioni o notificazioni di cancelleria vi è un’espressa previsione di legge volta a regolare le conseguenze di un loro esito negativo per fatto imputabile al destinatario[21], l’impossibilità di accomunare le due ipotesi deriva dalla osservazione, decisiva, per cui le comunicazioni o notificazioni di cancelleria devono per legge avvenire esclusivamente a mezzo PEC – di modo che, è ovvio, a tale obbligo di legge non si può venir meno allorché ciò dipenda da fatto imputabile al destinatario della comunicazione – e, per di più, nel caso di loro esito negativo per cause imputabile al destinatario la conoscibilità del provvedimento è comunque astrattamente collegabile alla pubblicità di esso garantita dal deposito in cancelleria (che, infatti, equivale in tali casi alla comunicazione o notificazione).

Nel caso di notificazione ad istanza di parte non vi è alcun obbligo di procedere esclusivamente a mezzo PEC, di modo che in caso di mancato perfezionamento per causa imputabile al destinatario potrà e dovrà farsi luogo ad una nuova notificazione nelle forme tradizionali[22].

In ragione di quanto detto, non vi è dubbio circa la manifesta erroneità del principio di diritto affermato ed applicato in casu dalla Corte d’Appello dovendo, infatti, ribadirsi che in caso di notificazione a mezzo PEC ai sensi dell’art. 3-bis L. 53/1994 essa si considera perfezionata solo quando sia generata la ricevuta di avvenuta consegna, di modo che qualora sia generata una ricevuta di mancata consegna anche per cause imputabile al destinatario si dovrà necessariamente procedere con una nuova notificazione, se del caso utilizzando le forme tradizionali di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c.

[18] Siamo di fronte, come ognun vede, ad una ipotesi di radicale inesistenza della notificazione che, stando alle parole di Cass. civ., Sez. Un., 20 luglio 2016, n. 14916, ricorre allorché “l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”. Nella generazione della ricevuta di mancata consegna è, in effetti, agevole scorgere simmetria ed equivalenza rispetto alla restituzione pura e semplice dell’atto al notificante da parte dell’ufficiale giudiziario che fa seguito ad un tentativo di consegna non andato a buon fine (non rileva, al momento, se per causa imputabile al destinatario). In entrambi i casi, come pare evidente, l’atto non è stato consegnato e la imputabilità ad uno piuttosto che ad un altro dei soggetti del procedimento notificatorio rileverà non ai fini di poter ritenere comunque esistente una notificazione che, invece, è stata omessa ma, diversamente, potrà rilevare al fine di consentire alla parte incolpevole la facoltà di completare in altra forma il procedimento, se del caso senza neppure scontare le conseguenze negative riconnesse al decorso di un termine perentorio.

[19] Un parallelismo potrebbe, semmai, ipotizzarsi tra l’ipotesi di rifiuto del destinatario di ricevere l’atto ex art. 138, comma 2, c.p.c. ed il caso in cui la notificazione a mezzo PEC si sia perfezionata con la generazione della ricevuta di avvenuta consegna ma vi sia la prova che il messaggio non è stato letto e nemmeno aperto dal destinatario. Ed infatti, per la assoluta irrilevanza, come ovvio, di tale circostanza v. Cass. Civ., sez. VI, 18 gennaio 2019 n. 1466 pronunciata con riferimento alla notificazione a mezzo PEC del ricorso e del decreto di convocazione ex art. 15, comma 3, L.F. Ai sensi del vigente art. 15, comma 3, l.fall., infatti, il ricorso e il decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione a mezzo PEC non risulta possibile o non ha esito positivo, la notificazione del ricorso e del decreto dovrà avvenire, a cura del ricorrente, a mezzo Ufficiale Giudiziario che vi procederà di persona, a norma dell’art. 107, comma 1, d.P.R. n. 1229/1959 (essendo, dunque, bandita la notificazione a mezzo posta, in motivazione Cass. 14 gennaio 2019 n. 642, Cass. 26 giugno 2018 n. 16864), presso la sede dell’impresa risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta neppure con questa ulteriore modalità, la stessa si intenderà senz’altro perfezionata con il deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese. La previsione, per quanto qui interessa, prevede dunque che, pur trattandosi di notificazione eseguita a cura della cancelleria (e per la quale sarebbe quindi astrattamente applicabile la disposizione di cui all’art. 16, comma 6, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179), l’esito negativo della notificazione a mezzo PEC, anche se imputabile al destinatario, impone comunque di procedere con altra forma di notificazione.

[20] Si dovrebbe, insomma, ritenere ad esempio che nel caso in cui la notificazione dell’impugnazione venga tentata nei confronti del procuratore costituito presso il domicilio risultante dall’albo cui questi è iscritto e non abbia, però, esito positivo in ragione del non pubblicizzato trasferimento del domicilio del destinatario, la notificazione dovrebbe, per ciò solo ed in ragione della imputabilità al destinatario del mancato perfezionamento del procedimento notificatorio, ritenersi eseguita già per effetto di questo (mero) tentativo non andato a buon fine.

[21] Norma che, invece e a ragione, manca con riferimento ai casi di mancato perfezionamento di una notificazione a mezzo PEC ex art. 3-bis L. 53/1994 per fatto imputabile al destinatario.

[22] L’imputabilità al destinatario del mancato perfezionamento della notificazione a mezzo PEC se non consente di ritenere comunque eseguita una valida ed efficace notificazione (e ciò al lume di tutto quanto si è venuti dicendo sino ad ora), non è però irrilevante. Ed infatti, nei casi in cui il notificante debba rispettare un termine di decadenza, l’esito negativo per cause imputabili al destinatario del tentativo di notificazione a mezzo PEC eseguito anche solo l’ultimo giorno utile giustificherà l’applicabilità del principio di diritto espresso da Cass. civ., Sez. Un., 20 luglio 2016, n. 14916 (v. la precedente nota 18) e, quindi, consentirà una valida e tempestiva riattivazione del procedimento notificatorio secondo le tradizionali forme che si considererà iniziato sin dal momento in cui sia stata generata la ricevuta di accettazione.

Redazione

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